LA CORTE DI CASSAZIONE 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
proposto da Miele Gino, elettivamente domiciliato in Roma, piazza  di
Priscilla 4, presso l'avv. Stefano  Coen,  che,  unitamente  all'avv.
Davide Druda, lo rappresenta e difende giusta delega  a  margine  del
ricorso, ricorrente; 
    Contro Gruppo Veritas S.p.A. - Azienda Consorzio del  Mirese,  in
persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore,   intimata,   per
regolamento preventivo di giurisdizione in relazione al  giudizio  di
opposizione al decreto ingiuntivo n.  221/2007  pendente  innanzi  al
Giudice di pace di Dolo, R.G. n. 1222/2007; 
    Udito l'avv. Stefano Coen per il ricorrente; 
    Udita la relazione della causa svolta nella Camera  di  consiglio
del 7 aprile 2009 dal consigliere dott. Raffaele Botta; 
    Lette le conclusioni scritte del p.g. che ha chiesto  dichiararsi
la giurisdizione del giudice tributario. 
                      Svolgimento del processo 
    La controversia concerne l'opposizione ad un  decreto  ingiuntivo
con il quale l'Azienda Consorzio del Mirese agiva nei  confronti  del
sig. Gino Miele a seguito del  mancato  pagamento  di  una  serie  di
fatture relative alla Tariffa d'igiene ambientale per  gli  anni  dal
2001 al 2005. 
    Nel proporre l'opposizione innanzi al Giudice di pace di Dolo che
aveva emesso il decreto de quo, il sig. Miele eccepiva il difetto  di
giurisdizione del giudice adito,  asserendo  che,  trattandosi  della
riscossione di debiti di natura tributaria, la giurisdizione  sarebbe
spettata non al giudice ordinario, bensi' al giudice tributario, e in
questa prospettiva, al fine di risolvere  ogni  dubbio,  ha  proposto
ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione innanzi a  queste
sezioni unite. L'Azienda Consorzio del Mirese non si e' costituita. 
                        M o t i v a z i o n e 
    Il ricorso del contribuente  e'  fondato  sul  presupposto  della
ritenuta natura tributaria della Tariffa di igiene ambientale  (TIA),
che il ricorrente sostiene  essere  stata  definitivamente  acclarata
dalle sezioni unite di questa Corte, da cui conseguirebbe, anche alla
luce della riforma introdotta dall'art. 3-bis, comma 1, d.l.  n.  203
del 2005, convertito con modificazioni con legge n. 248 del 2005,  la
giurisdizione del giudice tributario. 
    In verita', sulla natura giuridica della TIA queste sezioni unite
non si sono ancora pronunciate direttamente (o come si suol  dire  ex
professo),  avendo  deliberato  esclusivamente  sulla   giurisdizione
(quindi, semmai, solo indirettamente sulla natura  della  tariffa)  e
senza peraltro conseguire fino ad ora un orientamento unitario. 
    Nell'anno 2006, a distanza di circa un mese l'una dall'altra, due
pronunce di queste sezioni unite sembrano dare soluzioni contrapposte
sullo stesso tema. 
    Una prima ordinanza - la n. 3274 del 15 febbraio 2006 -  afferma:
«A seguito della trasformazione della tassa per  lo  smaltimento  dei
rifiuti solidi urbani in tariffa, disposta dall'art. 49 del d.lgs.  5
febbraio 1997, n. 22, le controversie aventi ad  oggetto  la  debenza
del corrispettivo dovuto  per  il  predetto  servizio  in  base  alla
tariffa esulano sia dalla giurisdizione delle commissioni tributarie,
essendo venuta meno la natura tributaria  della  prestazione  (almeno
quando, come nella fattispecie, la tariffa sia stata approvata),  sia
dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo  in  materia
di pubblici servizi, prevista dall'art. 33, lettera e), del d.lgs. 31
marzo 1998, n. 80, come modificato dall'art. 7 della legge 21  luglio
2000,   n.   205,   nel   testo   risultante   dalla    dichiarazione
d'incostituzionalita'  pronunciata  dalla  Corte  costituzionale  con
sentenza n. 204 del 2004, e sono quindi devolute  alla  giurisdizione
del giudice  ordinario.  La  controversia,  infatti,  pur  avendo  ad
oggetto una prestazione  che  si  ricollega  all'espletamento  di  un
pubblico servizio, non afferisce ad un rapporto  di  concessione  ne'
implica  un  sindacato  sulla  legittimita'   di   un   provvedimento
amministrativo, in quanto l'obbligo di pagamento sorge da presupposti
interamente preregolati dalla legge, senza che siano  riservati  alla
P.A. spazi di discrezionalita' circa la concreta  individuazione  dei
soggetti  obbligati,  i  presupposti  oggettivi  o  il  quantum   del
corrispettivo dovuto». 
