IL TRIBUNALE 
    Ha  pronunziato  la   seguente   ordinanza   di   non   manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
61, comma uno, n. 11-bis c.p., in relazione agli artt.  3,  25  e  27
Cost. 
Premessa. 
    In data 21 febbraio 2009, Saber Abdelilah, nato in Marocco il  1°
agosto 1976,  veniva  presentato  in  stato  di  arresto  dinanzi  al
presente giudice ai sensi dell'art. 558 c.p.p. per  essere  giudicato
con il rito direttissimo dei seguenti reati tutti commessi in data 20
febbraio 2009: 
      a) delitto p. e p. dagli artt. 61, n. 11-bis, 337 c.p.  perche'
usava violenza per opporsi a pubblici ufficiali in servizio presso il
distaccamento speciale delle Forze dell'ordine operante in Lampedusa,
in  particolare  scagliandosi  contro  il  car.  sc.  Gianmarco   Cau
colpendolo al  volto  con  due  schiaffi  al  fine  di  sottrarsi  ai
controlli operati a suo carico, con l'aggravante  dell'aver  commesso
il fatto mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale; 
      b) delitto p. e p. dagli artt. 61, 10 e 11-bis, 582, comma 1  e
2, c.p., perche', con la condotta di cui alla superiore  lettera  a),
cagionava al car. sc. Gianmarco Cau lesioni  giudicate  guaribili  in
giorni 3 s.c.; con le aggravanti  dell'aver  commesso  il  fatto  nei
confronti  di  un  pubblico   ufficiale,   nell'atto   ed   a   causa
dell'adempimento delle sue funzioni e mentre si trovava  illegalmente
nel territorio nazionale. 
    All'udienza  del  21  febbraio  2009,  il  giudice  provvedeva  a
convalidare  l'arresto   applicando   la   misura   dell'obbligo   di
presentazione alla P.G. Instauratosi  il  giudizio  direttissimo,  il
difensore chiedeva termine a difesa. 
    Dopo ripetuti rinvii addebitabili all'impedimento  dell'imputato,
all'udienza del 19 maggio 2009, a seguito dell'istanza del  difensore
munito di procura speciale, il  giudice  disponeva  procedersi  nelle
forme del rito abbreviato e sentite le parti si ritirava in camera di
consiglio. 
    All'esito,  ritenutane  la   rilevanza   e   la   non   manifesta
infondatezza ai sensi dell'art. 23, legge  11  maggio  1953,  n.  87,
sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art.  61,  n.
11-bis c.p. 
Rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    Gli elementi di prova acquisiti in atti  consentono  di  ritenere
provata la responsabilita' dell'imputato in ordine  alle  fattispecie
contestategli. 
    Dal verbale di arresto e dalla comunicazione di notizia di  reato
emerge che il  Saber  Abdelilah,  di  nazionalita'  marocchina  (cfr.
dichiarazioni rese in sede di convalida e scheda monitoraggio sbarchi
clandestini), in data 20 febbraio 2009 fu fermato per identificazione
a Lampedusa dal carabiniere scelto Gianmarco Cau il quale esibiva  il
suo  tesserino  di  riconoscimento.  L'imputato  reagi'  colpendo  il
carabiniere con due schiaffi e tentando la fuga, ma fu fermato subito
e accompagnato al C.I.E.  di  Lampedusa  per  l'identificazione.  Dal
referto medico in atti risulta una  proposi  di  giorni  tre  per  la
persona offesa dovuta a trauma contusivo al volto. 
    Il Saber Adelilah era ospitato al C.I.E. di Lampedusa  in  quanto
sbarcato sull'isola insieme ad altre 220 persone il 20  gennaio  2009
in assenza di permesso di soggiorno. 
    Alla  luce  del  quadro  istruttorio  sopra  rassegnato,  risulta
provata la condotta descritta ai capi a)  e  b)  dell'imputazione  in
quanto l'imputato ha procurato lesioni al Cau per impedire che questi
nell'esercizio delle sue funzioni procedesse alla sua identificazione
e risulta, inoltre, provata anche  la  sussistenza  della  contestata
circostanza  aggravante  prevista  dall'art.  61,  n.  11-bis   c.p.,
introdotto dall'art. 1, lett.  f ), del decreto-legge 23 maggio 2008,
n. 92. 
    La necessita' di procedere  alla  determinazione  della  pena  in
ordine ai reati indicati ai capi a) e b),  entrambi  aggravati  dalla
circostanza  prevista   dall'art.   61,   n.   11-bis   c.p.,   rende
pregiudiziale   la   risoluzione   del   dubbio    di    legittimita'
costituzionale della  suddetta  norma,  che,  per  i  motivi  che  si
indicano di seguito, appare non manifestamente infondato. 
Non manifesta infondatezza della questione. 
    1. - Il legislatore con la legge n.125 del 2008  ha  aggiunto  al
novero delle aggravanti comuni previste dall'art.  61,  primo  comma,
c.p. quella di chi ha commesso il fatto mentre si trova  illegalmente
sul territorio nazionale (n. 11-bis). 
    L'aggravante  cosi'  introdotta  pare  fondarsi  sulla   maggiore
capacita' a delinquere  del  reo  a  cui  puo'  muoversi  un  duplice
rimprovero: 
      la precedente condotta illegale con cui  ha  violato  le  norme
sull'ingresso  e  la  permanenza  degli  stranieri  in  Italia  e  la
permanente   ed   attuale   condizione   di   illegalita'   derivante
dall'assenza del permesso di soggiorno o del visto d'ingresso. 
    La maggiore meritevolezza di  pena,  parrebbe  fondarsi,  da  una
parte, sul fatto che il reo si e' reso responsabile in precedenza  di
una violazione  delle  norme  di  legge  regolanti  l'ingresso  o  la
permanenza dello straniero nel territori italiano, dall'altra,  sulla
maggiore pericolosita' di tale soggetto che si trova in Italia  nella
condizione di irregolarita' o clandestinita'. 
    2. - Questa essendo la ratio della norma, non sembra infondato il
dubbio di costituzionalita'  della  stessa  sotto  il  profilo  della
violazione  del  principio  di  offensivita'   del   diritto   penale
ricavabile dagli artt. 25 e 27 Cost. e del principio di uguaglianza e
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Appare  dubbio,  infatti,  con  riferimento   al   principio   di
offensivita' del diritto penale, che  possano  rimproverarsi  al  reo
precedenti  condotte  illecite,  quali  la  violazione  delle   norme
regolanti l'immigrazione degli stranieri nel territorio italiano, che
con il fatto reato sono in rapporto di mera  antecedenza  cronologica
senza che vi sia anche una correlazione fondata sull'affinita' con  i
beni - interessi protetti dalle diverse norme  violate  ovvero  sulla
pericolosita' della precedente condotta  illecita  rispetto  al  bene
tutelato dalla norma penale successivamente violata. 
    Nella misura in cui il  bene  protetto  dalla  norma  penale  (ad
esempio  il  patrimonio,   la   liberta'   personale,   l'incolumita'
individuale, etc...) non ha attinenza con  il  controllo  dei  flussi
migratori a cui presiedono le norme sull'ingresso e la permanenza  in
Italia  degli  stranieri,  sembra  irragionevole  che  la  precedente
violazione venga punita mediante l'aggravante in occasione del  reato
commesso sul territorio  italiano  senza  che  tra  l'una  e  l'altra
violazione vi sia alcun valido nesso. 
    Conseguentemente, avuto riguardo al principio di  uguaglianza  di
cui all'art. 3  Cost.,  con  tale  aggravante  si  applica  al  fatto
commesso dallo straniero  irregolare  o  clandestino  una  pena  piu'
elevata rispetto ad analoghe condotte poste in  essere  da  cittadini
italiani o stranieri regolari,  senza  alcun  elemento  che  valga  a
rendere il reato del primo meritevole di una pena  maggiore  rispetto
al reato commesso dai secondi. 
