Il Giudice per le indagini preliminari  presso  il  Tribunale  di
Milano letti gli atti del procedimento penale a carico  del  senatore
Maurizio Gasparri nato a Roma il 18 luglio 1956,  residente  a  Roma,
via Santa Maria dell'Anima n. 45, non presente gia' contumace, difeso
fiducia: avv. Adriano Bazzoni del foro di Milano, presente,  imputato
per i seguenti reati: del delitto previsto  e  punito  dall'art.  595
commi primo, secondo e terzo c.p.  perche'  offendeva  l'onore  a  la
reputazione di Henry John Woodcock, magistrato in servizio presso  la
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza con  funzioni
di Sostituto Procuratore, rilasciando al quotidiano Il Corriere della
Sera un'intervista, pubblicata sul n. 142 del 17 giugno  2006,  nella
quale,  commentando   gli   esiti   di   un'inchiesta   condotta   da
quell'Ufficio, testualmente  dichiarava:  «Mancano  solo  Maradona  e
Gatto Silvestro ... Ma si', ogni volta questo signore nelle inchieste
mette un po' di tutto, nomi famosi  mescolati  con  abilita'  pur  di
conquistare le prime pagine. Woodcock contro il resto del mondo,  una
volta questi film li faceva la Titanus, tipo Toto' contro  Maciste...
Woodcock e' la prova vivente della necessita' di reintrodurre i  test
psicoattitudinali per chi  vuole  diventare  magistrato  ...  con  le
aggravanti dell'attribuzione di un  fatto  determinato  e  dell'avere
arrecato l'offesa col mezzo della stampa, in Pessano con  Bornago  il
17 giugno 2006 in cui  e'  parte  offesa,  costituita  parte  civile:
Woodcock Henry John nato il 23 marzo 1967 a Taunton  (Gran  Bretagna)
residente a Potenza, via Pretoria n. 197, difeso fiducia: avv.  Bruno
Larosa del foro di Napoli. 
    Rilevato che  il  magistrato  Henry  John  Woodcock  ha  proposto
querela nei confronti del senatore Maurizio Gasparri  (all'epoca  dei
fatti  Deputato  della   Repubblica),   ritenendo   diffamatorie   le
affermazioni  sopra  meglio  riportate  poiche'  nell'articolo  sopra
indicato sarebbe contenuto un vero e proprio «attacco  personale  che
raggiunge in alcuni passaggi della  intervista  toni  e  connotazioni
inauditi»  condotto  con  «modalita'   gravemente   offensive   della
reputazione dell'onore  e  della  professionalita'  del  sottoscritto
magistrato»; 
    Rilevato che - su istanza del sen. Gasparri - nella seduta del 23
luglio 2008,  la  giunta  per  le  autorizzazioni  ha  deliberato  di
proporre  all'Assemblea  che  i  «fatti  oggetto   del   procedimento
rientrano nella prerogativa dell'insindacabilita»; 
        che la Camera dei deputati, nel  corso  della  seduta  del  5
agosto 2008 in accoglimento di conforme  proposta  della  Giunta,  ha
riconosciuto ai sensi dell'art. 68, primo comma  della  Costituzione,
l'insindacabilita'  delle  opinioni  espresse  dall'allora   deputato
Maurizio Gasparri nell'ambito degli articoli di  stampa  oggetto  del
presente  procedimento  in  quanto  espresse   nell'esercizio   della
funzione parlamentare; 
    Considerato che la vicenda  attiene  ad  un  articolo  contenente
un'intervista rilasciata dall'allora deputato  Maurizio  Gasparri  al
quotidiano «Corriere della sera», pubblicata in data 17  giugno  2006
alla pagina 5,  nell'ambito  degli  articoli  relativi  all'inchiesta
condotta  dal  magistrato  attuale  parte  civile  nei  confronti  di
Vittorio Emanuele di Savoia ed altri indagati; 
        che - allo stato degli atti - non appare  potersi  registrare
ne'  la  verita'  oggettiva  dei  fatti,  ne'  un  effettivo   rigore
espressivo nelle esternazioni del deputato; 
        che in ragione di tali  aspetti  e  dell'ulteriore  contenuto
degli atti di causa appare sussistere  una  fattispecie  a  soluzioni
aperte meritevole di approfondimento dibattimentale e cio'  anche  al
fine di accertare l'effettiva verita' dei fatti esposti; 
        che nella sua relazione  alla  Camera,  il  deputato  Daniele
Farina ha dichiarato che Gasparri «pur riconoscendo che  le  frasi  a
lui imputate non sono connesse ad  atti  parlamentari  specifici,  ha
pero' osservato che  si  trattava  di  osservazioni  ironiche  su  un
argomento di stretta attualita» e  che  «complessivamente  alla  gran
parte degli intervenuti e' apparso che la dichiarazione oggi imputata
al deputato Gasparri  sia  il  frutto  di  un  legittimo  diritto  di
critica»; 
        che nel corso della seduta all'esito della quale la Camera ha
deliberato nel senso dell'insindacabilita', il  deputato  Consolo  ha
dichiarato espressamente di non  condividere  l'attuale  orientamento
della Corte costituzionale in merito  all'applicazione  dell'art.  68
Cost. sostenendo che «al di fuori del Parlamento  sono  insindacabili
le esternazioni che costituiscano manifestazione di azione  politica,
prescindendo  dalle  modalita'  di  divulgazione   della   stessa   e
prescindendo dal nesso funzionale con quanto gia' espresso in Aula»; 
        che la  conclusione  adottata  appare  in  contrasto  con  la
costante giurisprudenza costituzionale: a titolo esemplificativo puo'
essere evidenziato quanto affermato nelle sentenze  numeri  10  e  11
dell'11 gennaio 2000 (alle quali si sono richiamate, tra le altre, le
successive sentenze n. 52 del 27 febbraio 2002; n. 207 del 20  maggio
2002; n. 294 del 19 giugno 2002). «... E' pacifico che  costituiscono
opinioni espresse nell'esercizio della  funzione  quelle  manifestate
nel corso dei  lavori  della  Camera  e  dei  suoi  vari  organi,  in
occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le  funzioni  svolte
dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali,
costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie  del  parlamentare
in quanto membro dell'assemblea; 
        che l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di  fuori
di questo ambito  non  puo'  dirsi  di  per  se'  esplicazione  della
funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce  l'art.  68,
primo comma, della Costituzione; 
        che nel normale svolgimento  della  vita  democratica  e  del
dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai
compiti  e  dalle  attivita'  propri  delle  assemblee  rappresentano
piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune  a  tutti  i
consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una
immunita' che la  Costituzione  ha  voluto,  in  deroga  al  generale
principio di legalita' e di giustizi abilita' dei diritti,  riservare
alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni; 
        che la linea di confine fra la tutela dell'autonomia e  della
liberta' delle Camere, e, a tal fine, della liberta'  di  espressione
dei loro membri, da  un  lato,  e  la  tutela  dei  diritti  e  degli
interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di  essere  lesi
dall'espressione di  opinioni,  dall'altro  lato,  e'  fissata  dalla
Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della
prerogativa.  Senza  questa   delimitazione,   l'applicazione   della
prerogativa  la  trasformerebbe  in  un  privilegio  personale  (cfr.
sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari  una
sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito  e  ai  limiti
della loro liberta' di manifestazione  del  pensiero:  con  possibili
distorsioni anche del  principio  di  eguaglianza  e  di  parita'  di
opportunita' fra cittadini nella dialettica politica; 
        che discende da quanto osservato che la semplice comunanza di
argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e  le  opinioni
espresse dal deputato o dal senatore in sede  parlamentare  non  puo'
bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le
seconde; 
        che tanto meno puo' bastare a tal fine la  ricorrenza  di  un
contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca.
Siffatto tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a  conferire
carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni  che
siano  oggettivamente  ad  essa  estranee.  Sarebbe,   oltre   tutto,
contraddittorio da un lato negare - come e' inevitabile negare -  che
di  per  se'  l'espressione  di  opinioni  nelle  piu'  diverse  sedi
pubbliche  costituisca  esercizio   di   funzione   parlamentare,   e
dall'altro lato ammettere che essa invece acquisti tale  carattere  e
valore in forza di generici collegamenti contenutistici con attivita'
parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere; 
        che in questo senso va precisato il  significato  del  «nesso
funzionale»   che   deve    riscontrarsi,    per    poter    ritenere
l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita'  parlamentare;
non come  semplice  collegamento  di  argomento  o  di  contesto  fra
attivita' parlamentare e  dichiarazione,  ma  come  identificabilita'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   di   attivita'
parlamentare; 
        che  nel  caso  di  riproduzione   all'esterno   della   sede
parlamentare,   e'   necessario,   per    ritenere    che    sussista
l'insindacabilta', che  si  riscontri  la  identita'  sostanziale  di
contenuto fra l'opinione  espressa  in  sede  parlamentare  e  quella
manifestata nella sede esterna; 
        che cio' che si  richiede,  ovviamente,  non  e'una  puntuale
coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti; 
        che nei  casi  in  cui  non  e'  riscontrabile  esercizio  di
funzioni parlamentari, il valore della legalita' - giurisdizione  non
collide certo con quello dell'autonomia delle Camere e cosi si spiega
che la giurisprudenza  costituzionale  abbia  appunto  stabilito  che
l'immunita' non vale per tutte quelle opinioni che  "il  parlamentare
manifesta nel piu' esteso ambito della politica"; 
        che alla luce di tale  interpretazione  si  debbono  pertanto
ritenere,  in  linea   di   principio,   sindacabili   tutte   quelle
dichiarazioni, che fuoriescono dal  campo  applicativo  del  "diritto
parlamentare"  e  che  non  siano  immediatamente   collegabili   con
specifiche forme di esercizio  di  funzioni  parlamentari,  anche  se
siano caratterizzate da un asserito "contesto politico"  o  ritenute,
per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in
cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo; 
        che questa forma di controllo  politico  rimessa  al  singolo
parlamentare puo' infatti  aver  rilievo,  nei  giudizi  in  oggetto,
soltanto se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti  e
procedure specificamente previsti dai  regolamenti  parlamentari;  se
dunque l'immunita' copre il membro del Parlamento  per  il  contenuto
delle  proprie  dichiarazioni  soltanto  se  concorre   il   contesto
funzionale, il problema specifico,  che  non  appare  irrilevante  in
questo  conflitto,  della  riproduzione  all'esterno   degli   organi
parlamentari di dichiarazioni gia' rese  nell'esercizio  di  funzioni
parlamentari si puo' risolvere nel senso  dell'insindacabilita'  solo
ove sia riscontrabile corrispondenza  sostanziale  di  contenuti  con
l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a  questo  riguardo  una
mera comunanza di tematiche». 
        che il conforme orientamento della  Corte  costituzionale  e'
stato recentemente ribadito con la sentenza n. 120 del 16 aprile 2004
che  nel  dichiarare   infondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate con riferimento all'art. 3, comma  1,  della
legge 20 giugno 2003, n. 140, ha affermato che: 
          «... Nonostante le  evoluzioni  subite,  nel  tempo,  nella
giurisprudenza di questa Corte, e' enucleabile un principio,  che  e'
possibile oggi individuare  come  limite  estremo  della  prerogativa
dell'insindacabilita',  e   con   cio'   stesso   delle   virtualita'
interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non puo'
mai trasformarsi  in  un  privilegio  personale,  quale  sarebbe  una
immunita' dalla giurisdizione conseguente  alla  mera  "qualita'"  di
parlamentare». Per tale  ragione  l'itinerario  della  giurisprudenza
della Corte si e' sviluppato attorno  alla  nozione  del  cd.  «nesso
funzionale»,  che  solo  consente  di  discernere  le  opinioni   del
parlamentare riconducibili alla libera manifestazione  del  pensiero,
garantita ad ogni cittadino nei limiti  generali  della  liberta'  di
espressione, da quelle  che  riguardano  l'esercizio  della  funzione
parlamentare. Certamente rientrano nello sfera  dell'insindacabilita'
tutte le opinioni manifestate con atti tipici nell'ambito dei  lavori
parlamentari, mentre per quanto attiene alle attivita' non  tipizzate
esse si debbono tuttavia considerare «coperte» dalla garanzia di  cui
all'art. 68, nei casi in cui si esplicano mediante strumenti, atti  e
procedure, anche «innominati», ma comunque rientranti  nel  campo  di
applicazione del diritto parlamentare, che il membro  del  Parlamento
e' in grado di porre in essere e di  utilizzare  proprio  solo  e  in
quanto riveste tale carica (cfr. sentenze n. 56 del 2000, n. 509  del
2002   e   n.   219   del   2003).   Cio'   che   rileva,   ai   fini
dell'insindacabilita', e' dunque il collegamento  necessario  con  le
«funzioni» del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto
si iscrive, a prescindere dal suo contenuto  comunicativo,  che  puo'
essere il piu' vario, ma  che  in  ogni  caso  deve  essere  tale  da
rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri
delle Camere, anche  se  attuato  in  forma  «innominata»  sul  piano
regolamentare. Sotto questo profilo non c'e'  percio'  una  sorta  di
automatica  equivalenza  tra  l'atto  non  previsto  dai  regolamenti
parlamentari e l'atto estraneo alla funzione parlamentare,  giacche',
come gia' detto, deve essere accertato in concreto se esista un nesso
che permetta di identificare l'atto in questione come «espressione di
attivita' parlamentare» (cfr. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 379
e n. 219 del 2003). E' in questa prospettiva  che  va  effettuato  lo
scrutinio della disposizione denunciata. Le attivita'  di  «ispezione
di divulgazione, di critica e di denuncia politica»  che  appunto  il
censurato art. 3,  comma  1,  riferisce  all'ambito  di  applicazione
dell'art. 68, primo comma, non rappresentano, di per  se,  un'ipotesi
di  indebito  allargamento   della   garanzia   dell'insindacabilita'
apprestata dalla norma costituzionale, proprio perche' esse, anche se
non manifestate in atti «tipizzarti», debbono  comunque,  secondo  la
previsione   legislativa   e   in   conformita'   con   il    dettato
costituzionale, risultare in connessione con l'esercizio di  funzioni
parlamentari. E' appunto questo «nesso» il presidio delle prerogative
parlamentari e, insieme, del principio di eguaglianza e  dei  diritti
fondamentali dei terzi lesi. Occorre, altresi',  evidenziare  che  la
legge n. 140/2003 non ha natura di legge costituzionale e,  pertanto,
non e' idonea  a  stravolgere  i  limiti  delineati  dalla  Corte  in
relazione  all'applicabilita'  dell'art.  68,   comma   primo   della
Costituzione. Pertanto, si ritiene  che  anche  il  riferimento  alle
attivita' di «ispezione divulgazione, critica e  denuncia  politica»,
espletate fuori  dal  Parlamento  che  devono  essere  connesse  alla
«funzione di parlamentare» non  possa  prescindere  dall'applicazione
dei criteri delineati dalla Corte costituzionale sopra richiamati. La
diversa  interpretazione,  diretta  a   ricomprendere   nella   sfera
dell'insindacabilita' qualsiasi attivita' politica posta in essere da
parlamentare al di fuori dal Parlamento, oltre che porsi in contrasto
con lo stesso art. 68 della Costituzione, determinerebbe,  di  fatto,
la  compromissione  dei  diritti  all'onore  ed   alla   reputazione,
anch'essi costituzionalmente tutelati; 
        che la deliberazione adottata dalla Camera dei deputati nella
seduta del 5 agosto 2008 appare in contrasto con i richiamati  canoni
interpretativi atteso che non contiene alcun elemento concreto da cui
poter desumere la sussistenza di una corrispondenza  sostanziale  tra
il contenuto dell'intervista oggetto  della  querela  e  le  opinioni
eventualmente  gia'  espresse  dal   senatore   in   specifici   atti
parlamentari, non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche
e un generico riferimento alla rilevanza dei fatti pubblici; 
        che l'interpretazione  prospettata  dalla  decisione  di  cui
trattasi comporta, di fatto,  che  l'istituto  previsto  dalla  norma
costituzionale si trasformi da «esenzione di  responsabilita'  legata
alla funzione in privilegio  personale»  (cfr.  sent.  11/2000,  gia'
citata) con  la  conseguenza  che  le  opinioni  e  le  dichiarazioni
manifestate da un parlamentare sarebbero sempre e comunque  sottratte
alla verifica giurisdizionale; 
        che,  come  affermato  dalla  suprema  Corte  «In   tema   di
diffamazione addebitata a soggetto investito di mandato parlamentare,
deve escludersi che le  prerogative  connesse  a  tale  mandato,  con
particolare riguardo a quella  dell'insindacabilita'  delle  opinioni
stabilita dall'art. 68 Cost., possano estendersi fino  a  coprire  le
affermazioni rese nel corso di interviste giornalistiche, atteso che,
anche a voler  ritenere  l'esercizio  del  mandato  parlamentare  non
circoscritto al solo ambito materiale istituzionalmente preposto allo
svolgimento delle relative funzioni, la sfera delle  guarentigie  non
puo' comunque riguardare l'attribuzione di fatti particolari,  lesivi
dell'onorabilita'  di  terzi,  al  di  fuori  di  qualsivoglia  nesso
pertinenziale   con   l'esercizio   delle   ordinarie    attribuzioni
ordinamentali» Cass., sez. 5, sentenza n. 29880 del  17  giugno  2002
Ud. (dep. 20 agosto 2002) Rv. 222340.; 
        che deve, pertanto, ritenersi che la condotta addebitabile al
senatore Gasparri, astrattamente idonea,  nella  sua  specificita'  e
gravita',  ad  integrare  un  illecito,  esula  dall'esercizio  delle
funzioni parlamentari e non presenta oggettivamente alcun legame  con
atti parlamentari neppure  nell'accezione  piu'  ampia  e  come  tale
dovrebbe  rientrare   nella   cognizione   riservata   al   sindacato
giurisdizionale; 
        che  le  opinioni  manifestate  dal  senatore  Gasparri   non
possono,  per  carenza   del   nesso   funzionale,   ritenersi   rese
nell'esercizio delle funzioni parlamentari e quindi per esse  non  e'
invocabile l'immunita', ai sensi  dell'art.  68,  primo  comma  della
Costituzione; 
        che, nel caso di specie,  appare  di  conseguenza  necessario
sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, conflitto
ammissibile sia  sotto  il  profilo  soggettivo  (questo  giudice  e'
l'organo  competente   a   decidere,   nell'ambito   delle   funzioni
giurisdizionali attribuite, sulla asserita illiceita' della  condotta
ascritta all'indagato e quindi «a dichiarare la volonta'  del  potere
cui appartiene, in posizione di piena  indipendenza  garantita  dalla
Costituzione»: cfr. fra le altre, ordinanze Corte  cost.  n.  60  del
1999; nn. 469, 407, 261, 254 del 1998), sia sotto  quello  oggettivo,
trattandosi della  sussistenza  dei  presupposti  per  l'applicazione
dell'art. 68 primo comma della Costituzione  e  della  lesione  della
propria sfera  di  attribuzioni  giurisdizionali,  costituzionalmente
garantita,  giacche'  illegittimamente  menomata   dalla   suindicata
deliberazione della Camera dei deputati. 
(1) Cass., sez. 5, sentenza n. 29880 del 17  giugno  2002  Ud.  (dep.  20
agosto 2002) Rv. 222340.