    Una seconda ordinanza - la n. 4895 dell'8 marzo 2006  -  afferma:
«In tema di  TIA  (tariffa  di  igiene  ambientale,  introdotta,  con
abolizione della precedente TARSU, dall'art. 49 del d.lgs. 5 febbraio
1997, n. 22), le relative controversie, alla stregua della disciplina
sopravvenuta con l'art. 3-bis, primo comma, lett.  b),  del  d.l.  30
settembre 2005, n. 203, convertito in legge 2 dicembre 2005, n. 248 -
che ha aggiunto al secondo comma dell'art. 2 del d.lgs.  31  dicembre
1992,  n.  546  la  precisazione  "appartengono  alla  giurisprudenza
tributaria anche le controversie relative alla debenza del  canone...
per lo smaltimento dei  rifiuti  urbani..."  -,  sono  devolute  alla
giurisdizione delle commissioni tributarie. Tale norma si sottrae  al
sospetto di illegittimita' costituzionale  sia  in  riferimento  agli
artt. 3 e 24 Cost. (cfr. Corte cost., sent.  n.  18  del  2000),  sia
sotto il profilo della possibile violazione dell'art. 102 e della  VI
disp.  trans.  Cost.  per  in  osservanza  del  limite  della  natura
tributaria delle  materie  attribuite  alle  commissioni  tributarie,
indispensabile per non farle ritenere "nuovi"  giudici  speciali,  in
quanto i "canoni" indicati nella disposizione stessa attengono  tutti
ad entrate che in precedenza rivestivano indiscussa natura tributaria
(senza che acquisti rilievo l'impiego del termine "tariffa", presente
anche in materia tributaria in senso stretto)». 
    A ben guardare il contrasto e' solo apparente, perche' la ragione
del «mutato» orientamento emergente nella  seconda  delle  richiamate
ordinanze e' palesemente costituita, non da un  vero  e  proprio  (ed
effettivo) revirement, ma dall'intervento  medio  tempore  realizzato
dal legislatore nel modificare la norma sulla giurisdizione: afferma,
infatti,  in  motivazione  l'ordinanza  n.  4895  del  2006  che  «la
soluzione  (adottata)  si  impone,  alla  stregua  della   disciplina
sopravvenuta con la legge n. 248 del 2005, art. 3-bis, comma 1, lett.
b), di conversione del d.l. n. 203  del  2005,  che  ha  aggiunto  al
d.lgs. n. 546 del 1992, comma 2, la precisazione  "appartengono  alla
giurisprudenza tributaria anche le controversie relative alla debenza
del canone (...) per lo smaltimento dei  rifiuti  urbani  (...)".  Il
legislatore, superando le  incertezze  gia'  insorte  in  materia  in
dottrina e nella giurisprudenza di merito - e cosi', gia'  prima,  in
tema di COSAP, scarico e depurazione di acque reflue,  ed,  in  minor
misura,  di  imposta  comunale  sulle  pubbliche  affissioni   -   ha
ricondotto  infatti  le  controversie  in  materia  di  TIA  (tariffa
d'igiene  ambientale  introdotta,  con  abolizione  della  precedente
TARSU, dal d.lgs. n. 22 del 1997,  art.  49  -  cd.  decreto  Ronchi)
nell'ambito della giurisdizione tributaria». 