    3.  -  La  difficolta'  di  giustificare  in   chiave   di   pari
trattamento, ragionevolezza e  offensivita'  l'aggravante  introdotta
con  la  legge  citata  non  sembra  poter  essere  superata  con  la
considerazione che  il  legislatore  non  si  limita  a  prendere  in
considerazione la mera precedente violazione  ma  il  conseguente  ed
attuale status di irregolare  o  clandestino  perdurante  al  momento
della commissione del fatto. 
    Non sembra, infatti - anche sulla scorta di alcune considerazioni
contenute nella sentenza della Corte  costituzionale  n.  22/2007  in
ordine  alla  non  traducibilita'  del   fenomeno   dell'immigrazione
clandestina in un  mero  problema  di  ordine  pubblico  -  che  tale
condizione possa legittimamente essere  individuata  come  indice  di
pericolosita' del soggetto agente: nulla, infatti, puo' far  ritenere
che chi  giunga  o  rimanga  in  Italia  in  violazione  delle  leggi
sull'ingresso  e  la  permanenza  degli   stranieri   manifesti   una
propensione a delinquere. 
    Lo stato di illegalita' dello straniero,  puo',  al  piu'  e  con
buona approssimazione, indicare una situazione di indigenza del  reo,
dal momento che la legislazione italiana subordina  il  rilascio  del
visto e del permesso di  soggiorno  al  possesso  di  adeguati  mezzi
economici ovvero alla titolarita' di un lavoro regolare  (cfr.  artt.
4, comma 3, 5 e 21 e segg. d.lgs. n. 286/1998). 
    Far  discendere  da  tale  presunta  condizione   di   indigenza,
un'ulteriore  presunzione  di  pericolosita'  sembra  comportare  una
criminalizzazione di condizioni di vita  del  reo  che  solo  in  via
lontana ed ipotetica sono collegate con  l'offesa  al  bene  protetto
dalla norma incriminatrice. Tanto piu' che, anche a voler individuare
nella situazione di  bisogno  economico  o  indigenza  in  cui  versa
l'immigrato  clandestino   o   irregolare   un   valido   indice   di
pericolosita',  tale  condizione,  non   gli   e'   in   alcun   modo
rimproverabile. 
    L'aggravante di cui all'art. 61, n. 11-bis c.p. viene, dunque, da
un lato, ad  imputare  al  reo  uno  status  -  quello  di  immigrato
clandestino - che di per se' non presenta attinenza con gli interessi
protetti dalle  norme  incriminatrici  e  non  esprime  una  maggiore
capacita' a delinquere; dall'altro, indirettamente, una condizione di
bisogno e precarieta' economica che, innanzitutto, non  e  riferibile
di per se' ad una scelta colpevole del reo, e, in ogni caso, non puo'
certo ritenersi una conseguenza di tale violazione. 
    4. - Il sospetto di incostituzionalita' e', dunque, ingenerato: 
        dalla difficile compatibilita' tra la norma e il principio di
offensivita' del diritto penale nella  misura  in  cui  si  puniscono
condotte  prive  di  disvalore  rispetto  al  bene   protetto   dalla
fattispecie penale; 
        dall'irragionevolezza di riconnettere un aumento  di  pena  a
condotte antecedenti al fatto che non hanno alcun legame con questo; 
        dall'ingiustificata disparita' di trattamento derivante dalla
punizione di un medesimo fatto di reato in modo diverso in  relazione
ad una circostanza - lo stato di clandestinita' o irregolarita' - che
non rileva ne'  sulla  gravita'  del  fatto  ne'  sulla  capacita'  a
delinquere del reo. 
    5. - Il dubbio e' rafforzato dalla comparazione della  aggravante
in parola con altre aggravanti  analoghe  gia'  presenti  nel  nostro
ordinamento. 
    Da  tale  raffronto  emerge,  infatti,  che,  sebbene   l'attuale
legislazione  conosca  diverse  ipotesi  in  cui  al   fine   di   un
aggravamento  di  pena  si  valutano  condotte  precedenti  e  status
personali del reo,  in  tanto  cio'  accade  in  quanto  a  chi  deve
applicare tali norme sia consentito valutare in concreto  l'incidenza
di tali precedenti condotte sulla capacita' a delinquere  del  reo  e
sulla gravita' del reato ovvero in quanto tali status derivino da  un
precedente accertamento in concreto della maggiore pericolosita'  del
reo e dell'intensita' della sua indole criminale. 
    Il fatto, dunque, che la aggravante in  parola  non  consenta  al
giudice di valutare in  concreto  la  personalita'  del  reo  e  che,
inoltre, fondi la presunzione  di  pericolosita'  su  una  violazione
amministrativa che non consegue ad un giudizio  di  pericolosita'  in
concreto non fa che confermare la difficolta' di armonizzare la nuova
aggravante  con  il  principio  costituzionale  di  offensivita'  del
diritto penale. 
    5.1. - Viene  in  rilievo,  innanzitutto,  il  confronto  con  la
disciplina della recidiva che, analogamente  a  quanto  e'  stabilito
dall'aggravante di cui  all'art.  61,  n.  11-bis  c.p.,  prevede  un
aumento di pena nei confronti del reo che abbia in  precedenza  posto
in essere una condotta illecita. 
    La prima differenza evidente e' che l'aggravante di cui  all'art.
99 c.p. si applica a  chi  ha  commesso  in  precedenza  delitti  non
colposi mentre l'aggravante dell'art. 61, n. 11-bis c.p. si applica a
chi ha commesso una violazione amministrativa. 
    Tale differenza di presupposti sebbene significativa non  sembra,
pero',  essere  decisiva  in  quanto   il   legislatore   nella   sua
discrezionalita' puo' ben ritenere che una violazione  amministrativa
possa essere indice di maggiore capacita' a delinquere. 
    La differenza piu' rilevante e che sembra suffragare il  giudizio
di incostituzionalita' della norma  in  questione,  attiene,  invece,
alle modalita' di applicazione di tali aggravanti. 
    Com'e' noto,  in  relazione  al  riconoscimento  della  recidiva,
infatti,  il  giudice  e'  chiamato  a   compiere   una   preliminare
valutazione delle precedenti  condanne  del  reo  per  verificare  se
l'ulteriore reato sia indice di  una  accentuata  colpevolezza  e  di
maggiore pericolosita' (cosi' Corte cost. n. 192 del 14 giugno 2007). 
    Tale giudizio in tanto e' possibile in quanto il  legislatore,  a
seguito della novella introdotta con la legge 7 giugno 1974, n. 220 -
e salvo l'ipotesi del quinto comma dell'art. 99 c.p. - ha  utilizzato
l'espressione «puo»  che  ha  lasciato  al  giudice  la  facolta'  di
decidere  se  riconoscere  o  meno  l'aggravante  in   relazione   ai
summenzionati criteri di giudizio (colpevolezza e pericolosita'). 
    Nell'applicazione dell'aggravante dell'art. 61, n.  11-bis  c.p.,
invece, non e' consentita al giudice l'operazione volta a selezionare
in concreto le ipotesi in cui la violazione delle norme sull'ingresso
degli  stranieri  da  parte  del  reo  effettivamente  determina  una
maggiore meritevolezza  di  pena  da  quelle  in  cui,  invece,  tale
condotta antecedente del reo rimanga  neutra  ai  fini  del  giudizio
sulla sua capacita' a delinquere. 
    Il  legislatore,  infatti,  non  ha  lasciato  al  giudice   tale
discrezionalita'  e,  come  nelle  altre   ipotesi   di   circostanze
aggravanti indicate nell'art. 61 c.p., ne ha  imposto  l'applicazione
salvo  la  scelta  della  misura  dell'aumento  di  pena  ovvero  del
bilanciamento con eventuali attenuanti. 
