Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale 14 settembre 2009, n. 1350 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura a margine del presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Rosaria Russo Valentini, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Russo Valentini in corso Vittorio Emanuele II n. 284, 00186 Roma; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 24 luglio 2009, n. 170, suppl. ord., in relazione ai seguenti commi: comma 40, nella parte in cui comprende nelle attivita' soggette a disciplina esclusivamente statale materie di competenza regionale, quali la sicurezza urbana in senso ampio e le situazioni di disagio sociale; comma 41, nella parte in cui esso prevede che anche le associazioni aventi ad oggetto attivita' correlate con la sicurezza urbana e le situazioni di disagio sociale, ma non relative alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza, siano soggette all'iscrizione nell'elenco tenuto dai prefetti; comma 42, in quanto esso impone ai sindaci di utilizzare in via prioritaria le associazioni costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle Forze dell'ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato anche in relazione a compiti diversi da quelli di segnalare circostanze rilevanti ai fini dell'ordine pubblico e sicurezza, e vieta l'iscrizione negli elenchi delle associazioni diverse da quello ora citate ove esse siano destinatarie, a qualsiasi titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica, anche in relazione alle funzioni di volontariato relative alla polizia amministrativa; comma 43 nella parte in cui affida al Ministro dell'interno il compito di adottare un decreto mediante il quale sono determinati gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, nonche' i requisiti per l'iscrizione nell'elenco, e sono disciplinate le modalita' di tenuta dei relativi elenchi, anche in relazione a materie di competenza regionale comprese nell'ambito della sicurezza urbana e delle situazioni di disagio sociale; in subordine, gli stessi commi 40, 41 e 43: quanto al comma 40, nella parte in cui non prevede che all'intesa in esso prevista partecipi anche la regione direttamente o attraverso i soggetti locali individuati con legge regionale; quanto al comma 41, nella parte in cui non prevede alcun ruolo della regione nella procedura di iscrizione e nel monitoraggio della permanenza dei requisiti in capo alle associazioni ed ai loro membri, nonostante che tali associazioni operino nelle materie di competenza regionale; quanto al comma 43, in quanto prevede una disciplina unitaria di ambiti appartenenti sia alla competenza statale sia alla competenza regionale senza istituire alcun meccanismo di coordinamento, ed in particolare senza prevedere l'intesa con la Conferenza Stato-regioni o Conferenza unificata, per violazione: dell'art. 117, secondo comma, Cost.; dell'art. 117, quarto comma, Cost; dell'art. 117, sesto comma, Cost.; dell'art. 118 Cost.; del principio di leale collaborazione, nei modi e per i profili di seguito illustrati. F a t t o La Regione Emilia-Romagna e' dotata di potesta' legislativa piena in materia di polizia amministrativa locale: materia che, essendo espressamente eccettuata dalla competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza dall'art. 117, secondo comma, lett. h), della Costituzione e non essendo ripresa tra le materie concorrenti di cui al terzo comma, risulta contemporaneamente «nominata» ed affidata alla competenza piena delle regioni, salvi ovviamente i vincoli che possano derivare dalle altre materie statali di cui all'art. 117, secondo comma. Come altre regioni, la Regione Emilia-Romagna - accanto a quanto possa risultare dalle discipline dei diversi settori - si e' recentemente dotata di una ampia legge organica di disciplina del servizio di polizia locale con la legge regionale 4 dicembre 2003, n. 24, come modificata dalla legge regionale 28 settembre 2007, n. 21, recante Disciplina della polizia amministrativa locale e promozione di un sistema integrato di sicurezza. Tale legge, composta di cinque Capi e ventitre' articoli, disciplina la materia nei suoi diversi aspetti, e tra l'altro prevede, all'art. 8, la Utilizzazione del volontariato, che avviene (come prevede il comma 1, nel quadro «dei principi e delle finalita' fissate dagli articoli 1 e 2 della legge 11 agosto 1991, n. 266, Legge-quadro sul volontariato». Sempre il comma 1 dispone che l'utilizzazione del volontariato «e' volta a realizzare una presenza attiva sul territorio, aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quella ordinariamente garantita dalla polizia locale, con il fine di promuovere l'educazione alla convivenza e il rispetto della legalita', la mediazione dei conflitti e il dialogo tra le persone, l'integrazione e l'inclusione sociale». Si tratta dunque di ambiti e finalita' che rientrano compiutamente nella competenza legislativa regionale, senza invadere la materia statale dell'ordine pubblico e sicurezza. Il comma 2 dispone che «i volontari, individuati dalle amministrazioni locali anche sulla base di indicazioni provenienti dalle associazioni di volontariato, potranno essere impiegati a condizione che essi: a) operino sulla base delle indicazioni ed in maniera subordinata al comandante o al responsabile della polizia locale stessa o ad altro operatore di detta polizia da esso individuato; b) non abbiano subito condanna a pena detentiva per delitto non colposo o non siano stati sottoposti a misure di prevenzione e non siano stati espulsi dalle forze armate o dalle forze di polizia nazionali, ovvero destituiti o licenziati per giusta causa o giustificato motivo soggettivo da pubblici uffici; c) abbiano frequentato, con profitto, specifico corso di formazione professionale disciplinato dalla Giunta regionale; d) siano adeguatamente assicurati». Non si tratta dunque - nella legge regionale - di attivita' svolte autonomamente da associazioni di cittadini, ma di singoli volontari che vengono in una certa misura inseriti nell'organizzazione della polizia locale. E' invece previsto (ed e' il comma 3) che le associazioni di volontariato possano invece stipulare convenzioni con i comuni e le province «con sole finalita' di supporto organizzativo ai soci che svolgano le attivita' di cui al presente comma», e cio' «a condizione che dette associazioni non prevedano nell'accesso e nei propri fini forme di discriminazione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali o sociali». Il comma 4 individua uno strumento di coordinamento a livello regionale rivolto ad «assicurare l'adeguata uniformita' sul territorio regionale» in un potere di emanare direttive relative all'utilizzo di volontari, approvate dalla Giunta regionale «d'intesa con la Conferenza Regione-Autonomie locali». Tali direttive sono state emanate con la deliberazione n. 275 del 2005, assunta a seguito della prescritta intesa con gli enti locali della regione (doc. 2). Tra gli elementi che possono essere considerati salienti si puo' segnalare l'indirizzo secondo il quale «lo spirito della presenza del volontario deve pertanto essere improntato ad una figura amica e rassicurante che, mediante una attenta capacita' di ascolto della comunita' presso la quale e' chiamato ad operare, contribuisce allo sviluppo: delle azioni di prevenzione; delle attivita' di informazione rivolte ai cittadini; delle attivita' di educazione e sicurezza stradale; di una maggiore presenza e visibilita' del comune nello spazio pubblico urbano; del collegamento fra i cittadini, le polizie locali e gli altri servizi locali; del senso civico della cittadinanza; di un maggior rispetto delle regole che le comunita' si danno per assicurare a tutti una civile e serena convivenza». Va rilevato che e' espressamente escluso che i volontari abbiano poteri di accertamento, anche limitatamente all'accertamento della identita' delle persone. La collaborazione dei volontari si limitera' dunque ad una «qualificata attivita' di segnalazione delle problematicita' riscontrate finalizzata al miglioramento delle funzioni di prevenzione e controllo svolta dalla polizia locale», fermo restando che e' riservata alla polizia locale di riferimento «ogni decisione sull'eventuale utilizzo delle segnalazioni per i fini propri di istituto». La direttiva pone di seguito i criteri perche' ogni comune istituisca e mantenga aggiornato un registro nominativo dei volontari da cui sia desumibile in ogni momento il rispetto, per ciascuno di essi, delle condizioni