    Invero non puo' parlarsi a  rigore  di  una  rimeditazione  sulla
natura giuridica della TIA, ma di una  adesione  alla  tesi,  pur  da
molti sostenuta, secondo la quale il legislatore  -  aggiungendo  con
l'art. 3-bis, comma 1, lett. b), di conversione del d.l. n.  203  del
2005 un secondo periodo al comma 2 dell'art. 2,  d.lgs.  n.  546  del
1992 -, abbia inteso risolvere questioni controverse in  ordine  alla
natura tributaria di determinate prestazioni,  affermandone  per  via
processuale il carattere tributario sostanziale. 
    Se cosi' e', non  appar  fuori  luogo  chiedersi  se  una  simile
esegesi possa ritenersi soddisfacente dopo le  sentenze  della  Corte
costituzionale n. 64 del  2008  e  n.  335  del  2008.  La  prima  ha
dichiarato illegittimo il secondo periodo del comma  2  dell'art.  2,
d.lgs. n. 546 del 1992 nella parte in cui stabilisce che appartengono
alla giurisdizione tributaria anche  le  controversie  relative  alla
debenza del COSAP. La seconda ha dichiarato  illegittimi:  a)  l'art.
14, comma 1, legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia  di
risorse idriche), sia nel testo originario, sia nel testo  modificato
dall'art. 28 della legge 31 luglio  2002,  n.  179  (Disposizioni  in
materia ambientale), nella parte in  cui  prevede  che  la  quota  di
tariffa riferita al servizio di depurazione e'  dovuta  dagli  utenti
«anche nel caso in  cui  la  fognatura  sia  sprovvista  di  impianti
centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi»
e b) l'art. 155, comma 1, primo periodo, del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui
prevede che la quota di tariffa riferita al servizio  di  depurazione
e' dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui  manchino  impianti  di
depurazione o questi siano temporaneamente inattivi». 
    Si tratta di sentenze che - avendo escluso,  in  motivazione,  la
natura tributaria, rispettivamente, del COSAP e  del  canone  per  lo
scarico e la depurazione delle acque  reflue  -  pongono  seri  dubbi
sulla validita' della teoria che il  secondo  periodo  del  comma  2,
dell'art. 2, d.lgs. n. 546 del 1992, valga ex  se  a  determinare  la
natura   tributaria   alle   specificamente   elencate    prestazioni
patrimoniali. Tanto da far  apparire  maggiormente  condivisibile  la
tesi, sostenuta da autorevole  dottrina,  secondo  la  quale  sarebbe
proprio la richiamata disposizione a far ritenere esclusa  la  natura
tributaria  di  dette  prestazioni,  perche'   altrimenti   la   loro
attribuzione alla giurisdizione tributaria non avrebbe avuto  bisogno
di una apposita norma, una volta che quella giurisdizione fosse stata
estesa, dal modificato comma 1 del medesimo art. 2, d.lgs. n. 546 del
1992, ai tributi di ogni genere e specie comunque denominati. 
    Peraltro, proprio sulla base  della  sentenza  n.  64  del  2008,
queste sezioni unite hanno ritenuto non manifestamente infondata  «in
riferimento  all'art.  102,  secondo  comma  Cost.  la  questione  di
legittimita' costituzionale, dell'art. 3-bis, d.l. n. 203  del  2005,
convertito con modificazioni con legge n. 248 del 2005,  nella  parte
in  cui  devolve  alla  giurisdizione  del  giudice   tributario   le
controversie relative alla debenza del canone per  lo  scarico  e  la
depurazione delle acque reflue, canone non avente  natura  tributaria
ma, in virtu' dell'art. 31, comma 28 della legge 23 dicembre 1998, n.
448,   qualificabile   come   quota   tariffaria,   componente    del
corrispettivo dovuto dall'utente per il servizio» (Cass., s.u.,  ord.
n. 20501 del 2008). 
    Se, quindi,  alla  luce  delle  ricordate  sentenze  della  Corte
costituzionale non risulta ragionevolmente  praticabile  una  esegesi
della disciplina sostanziale (circa la natura  giuridica  della  TIA)
perseguita  mediante  una  esegesi   della   disciplina   processuale
(attribuzione  al  giudice  tributario  della   giurisdizione   sulle
controversie relative alla TIA), si palesa l'opportunita' di  tornare
a riflettere sul problema della natura giuridica della TIA, prendendo
le mosse dalla gia' ricordata ordinanza di queste  sezioni  unite  n.
3274 del 2006,  che  aveva  ritenuto  fosse  venuta  meno  la  natura
tributaria della prestazione a  seguito  della  trasformazione  della
tassa per lo  smaltimento  dei  rifiuti  solidi  urbani  in  tariffa.
Tuttavia, non e' possibile  prescindere  da  un  approfondimento,  in
quanto la pronuncia in esame afferma la natura non  tributaria  della
tariffa, sulla base del rilievo che siffatta  circostanza  costituiva
un fatto «pacifico in causa»: la stessa Avvocatura dello Stato  aveva
«implicitamente riconosciuto, sostenendo soltanto  l'esistenza  della
giurisdizione amministrativa, (che)  la  prestazione  non  ha  natura
tributaria e le relative controversie non sono, quindi, devolute alla
giurisdizione delle commissioni tributarie, ai sensi della  legge  28
dicembre 2001, n. 448, art. 12». 
    Occorre, pertanto, per dare una piu'  esauriente  risposta  sulla
natura giuridica della TIA, analizzare  piu'  da  vicino  il  dettato
normativo. 
    La TIA e' stata istituita con l'art. 49, d.lgs. n. 22  del  1997,
come sostitutiva della TARSU, ed e' finalizzata a  coprire  «i  costi
per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti
di qualunque natura o  provenienza  giacenti  sulle  strade  ed  aree
pubbliche e soggette ad uso pubblico» (art. 49, comma 2). La  tariffa
«deve essere  applicata  nei  confronti  di  chiunque  occupi  oppure
conduca locali, o  aree  scoperte  ad  uso  privato  non  costituenti
accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti,
esistenti nelle zone del territorio comunale» (art. 49, comma  3)  ed
«e' composta da una quota determinata in  relazione  alle  componenti
essenziali del costo  del  servizio,  riferite  in  particolare  agli
investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota
rapportata alle quantita' di rifiuti conferiti, al servizio  fornito,
e all'entita' dei costi di gestione, in modo che  sia  assicurata  la
copertura integrale dei costi di investimento e di  esercizio»  (art.
49, comma 4). 
    La TIA e' stata sostituita con l'art.  238,  d.lgs.  n.  152  del
2006, dalla Tariffa per la gestione  dei  rifiuti  urbani  dovuta  da
«chiunque possegga o  detenga  a  qualsiasi  titolo  locali,  o  aree
scoperte ad uso privato  o  pubblico  non  costituenti  accessorio  o
pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi  uso  adibiti,  esistenti
nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti  urbani»  e
che costituisce «il corrispettivo per lo svolgimento del servizio  di
raccolta,  recupero  e  smaltimento  dei  rifiuti  solidi  urbani   e
ricomprende  anche  i  costi  indicati  dall'art.  15   del   decreto
legislativo 13 gennaio 2003, n. 36» (art. 238, comma 1). 
    Nella nuova normativa la tariffa e' «commisurata alle quantita' e
qualita'  medie  ordinarie  di  rifiuti  prodotti   per   unita'   di
superficie, in relazione agli  usi  e  alla  tipologia  di  attivita'
svolte, sulla base di parametri, determinati con  il  regolamento  di
cui al  comma  6,  che  tengano  anche  conto  di  indici  reddituali
articolati per fasce di utenza e territoriali» (art. 238, comma 2) ed
e' «composta da una quota determinata in  relazione  alle  componenti
essenziali del costo  del  servizio,  riferite  in  particolare  agli
investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonche' da una
quota rapportata alle quantita' di  rifiuti  conferiti,  al  servizio
fornito e  all'entita'  dei  costi  di  gestione,  in  modo  che  sia
assicurata la copertura integrale dei  costi  di  investimento  e  di
esercizio» (art. 238, comma 4): nella sua determinazione e' «prevista
la copertura anche di costi  accessori  relativi  alla  gestione  dei
rifiuti urbani quali, ad  esempio,  le  spese  di  spazzamento  delle
strade» (art. 238, comma 3). 
    Alla luce di queste disposizioni (pur  non  volendo  dare  rilevo
alla questione del nomen «tariffa», che, tuttavia, con riferimento ad
altre  fattispecie,  come  quella  dei  canoni  di  rotta,  e'  stata
considerata da questa Corte - Cass. n.  20959  del  2004  -  elemento
utile ai fini della definizione della  natura  non  tributaria  della
prestazione), dovrebbe concludersi per la natura non tributaria della
TIA, seguendo le argomentazioni sviluppate dalla Corte costituzionale
nella ricordata sentenza n. 335 del 2008. 
    In primo luogo, la Corte  costituzionale  considera  un  elemento
determinante per attribuire natura giuridica di «corrispettivo»  alla
tariffa del servizio idrico integrato il fatto che l'art.  13,  comma
2, legge n. 36 del 1994 stabilisca che detta tariffa deve  assicurare
«la copertura integrale dei costi di investimento  e  di  esercizio»:
analoga disposizione e' espressa dal comma 4 dell'art. 49, d.lgs.  n.
22 del 1997 per la TIA (e dal comma 4 dell'art. 238,  d.lgs.  n.  152
del 2006, per la Tariffa per la  gestione  dei  rifiuti  urbani).  La
rilevanza della  commisurazione  della  prestazione  patrimoniale  al
costo  del  servizio  quale  elemento  coerente  con  la  natura  non
tributaria della prestazione stessa, e' stata  posta  in  luce  dalla
Corte costituzionale, ad es., nella sentenza n. 73 del 2005, la quale
pronunciando in merito  al  conflitto  di  attribuzione  tra  Regione
Sicilia  e  Stato  in  relazione  al  provvedimento   del   direttore
dell'Agenzia  delle  entrate  in  data  19  febbraio  2002,   recante
«Approvazione del nuovo  modello  di  bollettino  di  conto  corrente
postale per il versamento in euro del  contributo  unificato  per  le
spese degli  atti  giudiziari»,  ed  in  relazione  alla  risoluzione
dell'Agenzia delle entrate, Direzione centrale gestione  tributi,  n.
60/E del 27 febbraio 2002, concernente il «Contributo  unificato  per
le spese degli atti giudiziari di  cui  all'art.  9  della  legge  21
dicembre 1999, n.  448.  Modalita'  di  versamento  disciplinate  con
decreto del Presidente della Repubblica 1° marzo 2001,  n.  126»  del
contributo unificato -, ha affermato che  la  natura  tributaria  del
contributo unificato si desume, tra l'altro,  dal  fatto  che  «esso,
ancorche'  connesso  alla  fruizione  del  servizio  giudiziario,  e'
commisurato forfetariamente al valore dei processi (comma 2 dell'art.
9 e tabella 1 allegata alla legge) e non al costo del  servizio  reso
od al valore della prestazione erogata». 
    In secondo luogo i criteri per la  determinazione  della  TIA  (e
successivamente per la Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani) si
modellano su quelli stabiliti dall'art. 117, comma 1, del  d.lgs.  18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi  sull'ordinamento  degli
enti locali) per le tariffe dei servizi pubblici, le quali,  a  norma
del   comma   2   della   medesima   disposizione,   sono    definite
«corrispettivo» dei servizi stessi. 
    Ancora da considerare a favore della natura non tributaria  della
prestazione e'  l'assenza,  all'interno  della  normativa,  di  norme
riguardanti  l'accertamento,  le  sanzioni  e  il  contenzioso.   Ne'
nell'art. 49, d.lgs. n. 22 del 1997 ne' nell'art. 238, d.lgs. n.  152
del 2006 si trovano disposizioni  che  prevedano  una  procedura  per
l'accertamento da parte della pubblica amministrazione  (o  dell'ente
gestore) delle somme dovute dal debitore della  prestazione  relativa
al servizio;  oppure  disposizioni  che  prevedano  l'irrogazione  di
specifiche  sanzioni   nell'ipotesi   di   omesso   pagamento   della
prestazione; o disposizioni che prevedano lo sviluppo del contenzioso
tra il debitore e l'ente locale (o l'ente  gestore)  in  ordine  alla
prestazione pretesa. 
    Un ulteriore elemento per escludere la  natura  tributaria  della
prestazione de qua e' costituito dal fatto che la TIA sia soggetta ad
IVA ai sensi dell'art. 6, comma 13, legge n. 133 del 1999 e del  d.m.
n. 370 del 24 ottobre 2000, in quanto la qualificazione ai  fini  IVA
della tariffa  come  corrispettivo  per  le  operazioni  relative  al
servizio di raccolta, trasporto  e  smaltimento  dei  rifiuti  solidi
urbani  e  assimilati  e'  un  chiaro  segnale  della  volonta'   del
legislatore di non ricondurre le  quote  stesse  al  novero  di  quei
«diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria  (v.  art.
13, paragrafo 1, primo periodo, della direttiva  n.  2006/112/CE  del
Consiglio,  del  28  novembre  2006)  esclude   in   linea   generale
dall'assoggettamento a IVA, perche' percepiti da enti  pubblici  «per
le  attivita'  od  operazioni  che  esercitano  in  quanto  pubbliche
autorita» (in questo senso v. anche Corte cost. n.  335  del  2008  a
proposito della tariffa per il servizio idrico integrato).  Nel  caso
di specie, la soggezione ad IVA  ha  un  particolare  valore  perche'
concorre con altri elementi significativi della natura non tributaria
della prestazione (ad es. rapporto necessario tra tariffa e costi del
servizio), che nel quadro della disciplina dettata dal d.lgs. n.  152
del  2006  assumono  ancor  maggiore  evidenza,  emergendo  anche  un
criterio legato alla effettiva produzione dei  rifiuti.  Non  a  caso
l'Agenzia delle entrate in sede di interpello ha  affermato  che  «la
tariffa di igiene ambientale (TIA), configurandosi alla stregua di un
"corrispettivo", nel  presupposto  che  l'espletamento  del  servizio
avvenga  secondo  regole  di  diritto   comune,   ...   deve   essere
assoggettata all'IVA, con aliquota agevolata del 10 per  cento,  come
previsto dalla Tabella A, parte terza, n. 127-sexiesdecies,  allegata
al suddetto d.P.R. n. 633 del  1972,  nel  caso  che  trattasi  della
gestione  di  rifiuti  urbani  e/o  dei  rifiuti  speciali  ad   essi
assimilati» (Agenzia entrate, risoluzione n. 25 del 5 febbraio  2003,
che esclude la soggezione ad IVA per l'entrata reativa al servizio di
pubbliche affissioni, in quanto tributo, e per il CIMP ed  il  COSAP,
non  configurandosi  in  dette   ipotesi   esercizio   di   attivita'
commerciale da parte dell'ente locale). 
    Infine le operazioni di raccolta,  trasporto  e  smaltimento  dei
rifiuti solidi urbani e assimilati sono svolte da  soggetti  che  non
hanno le caratteristiche  soggettive  dei  comuni,  ma  operano  come
imprese nell'esercizio di vere e proprie attivita' commerciali:  tali
soggetti applicano e riscuotono  la  tariffa,  mentre  l'ente  locale
perde la propria connotazione di ente impositore. 
    Cio' ha un riflesso sotto un duplice profilo. 
    Da  un  lato,  manca  l'individuazione  di  un  atto   impositivo
impugnabile: la tariffa, ai sensi dell'art. 1, d.m. n. 370  del  2000
e' riscossa dal gestore mediante «bollette che  tengono  luogo  delle
fatture, anche agli effetti  di  cui  all'art.  21  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972,  n.  633,  e  successive
modificazioni,  sempreche'  contengano  tutti  gli  elementi  di  cui
all'art. 21 del medesimo decreto, salvo il numero progressivo  ed  il
domicilio dell'utente che possono essere  sostituiti  rispettivamente
dalla  numerazione  toponomastica  e  dall'ubicazione   dell'utenza».
Questa bolletta non e' un atto di imposizione, considerabile tra  gli
atti impugnabili di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto  non  ne
ha le caratteristiche, trovando la propria regolamentazione nell'art.
21 del decreto  IVA  che  ne  definisce  i  contenuti,  essendone  la
relativa emissione non specificamente  collegata  ad  un  termine  di
decadenza (con la conseguente  soggezione  della  pretesa  creditoria
agli ordinari termini di prescrizione) e non  essendone  prevista  la
notificazione, procedura  idonea  a  dare  certezza  della  ricezione
dell'atto e della individuazione del dies a quo per  la  proposizione
della relativa (eventuale) impugnazione: e che non si  tratti  di  un
atto di imposizione emerge anche dalla circostanza che la bolletta de
qua e' equiparata, nel sistema della norma considerata, a quelle «per
l'addebito dei corrispettivi relativi alle somministrazioni di acqua,
gas, energia elettrica, vapore e teleriscaldamento urbano», che  fuor
di dubbio non appartengono al genus degli atti impositivi. 
    Vero e' che questa Corte (Cass. n. 17526 del 2007)  ha  affermato
che «gli atti con cui il gestore  del  servizio  di  smaltimento  dei
rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a
titolo  di  Tariffa  di  igiene  ambientale  hanno  natura  di   atti
amministrativi impositivi e debbono percio' rispondere  ai  requisiti
sostanziali propri di tali atti; in primo luogo debbono - al fine  di
consentire l'esercizio da parte del  destinatario  del  diritto  alla
difesa - enunciare - anche in forma sintetica, purche' chiara  -  sia
la fonte della richiesta sia gli elementi di fatto e di  diritto  che
la giustificano, anche sotto  il  profilo  quantitativo».  Ma  questa
affermazione, che in qualche misura forza il  dato  normativo  ex  se
insufficiente a giustificare la natura «impositiva»  della  precitata
bolletta, e' basata sul presupposto della ritenuta natura  tributaria
della TIA, sulla scorta della posizione espressa dalle sezioni  unite
a seguito dello ius superveniens che ha attribuito la «tariffa»  alla
giurisdizione  del  giudice  tributario   e   che   e'   oggetto   di
rimeditazione in questa sede. 
    Dall'altro lato, il fatto che  non  sia  l'ente  locale,  ma  una
societa'  commerciale  a  gestire  le  operazioni   di   raccolta   e
smaltimento  dei  rifiuti  e  a  riscuotere  nelle  forme   ordinarie
sopradescritte la «tariffa»,  porrebbe  significativi  e  non  facili
problemi di coordinamento normativo con l'art. 10, d.lgs. n. 546  del
1992, secondo il quale nel processo  tributario  si  confrontano  una
parte  privata  (il  contribuente)  e  una  parte  pubblica   (l'ente
impositore). 
    Conclusivamente si deve  osservare  che  tutta  questa  serie  di
elementi che segnalano la ragionevolezza dell'ipotesi  interpretativa
tesa ad escludere la natura tributaria della tariffa, va  considerata
nel quadro normativo piu' generale nel quale si colloca il  passaggio
dalla TARSU alla TIA e alla  Tariffa  per  la  gestione  dei  rifiuti
urbani. Siffatto quadro e' caratterizzato da una  scelta  legislativa
per la privatizzazione  (e  spesso  esternalizzazione)  dei  servizi,
connessa  ad  un  processo  di  detributarizzazione,  in  particolare
riferito alla finanza locale (e specificamente all'area  dei  servizi
erogati o  gestiti  dagli  enti  territoriali),  in  una  prospettiva
«federalista» nella quale si esalta il «principio del beneficio», che
rappresenta lo snodo essenziale che induce e giustifica il  passaggio
dalla tassa alla tariffa con forti connotazioni di  corrispettivita'.
Alla luce di tali considerazioni sembra evidente  che  nell'eventuale
alternativa esegetica, la scelta dell'interprete debba essere  quella
piu' coerente alle ragioni di fondo che hanno indotto il  legislatore
a indirizzarsi verso la trasformazione di una tassa in  tariffa,  con
il disegno di abbandonare l'area della fiscalita' a favore di  quella
della corrispettivita'. 
