LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso proposto da Miele Gino, elettivamente domiciliato in Roma, piazza di Priscilla 4, presso l'avv. Stefano Coen, che, unitamente all'avv. Davide Druda, lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso, ricorrente; Contro Gruppo Veritas S.p.A. - Azienda Consorzio del Mirese, in persona del legale rappresentante pro tempore, intimata, per regolamento preventivo di giurisdizione in relazione al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo n. 221/2007 pendente innanzi al Giudice di pace di Dolo, R.G. n. 1222/2007; Udito l'avv. Stefano Coen per il ricorrente; Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 7 aprile 2009 dal consigliere dott. Raffaele Botta; Lette le conclusioni scritte del p.g. che ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice tributario. Svolgimento del processo La controversia concerne l'opposizione ad un decreto ingiuntivo con il quale l'Azienda Consorzio del Mirese agiva nei confronti del sig. Gino Miele a seguito del mancato pagamento di una serie di fatture relative alla Tariffa d'igiene ambientale per gli anni dal 2001 al 2005. Nel proporre l'opposizione innanzi al Giudice di pace di Dolo che aveva emesso il decreto de quo, il sig. Miele eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice adito, asserendo che, trattandosi della riscossione di debiti di natura tributaria, la giurisdizione sarebbe spettata non al giudice ordinario, bensi' al giudice tributario, e in questa prospettiva, al fine di risolvere ogni dubbio, ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione innanzi a queste sezioni unite. L'Azienda Consorzio del Mirese non si e' costituita. M o t i v a z i o n e Il ricorso del contribuente e' fondato sul presupposto della ritenuta natura tributaria della Tariffa di igiene ambientale (TIA), che il ricorrente sostiene essere stata definitivamente acclarata dalle sezioni unite di questa Corte, da cui conseguirebbe, anche alla luce della riforma introdotta dall'art. 3-bis, comma 1, d.l. n. 203 del 2005, convertito con modificazioni con legge n. 248 del 2005, la giurisdizione del giudice tributario. In verita', sulla natura giuridica della TIA queste sezioni unite non si sono ancora pronunciate direttamente (o come si suol dire ex professo), avendo deliberato esclusivamente sulla giurisdizione (quindi, semmai, solo indirettamente sulla natura della tariffa) e senza peraltro conseguire fino ad ora un orientamento unitario. Nell'anno 2006, a distanza di circa un mese l'una dall'altra, due pronunce di queste sezioni unite sembrano dare soluzioni contrapposte sullo stesso tema. Una prima ordinanza - la n. 3274 del 15 febbraio 2006 - afferma: «A seguito della trasformazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in tariffa, disposta dall'art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, le controversie aventi ad oggetto la debenza del corrispettivo dovuto per il predetto servizio in base alla tariffa esulano sia dalla giurisdizione delle commissioni tributarie, essendo venuta meno la natura tributaria della prestazione (almeno quando, come nella fattispecie, la tariffa sia stata approvata), sia dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, prevista dall'art. 33, lettera e), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, nel testo risultante dalla dichiarazione d'incostituzionalita' pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 204 del 2004, e sono quindi devolute alla giurisdizione del giudice ordinario. La controversia, infatti, pur avendo ad oggetto una prestazione che si ricollega all'espletamento di un pubblico servizio, non afferisce ad un rapporto di concessione ne' implica un sindacato sulla legittimita' di un provvedimento amministrativo, in quanto l'obbligo di pagamento sorge da presupposti interamente preregolati dalla legge, senza che siano riservati alla P.A. spazi di discrezionalita' circa la concreta individuazione dei soggetti obbligati, i presupposti oggettivi o il quantum del corrispettivo dovuto». Una seconda ordinanza - la n. 4895 dell'8 marzo 2006 - afferma: «In tema di TIA (tariffa di igiene ambientale, introdotta, con abolizione della precedente TARSU, dall'art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), le relative controversie, alla stregua della disciplina sopravvenuta con l'art. 3-bis, primo