Ricorso  per  il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato,  presso  i
cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia; 
    Contro la Regione Umbria in persona del Presidente  della  Giunta
regionale  pro  tempore,  per  la  declaratoria   dell'illegittimita'
costituzionale della legge regionale 13 maggio 2009, n. 11 pubblicata
nel Bollettino ufficiale della Regione Umbria n.  23  del  20  maggio
2009 e recante «Norme per la gestione  integrata  dei  rifiuti  e  la
bonifica delle aree inquinate». 
    La  presentazione  del  presente  ricorso  e'  stata  decisa  dal
Consiglio  dei  ministri  nella  riunione  del  3  luglio  2009   (si
depositeranno l'estratto del verbale  e  la  relazione  del  ministro
proponente). 
    La legge della Regione Umbria  n.  11  del  13  maggio  2009  nel
disciplinare la materia afferente alla bonifica delle aree  inquinate
e alla gestione integrata dei rifiuti, presenta  diversi  aspetti  in
contrasto con  la  normativa  nazionale  vigente  e  con  il  dettato
comunitario  di  settore,  nella  disciplina  dei  rifiuti  e   della
valutazione impatto ambientale. Essa quindi si pone in contrasto  con
l'art. 117, primo comma, che impone alle regioni  il  rispetto  degli
obblighi comunitari, e con il secondo  comma,  lett.  s),  Cost.,  ai
sensi del quale lo Stato ha  legislazione  esclusiva  in  materia  di
«tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,  secondo   la   costante
giurisprudenza  costituzionale  che  ha  affermato  che   i   rifiuti
rientrano nella competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela
dell'ambiente (sentenze n. 61/2009, n.  10/2009,  n.  277/2008  e  n.
62/2008) 
    In particolare: 
        1) la disposizione contenuta  nell'art.  7,  lett.  c)  delle
citata legge regionale n. 11/2009 prevede  che  il  comune  abbia  il
compito rilasciare, rinnovare  e  modificare  «l'autorizzazione  alla
gestione dei Centri di raccolta». 
    Al riguardo si osserva che la  vigente  disciplina  nazionale  di
settore, costituita  dal  d.m.  8  aprile  2008,  adottato  ai  sensi
dell'art. 183, comma 1, lettera cc) del decreto  legislativo  n.  152
del 2006, prevede che il soggetto che gestisce il centro di  raccolta
debba  solamente  essere  iscritto  all'Albo  nazionale  dei  gestori
ambientali e che la sola realizzazione dei citati centri, e non  gia'
anche la gestione di essi, sia «approvata dal Comune territorialmente
competente ai sensi della normativa vigente» (art. 2, commi 1  e  4).
Pertanto  subordinare  la  gestione  di  tali  centri  al  preventivo
rilascio dell'autorizzazione alla gestione da parte del comune, cosi'
come disposto nella legge regionale in esame, si  pone  in  contrasto
con la  citata  normativa  nazionale,  espressione  della  competenza
statale in materia di tutela dell'ambiente di cui  all'articolo  117,
secondo comma, lettera s) Cost. 
        2) La norma contenuta nell'art. 44 esclude dal proprio  campo
di applicazione, tra l'altro,  i  sedimenti  derivanti  da  attivita'
connesse  alla  gestione  dei   corpi   idrici   superficiali,   alla
prevenzione  di  inondazioni,  alla  riduzione   degli   effetti   di
inondazioni o siccita', al ripristino dei suoli,  qualora  sia  stato
accertato  che  i  materiali  non  risultino  contaminati  in  misura
superiore ai limiti stabiliti dalle norme vigenti. 
    Con tale previsione, peraltro di non chiara lettura,  la  regione
opera una  illegittima  esclusione  dalla  nozione  di  «rifiuto»  di
materiali che rientrano  nel  campo  di  applicazione  della  vigente
normativa comunitaria e nazionale in materia di rifiuti. 
    La definizione comunitaria recata  dall'art.  1  della  direttiva
2006/12/CE, recepito nell'ordinamento  nazionale  dall'articolo  183,
comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 152/2006, stabilisce che e' rifiuto
qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore  si  disfi  o  abbia
intenzione o l'obbligo di disfarsi. 
    Sulla base dei principi del diritto  comunitario  e  della  ormai
consolidata giurisprudenza della  Corte  di  giustizia  (Sentenza  18
aprile 2002, causa C-9/00), si puo' affermare che  non  e'  possibile
adottare  esclusioni  generalizzate   o   presunzioni   assolute   di
esclusione dal campo di applicazione della normativa  in  materia  di
rifiuti, ma e' necessario effettuare una valutazione, caso per  caso,
al fine di verificare se l'intenzione del  detentore  sia  quella  di
disfarsi del bene o della sostanza stessi. Tale  principio  non  puo'
essere  derogato  dalla  regione  dato  il   vincolo   del   rispetto
comunitario derivante dall'art. 117, primo comma, Cost.  Inoltre,  in
relazione alla definizione di rifiuto,  la  Corte  costituzionale  ha
dichiarato  costituzionalmente  illegittime   norme   regionali   che
escludevano da detta categoria taluni materiali (sent. 61/2009). 
    Per tale motivo si ritiene che le disposizioni  dell'articolo  in
esame, oltre che essere in contrasto con quanto disposto  dal  d.lgs.
n. 152/2006, agli articoli 183, comma 1, lettera a)  e  185,  possano
espone  l'Italia  ad  una   procedura   d'infrazione   per   indebita
restrizione del campo di applicazione della direttiva sui rifiuti. 
        3) l'articolo 46 esclude dalla verifica di  assoggettabilita'
alla valutazione di impatto ambientale di  cui  all'articolo  20  del
d.lgs. n. 152/2006 i progetti relativi agli impianti  mobili  per  il
recupero  di  rifiuti  non  pericolosi  mediante  operazioni  di  cui
all'allegato C, lettera R5, della parte IV del  d.lgs.  n.  152/2006,
anche se rientranti nella tipologia di cui al punto  7,  lettera  zb,
dell'allegato IV alla parte IL del citato decreto,  qualora  trattino
quantitativi medi giornalieri inferiori a 200 tonnellate e  il  tempo
di permanenza degli stessi impianti sul sito  predeterminato  per  lo
svolgimento della campagna  di  attivita'  non  sia  superiore  a  60
giorni. Tale deroga risulta in palese contrasto con  quanto  disposto
dal d.lgs. n. 152/2006 che, al punto 7, lettera zb, dell'allegato  IV
alla parte II, che prevede la verifica di assoggettabilita'  per  gli
impianti di smaltimento di  rifiuti  non  pericolosi,  con  capacita'
superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di cui  all'allegato  C,
lettere da R1 a R9, della parte IV  dei  d.lgs.  n.  152/2006,  senza
specificare se si tratti di impianti mobili o meno. Si  fa  presente,
inoltre, che  la  Commissione  europea,  circa  l'applicazione  della
direttiva  85/337/CEE   relativamente   agli   impianti   mobili   di
trattamento rifiuti, ha ribadito, con  nota  del  17  novembre  2004,
prot. Env.D.3/LT/cro D(2004)  532306,  che  «il  carattere  mobile  e
temporaneo di tali impianti non costituisce  di  per  se'  motivo  di
esclusione dalle liste dei progetti  elencati  negli  allegati  della
direttiva   o   di   considerazione   particolare   ai   fini   della
qualificazione di un progetto ai sensi della stessa. Pertanto,  posto
che essi abbiano  le  caratteristiche  per  essere  considerati  come
progetti di cui  agli  allegati  I  e  II,  gli  impianti  mobili  di
trattamento  rifiuti  sono  assoggettati  alle  prescrizioni  e  alle
procedure previste dalla direttiva». Pertanto la normativa  regionale
in oggetto, dettando  disposizioni  in  contrasto  con  la  normativa
nazionale vigente e con il  dettato  comunitario  di  settore,  nella
disciplina  dei  rifiuti  e  della  valutazione  impatto  ambientale,
presenta profili di  illegittimita'  per  violazione  dell'art.  117,
comma primo e secondo, lett. s), Cost., ai sensi del quale  lo  Stato
ha legislazione esclusiva  in  materia  di  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema».