Ricorso per la Regione Toscana, in persona del Presidente pro-tempore, autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 779 del 7 settembre 2009, rappresentata e difesa, come da mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura regionale, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. G. Pasquale Mosca del Foro di Roma, in Roma, Corso d'Italia n. 102; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, per conflitto di attribuzione del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89, recante «Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi dell'art. 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 162 del 15 luglio 2009, con particolare riferimento agli articoli: art. 2, comma 4, relativo alla scuola d'infanzia, il quale prevede che «L'istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni avviene in collaborazione con gli enti territoriali, assicurando la coordinata partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al sistema scolastico nel suo complesso»; art. 2, comma 6, relativo alla scuola d'infanzia, il quale prevede che «Le sezioni della scuola d'infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, situate in comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni, appartenenti a comunita' prive di strutture educative per la prima infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di eta' compresa trai due e i tre anni, la cui consistenza e' determinata nell'annuale decreto interministeriale sulla formazione dell'organico. L'inserimento di tali bambini avviene sulla base di progetti attivati d'intesa e in collaborazione tra istituzioni scolastiche e i comuni interessati, e non puo' dar luogo a sdoppiamenti di sezioni»; art. 3, comma 1, relativo al primo ciclo di istruzione, il quale prevede che «L'istituzione ed il funzionamento di scuole statali del primo ciclo devono rispondere a criteri di qualita' ed efficienza del servizio, nel quadro della qualificazione dell'offerta formativa e nell'ambito di proficue collaborazioni tra l'amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra loro consorziati», per contrasto con gli articoli 117 e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione, per i profili di seguito indicati. Con il d.P.R. n. 89 del 20 marzo 2009 e' stata data attuazione all'art. 64, comma 4, d.l. 112/2008, convertito con legge n. 133/2008, con riguardo all'ordinamento, all'organizzazione ed alla didattica della scuola d'infanzia e del primo ciclo di istruzione. Preme sin d'ora evidenziare che la Regione Toscana aveva gia' proposto questione di costituzionalita' di fronte a codesta ecc.ma Corte costituzionale avverso il suddetto art. 64, comma 4. Con la sentenza n. 200 del 2 luglio 2009 la Corte costituzionale - per quanto qui rileva - ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 64, comma 4, lett. f-bis e lett. f-ter. In particolare, il comma f-bis prevedeva che con decreti attuativi dell'art. 64, lo Stato sarebbe intervenuto in merito a criteri, tempi e modalita' per la determinazione e l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica, prevedendo, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l'attivazione di servizi qualificati per la migliore fruizione dell'offerta formativa; mentre il comma f-ter prevedeva la possibilita', per lo Stato, le regioni e gli enti locali di predisporre misure specifiche per la riduzione del disagio degli utenti, nei casi di chiusura o accorpamento di istituti scolastici aventi sedi nei piccoli comuni. La Corte ha riconosciuto che queste disposizioni intervenivano del tutto illegittimamente su ambiti di specifica competenza regionale, in particolare in ordine alla programmazione scolastica ed alle iniziative finalizzate alla riduzione del disagio per gli utenti delle zone svantaggiate. Parimenti, le norme del decreto n. 89/2009 in esame, non sembrano raccordarsi con il nuovo quadro costituzionale e, in particolare, sembrano dare attuazione proprio a quelle disposizioni dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale con la su citata sentenza n. 200/09. Le competenze regionali in materia di istruzione risultano in tal modo compresse (anche rispetto al quadro normativo di riferimento antecedente la riforma del Titolo V); tutto cio' in violazione degli articoli 117 e 118 Cost. ed in generale dei principi costituzionali di sussidiarieta', adeguatezza e di leale collaborazione. Le norme impugnate del d.P.R. n. 89/2009 sono pertanto lesive delle attribuzioni regionali per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) Violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e violazione del principio di leale collaborazione. Con l'art. 2, comma 4, e l'art. 3, comma 1, d.P.R. n. 89/2009, lo Stato prevede - in attuazione dell' art. 64, comma 4, d.l. n. 112/2008 - una specifica disciplina relativa alla programmazione scolastica. In particolare, l'art. 2, comma 4, prevede che l'istituzione di nuove scuole d'infanzia avvenga genericamente in «collaborazione con gli enti territoriali», mentre, l'art. 3, comma 1, relativo alle scuole del primo ciclo, prevede che l'istituzione ed il funzionamento di dette scuole venga svolto «nell'ambito di proficue collaborazioni tra l'amministrazione scolastica ed i comuni interessati». E' evidente che dette norme intervengono direttamente su profili organizzativi della rete scolastica, che - come ribadito nella recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 200/2009 - spettano senz'altro alle Regioni ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. Dette disposizioni non possono infatti essere inquadrate nelle norme generali sull'istruzione, ma riguardano direttamente l'assetto del sistema scolastico e dunque la materia concorrente dell'istruzione. In merito la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che «nel quadro costituzionale definito dalla riforma del titolo V la materia istruzione (salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell'istruzione e formazione professionale) forma oggetto di potesta' concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), mentre allo Stato e' riservata soltanto la potesta' legislativa esclusiva in materia di norme generali sull'istruzione (art. 117, secondo comma lett. n)»... «Nel complesso intrecciarsi in una stessa materia di norme generali, principi fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche, si puo' assumere per certo che il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio nella programmazione della rete scolastica. E' infatti implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della competenza delegata dell'art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998... Una volta attribuita l'istruzione alla competenza concorrente , il riparto imposto dall'art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare principi». Tali principi e la competenza regionale concorrente in materia di istruzione sono stati confermati nelle ulteriori sentenze n. 423/2004; n. 34/2005; n. 50/2008; significativamente, poi, nella pronuncia n. 279/2005, la Corte costituzionale ha chiarito che le norme generali in materia di istruzione di cui alla lett. n) del secondo comma dell'art. 117 Cost. «sono quelle sorrette, in relazione al loro contenuto, da esigenze unitarie e quindi applicabili indistintamente al di la' dell'ambito propriamente regionale»; esse si distinguono dai principi fondamentali in materia di istruzione, rilevanti ai sensi dell'art. 117, terzo comma Cost., in quanto questi ultimi «pur sorretti da esigenze unitarie non esauriscono in se stessi la loro operativita', ma informano altre norme, piu' o meno numerose». Ancora la recente sentenza n. 200/2009 ha sul punto chiarito che costituiscono norme generali sull'istruzione «quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parita' di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonche' la liberta' di istituire scuole e la parita' tra le scuole statali e non statali»; invece sono espressione dei principi fondamentali della materia «quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalita' di fruizione del servizio dell'istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d'istruzione che caratterizza le norme generali sull'istruzione, dall'altro, necessitano, per la loro attuazione (e non gia' per la loro semplice esecuzione) dell'intervento del legislatore regionale». Per contro, le norme in esame non esprimono esigenze di carattere unitario alla stregua dei valori da tutelare, che sole legittimano l'intervento statale, non riguardano norme generali sull'istruzione ne' principi generali della materia; dette norme, infatti, non contengono «le indicazioni delle finalita» della scuola, non pongono «condizioni minime di uniformita' in materia scolastica», ne' esprimono quegli essenziali interventi volti a garantire l'uguaglianza sostanziale nell'accesso e nella fruizione della cultura, tali da doversi applicare indistintamente su tutto il territorio nazionale (come, ad esempio, la tipologia e la durata dei corsi di istruzione, le modalita' di passaggio tra i diversi ordini di scuola, la valutazione degli apprendimenti, il riconoscimento dei titoli di studio, i criteri di selezione e di reclutamento del personale). Con le disposizioni censurate, le regioni vengono, di fatto, private del ruolo primario nell'istituzione di nuove scuole - d'infanzia e del primo ciclo - che rappresenta senz'altro l'aspetto piu' rilevante nell'ambito della programmazione e dell'organizzazione della rete scolastica. Va a questo punto evidenziato che le regioni erano gia' titolari di dette competenze a seguito del decreto legislativo n. 112 del 1998 e, in particolare, con riferimento alle funzioni di «programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale» (art. 138, comma 1, lett. a), di «programmazione della rete scolastica» (art. 138, comma 1, lett. b), di «contributi alle scuole non statali» (art. 138, comma 1, lett. c) e di formazione professionale (art. 143). Del resto, esaminando il contenuto sostanziale di queste funzioni, puo' agevolmente rilevarsi che, fermo restando il rispetto degli standard minimi, la rete scolastica e il dimensionamento degli istituti sono piu' efficacemente organizzati se tengono conto delle diverse realta' territoriali, realta' che meglio sono conosciute dalle amministrazioni regionali. Alle regioni, pertanto, erano gia' state affidate le competenze sull'organizzazione scolastica e sul dimensionamento degli istituti, mentre con le norme in esame si prevede un ruolo del tutto marginale e, per le scuole del primo ciclo addirittura non si prevede alcun ruolo, in ordine alla organizzazione della rete scolastica. Il regolamento, per i profili qui in rilievo, rappresenta pertanto un inammissibile passo indietro rispetto alle prerogative riconosciute alle regioni, cio' che rende evidente la violazione delle attribuzioni regionali di cui all'art. 117 Cost. in materia di istruzione. Infatti, le norme del d.P.R. n. 89/2009 che qui si contestano disciplinano aspetti organizzativi, con riferimento alla determinazione ed articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica, senza prevedere un adeguato coinvolgimento delle Regioni. Neppure possono ritenersi giustificate le disposizioni in esame con il richiamo all'art. 117, secondo comma, lett. m), perche' questa puo' essere invocata quando si fissano livelli delle prestazioni. Nel caso in esame, invece, la disposizione non fissa affatto gli standards minimi, ma, come rilevato, alloca in capo allo Stato le funzioni finalizzate alla organizzazione. E' sostanzialmente diverso determinare i livelli essenziali, nel rispetto dei quali le regioni ben potranno determinare standards qualitatitivi dei servizi superiori rispetto ai minimi, dalla minuziosa regolamentazione dell'esercizio della concreta potesta' amministrativa. Posto che, per quanto rilevato, l'assetto organizzativo del sistema scolastico non puo' essere ricondotto alle «norme generali sull'istruzione», il medesimo non puo' neanche essere oggetto di regolamento statale poiche', ai sensi dell'art. 117, sesto comma della Costituzione, il potere regolamentare dello Stato esiste solo nelle materie di sua potesta' legislativa esclusiva. In conclusione, le norme impugnate sono da ricondursi alla previsione dell'art. 64, comma 4, lett. f-bis, dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 200/09. In particolare, con riguardo a tale norma la Corte ha affermato principi riferibili anche alle disposizioni del regolamento censurate in questa sede; la Corte costituzionale ha infatti chiarito che «Quanto, infatti, alla lettera f-bis), e' pure vero che essa prevede che, con atto regolamentare, si dovra' provvedere alla "definizione di criteri, tempi e modalita' per la determinazione e l'articolazione dell'azione di ridimensionamento della rete scolastica"; tuttavia, agli effetti del riparto di competenza legislativa tra lo Stato e le regioni, cio' che rileva e' il riferimento al dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche, vale a dire ad un ambito che deve ritenersi di spettanza regionale. Sul punto, infatti, questa Corte ha avuto modo di rilevare che, da un lato, l'art. 138, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 112 del 1998 aveva gia' delegato alle regioni, nei limiti sopra esposti, funzioni amministrative in materia, tra l'altro, di programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, nonche' di programmazione della rete scolastica; dall'altro, l'art. 3 del d.P.R. 18 giugno 1998 n. 233 (Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, a norma dell'art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva disposto che "i piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche (...) sono definiti in conferenze provinciali di organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi di programmazione e dei criteri generali, riferiti anche agli ambiti territoriali, preventivamente adottati dalle Regioni" (sentenza n. 34 del 2005). Avendo riguardo alle riportate disposizioni legislative, la Corte ha cosi' ritenuto, con la citata sentenza, che "proprio alla luce del fatto che gia' la normativa antecedente alla riforma del Titolo V prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, e quindi postulava la competenza sulla programmazione scolastica di cui all'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998, e' da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 abbia voluto spogliare le regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita" sia pure soltanto sul piano meramente amministrativo. In altri termini, la definizione del riparto delle competenze amministrative attuato con il citato decreto legislativo fornisce un tendenziale criterio utilizzabile per la individuazione e interpretazione degli ambiti materiali che la riforma del titolo V ha attribuito alla potesta' legislativa concorrente o residuale delle regioni. Ed in effetti, se si ha riguardo all'obiettivo perseguito dalla disposizione in esame, si deve constatare che la preordinazione dei criteri volti alla attuazione di tale dimensionamento ha una diretta ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realta' territoriali ed alle connesse esigenze socio-economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale, con la precisazione che non possono venire in rilievo aspetti che ridondino sulla qualita' dell'offerta formativa e, dunque, sulla didattica. E non e' senza significato che il comma 4-quater dello stesso art. 64, introdotto dall'art. 3, comma 1, del successivo decreto-legge n. 154 del 2008, come convertito nella legge n. 189 del 2008, abbia previsto - in sostanziale discontinuita' con quanto contenuto nella disposizione censurata - che le regioni e gli enti locali, "nell'ambito delle rispettive competenze (...) assicurano il dimensionamento delle istituzioni scolastiche". La disposizione in questione, pertanto, lungi dal poter essere qualificata come "norma generale sull'istruzione" nel senso prima precisato, invade spazi riservati alla potesta' legislativa delle regioni relativi alla competenza alle stesse spettanti nella disciplina dell'attivita' di dimen sionamento della rete scolastica sul territorio. La sussistenza di un ambito materiale di competenza concorrente comporta che non e' consentita, ai sensi del sesto comma dell'art. 117 della Costituzione che attua il principio di separazione delle competenze, l'emanazione di atti regolamentari». Alla luce dell'orientamento su espresso dalla Corte costituzionale le norme in esame nella parte in cui - con disposizioni di carattere regolamentare - si riferiscono al procedimento relativo all'istituzione di nuove scuole e/o sezioni ed al funzionamento delle stesse, si appalesano lesive delle attribuzioni regionali, in quanto intervengono in materia di dimensionamento e di organizzazione della rete scolastica, cio' in contrasto con l'art. 117 Cost. sotto due profili: il primo perche' lo Stato disciplina funzioni regionali (in violazione, quindi, dell'art. 117, terzo comma Cost.), il secondo perche' tale disciplina e' dettata con regolamento (in violazione dell'art. 117, sesto comma Cost). In ipotesi, le norme sono ulteriormente lesive delle attribuzioni regionali poiche', disciplinando ambiti di competenza regionale, il regolamento avrebbe dovuto contenere, con riferimento all'istituzione di nuove scuole, la previsione dell'intesa con le regioni interessate, mentre - si ripete - nell'un caso (art. 2, comma 4), si richiamano genericamente forme di collaborazione con gli enti territoriali per l'istituzione delle scuole d'infanzia e, nell'altro (art. 3, comma 1), addirittura, non si prevede alcun ruolo delle regioni nella istituzione e nel funzionamento delle scuole del primo ciclo. Le norme in questione sono quindi lesive delle competenze delle regioni anche per violazione dell'art. 118 Cost. e del principio della leale collaborazione. Infatti dette previsioni non si giustificano neppure alla luce del principio di sussidiarieta' (in senso ascendente), in quanto - come insegnato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 303/2003 - avrebbero dovuto essere comunque previste adeguate forme di concertazione, al fine di tutelare le istanze regionali costituzionalmente garantite, in un ambito che involge profili di competenza concorrente delle regioni. 2) Ulteriore violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e violazione del principio di leale collaborazione. Come gia' rilevato, l'art. 2 comma sesto prevede che «Le sezioni della scuola d'infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, situate in comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni, appartenenti a comunita' prive di strutture educative per la prima infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di eta' compresa tra i due e i tre anni, la cui consistenza e' determinata nell'annuale decreto interministeriale sulla formazione dell'organico. L'inserimento di tali bambini avviene sulla base di progetti attivati d'intesa e in collaborazione tra istituzioni scolastiche e i comuni interessati, e non puo' dar luogo a sdoppiamenti di sezioni». Evidentemente detta norma ha l'espressa finalita' di prevenire e/o ridurre il disagio per quell'utenza che si trova in zone piu' svantaggiate del territorio e riguarda, pertanto, un profilo di competenza concorrente regionale ai sensi dell'art. 117, terzo comma, che non puo' formare oggetto di norma regolamentare statale. A tal fine si richiama quanto affermato dalla Corte costituzionale, con la gia' citata sentenza n. 200/2009, in merito all'art. 64, comma 4, lett. f-ter, d.l. n. 112/2008, ossia la «lettera f-ter) del comma in esame, la quale demanda al regolamento governativo di prevedere, nel caso di chiusura o di accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli Comuni, specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti»; chiarisce la Corte che «La disposizione contenuta in tale lettera opera una estensione allo Stato di una facolta' di esclusiva pertinenza delle regioni, mediante l'attribuzione allo stesso di un compito che non gli compete, in quanto quello della chiusura o dell'accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli comuni costituisce un ambito di sicura competenza regionale proprio perche' strettamente legato alle singole realta' locali, il cui apprezzamento e' demandato agli organi regionali. La disposizione in esame, per il suo contenuto precettivo, non puo', pertanto, trovare svolgimento in sede regolamentare, atteso che, per le ragioni gia' indicate, al regolamento governativo non e' consentito intervenire in ossequio al principio della separazione delle competenze, in ambiti materiali la cui disciplina spetta anche alle fonti regionali. E', pero', bene puntualizzare, che non sussistono dubbi in ordine alla facolta' spettante alle regioni e agli enti locali di prevedere misure volte a ridurre, nei casi in questione, il disagio degli utenti del servizio scolastico, proprio per l'impatto che tali aventi hanno sulle comunita' insediate nel territorio e con riguardo alle necessita' dell'utenza delle singole realta' locali. La norma impugnata deve, dunque, essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., fermo restando che l'obiettivo di consentire l'adozione delle predette misure puo' essere raggiunto sulla base di autonome determinazioni assunte in sede locale». Anche sotto tale profilo, inoltre, si evidenzia la mancata previsione di forme di concertazione idonee con le regioni, nonostante che con la disposizione in esame si intervenga in materia di competenza regionale (cfr. in tal senso Corte cost., sentenze n. 303 del 2003; n. 6/2004, n. 62, n. 242, n. 285 e n. 383 del 2005, gia' citate). Tutto cio' in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione.