IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
    Ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 717  del  2009,  proposto  da:  Giuseppe  Landolfo,
Massimo Savina, Lorenzo Vetrano, Walter  Mazzotta  e  Roberto  Magli,
rappresentati e difesi dagli avv. Adriano Tolomeo,  Pietro  Vetrugno,
con domicilio eletto presso Adriano Tolomeo  in  Lecce,  via  Braccio
Martello, 19; 
    Contro Ufficio elettorale centrale presso la Corte  d'appello  di
Lecce, Ministero dell'interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura
distrettuale Stato, domiciliata per legge in Lecce,  via  F.  Rubichi
23; Provincia di Lecce, non costituita in giudizio; nei confronti  di
Fabio Campobasso, Valerio Armonico, rappresentati e difesi  dall'avv.
Giovanni Garrisi, con domicilio eletto  presso  Giovanni  Garrisi  in
Lecce, via G. Mantovano,  3;  Coordinamento  Provinciale  del  Popolo
della Liberta', rappresentato e difeso dall'avv. Luciano Ancora,  con
domicilio eletto presso Luciano Ancora in Lecce,  via  Imbriani,  30;
Ernesto Toma, rappresentato  e  difeso  dagli  avv.  Luciano  Ancora,
Roberto  Gualtiero  Marra,  con  domicilio  eletto   presso   Roberto
Gualtiero Marra  in  Lecce,  piazza  Mazzini  72;  Giovanni  Pasquale
Siciliano, Alessandro Coricciati, non  costituiti  in  giudizio;  per
l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, del  provvedimento
di  ammissione  alla  competizione  elettorale  per  l'elezione   del
Presidente della Provincia  e  del  Consiglio  provinciale  di  Lecce
indetta per i giorni 6-7giugno 2009, dei  candidati  alla  carica  di
consigliere provinciale nei collegi di  Veglie  -  Salice  Salentino;
Martano; Presicce; Maglie e  Lecce,  nelle  liste  del  Popolo  della
Liberta' e di ogni altro atto presupposto,  connesso,  collegato  e/o
consequenziale, tra cui il provvedimento 11 maggio 2009  dell'Ufficio
elettorale centrale presso la Corte d'appello di Lecce. 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio  di  Ufficio  elettorale
centrale  presso  la  Corte  d'appello  di  Lecce  e  del   Ministero
dell'interno; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  del  Coordinamento
provinciale del Popolo della Liberta'; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dei  sigg.   Fabio
Campobasso, Ernesto Toma e Valerio Armonico; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella Camera di consiglio del giorno 20 maggio  2009  il
dott. Luigi Viola e uditi altresi', l'avv. Tolomeo per i  ricorrenti,
l'Avv. dello Stato Tarentini, l'avv. Garrisi per i  controinteressati
Campobasso e  Armonico,  l'avv.  Capozza  in  sostituzione  dell'avv.
Luciano Ancora per il  Coordinamento  Provinciale  del  Popolo  della
Liberta' e l'avv. Roberto Marra per il controinteressato Toma; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
                              F a t t o 
    Il ricorrente sig. Giuseppe Landolfo e' coordinatore  provinciale
dell'«Unione Liberale di Centro» affiliata alla  formazione  politica
«Popolo della Liberta»  e  Presidente  delle  «Case  del  Cittadino»,
associazione sempre aderente  al  detto  raggruppamento  politico;  i
ricorrenti sig. Massimo Savina, Lorenzo Vetrano,  Walter  Mazzotta  e
Roberto Magli sono  affiliati  all'«Unione  Liberale  di  Centro»  e,
quindi, al «Popolo della Liberta». 
    In  veste  di  aderenti  al  detto  raggruppamento  politico,   i
ricorrenti chiedevano, nelle date dell'11 aprile 2009 (per  Landolfo)
e del 5 maggio 2009 (per tutti gli altri),  di  essere  candidati  in
qualita' di consiglieri nella tornata elettorale per  l'elezione  del
Presidente e del Consiglio provinciale di Lecce indetta per i  giorni
6-7 giugno 2009 nei collegi di  Veglie-Salice  Salentino  (Landolfo),
Martano (Savina),  Presicce  (Vetrano),  Maglie  (Mazzotta)  e  Lecce
(Magli), nelle liste del «Popolo della Liberta». 
    Ritenendo  che  le  designazioni  dei  candidati   non   stessero
avvenendo nel rispetto dell'art. 25 dello  statuto  della  formazione
politica «Popolo  della  Liberta»,  il  ricorrente  Landolfo,  prima,
diffidava il coordinatore provinciale a vagliare la sua  proposta  di
candidatura per le suddette elezioni provinciali e,  successivamente,
proponeva ricorso al Collegio dei probiviri  ai  sensi  dell'art.  41
dello statuto della formazione  politica  (ricorso  che  non  risulta
essere stato ancora deciso). 
    Successivamente,  i  ricorrenti  apprendevano  che  il  movimento
politico «Popolo  della  Liberta»  aveva  deciso  di  candidare,  nei
collegi sopra richiamati, altri aderenti alla formazione  politica  e
decidevano di proporre ricorso all'Ufficio elettorale centrale presso
la Corte d'appello di Lecce (in realta', non di tratta di un  vero  e
proprio   ricorso,   ma   della   possibilita'   di   rivedere,   nel
contraddittorio  degli   interessati,   le   decisioni   gia'   prese
dall'Ufficio elettorale centrale prevista dall'art.  33,  ult.  comma
del  d.P.R.  16  maggio  1960,  n.  570),  lamentando  la  violazione
dell'art. 25 dello statuto del «Popolo della liberta» che regolamenta
la  presentazione  delle  candidature  anche  con  riferimento   alle
elezioni  provinciali,  prevedendo   una   proposta   congiunta   del
Coordinatore regionale e del Coordinatore provinciale  (e  di  grande
citta')  e  dei  relativi  Vice  vicari,  ratificata,  a  maggioranza
semplice,  dal  Coordinamento  provinciale   e   di   Grande   citta'
(maggioranza che e' sostituita dalla maggioranza qualificata dei  due
terzi, nell'ipotesi di mancata intesa tra i coordinatori regionali  e
provinciali). 
    Con provvedimento 11 maggio 2009, l'Ufficio  elettorale  centrale
presso la Corte d'appello di Lecce dichiarava l'inammissibilita'  del
ricorso e il non  luogo  a  provvedere,  sulla  base  della  seguente
motivazione:  «l'Ufficio,  considerato  che  le  sue  competenze   si
esauriscono nel  controllo  della  regolarita'  del  procedimento  di
presentazione delle candidature e che non  ha  alcuna  competenza  ad
interferire in tutto cio' che e' a monte dello stesso, in particolare
nella scelta da parte del gruppo delle candidature; ritenuto, quindi,
di non poter adottare alcun provvedimento, dovendo il  contrasto  fra
gli appartenenti allo  stesso  gruppo  circa  le  candidature  essere
proposto in altra sede». 
    Il provvedimento dell'Ufficio elettorale centrale presso la Corte
d'appello di Lecce era impugnato dai ricorrenti, anche in qualita' di
cittadini elettori (oltre che di aderenti alla formazione politica in
questione, interessati alla candidatura) per violazione dell'art.  48
(in realta' si tratta pero' dell'art. 49) e  51  della  Costituzione,
eccesso di potere per carenza istruttoria e falsita' del presupposto;
in particolare, i ricorrenti lamentano  la  violazione  dell'art.  25
dello statuto della formazione politica «Popolo  della  Liberta»  che
regolamenta le candidature ed in generale, del principio  che  impone
che «la volonta' elettorale venga a formarsi in  maniera  errata  per
effetto  del  falso  presupposto  costituito  dalla  candidatura   di
soggetti non individuati secondo le regole proprie del partito  sotto
il cui simbolo vengono a candidarsi». 
    Si costituivano in giudizio l'Ufficio elettorale centrale  presso
la  Corte  d'appello  di  Lecce,  il   Ministero   dell'interno,   il
Coordinamento provinciale del «Popolo della Liberta»  ed  alcuni  dei
candidati presentati nei collegi di Veglie-Salice Salentino, Martano,
Presicce, Maglie e Lecce nelle  liste  del  «Popolo  della  Liberta»,
controdeducendo  sul  merito  del  ricorso  e  formulando   eccezioni
preliminari di inammissibilita' e improcedibilita' del ricorso. 
    Con decreto 15 maggio 2009, n.  413,  il  Presidente  del  T.A.R.
Puglia, Lecce rigettava l'istanza  di  tutela  cautelare  monocratica
presentata da parte ricorrente, rinviando ogni decisione alla  Camera
di consiglio del 20 maggio 2009 ed autorizzando le parti a presentare
memorie, entro le ore 18,00  del  giorno  precedente,  anche  in  via
informatica; alla Camera di consiglio del 20 maggio 2009, il Collegio
avvertiva le  parti  in  ordine  alla  possibilita'  di  definire  la
fattispecie con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 26,
quarto comma della legge 6 dicembre 1971, n.  1034  (come  modificato
dall'art. 9 della legge 21 luglio 2000, n. 205) e  tratteneva  quindi
il ricorso in decisione nel merito. 
                            D i r i t t o 
    1. - In  via  preliminare,  la  sezione  deve  rilevare  come  la
decisione del  ricorso  non  possa  prescindere  dalla  questione  di
legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 49 e 51 della
Costituzione, degli artt. 30 e 33 del d.P.R. 16 maggio 1960,  n.  570
(t.u. delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle
Amministrazioni   comunali),   applicabili   anche   alle    elezioni
provinciali, per effetto del rinvio operato dall'art. 14, ult.  comma
della legge 8 marzo 1951 n. 122 (norme per  l'elezione  dei  Consigli
provinciali). 
    In  particolare,  per  quello  che  riguarda  il  profilo   della
rilevanza  della  questione  di  costituzionalita',  e'   sufficiente
rilevare come il T.A.R. sia chiamato a pronunciarsi sul provvedimento
11 maggio 2009  dell'Ufficio  elettorale  centrale  presso  la  Corte
d'appello  di  Lecce  che  ha  dichiarato  inammissibile  il  ricorso
presentato dagli attuali ricorrenti, sostanzialmente  sulla  base  di
un'interpretazione delle previsioni degli artt. 30 e 33 del d.P.R. 16
maggio 1960, n. 570 che, come si  dira'  e'  da  ritenersi  corretta,
anche  se,  ad  avviso  della  sezione,  presenta  indubbi  punti  di
contrasto con le previsioni degli artt. 49 e 51 della Costituzione. 
    2. - Sostanzialmente irrilevanti, ai fini della valutazione della
rilevanza della questione di costituzionalita', sono le eccezioni  di
inammissibilita'  e  improcedibilita'  del  ricorso  sollevate  dalle
difese di alcuni dei controinteressati. 
    La prima eccezione  costituisce  una  sostanziale  riproposizione
della  soluzione  giurisprudenziale  - recepita  da   una   decisione
dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato  (Consiglio  Stato  ad.
plen., 24 novembre 2005, n. 10) e da alcune successive decisioni  del
Giudice d'appello (ad es., Consiglio Stato, sez. V, 27  maggio  2008,
n. 2526) -  che  ha  escluso  l'autonoma  impugnabilita'  degli  atti
endoprocedimentali (come l'ammissione delle liste)  finalizzati  alla
proclamazione degli eletti nelle elezioni comunali,  ammettendo  solo
la «tutela differita»  successiva  alla  proclamazione  degli  eletti
prevista dall'art. 83-undecies del d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570 (art.
aggiunto dall'art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147). 
    La questione e' stata recentemente affrontata  da  una  decisione
della Corte costituzionale (Corte cost. 27 marzo 2009, n. 90) che  ha
dichiarato   manifestamente    inammissibile    la    questione    di
costituzionalita' della citata previsione dell'art.  83-undecies  del
d.P.R.  16  maggio  1960,  n.  570,  anche  in  considerazione  della
«mancanza di un diritto vivente» che abbia incorporato  la  soluzione
proposta  dal  Consiglio  di  Stato;  sulla  questione  e'   pertanto
possibile e legittima una pluralita' di soluzioni  giurisprudenziali,
non   essendo   stata   ancora   raggiunta   quella   uniformita'   e
standardizzazione che permette alla Corte costituzionale di procedere
al sindacato di costituzionalita' della soluzione  giurisprudenziale,
divenuta «diritto vivente». 
    Con riferimento alla problematica,  la  sezione  (T.A.R.  Puglia,
Lecce, sez. I, 24 maggio 2006, n. 3061), non diversamente  da  alcune
decisioni del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. V, 16  maggio
2006, n. 2368; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 6 novembre 2007,  n.
1135; T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 8 febbraio 2007, n. 89),  ha
gia' ritenuto di propendere per la tesi che ritiene immediatamente  e
autonomamente impugnabile il provvedimento di esclusione di una lista
elettorale, «attesa la sua idoneita' a  ledere  il  bene  della  vita
costituito dalla partecipazione ad una tornata di voto caratterizzata
da un preciso contesto temporale e ambientale... e, per altro  verso,
che una tutela giurisdizionale accordata  in  un  momento  successivo
allo svolgimento delle elezioni  e,  quindi,  in  un  contesto  anche
politicamente ormai mutato, non e' coerente  con  i  principi,  anche
costituzionali, sul giusto processo (principalmente:  effettivita'  e
tempestivita' della tutela, riferibile ad un bene della vita che pare
essere la partecipazione a "quella" tornata di voto caratterizzata da
un preciso contesto temporale e ambientale)». 
    Anche in questa  sede,  la  sezione  ritiene  pertanto  di  poter
riaffermare il proprio netto orientamento per la tesi che  ammettendo
il sindacato autonomo ed immediato del  provvedimento  di  ammissione
delle  liste  e  dei  candidati  risponde,  con  maggiore  efficacia,
all'esigenza di una maggior tutela dei ricorrenti ed  in  definitiva,
dell'interesse  alla   corretta   esplicazione   della   competizione
elettorale;  esigenze  che  sono  presenti   anche   nella   presente
fattispecie e che hanno indotto la sezione a sollevare  la  questione
di costituzionalita', gia'  in  sede  di  sindacato  della  decisione
dell'Ufficio elettorale centrale in materia di ammissione delle liste
e dei candidati. 
    Del tutto  irrilevante  nella  presente  fattispecie  e'  poi  il
riferimento a Cass. s.u. 13 aprile 1992, n.  4483  o  al  difetto  di
giurisdizione derivante dalla previsione dell'art. 41  dello  statuto
del «Popolo della Liberta» (per univoca giurisprudenza, la previsione
del ricorso al Collegio dei  probiviri  o  agli  organi  interni  del
partito politico viene, infatti, ad integrare una forma di  arbitrato
irrituale che preclude il ricorso diretto  all'Autorita'  giudiziaria
ordinaria; Cass. s.u. 17 novembre 1984, n. 5837; 4 dicembre 1984,  n.
6344;  Pretura  Taranto,  25  settembre  1986);  i   principi   sopra
richiamati attengono, infatti, univocamente a controversie instaurate
tra affiliati ed il partito politico di riferimento (quindi, la  fase
«associativa»  del  rapporto)  e  non  hanno  alcuna  attinenza  alla
presente fattispecie che investe, al contrario, la  legittimita'  del
sindacato operato dall'Ufficio  elettorale  centrale  (quindi  da  un
organo pubblico) in sede di  ammissione  delle  liste  elettorali  e,
quindi, gli interessi pubblicistici di particolare pregnanza che sono
alla base della  stessa  previsione  di  una  fase  pubblicistica  di
valutazione  in  ordine  alla  presentazione  delle  liste  e   delle
candidature. 
    Per quello  che  riguarda  l'eccezione  di  improcedibilita'  del
ricorso per omessa notifica al candidato Presidente  della  Provincia
della lista «Popolo della Liberta», la sezione non  puo'  mancare  di
rilevare come, rispetto al provvedimento impugnato (il  provvedimento
11 maggio 2009  dell'Ufficio  elettorale  centrale  presso  la  Corte
d'appello di Lecce), sia del tutto mancante, il cd. elemento  formale
(ovvero, la menzione espressa della persona nell'atto impugnato)  che
verrebbe ad attribuire al dott. Giovanni Gabellone  la  qualifica  di
controinteressato in senso tecnico. 
    La  documentazione   depositata   in   giudizio   evidenzia   poi
adeguatamente la  qualificazione  dei  ricorrenti  come  aderenti  al
movimento  politico  «Popolo  della  Liberta»,   con   conseguenziale
impossibilita' di  aderire  all'eccezione  di  difetto  di  interesse
sollevata dalla difesa di alcuni dei controinteressati; del resto, la
stessa eccezione presenta aspetti evidenti di contraddittorieta',  in
quanto inserita in un contesto generale che vede anche la rilevazione
dell'ulteriore eccezione di difetto di giurisdizione a seguito  della
presenza della clausola compromissoria prevista  dall'art.  41  dello
statuto  (clausola  compromissoria  che  puo'  ovviamente   esplicare
effetti nei confronti dei soggetti aderenti al movimento  politico  e
non di soggetti esterni  che  non  siano  associati  alla  formazione
politica). 
    Per pura  completezza  la  sezione  deve  poi  rilevare  come  la
presente rimessione  sia  stata  operata  dopo  il  trattenimento  in
decisione nel merito del ricorso ai sensi dell'art. 26, quarto  comma
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034  (come  modificato  dall'art.  9
della legge 21 luglio 2000, n. 205) e, quindi, debba essere valutata,
non con  riferimento  ai  limiti  propri  della  rimessione  in  sede
cautelare (che presuppongono che il giudice che opera  la  rimessione
non abbia esaurito il potere  decisorio  cautelare:  Corte  cost.  12
ottobre 1990, n. 444), ma secondo la  sistematica  piu'  ampia  delle
rimessioni operate in sede di decisione del merito. 
    3. - Per quello che riguarda la questione  di  costituzionalita',
la sezione deve innanzitutto rilevare come la fattispecie dedotta  in
giudizio  imponga  la  risoluzione  di  una  difficile   problematica
giuridica che ruota intorno all'esatta ricostruzione dei  limiti  del
sindacato dell'Ufficio elettorale centrale in sede  di  presentazione
delle liste destinate a partecipare alle elezioni provinciali. 
    In buona sostanza, siamo, infatti, in presenza di  un  gruppo  di
aderenti ad un  partito  politico  che  ha  chiesto  (con  l'atecnico
«ricorso» previsto dall'art. 33, ult. comma del  d.P.R.  n.  570  del
1960) all'Ufficio elettorale centrale presso la  Corte  d'appello  di
Lecce  un  controllo  di  legalita'  in  ordine  al  rispetto   delle
previsioni dello statuto del «Popolo della  Liberta»  e,  quindi,  in
buona  sostanza,  in  ordine  al  rispetto  da  parte  dei   soggetti
legittimati a formare la  lista  e  a  presentarla  delle  regole  di
democrazia interna che lo statuto del citato partito  prevede  e  che
l'art. 49 Cost. impone  quale  «metodo  democratico»,  affinche'  sia
«impedito che il potere di decisione nei partiti (e  conseguentemente
nello Stato) sia concentrato ... in poche mani» (Esposito); controllo
che e' stato sostanzialmente negato dall'Ufficio elettorale  centrale
che si e' limitato a rilevare la propria incompetenza «ad interferire
in tutto cio' che e' a monte... (del  procedimento  di  presentazione
delle candidature), in particolare nella scelta da parte  del  gruppo
delle candidature». 
    A questo proposito, la sezione ritiene necessario precisare  come
non abbia sostanziale  importanza  se  la  fattispecie  debba  essere
decisa dando applicazione alla previsione dell'art. 25 dello  statuto
del «Popolo della Liberta»  (che,  ai  sensi  della  VI  disposizione
transitoria dell'atto statutario, e' destinata ad operare  solo  dopo
il secondo Congresso nazionale della formazione politica),  dell'art.
2 del d.P.R. 28 aprile 1993, n. 132 (che prevede, con riferimento  ai
gruppi politici presenti in Parlamento, la possibilita'  di  allegare
alla presentazione delle candidature «una dichiarazione  sottoscritta
dal presidente o dal segretario del partito o gruppo politico  o  dai
presidenti o segretari regionali o  provinciali  di  essi,  che  tali
risultino per attestazione  dei  rispettivi  presidenti  o  segretari
nazionali ovvero da rappresentanti all'uopo da  loro  incaricati  con
mandato  autenticato  da  notaio,  attestante  che  le  liste  o   le
candidature sono presentate in nome e per conto del partito o  gruppo
politico stesso») o di altra norma; con tutta  evidenza,  si  tratta,
infatti, di problematica  attinente  al  merito  della  contestazione
mossa da parte ricorrente che  non  puo'  esplicare  effetti  in  una
fattispecie  in  cui  la  sezione  deve  innanzitutto  affrontare  la
problematica    della    legittimita'    della    declaratoria     di
inammissibilita' e di non luogo  a  provvedere  assunta  dall'Ufficio
elettorale  centrale  e  quindi  deve  preliminarmente  risolvere  la
problematica  preliminare  dell'ambito  di   sindacato   riconosciuto
dall'ordinamento a detto organo. 
    Con riferimento a questa problematica, le  norme  di  riferimento
sono, indubbiamente, costituite dagli artt. 30 e  33  del  d.P.R.  16
maggio 1960, n. 570 (applicabili anche alle elezioni provinciali, per
effetto del rinvio operato dall'art. 14, ult.  comma  della  legge  8
marzo 1951, n. 122) che attribuiscono all'Ufficio elettorale centrale
principalmente il compito di: 
        a) verificare  che  le  candidature  siano  sottoscritte  dal
numero prescritto di elettori, eliminando quelle che non lo sono; 
        b) ricusare i contrassegni di lista che siano identici o  che
si possano facilmente confondere con quelli presentati in  precedenza
o con quelli notoriamente usati da  altri  partiti  o  raggruppamenti
politici, ovvero riproducenti simboli o elementi  caratterizzanti  di
simboli che, per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in
Parlamento, possono trarre in errore  l'elettore.  In  tali  casi  la
Commissione  assegna  un  termine  di  non  oltre  48  ore   per   la
presentazione  di  un   nuovo   contrassegno.   Ricusa   altresi'   i
contrassegni riproducenti immagini o soggetti di natura religiosa; 
        c) eliminare i nomi dei candidati a carico  dei  quali  viene
accertata la sussistenza di  alcuna  delle  condizioni  previste  dal
comma 1 dell'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, o per i  quali
manca ovvero e' incompleta la dichiarazione di accettazione di cui al
sesto comma dell'art. 28, o manca il certificato di iscrizione  nelle
liste elettorali; 
        d) cancellare i nomi dei candidati  gia'  compresi  in  altre
liste presentate in precedenza; 
        d-bis) verificare che nelle liste dei candidati  nessuno  dei
due sessi sia rappresentato in misura superiore  ai  tre  quarti  dei
consiglieri assegnati. In caso contrario invita i delegati di lista a
ripristinare detto rapporto percentuale entro il termine di cui  alla
lettera b). Scaduti i termini, la commissione ricusa le liste per  le
quali non si sia provveduto; 
        e) ricusare le liste che contengono un  numero  di  candidati
inferiore al minimo prescritto e ridurre  quelle  che  contengono  un
numero di candidati superiore al massimo consentito, cancellando  gli
ultimi nomi. 
    Una decisione del giudice amministrativo (T.A.R. Sicilia Catania,
sez. I, 28 novembre 2006, n. 2380) ha ritenuto di poter  interpretare
estensivamente le analoghe previsioni vigenti nella Regione  Sicilia,
ricomprendendo  nell'ambito  di  sindacato  dell'Ufficio   elettorale
centrale anche la verifica in ordine ai  poteri  rappresentativi  dei
soggetti che presentino la lista, cosi' estendendo sostanzialmente il
proprio sindacato anche al rispetto delle previsioni  statutarie  che
attribuiscono   tale   potesta'   decisionale   e    rappresentativa;
l'interpretazione estensiva e', in  buona  sostanza,  radicata  sulla
necessita'  di  garantire  al   cittadino   elettore   una   corretta
informazione  e  una  potesta'  decisionale  effettiva  in  sede   di
espressione  del  voto:  «l'Ordinamento  ha  apprestato  un   preciso
meccanismo di filtro che presiede  alla  presentazione  delle  liste,
avendo di mira lo  scopo  di  assicurare  che  a  detta  competizione
prendano parte  solamente  soggetti  dotati  di  effettiva  capacita'
rappresentativa e quindi in possesso di  una  precisa  legittimazione
(derivante cioe': dall'essere  appartenenti  a  formazioni  politiche
gia' "riconosciute" in quanto presenti in altri  organismi  elettivi,
come in Parlamento, o, in Sicilia, nell'Assemblea  regionale;  oppure
derivante  dalla  sottoscrizione  di  un  numero   predeterminato   e
rilevante di  cittadini  elettori),  altrimenti  si  rischierebbe  di
chiamare i cittadini ad esprimere le proprie preferenze in  ordine  a
candidati di cui non e'  certa  la  collocazione,  l'appartenenza  ed
addirittura l'identita' politica, con ovvie conseguenze di  sviamento
delle preferenze e di alterazione dei risultati elettorali. Pertanto,
quando tale legittimazione "d'ingresso" appare dubbia, o  meglio,  e'
contestata per ragioni  afferenti  la  titolarita'  del  nome  e  del
simbolo del  partito,  l'esigenza  di  tutelare  l'affidamento  degli
elettori  deve  essere  tutelata  al  massimo  grado  e  quindi  deve
impedirsi l'accesso alle competizioni elettorali da parte  di  quelle
formazioni politiche "in forse", fino a quando il  conflitto  interno
non sia risolto con gli ordinari strumenti,  anche  qui,  chiaramente
previsti dall'Ordinamento (ossia tutele  endoassociative  oppure  una
pronuncia del giudice civile, che, come si vedra', e' pure soggetta a
precisi limiti)». 
    La sezione ritiene pero' che  l'interpretazione  estensiva  delle
previsioni   che   determinano   l'ambito   valutativo   dell'Ufficio
elettorale centrale sia preclusa, nella materia che ci occupa,  dalla
stessa incidenza su due  ambiti  di  particolare  rilevanza  come  il
diritto di voto e la liberta' di associazione; da cui  la  necessita'
(gia' rilevata da Corte  cost.  29  ottobre  1999,  n.  407)  che  la
valutazione  dell'Ufficio  elettorale  centrale  si  svolga   secondo
parametri obiettivi che non determinino «incertezza incrementando  il
contenzioso, stante l'ampio margine di apprezzamento che verrebbe, in
ipotesi,  riconosciuto  alla  commissione  elettorale»  (esigenza  di
certezza che ha trovato espressione  in  un  contesto  normativo  che
enumera  espressamente  le  possibilita'  di  sindacato  riconosciute
all'Ufficio elettorale centrale e che non puo' certo essere integrato
attraverso lo strumento dell'interpretazione estensiva). 
    In  buona  sostanza,  quindi  la   decisione   11   maggio   2009
dell'Ufficio elettorale centrale presso la Corte d'appello  di  Lecce
si presenta sostanzialmente corretta  ed  aderente  alla  sistematica
degli artt. 30 e 33 del d.P.R.  16  maggio  1960,  n.  570,  che  non
prevedono  attualmente  la  possibilita',  per  l'Ufficio  elettorale
centrale, di sindacare la legittimazione del soggetto che presenti la
lista, con riferimento, soprattutto, alle norme di legge o di statuto
che  regolamentano  la  stessa  formazione  della  volonta'  di   una
determinata  associazione  politica   e,   quindi,   in   definitiva,
garantiscono che  una  determinata  lista  di  candidati  costituisca
genuina espressione di una formazione politica e  non  di  iniziative
«esterne» al contesto politico di riferimento. 
    Nel caso, la scelta dei candidati da inserire in lista  e'  pero'
avvenuta senza il rispetto di quelle regole di democrazia interna che
i partiti devono possedere  e  rispettare  perche'  -  come  detto  -
imposte dalla Costituzione (art. 49); regole di «metodo  democratico»
che sono state dichiaratamente inosservate, in  quanto  si  asserisce
che  sarebbero  entrate  in  vigore  solo  successivamente,  con   la
conseguenza, che, pur apparendo la formazione delle  liste  esercizio
di potere non con «metodo democratico», manca nel  sistema  normativo
la possibilita'  che  venga  verificato  il  rispetto  del  principio
fondamentale del metodo democratico in relazione a: 
        a) l'esistenza  di  regole  democratiche  negli  statuti  dei
partiti quanto alla scelta dei candidati; 
        b) l'effettivo rispetto del metodo democratico come stabilito
dagli statuti dei partiti. 
    Ad avviso della sezione, l'attuale e ristretta  formulazione  nel
senso sopra rilevato degli artt. 30 e 33 del d.P.R. 16  maggio  1960,
n.  570,  non  e'  quindi  conforme  a  Costituzione   e   contrasta,
soprattutto, con la previsione dell'art. 49  della  Costituzione  che
garantisce a tutti i cittadini il «diritto di associarsi  liberamente
in partiti per concorrere con metodo  democratico  a  determinare  la
politica  nazionale»;  in  particolare,  ai  fini  che  ci  occupano,
particolare   importanza   deve   essere   attribuita    all'espresso
riferimento, presente nella  disposizione  citata,  al  principio  di
democraticita' che deve trovare esplicitazione anche con  riferimento
all'organizzazione interna dell'associazione ed  in  particolare,  al
rispetto delle norme che regolamentano la  formazione  interna  della
volonta' dell'associazione politica. 
    A  questo  proposito,  e'  di  tutta  evidenza  come  l'effettiva
possibilita', per i cittadini, di concorrere con metodo democratico a
determinare la politica nazionale abbia necessita' di  una  serie  di
garanzie che investono anche vicende interne ai partiti  politici  ed
in questa linea interpretativa,  e'  quasi  superfluo  richiamare  la
giurisprudenza dell'A.G.O. che ha ammesso l'impugnazione da parte del
singolo aderente  anche  delle  determinazioni  assunte  dai  partiti
politici, per violazione di disposizioni di legge o di  statuto  (tra
le tante, si vedano, Trib. Roma, 18  agosto  2001;  3  giugno  1995),
anche con riferimento alla possibile esclusione dell'associato o alla
stessa utilizzazione del nome o del simbolo del partito (Trib.  Roma,
21 marzo 1995). 