comma, lett. b), del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito in legge 2 dicembre 2005, n. 248 - che ha aggiunto al secondo comma dell'art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 la precisazione "appartengono alla giurisprudenza tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone... per lo smaltimento dei rifiuti urbani..." -, sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie. Tale norma si sottrae al sospetto di illegittimita' costituzionale sia in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. (cfr. Corte cost., sent. n. 18 del 2000), sia sotto il profilo della possibile violazione dell'art. 102 e della VI disp. trans. Cost. per in osservanza del limite della natura tributaria delle materie attribuite alle commissioni tributarie, indispensabile per non farle ritenere "nuovi" giudici speciali, in quanto i "canoni" indicati nella disposizione stessa attengono tutti ad entrate che in precedenza rivestivano indiscussa natura tributaria (senza che acquisti rilievo l'impiego del termine "tariffa", presente anche in materia tributaria in senso stretto)». A ben guardare il contrasto e' solo apparente, perche' la ragione del «mutato» orientamento emergente nella seconda delle richiamate ordinanze e' palesemente costituita, non da un vero e proprio (ed effettivo) revirement, ma dall'intervento medio tempore realizzato dal legislatore nel modificare la norma sulla giurisdizione: afferma, infatti, in motivazione l'ordinanza n. 4895 del 2006 che «la soluzione (adottata) si impone, alla stregua della disciplina sopravvenuta con la legge n. 248 del 2005, art. 3-bis, comma 1, lett. b), di conversione del d.l. n. 203 del 2005, che ha aggiunto al d.lgs. n. 546 del 1992, comma 2, la precisazione "appartengono alla giurisprudenza tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone (...) per lo smaltimento dei rifiuti urbani (...)". Il legislatore, superando le incertezze gia' insorte in materia in dottrina e nella giurisprudenza di merito - e cosi', gia' prima, in tema di COSAP, scarico e depurazione di acque reflue, ed, in minor misura, di imposta comunale sulle pubbliche affissioni - ha ricondotto infatti le controversie in materia di TIA (tariffa d'igiene ambientale introdotta, con abolizione della precedente TARSU, dal d.lgs. n. 22 del 1997, art. 49 - cd. decreto Ronchi) nell'ambito della giurisdizione tributaria». Invero non puo' parlarsi a rigore di una rimeditazione sulla natura giuridica della TIA, ma di una adesione alla tesi, pur da molti sostenuta, secondo la quale il legislatore - aggiungendo con l'art. 3-bis, comma 1, lett. b), di conversione del d.l. n. 203 del 2005 un secondo periodo al comma 2 dell'art. 2, d.lgs. n. 546 del 1992 -, abbia inteso risolvere questioni controverse in ordine alla natura tributaria di determinate prestazioni, affermandone per via processuale il carattere tributario sostanziale. Se cosi' e', non appar fuori luogo chiedersi se una simile esegesi possa ritenersi soddisfacente dopo le sentenze della Corte costituzionale n. 64 del 2008 e n. 335 del 2008. La prima ha dichiarato illegittimo il secondo periodo del comma 2 dell'art. 2, d.lgs. n. 546 del 1992 nella parte in cui stabilisce che appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del COSAP. La seconda ha dichiarato illegittimi: a) l'art. 14, comma 1, legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002, n. 179 (Disposizioni in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione e' dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi» e b) l'art. 155, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione e' dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi». Si tratta di sentenze che - avendo escluso, in motivazione, la natura tributaria, rispettivamente, del COSAP e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue - pongono seri dubbi sulla validita' della teoria che il secondo periodo del comma 2, dell'art. 2, d.lgs. n. 546 del 1992, valga ex se a determinare la natura tributaria alle specificamente elencate prestazioni patrimoniali. Tanto da far apparire maggiormente condivisibile la tesi, sostenuta da autorevole dottrina, secondo la quale sarebbe proprio la richiamata disposizione a far ritenere esclusa la natura tributaria di dette prestazioni, perche' altrimenti la loro attribuzione alla giurisdizione tributaria non avrebbe avuto bisogno di una apposita norma, una volta che quella giurisdizione fosse stata estesa, dal modificato comma 1 del medesimo art. 2, d.lgs. n. 546 del 1992, ai tributi di ogni genere e specie comunque denominati. Peraltro, proprio sulla base della sentenza n. 64 del 2008, queste sezioni unite hanno ritenuto non manifestamente infondata «in riferimento all'art. 102, secondo comma Cost. la questione di legittimita' costituzionale, dell'art. 3-bis, d.l. n. 203 del 2005, convertito con modificazioni con legge n. 248 del 2005, nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, canone non avente natura tributaria ma, in virtu' dell'art. 31, comma 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, qualificabile come quota tariffaria, componente del corrispettivo dovuto dall'utente per il servizio» (Cass., s.u., ord. n. 20501 del 2008). Se, quindi, alla luce delle ricordate sentenze della Corte costituzionale non risulta ragionevolmente praticabile una esegesi della disciplina sostanziale (circa la natura giuridica della TIA) perseguita mediante una esegesi della disciplina processuale (attribuzione al giudice tributario della giurisdizione sulle controversie relative alla TIA), si palesa l'opportunita' di tornare a riflettere sul problema della natura giuridica della TIA, prendendo le mosse dalla gia' ricordata ordinanza di queste sezioni unite n. 3274 del 2006, che aveva ritenuto fosse venuta meno la natura tributaria della prestazione a seguito della trasformazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in tariffa. Tuttavia, non e' possibile prescindere da un approfondimento, in quanto la pronuncia in esame afferma la natura non tributaria della tariffa, sulla base del rilievo che siffatta circostanza costituiva un fatto «pacifico in causa»: la stessa Avvocatura dello Stato aveva «implicitamente riconosciuto, sostenendo soltanto l'esistenza della giurisdizione amministrativa, (che) la prestazione non ha natura tributaria e le relative controversie non sono, quindi, devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie, ai sensi della legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12». Occorre, pertanto, per dare una piu' esauriente risposta sulla natura giuridica della TIA, analizzare piu' da vicino il dettato normativo. La TIA e' stata istituita con l'art. 49, d.lgs. n. 22 del 1997, come sostitutiva della TARSU, ed e' finalizzata a coprire «i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico» (art. 49, comma 2). La tariffa «deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale» (art. 49, comma 3) ed «e' composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantita' di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entita' dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio» (art. 49, comma 4). La TIA e' stata sostituita con l'art. 238, d.lgs. n. 152 del 2006, dalla Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani dovuta da «chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani» e che costituisce «il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dall'art. 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36» (art. 238, comma 1). Nella nuova normativa la tariffa e' «commisurata alle quantita' e qualita' medie ordinarie di rifiuti prodotti per unita' di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attivita' svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali» (art. 238, comma 2) ed e' «composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonche' da una quota rapportata alle quantita' di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entita' dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio» (art. 238, comma 4): nella sua determinazione e' «prevista la copertura anche di costi accessori relativi alla gestione dei rifiuti urbani quali, ad esempio, le spese di spazzamento delle strade» (art. 238, comma 3). Alla luce di queste disposizioni (pur non volendo dare rilevo alla questione del nomen «tariffa», che, tuttavia, con riferimento ad altre fattispecie, come quella dei canoni di rotta, e' stata considerata da questa Corte - Cass. n. 20959 del 2004 - elemento utile ai fini della definizione della natura non tributaria della prestazione), dovrebbe concludersi per la natura non tributaria della TIA, seguendo le argomentazioni sviluppate dalla Corte costituzionale nella ricordata sentenza n. 335 del 2008. In primo luogo, la Corte costituzionale considera un elemento determinante per