di cui all'art. 8, comma 2, lettera b), c) e d) della legge n. 24/2003, e nel quale siano altresi' riportate ulteriori specifiche competenze attribuite al singolo volontario tra quelle aventi possibile rilevanza per l'organizzazione delle attivita' di cui alla presente direttiva (quali: pronto soccorso, protezione civile, altre forme di volontariato in campo ambientale, ittico, venatorio e di tutela degli animali), ed affronta poi i temi della copertura assicurativa, della formazione, della dipendenza organizzativa, dei segni distintivi, delle convenzioni e delle attivita' di volontariato nell'ambito delle province, da coordinare con quelle attivate dai comuni. In un ambito almeno in parte corrispondente a quello della disciplina regionale ora sinteticamente illustrata interviene ora la legge 15 luglio 2009, n. 94, recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica. Si tratta dei commi da 40 a 43 dell'art. 3, i quali sono rivolti a disciplinare, come testualmente dice il primo di essi, la «collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale». Di tale collaborazione possono avvalersi, dice lo stesso comma, «i sindaci, previa intesa con il prefetto». Il seguente comma 41 prescrive che le associazioni che desiderano svolgere tale attivita' di collaborazione siano «iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto, previa verifica da parte dello stesso, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, dei requisiti necessari previsti dal decreto di cui al comma 43», e che il prefetto provveda altresi' «al loro periodico monitoraggio, informando dei risultati il comitato». Il comma 42 da un lato stabilisce una priorita' nella collaborazione in favore delle associazioni «costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle Forze dell'ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato», dall'altra stabilisce che le associazioni diverse da quelle appena ricordate possono essere iscritte negli elenchi «solo se non siano destinatarie, a nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica». Il comma 43, infine, opera un largo rinvio ad un decreto ministeriale per il completamento della sommaria disciplina posta dai commi precedenti. Precisamente, e' previsto che con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, siano determinati «gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, i requisiti per l'iscrizione nell'elenco e sono disciplinate le modalita' di tenuta dei relativi elenchi». Tale decreto e' stato emanato in data 8 agosto 2009, e la Regione Emilia-Romagna ha deliberato l'impugnazione anche di esso per conflitto di attribuzione, in quanto i vizi di legittimita' costituzionale che essa ritiene di individuare nelle disposizioni della legge n. 94 del 2009, oggetto del presente giudizio, si riverberino anche su tale decreto, oltre che in quanto tale decreto possa ritenersi violare in modo autonomo le competenze costituzionali della regione. In effetti, le impugnate disposizioni della legge n. 94 del 2009 risultano ad avviso della Regione Emilia-Romagna costituzionalmente illegittime per i seguenti motivi di D i r i t t o I) Premessa sulla identificazione rispettiva delle materie «ordine pubblico e sicurezza» e «polizia amministrativa locale». La distinzione tra la polizia amministrativa locale e la polizia di sicurezza e' ormai risalente: cosi', nella sent. n. 77 del 1987 la Corte ha dichiarato, fra l'altro, la illegittimita' costituzionale dell'art. 19, quarto comma, d.P.R. n. 616/1977 nella parte in cui non limitava i poteri del prefetto, ivi previsti, esclusivamente alle esigenze di pubblica sicurezza, precisando che «quest'ultima deve intendersi come funzione inerente alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico». La Corte costituzionale, oltre a far coincidere il concetto di ordine pubblico e quello di pubblica sicurezza, contrapponeva la polizia di sicurezza alla polizia amministrativa, precisando che questa «riguarda ... l'attivita' di prevenzione e repressione diretta ad evitare danni o pregiudizi a persone o cose nello svolgimento di attivita' rientranti nelle materie affidate alla competenza regionale (sentenza n. 218 del 1988)» (v. la sent. n. 290/2001). Tale impostazione fu «codificata», nel vigore del vecchio