    Tanto piu' cio' e' vero nel caso dei rifiuti urbani, rispetto  ai
quali il passaggio dalla tassa alla tariffa, destinata alla copertura
dei costi del  servizio  a  carico  di  chi  produce  i  rifiuti,  e'
giustificato dalla  volonta'  legislativa  di  dare  attuazione  alla
direttiva  comunitaria  sui  rifiuti,  regolata  dal  principio  «chi
inquina paga», principio che appare compatibile con una tariffa e non
con una tassa, essendo funzionale, come espressione del principio  di
proporzionalita' (Corte giustizia  29  aprile  1999,  causa  C-293/96
Standley), ad  una  disciplina  precisa  dell'imputazione  dei  costi
(anche per via di approssimazione, stante la flessibilita' tipica del
principio di proporzionalita'  e  la  oggettiva  difficolta'  di  una
liquidazione esatta dei costi causati dal «produttore  di  rifiuti»).
Questa «incompatibilita' logica» tra il principio  comunitario  e  la
tassa sui rifiuti ha indotto il  T.a.r.  Campania,  Sede  di  Napoli,
Sezione Prima, con ordinanza 19 marzo 2008, n. 487 a porre alla Corte
di giustizia la seguente domanda pregiudiziale: «Se  sia  compatibile
con l'articolo 15 della direttiva  comunitaria  n.  75/442/CEE,  come
modificato dall'art.  1  della  direttiva  n.  91/156/CEE  e  con  il
principio del «chi inquina  paga»,  la  normativa  nazionale  dettata
dagli articoli 58 e seguenti del d.lgs. n. 507 del 1993  e  le  norme
transitorie che ne hanno prolungato la vigenza, per effetto dell'art.
11 del d.P.R. n. 488 del 1999, con  le  successive  modificazioni,  e
dell'art. 1, comma 184,  della  legge  n.  296  del  2006,  con  cio'
determinando la sopravvivenza di un sistema di carattere fiscale, per
la copertura dei costi  del  servizio  di  smaltimento  dei  rifiuti,
procrastinando l'introduzione di un sistema tariffario nel  quale  il
costo del  servizio  sia  sostenuto  dai  soggetti  che  producono  e
conferiscono i rifiuti» (Causa  C-  254/08).  Nella  causa  predetta,
l'Avvocato  generale  Juliane  Kokott  ha   depositato   le   proprie
conclusioni nel senso che: «il principio "chi inquina  paga"  sancito
dall'art. 15 della direttiva 2006/12/CE  relativa  ai  rifiuti,  deve
essere interpretato nel senso che esso osta a normative nazionali che
impongono  ai  singoli  costi  manifestamente   inadeguati   per   lo
smaltimento dei rifiuti per il  fatto  che  essi  non  dimostrano  un
legame sufficientemente ragionevole con la produzione dei rifiuti». 
    Sulla base del complesso degli elementi valutati appare,  quindi,
non  manifestamente  infondata   la   questione   di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 3-bis, d.l. n. 203 del 2005, convertito  con
modificazioni con legge n. 248 del 2005 nella parte  in  cui  devolve
alla giurisdizione del giudice tributario  le  controversie  relative
alla debenza del canone (rectius: tariffa)  per  lo  smaltimento  dei
rifiuti urbani. 
    La questione e' rilevante nel presente giudizio,  trattandosi  di
stabilire  a  quale  giudice  sia  devoluta  la  giurisdizione  sulle
controversie relative alla debenza della tariffa de qua, che la norma
sospetta di incostituzionalita' espressamente attribuisce al  giudice
tributario, per cui queste sezioni unite, dovendo applicare la legge,
non  avrebbero  altra  possibilita'  che  dichiarare  nel   caso   la
giurisdizione del giudice tributario.  Non  vi  e'  spazio,  infatti,
stante il carattere esplicito  della  citata  disposizione,  per  una
interpretazione della stessa che  sia  costituzionalmente  orientata,
perche' siffatto tipo di interpretazione si tradurrebbe nel  caso  di
specie in una vera e propria interpretatio  abrogans  che  esula  dai
poteri di questo giudice.