attribuire natura giuridica di «corrispettivo» alla tariffa del servizio idrico integrato il fatto che l'art. 13, comma 2, legge n. 36 del 1994 stabilisca che detta tariffa deve assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio»: analoga disposizione e' espressa dal comma 4 dell'art. 49, d.lgs. n. 22 del 1997 per la TIA (e dal comma 4 dell'art. 238, d.lgs. n. 152 del 2006, per la Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani). La rilevanza della commisurazione della prestazione patrimoniale al costo del servizio quale elemento coerente con la natura non tributaria della prestazione stessa, e' stata posta in luce dalla Corte costituzionale, ad es., nella sentenza n. 73 del 2005, la quale pronunciando in merito al conflitto di attribuzione tra Regione Sicilia e Stato in relazione al provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate in data 19 febbraio 2002, recante «Approvazione del nuovo modello di bollettino di conto corrente postale per il versamento in euro del contributo unificato per le spese degli atti giudiziari», ed in relazione alla risoluzione dell'Agenzia delle entrate, Direzione centrale gestione tributi, n. 60/E del 27 febbraio 2002, concernente il «Contributo unificato per le spese degli atti giudiziari di cui all'art. 9 della legge 21 dicembre 1999, n. 448. Modalita' di versamento disciplinate con decreto del Presidente della Repubblica 1° marzo 2001, n. 126» del contributo unificato -, ha affermato che la natura tributaria del contributo unificato si desume, tra l'altro, dal fatto che «esso, ancorche' connesso alla fruizione del servizio giudiziario, e' commisurato forfetariamente al valore dei processi (comma 2 dell'art. 9 e tabella 1 allegata alla legge) e non al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata». In secondo luogo i criteri per la determinazione della TIA (e successivamente per la Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani) si modellano su quelli stabiliti dall'art. 117, comma 1, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) per le tariffe dei servizi pubblici, le quali, a norma del comma 2 della medesima disposizione, sono definite «corrispettivo» dei servizi stessi. Ancora da considerare a favore della natura non tributaria della prestazione e' l'assenza, all'interno della normativa, di norme riguardanti l'accertamento, le sanzioni e il contenzioso. Ne' nell'art. 49, d.lgs. n. 22 del 1997 ne' nell'art. 238, d.lgs. n. 152 del 2006 si trovano disposizioni che prevedano una procedura per l'accertamento da parte della pubblica amministrazione (o dell'ente gestore) delle somme dovute dal debitore della prestazione relativa al servizio; oppure disposizioni che prevedano l'irrogazione di specifiche sanzioni nell'ipotesi di omesso pagamento della prestazione; o disposizioni che prevedano lo sviluppo del contenzioso tra il debitore e l'ente locale (o l'ente gestore) in ordine alla prestazione pretesa. Un ulteriore elemento per escludere la natura tributaria della prestazione de qua e' costituito dal fatto che la TIA sia soggetta ad IVA ai sensi dell'art. 6, comma 13, legge n. 133 del 1999 e del d.m. n. 370 del 24 ottobre 2000, in quanto la qualificazione ai fini IVA della tariffa come corrispettivo per le operazioni relative al servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilati e' un chiaro segnale della volonta' del legislatore di non ricondurre le quote stesse al novero di quei «diritti, canoni, contributi» che la normativa comunitaria (v. art. 13, paragrafo 1, primo periodo, della direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006) esclude in linea generale dall'assoggettamento a IVA, perche' percepiti da enti pubblici «per le attivita' od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorita» (in questo senso v. anche Corte cost. n. 335 del 2008 a proposito della tariffa per il servizio idrico integrato). Nel caso di specie, la soggezione ad IVA ha un particolare valore perche' concorre con altri elementi significativi della natura non tributaria della prestazione (ad es. rapporto necessario tra tariffa e costi del servizio), che nel quadro della disciplina dettata dal d.lgs. n. 152 del 2006 assumono ancor maggiore evidenza, emergendo anche un criterio legato alla effettiva produzione dei rifiuti. Non a caso l'Agenzia delle entrate in sede di interpello ha affermato che «la tariffa di igiene ambientale (TIA), configurandosi alla stregua di un "corrispettivo", nel presupposto che l'espletamento del servizio avvenga secondo regole di diritto comune, ... deve essere assoggettata all'IVA, con aliquota agevolata del 10 per cento, come previsto dalla Tabella A, parte terza, n. 127-sexiesdecies, allegata al suddetto d.P.R. n. 633 del 1972, nel caso che trattasi della gestione di rifiuti urbani e/o dei rifiuti speciali ad essi assimilati» (Agenzia entrate, risoluzione n. 25 del 5 febbraio 2003, che esclude la soggezione ad IVA per l'entrata reativa al servizio di pubbliche affissioni, in quanto tributo, e per il CIMP ed il COSAP, non configurandosi in dette ipotesi esercizio di attivita' commerciale da parte dell'ente locale). Infine le operazioni di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilati sono svolte da soggetti che non hanno le caratteristiche soggettive dei comuni, ma operano come imprese nell'esercizio di vere e proprie attivita' commerciali: tali soggetti applicano e riscuotono la tariffa, mentre l'ente locale perde la propria connotazione di ente impositore. Cio' ha un riflesso sotto un duplice profilo. Da un lato, manca l'individuazione di un atto impositivo impugnabile: la tariffa, ai sensi dell'art. 1, d.m. n. 370 del 2000 e' riscossa dal gestore mediante «bollette che tengono luogo delle fatture, anche agli effetti di cui all'art. 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sempreche' contengano tutti gli elementi di cui all'art. 21 del medesimo decreto, salvo il numero progressivo ed il domicilio dell'utente che possono essere sostituiti rispettivamente dalla numerazione toponomastica e dall'ubicazione dell'utenza». Questa bolletta non e' un atto di imposizione, considerabile tra gli atti impugnabili di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto non ne ha le caratteristiche, trovando la propria regolamentazione nell'art. 21 del decreto IVA che ne definisce i contenuti, essendone la relativa emissione non specificamente collegata ad un termine di decadenza (con la conseguente soggezione della pretesa creditoria agli ordinari termini di prescrizione) e non essendone prevista la notificazione, procedura idonea a dare certezza della ricezione dell'atto e della individuazione del dies a quo per la proposizione della relativa (eventuale) impugnazione: e che non si tratti di un atto di imposizione emerge anche dalla circostanza che la bolletta de qua e' equiparata, nel sistema della norma considerata, a quelle «per l'addebito dei corrispettivi relativi alle somministrazioni di acqua, gas, energia elettrica, vapore e teleriscaldamento urbano», che fuor di dubbio non appartengono al genus degli atti impositivi. Vero e' che questa Corte (Cass. n. 17526 del 2007) ha affermato che «gli atti con cui il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di Tariffa di igiene ambientale hanno natura di atti amministrativi impositivi e debbono percio' rispondere ai requisiti sostanziali propri di tali atti; in primo luogo debbono - al fine di consentire l'esercizio da parte del destinatario del diritto alla difesa - enunciare - anche in forma sintetica, purche' chiara - sia la fonte della richiesta sia gli elementi di fatto e di diritto che la giustificano, anche sotto il profilo quantitativo». Ma questa affermazione, che in qualche misura forza il dato normativo ex se insufficiente a giustificare la natura «impositiva» della precitata bolletta, e' basata sul presupposto della ritenuta natura tributaria della TIA, sulla scorta della posizione espressa dalle sezioni unite a seguito dello ius superveniens che ha attribuito la «tariffa» alla giurisdizione del giudice tributario e che e' oggetto di rimeditazione in questa sede. Dall'altro lato, il fatto che non sia l'ente locale, ma una societa' commerciale a gestire le operazioni di raccolta e smaltimento dei rifiuti e a riscuotere nelle forme ordinarie sopradescritte la «tariffa», porrebbe significativi e non facili problemi di coordinamento normativo con l'art. 10, d.lgs. n. 546 del 1992, secondo il quale nel processo tributario si confrontano una parte privata (il contribuente) e una parte pubblica (l'ente impositore). Conclusivamente si deve osservare che tutta questa serie di elementi che segnalano la ragionevolezza dell'ipotesi interpretativa tesa ad escludere la natura tributaria della tariffa, va considerata nel quadro normativo piu' generale nel quale