Titolo V, dall'art. 159, d.lgs. n. 112/1998, che - nel comma 1 - riconosceva alla polizia locale carattere di attivita' «strumentale» alle competenze regionali e locali e - nel comma 2 - collegava la materia della polizia di sicurezza in modo esclusivo alla prevenzione dei reati. Tale reciproca delimitazione degli ambiti e' stata confermata dalla Corte costituzionale dopo la riforma del Titolo V, nella prima sentenza che si e' pronunciata sull'art. 117, comma 2, lett. h): la sent. n. 407/2002 afferma la necessita' di interpretare in modo restrittivo l'espressione «sicurezza» di cui all'art. 117, comma 2, lett. h): «il contesto specifico della lettera h) del secondo comma dell'art. 117 - che riproduce pressoche' integralmente l'art. 1, comma 3 lettera l), della legge n. 59 del 1997 - induce, in ragione della connessione testuale con ''ordine pubblico'' e dell'esclusione esplicita della ''polizia amministrativa locale'', nonche' in base ai lavori preparatori, ad un'interpretazione restrittiva della nozione di ''sicurezza pubblica''». Precisava ancora la Corte che la sicurezza pubblica, «secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, e' da configurare, in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico (sentenza n. 290 del 2001)» (punto 3.1 del Diritto; v. anche la sent. n. 428/2004, punto 3 del Diritto, e la sent. n. 95/2005). Dunque, la materia polizia amministrativa affidata alla potesta' legislativa piena delle regioni comprende anche gli aspetti relativi alla sicurezza, purche' non si tratti di «misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico». In piena continuita' con tale linea giurisprudenziale e' da ultimo intervenuta la sentenza n. 196 del 2009, relativa (tra l'altro) all'estensione ed alla natura dei poteri esercitabili dai Sindaci, ai sensi dei commi 1 e 4 dell'art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, come innovati dall'art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125. Tale sentenza ha respinto il ricorso della Provincia autonoma di Bolzano (il quale peraltro - giova rilevarlo sin d'ora - riguardava un'autonomia speciale, e si svolgeva sulla base di parametri costituzionali diversi da quelli qui invocati) proprio sulla base della conferma di una netta separazione tra le funzioni statali in materia di ordine pubblico e sicurezza, da una parte, e le funzioni regionali di polizia amministrativa «nelle materie di competenza» dall'altra. Di qui la conclusione secondo la quale «i poteri esercitabili dai sindaci, ai sensi dei commi 1 e 4 dell'art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000» - cioe' i poteri di ordinanza - «non possono che essere quelli finalizzati alla attivita' di prevenzione e repressione dei reati e non i poteri concernenti lo svolgimento di funzioni di polizia amministrativa nelle materie di competenza delle regioni e delle province autonome». Giova peraltro osservare che, pur nel permanere senza mutamenti di tale fondamentale distinzione, la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione del 2001 ha ugualmente operato un ampliamento qualitativamente e quantitativamente importante della competenza legislativa regionale in materia di polizia amministrativa locale. Da una parte, infatti, la competenza in materia e' passata da concorrente a residuale (e, al tempo stesso, espressamente indicata come regionale dall'art. 117, secondo comma). Dall'altra, la sua stessa natura di materia strumentale al compiuto esercizio delle funzioni in altre materie fa si' che la competenza legislativa regionale si espanda nella stessa misura in cui essa diviene generale e residuale, rimanendone eccettuate le sole materie espressamente riservate allo Stato. Venuto meno con la riforma del Titolo V il limite positivo delle materie (cioe' la limitazione alle materie espressamente attribuite), la competenza regionale in materia di polizia amministrativa puo' essa stessa essere delimitata solo mediante la riserva espressa di un ambito materiale allo Stato. Ne risulta, venendo ora allo specifico oggetto del presente giudizio, che vi e' competenza legislativa regionale (e non vi e' affatto una specifica competenza legislativa statale) in relazione alle «situazioni di disagio sociale», e che vi e' altresi' competenza regionale (e correlativa assenza di competenza statale) in materia di «sicurezza urbana» in relazione a quanto di tale materia non concerne la tutela dell'ordine pubblico e la prevenzione dei reati. Ma di cio' conviene ora dire in relazione alle specifiche norme impugnate. II) In primo luogo. Illegittimita' costituzionale dei commi 40, 41, 42 e 43 per violazione dell'articolo 117, commi secondo, quarto e sesto della Costituzione. 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 40, nella parte in cui comprende nelle attivita' soggette a disciplina esclusivamente statale materie di competenza regionale, quali la sicurezza urbana in senso ampio e le situazioni di disagio sociale. Come esposto in narrativa, il comma 40 dell'art. 3 della legge n. 94 del 2009 prevede che i sindaci possano avvalersi della «collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale», e che tale decisione debba essere assunta «previa intesa con il prefetto». Ugualmente si e' illustrato che i commi seguenti dispongono che le associazioni che collaborano debbano essere iscritte in un elenco tenuto e gestito dal prefetto, e che i requisiti delle associazioni ed il loro ambito di operativita' sia definito dal Ministro dell'interno. Nessun ruolo e' previsto, invece, per le regioni. Sembra evidente che tale disposizione suppone o presuppone che la materia di riferimento di tali interventi sia, nel riparto di cui all'art. 117 della Costituzione, di esclusiva competenza statale, e precisamente che si tratti della materia di cui al secondo comma, lettera h): la materia denominata «ordine pubblico e sicurezza». Ora, ad avviso della regione le disposizioni in questione sarebbero costituzionalmente illegittime anche se tale fosse, e fosse esclusivamente, la materia di riferimento. La Costituzione stabilisce infatti all'art. 118, terzo comma, che la legge statale disciplini proprio in relazione a tale materia «forme di coordinamento fra Stato e regioni». Si noti che a tale disposizione non puo' essere attribuito carattere semplicemente «facoltizzante», perche' cio' equivarrebbe a dire che la disposizione non ha alcun significato: essendo evidente che il legislatore statale puo' sempre disciplinare forme di coordinamento tra lo Stato e le regioni. La disposizione in questione significa dunque che la Costituzione stessa giudica tali forme di coordinamento indispensabili, ed in questo modo esse divengono costituzionalmente necessarie. E sembra altresi' evidente che per nessuna area della materia «ordine pubblico e sicurezza» il coordinamento e' necessario quanto rispetto alla confinante materia della polizia amministrativa locale: tanto confinante che la Costituzione ha avvertito il bisogno di menzionarle nella stessa lett. h) del secondo comma, per ricordare che essa rimaneva assegnata alle regioni. Ma il fatto e' che in realta' ad essere del tutto erronea e' la premessa stessa delle disposizioni statali qui impugnate: che, cioe', si tratti di materia che si esaurisce nella tutela dell'ordine e sicurezza pubblica. Cio' risulta evidente sol che si considerino analiticamente i due ambiti ai quali la legislazione statale fa riferimento. In effetti, fa impressione notare che il comma 40 neppure menziona la materia statale dell'ordine pubblico e sicurezza, ma direttamente si riferisce agli «eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale». Il concetto di «sicurezza urbana» e il concetto di «disagio sociale» sono dunque quelli che definiscono l'ambito di attivita' della collaborazione volontaria alle funzioni di polizia locale. Quanto alla nozione di «sicurezza urbana», va in primo luogo osservato che non ne esiste - per quanto qui risulta - una definizione nelle leggi statali. La legge di questa regione n. 23 del 2003 utilizza la nozione di «sicurezza delle citta» (art. 1, comma 1), ed include nella nozione (art. 2, comma 1) «le azioni volte al conseguimento di una ordinata e civile convivenza nelle citta' e nel territorio regionale, anche con riferimento alla riduzione dei fenomeni di illegalita' e incivilta' diffusa». Al livello statale una definizione di sicurezza urbana e' invece fornita dal decreto ministeriale 5 agosto 2008, secondo il quale con tale espressione si intende «un bene pubblico da tutelare attraverso attivita' poste a difesa, nell'ambito delle comunita' locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilita' nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale». Come si vede, la nozione non e' molto diversa da quella della legge regionale, e nella lettera non ne restringe certo l'operativita' alla sola prevenzione e repressione dei reati. Neppure la nozione di «situazioni di disagio sociale» trova una definizione legislativa o altra definizione al livello statale. Nella legge di questa regione n. 23 del 2003 si pone tra gli scopi degli interventi la «prevenzione, contrasto e riduzione delle cause del disagio e dell'emarginazione sociale, con particolare riferimento alla legge regionale 12 marzo 2003, n. 2 (Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali)» (art. 2, comma 3). Quello che risulta certo, in ogni modo, e' che il generico riferimento alle «situazioni di disagio sociale» allontana ancor piu' le attivita' di collaborazione volontaria alla vigilanza di polizia locale dallo stretto ambito dell'ordine pubblico e sicurezza. In questi termini, sembra evidente che la disposizione di cui al comma 40, nella parte in cui prevede l'intesa del prefetto in relazione alle decisioni comunali di avvalersi di tale collaborazione con riferimento alle materie della sicurezza urbana e del disagio sociale, anziche' alla materia dell'ordine pubblico e sicurezza, viola la competenza regionale in materia di polizia amministrativa locale. Si tratta, inoltre, di competenza che la legge regionale ha gia' disciplinato con la legge n. 24 del 2003, il cui contenuto e' stato illustrato in narrativa. Dalle considerazioni sopra esposte discende l'illegittimita' costituzionale della disposizione. 2) Illegittimita' costituzionale del comma 41, nella parte in cui esso prevede che anche le associazioni aventi ad oggetto attivita' correlate con la sicurezza urbana e le situazioni di disagio sociale, ma non relative alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza, siano soggette all'iscrizione nell'elenco tenuto dai prefetti. Il seguente comma 41 prescrive che le associazioni che desiderano svolgere tale attivita' di collaborazione siano «iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto, previa verifica da parte dello stesso, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, dei requisiti necessari previsti dal decreto di cui al comma 43», e che il prefetto provveda altresi' «al loro periodico monitoraggio, informando dei risultati il comitato». L'illegittimita' costituzionale del comma 40 si riverbera sul comma 41, dal momento che esso prescrive che le associazioni - evidentemente quelle di cui al comma 40 - siano iscritte in un elenco tenuto e gestito dalle prefetture. Non altera certo il carattere esclusivamente statale della gestione la circostanza che sia richiesto il parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, trattandosi di organo anch'esso statale, senza alcuna partecipazione regionale (art. 20 legge 121 del 1981). Ora, se si trattasse di associazioni che propongono la propria collaborazione nel solo ambito dell'ordine pubblico e sicurezza (art. 117, secondo comma, lett. h), Cost.), vi sarebbe solo da lamentare la mancata attuazione delle «forme di coordinamento» previste dall'art. 118, terzo comma, Cost. Trattandosi invece di associazione chiamate ad operare - ben oltre se non addirittura al di fuori dell'ambito dell'ordine pubblico e sicurezza - nel campo della sicurezza urbana e delle situazioni di disagio sociale, netta risulta l'invasione dell'ambito in cui la Costituzione prevede la competenza regionale. 3) Illegittimita' costituzionale del comma 42, in quanto si intenda che esso impone ai sindaci di utilizzare in via prioritaria le associazioni costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle Forze dell'ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato anche in relazione ad attivita' diverse da quella di segnalare circostanze rilevanti ai fini dell'ordine pubblico e sicurezza, nonche' in quanto, vietando l'iscrizione negli elenchi delle associazioni diverse da quello ora citate ove esse siano destinatarie, a qualsiasi titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica, comprime irrazionalmente l'esercizio della potesta' legislativa regionale in materia di polizia amministrativa. Il comma 42 da un lato stabilisce una priorita' nella collaborazione in favore delle associazioni «costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle Forze dell'ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato», dall'altro stabilisce che le associazioni diverse da quelle appena ricordate possono essere iscritte negli elenchi «solo se non siano destinatarie, a nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza pubblica». Le due disposizioni sarebbero entrambe legittime se esse si riferissero alle sole attivita' di associazioni che desiderano collaborare con le forze dell'ordine e con i servizi comunali di polizia locale nel solo ambito della tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza, ma risultano invece anch'esse illegittime in quanto intendano disciplinare l'attivita' di associazioni che si propongono fini diversi, ed in particolare - ad esempio - il fine di fornire supporto all'attivita' di coloro che volontariamente collaborano con i servizi comunali di polizia locale nel quadro di quanto previsto dalla legge regionale n. 24 del 2003. Rispetto a tali attivita', infatti, non vi e' - quanto alla prima delle due disposizioni - ragione alcuna della preferenza espressa per determinate associazioni rispetto ad altre, e soprattutto non vi e' titolo di competenza legislativa statale. Ugualmente dicasi per la seconda disposizione, la quale vieta che siano iscritte nell'elenco le associazioni che fruiscano di risorse economiche di qualunque tipo a carico della finanza pubblica. Benche' la legge regionale sopra citata non preveda tali contributi, si tratta di determinazioni che, nell'ambito dei servizi di polizia amministrativa locale, spettano al legislatore regionale e non a quello statale. Di qui l'illegittimita' costituzionale di entrambe le disposizioni, in quanto disciplinano attivita' di competenza regionale. 4) Illegittimita' costituzionale del comma 43 nella parte in cui affida al Ministro dell'interno il compito di adottare un decreto mediante il quale sono determinati gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, nonche' i requisiti per 1'iscrizione nell'elenco, e sono disciplinate le modalita' di tenuta dei relativi elenchi, anche in relazione a materie di competenza regionale comprese nell'ambito della sicurezza urbana e delle situazioni di disagio sociale. Il comma 43 opera un largo rinvio ad un decreto ministeriale per il completamento della sommaria disciplina posta dai commi precedenti. Precisamente, e' previsto che «con decreto del Ministro dell'interno» siano «determinati gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, i requisiti per l'iscrizione nell'elenco» e siano «disciplinate le modalita' di tenuta dei relativi elenchi». L'estensione della disciplina dal solo ambito dell'ordine pubblico e sicurezza al generale ambito della «sicurezza urbana» e delle «situazioni di disagio sociale» operata dal comma 40 riverbera necessariamente la propria illegittimita' sul comma 43, in quanto questo - riferendosi alle attivita' di cui ai commi 40 e 41 - e' chiamato a disciplinare materie riservate alla potesta' legislativa regionale, con violazione dell'art. 117, quarto comma, nonche' - in particolare - dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione. E' evidente infatti che, cosi' facendo, da un lato si sottrae la materia alla competenza legislativa regionale (con lesione del quarto comma), dall'altro si chiama ad intervenire una normativa secondaria statale, in violazione dell'ambito di competenza regolamentare statale, che l'art. 117, sesto comma, limita alle materie di potesta' legislativa esclusiva. Cio' vale in relazione a tutti gli oggetti che il comma 43 affida alla disciplina ministeriale. E' evidentemente vero per gli «ambiti operativi», i quali per vincolo di legge devono necessariamente comprendere ed ulteriormente specificare i settori della «sicurezza urbana» in generale e delle «situazioni di disagio sociale». Ma cio' vale ugualmente per la determinazione dei «requisiti per l'iscrizione nell'elenco» e per «le modalita' di tenuta dei relativi elenchi», dal momento che i vincoli cosi' posti sono destinati a valere anche per le associazioni che operano non nel campo dell'ordine pubblico e sicurezza, ma nel solo campo della sicurezza urbana e delle situazioni di disagio sociale, come individuati in particolare dalla legge regionale n. 24 del 2003, piu' volte ricordata. III) In subordine. Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 40, 41 e 43 per violazione del principio di leale collaborazione e del dovere di prevedere forme di coordinamento tra Stato e regioni. Le ragioni di illegittimita' costituzionale allegate con i punti precedenti sono, ad avviso della ricorrente regione, pienamente fondate e coerenti con la distinzione delle competenze tra lo Stato e le regioni tracciata dalla Costituzione e sin qui confermata dalla giurisprudenza costituzionale in materia. Ove tuttavia dovesse ritenersi che, in ragione di una necessaria unitarieta' dei servizi di polizia locale nel territorio di ciascun comune, non vi possa essere in un caso come questo che un unico intervento, che necessariamente debba comprendere - oltre all'ordine pubblico e sicurezza - anche la sicurezza urbana in generale e persino le situazioni di disagio sociale in genere; o - detto altrimenti - qualora si dovesse ritenere che le due sfere di competenza non possano esercitarsi separatamente - quella statale debitamente contenuta nei limiti costituzionali e quella regionale e locale (e non collegata agli organi del Ministero dell'interno) anch'essa nei propri ambiti di competenza - allora sembra evidente che a tale eventualmente necessaria unita' degli interventi deve anche corrispondere un ragionevole ed adeguato coordinamento tra le rispettive sfere di competenza. Ne risulterebbe dunque, in siffatta ipotesi, legittima l'unitarieta', ma illegittimo il difetto dei meccanismi di coordinamento e di leale collaborazione. Ne risulterebbe, in particolare, l'illegittimita' costituzionale del comma 40, nella parte in cui non prevede che all'intesa in esso prevista partecipi la regione direttamente o attraverso i soggetti locali - ad esempio le Province - individuati con legge regionale. Ne risulterebbe altresi' l'illegittimita' costituzionale del comma 41, in quanto non prevede alcun ruolo della regione nella procedura di iscrizione e nel monitoraggio della permanenza dei requisiti in capo alle associazioni ed ai loro membri, nonostante che tali associazioni operino nelle materie di competenza regionale. Potrebbe anzi ritenersi, data l'ampiezza delle materie regionali comprese nella polizia amministrativa locale, che gli elenchi dovessero essere tenuti dalle regioni, restando le prefetture competenti per gli aspetti relativi all'ordine pubblico e sicurezza. Ancor piu' evidente ne deriverebbe l'illegittimita' costituzionale del comma 43, in quanto prevede che la disciplina unitaria degli «ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41», dei «requisiti per l'iscrizione nell'elenco» nonche' delle «modalita' di tenuta dei relativi elenchi» sia dettata con unilaterale atto del Ministro dell'interno, anziche' dal Ministro d'intesa con la Conferenza Stato-regioni o preferibilmente - data l'evidente presenza degli interessi provinciali e comunali - con la Conferenza unificata. La necessita' costituzionale di tale intesa risulta del tutto evidente (nell'ipotesi unitaria qui considerata) in relazione alla definizione degli «ambiti operativi»: dal momento che non pochi di tali ambiti operativi sono di competenza propria delle regioni. Ma essa non e' meno necessaria anche per i requisiti e per le modalita' di tenuta degli elenchi, dal momento che gli uni e le altre integrano la disciplina dell'attivita' di volontari e associazioni nell'ambito del servizio di vigilanza di polizia locale. Si noti che la l'esigenza di leale collaborazione e dei relativi meccanismi istituzionali - gia' evidente a fronte della compressione che altrimenti subirebbe la competenza regionale in forza delle esigenze di unitarieta' dell'intervento (una situazione diversa ma analoga a quella rilevata da codesta Corte costituzionale con la ben nota sentenza n. 303 del 2003) - corrisponde nello specifico caso, come sopra illustrato, al dovere di istituire meccanismi di collegamento con le regioni nel settore dell'ordine pubblico e sicurezza, posto in capo allo Stato dall'art. 118, terzo comma, della Costituzione.