    Secondo l'attuale formulazione degli artt. 30 e 33 del d.P.R.  16
maggio 1960,  n.  570,  la  verifica  in  ordine  al  rispetto  delle
previsioni statutarie o di legge in materia di formazione delle liste
elettorali e' pero' del tutto preclusa, proprio nel delicato  momento
della presentazione delle liste elettorali; si giunge,  pertanto,  al
sostanziale  paradosso  per  cui  una  decisione   in   ordine   alla
presentazione di un lista  assunta  in  violazione  delle  previsioni
statutarie  (come  nella  vicenda  che  ci  occupa)  potrebbe  essere
sindacata  dal  giudice  ordinario  in  sede  di  impugnazione  della
delibera dell'associazione irregolarmente adottata, ma  non  potrebbe
costituire oggetto di alcuna valutazione  in  sede  di  presentazione
delle liste, dando cosi' vita ad una sistematica che, in  assenza  di
un filtro adeguato da parte dell'Ufficio  elettorale  centrale,  puo'
dare vita ad una competizione elettorale viziata dalla  presentazione
di una lista che non costituisce corretta espressione della  volonta'
degli aderenti alla stessa formazione  politica  (per  effetto  della
violazione delle norme statutarie in materia). 
    La complessiva irrazionalita' dell'attuale  ambito  di  sindacato
dell'Ufficio elettorale centrale e'  poi  ulteriormente  percepibile,
ove si abbia anche riferimento all'attuale strutturazione degli artt.
30 e 33 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, che non si  limita  ad  un
sindacato «formale» delle liste, ma che investe anche  la  tutela  di
interessi  di   particolare   pregnanza,   come   la   tutela   della
collettivita' da infiltrazioni criminose (assicurata dalla previsione
che impone di  eliminare  dalle  liste  i  soggetti  che  versino  in
particolari condizioni) che non  rivestono  certo  minore  importanza
della tutela della possibilita' di concorrere  democraticamente  alla
politica nazionale ex art. 49 Cost. o del diritto  di  accedere  agli
uffici pubblici elettivi garantito dall'art. 51 Cost. (previsione che
puo' essere lesa da decisioni  in  ordine  alla  presentazione  delle
liste che non rispettino le norme statutarie in ordine alla  corretta
formazione delle decisioni dei partiti politici). 
    Del resto, si tratterebbe di  una  forma  di  sindacato  che  non
costituirebbe certamente una forma di interferenza (come ritenuto dal
provvedimento 11 maggio 2009 dell'Ufficio elettorale centrale  presso
la Corte d'appello di Lecce e da una parte della dottrina) sulla vita
interna dei partiti  e  che  non  entrerebbe  in  collisione  con  la
liberta'  di  associazione;  come   gia'   chiarito,   il   sindacato
dell'Ufficio elettorale centrale si esaurirebbe (cosi'  come  avviene
per l'impugnazione delle  deliberazioni  dei  partiti  politici)  nel
sindacato «esterno» in ordine al rispetto delle previsioni statutarie
in ordine alla presentazione delle candidature  ed  in  generale,  in
ordine  alla  legittimazione  di  chi  presenti  la   lista   e   non
investirebbe, quindi, il «merito» di determinate scelte. 
    Per effetto della natura estremamente semplice degli  adempimenti
e del sindacato in ordine al rispetto delle previsioni statutarie  in
ordine alla presentazione delle candidature (che si  esaurirebbe  nel
mero riscontro della  conformita'  delle  decisioni  in  ordine  alla
presentazione  delle  candidature  a   previsioni   statutarie),   si
tratterebbe poi di una forma di valutazione sostanzialmente in  linea
con i «requisiti essenziali di linearita', semplificazione e puntuale
scansione degli adempimenti» che,  secondo  la  giurisprudenza  della
Corte  costituzionale  (Corte  cost.  29  ottobre  1999,   n.   407),
costituiscono  una  caratterizzazione  fondamentale   dell'intervento
dell'Ufficio elettorale centrale in sede di ammissione delle liste. 
    4. - In conclusione, il Collegio ravvisa la rilevanza  e  la  non
manifesta    infondatezza    della    questione    di    legittimita'
costituzionale,  per  violazione  degli   artt.   49   e   51   della
Costituzione, degli arti 30 e 33 del d.P.R. 16 maggio  1960,  n.  570
(t.u. delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle
Amministrazioni comunali),  nella  parte  in  cui  non  prevedono  il
sindacato, da parte dell'Ufficio elettorale centrale,  in  ordine  al
rispetto, da parte dei presentatori delle liste,  delle  disposizioni
statutarie o di legge in ordine alla presentazione delle  candidature
ed alla partecipazione  del  partito  politico  ad  una  competizione
elettorale. 
    Va  pertanto  disposta  -  ai  sensi  degli   artt.   134   della
Costituzione; 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;  23
della legge 11 marzo 1953,  n.  87  -  la  sospensione  del  presente
giudizio e la trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,
oltre  agli  ulteriori  adempimenti  di  legge  meglio  indicati   in
dispositivo.