si colloca il passaggio dalla TARSU alla TIA e alla Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani. Siffatto quadro e' caratterizzato da una scelta legislativa per la privatizzazione (e spesso esternalizzazione) dei servizi, connessa ad un processo di detributarizzazione, in particolare riferito alla finanza locale (e specificamente all'area dei servizi erogati o gestiti dagli enti territoriali), in una prospettiva «federalista» nella quale si esalta il «principio del beneficio», che rappresenta lo snodo essenziale che induce e giustifica il passaggio dalla tassa alla tariffa con forti connotazioni di corrispettivita'. Alla luce di tali considerazioni sembra evidente che nell'eventuale alternativa esegetica, la scelta dell'interprete debba essere quella piu' coerente alle ragioni di fondo che hanno indotto il legislatore a indirizzarsi verso la trasformazione di una tassa in tariffa, con il disegno di abbandonare l'area della fiscalita' a favore di quella della corrispettivita'. Tanto piu' cio' e' vero nel caso dei rifiuti urbani, rispetto ai quali il passaggio dalla tassa alla tariffa, destinata alla copertura dei costi del servizio a carico di chi produce i rifiuti, e' giustificato dalla volonta' legislativa di dare attuazione alla direttiva comunitaria sui rifiuti, regolata dal principio «chi inquina paga», principio che appare compatibile con una tariffa e non con una tassa, essendo funzionale, come espressione del principio di proporzionalita' (Corte giustizia 29 aprile 1999, causa C-293/96 Standley), ad una disciplina precisa dell'imputazione dei costi (anche per via di approssimazione, stante la flessibilita' tipica del principio di proporzionalita' e la oggettiva difficolta' di una liquidazione esatta dei costi causati dal «produttore di rifiuti»). Questa «incompatibilita' logica» tra il principio comunitario e la tassa sui rifiuti ha indotto il T.a.r. Campania, Sede di Napoli, Sezione Prima, con ordinanza 19 marzo 2008, n. 487 a porre alla Corte di giustizia la seguente domanda pregiudiziale: «Se sia compatibile con l'articolo 15 della direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, come modificato dall'art. 1 della direttiva n. 91/156/CEE e con il principio del «chi inquina paga», la normativa nazionale dettata dagli articoli 58 e seguenti del d.lgs. n. 507 del 1993 e le norme transitorie che ne hanno prolungato la vigenza, per effetto dell'art. 11 del d.P.R. n. 488 del 1999, con le successive modificazioni, e dell'art. 1, comma 184, della legge n. 296 del 2006, con cio' determinando la sopravvivenza di un sistema di carattere fiscale, per la copertura dei costi del servizio di smaltimento dei rifiuti, procrastinando l'introduzione di un sistema tariffario nel quale il costo del servizio sia sostenuto dai soggetti che producono e conferiscono i rifiuti» (Causa C- 254/08). Nella causa predetta, l'Avvocato generale Juliane Kokott ha depositato le proprie conclusioni nel senso che: «il principio "chi inquina paga" sancito dall'art. 15 della direttiva 2006/12/CE relativa ai rifiuti, deve essere interpretato nel senso che esso osta a normative nazionali che impongono ai singoli costi manifestamente inadeguati per lo smaltimento dei rifiuti per il fatto che essi non dimostrano un legame sufficientemente ragionevole con la produzione dei rifiuti». Sulla base del complesso degli elementi valutati appare, quindi, non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 3-bis, d.l. n. 203 del 2005, convertito con modificazioni con legge n. 248 del 2005 nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone (rectius: tariffa) per lo smaltimento dei rifiuti urbani. La questione e' rilevante nel presente giudizio, trattandosi di stabilire a quale giudice sia devoluta la giurisdizione sulle controversie relative alla debenza della tariffa de qua, che la norma sospetta di incostituzionalita' espressamente attribuisce al giudice tributario, per cui queste sezioni unite, dovendo applicare la legge, non avrebbero altra possibilita' che dichiarare nel caso la giurisdizione del giudice tributario. Non vi e' spazio, infatti, stante il carattere esplicito della citata disposizione, per una interpretazione della stessa che sia costituzionalmente orientata, perche' siffatto tipo di interpretazione si tradurrebbe nel caso di specie in una vera e propria interpretatio abrogans che esula dai poteri di questo giudice.