    In tal modo,  dunque,  a  differenza  di  quanto  accade  per  il
recidivo - che,  pure,  in  precedenza  ha  commesso  una  violazione
penalmente rilevante - si e' stabilita una  presunzione  assoluta  di
maggiore capacita' a delinquere del soggetto che ha posto  in  essere
una  precedente  violazione  amministrativa,  senza  possibilita'  di
riscontrare concretamente tale giudizio normativo con altri  elementi
di fatto. 
    5.2. - Considerazioni  analoghe  valgono  nel  raffronto  tra  la
aggravante dell'art. 61, n. 11-bis c.p., e le ipotesi di legge in cui
vengono in rilievo status  personali  ai  fini  della  determinazione
della pena. 
    Presentano attinenza con la norma in questione,  in  particolare,
l'aggravante di cui all'art. 61, n. 6 c.p., che si applica a  chi  ha
commesso il fatto mentre si sottraeva volontariamente ad un ordine di
cattura e l'aggravante di cui all'art. 7, legge n.  575/1965  che  si
applica, solo in relazione ad alcuni reati, quando siano commessi  da
chi e' stato sottoposto ad una misura di prevenzione, nel periodo  di
vigenza della misura ovvero nei tre anni successivi. 
    Da un approfondimento delle norme ora citate emerge con  evidenza
la  maggiore  concretezza  del  giudizio  di   pericolosita'   e   di
riprovevolezza presupposto da tali norme rispetto a quello  implicito
nell'aggravante introdotta con la legge citata. 
    E, infatti, quanto all'aggravante  prevista  all'art.  61,  n.  6
c.p., si osserva che, mentre quest'ultima si riferisce a soggetti che
sono stati ritenuti pericolosi sulla  base  di  un  accertarmento  di
fatto e di seri indizi in ordine alla commissione di un reato di  una
certa gravita' tanto da giustificare una misura custodiale, nel  caso
dell'art. 61  n.11-bis,  c.p.,  l'aumento  di  pena  si  riferisce  a
soggetti che hanno compiuto una violazione amministrativa e  rispetto
ai quali. non e'  stata  espressa  nessuna  valutazione  concreta  di
pericolosita' sulla base di un provvedimento specifico. 
    Inoltre, mentre la prima aggravante  si  applica  a  chi  con  il
sottrarsi  volontariamente  alla  cattura  ha  posto  in  essere  una
condotta che e' di per se' ragione di allarme, la seconda si  applica
allo straniero clandestino o  irregolare  per  il  solo  fatto  della
violazione delle norme sull'ingresso e la permanenza in Italia  degli
stranieri senza che rilevi una successiva condotta volta a  sottrarsi
alle conseguenze di tale violazione. 
    E  le  stesse  considerazioni  possono  farsi   con   riferimento
all'aggravante prevista dall'art. 7, legge n.  575/1965:  i  soggetti
per i quali e' previsto tale aumento di  pena  sono  stati  giudicati
pericolosi da un Tribunale ai sensi della legge n.  1423/1956  ovvero
della legge n. 575/1965 e ad essi si applica l'aumento di  pena  solo
in quanto abbiano compiuto determinate ipotesi di reato e solo se  il
fatto sia stato commesso entro un certo periodo di tempo (fino a  tre
anni dalla cessazione della misura). 
    Al contrario, l'aggravante di cui all'art. 61,  n.  11  c.p.,  si
applica a tutti i reati commessi dallo straniero  e  pur  quando  sia
trascorso molto tempo dalla violazione delle norme  sull'immigrazione
senza possibilita' che il decorso del tempo possa incidere  in  alcun
modo a meno che lo straniero perda la sua condizione di illegalita'. 
    6. - L'attuale legislazione conferma, dunque, che in  tanto  puo'
considerarsi lo status personale del reo ai fini di  un  aggravamento
della pena, in quanto la pericolosita' del soggetto si fondi su  dati
concreti e specifici (le esigenze cautelari della misura  custodiale,
ovvero il giudizio di pericolosita' fondante  l'applicazione  di  una
misura di prevenzione) e  purche'  tali  dati  manifestino  un'indole
criminale che giustifichi il giudizio di maggiore riprovevolezza  del
successivo fatto-reato  commesso  (i  gravi  indizi  di  reato  e  la
sottrazione all'ordine di  cattura  del  latitante,  la  personalita'
criminale fondante la misura di prevenzione). 
    Anche quando,  come  nel  caso  dell'aggravante  della  recidiva,
l'aumento e' connesso al  dato  formale  dei  precedenti  penali,  il
legislatore affida al giudice il compito di  verificare  in  concreto
l'esistenza di una correlazione tra la precedente condotta delittuosa
e  quella  posta  in  essere  in  chiave  di  maggiore  capacita'   a
delinquere. 
    La norma introdotta sembra discostarsi  da  questo  schema  sotto
entrambi i profili: il giudizio di pericolosita' e' legato ad un dato
formale, quale la condizione di  illegalita',  che  prescinde  da  un
accertamento  concreto,  e  la  maggiore  riprovevolezza  del   reato
commesso dallo  straniero  irregolare  e'  affidata  unicamente  alla
circostanza della violazione di carattere amministrativo delle  norme
sull'ingresso in Italia a prescindere da ogni altro dato che valga  a
supporre una propensione  al  crimine  ovvero  ad  individuare  nella
precedente violazione amministrativa  un  antecedente  non  meramente
cronologico ma in senso lato causale del reato  di  cui  si  e'  reso
responsabile. 
    7. - In conclusione si osserva  quanto  segue:  il  principio  di
necessaria offensivita' del diritto penale costituisce un limite alla
discrezionalita' del legislatore nel senso di non consentire che  per
finalita' di mera deterrenza siano introdotte  sanzioni  che  non  si
ricollegano a fatti colpevoli ma, piuttosto, a modi  d'essere  ovvero
ad una mera disobbedienza priva di disvalore (anche  potenziale)  per
un determinato bene giuridico protetto (cfr. Corte cost. n. 364/1988,
n. 58/1995, n. 263/2000 e n. 354/2002). 
    Nell'ambito della disciplina delle circostanze  del  reato,  tale
principio sembra  tradursi  nella  necessita'  di  una  relazione  di
adeguatezza tra la  condotta  o  la  situazione  a  cui  e'  connesso
l'aggravamento di pena e il fatto di reato, tale che questo  non  sia
semplicemente  la  condizione  al  cui  verificarsi  si  punisce   un
precedente illecito  o  una  condotta  di  vita,  ma,  piuttosto,  la
realizzazione  del  pericolo  che  la  norma  in  precedenza  violata
intendeva  prevenire  ovvero  che  la  propria   condotta   di   vita
ingenerava. 
    La norma in questione, congegnata in modo tale da far  discendere
il suo riconoscimento automaticamente dall'accertamento  dello  stato
amministrativo dello straniero immigrato, sembra porsi  in  contrasto
con tali criteri traducendosi in una sanzione applicata in  occasione
della realizzazione di qualsiasi fatto  di  reato  e  senza  che  sia
accertato alcun legame di adeguatezza tra tale fatto e la condotta  o
la condizione a cui e' collegato l'aumento di pena. 
    Prescindendosi da ogni  accertata  messa  in  pericolo  dei  beni
tutelati dalla norma penale violata e semplicemente  applicandosi  in
occasione  della  violazione  di  quest'ultima,  l'aggravante  sembra
punire una mera disobbedienza (violazione delle  norme  sull'ingresso
nel territorio italiano) e un tipo d'autore (lo straniero clandestino
o irregolare). 
    In questo senso non e'  manifestamente  infondato  il  dubbio  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  61,  n.  11-bis   c.p.,   in
relazione agli artt. 3, 25 e 27 Cost.