Ricorso per la Regione Toscana, in persona del Presidente protempore, autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 838 del 28 settembre 2009 rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall'avv. Lucia Bora dell'Avvocatura regionale, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. G. Pasquale Mosca del Foro di Roma, in Roma, Corso d'Italia, 102; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore per conflitto di attribuzione del decreto del Ministro dell'interno 8 agosto 2009, recante «Determinazione degli ambiti operativi delle associazioni di osservatori volontari, requisiti per l'iscrizione nell'elenco prefettizio e modalita' di tenuta dei relativi elenchi, di cui ai commi da 40 a 44 dell'articolo 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 183 dell'8 agosto 2009, per contrasto con l'articolo 117, secondo comma, lett. h), quarto comma e sesto comma della Costituzione ed il principio di leale collaborazione, per i profili di seguito indicati. Con il decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto 2009, e' stata data attuazione all'art. 3, commi 40, 41, 42, 43 e 44 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica»), i quali prevedono il possibile coinvolgimento di associazioni di cittadini per la segnalazione agli organi competenti di eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero di situazioni di disagio sociale. Preme sin d'ora evidenziare che la Regione Toscana ha gia' proposto questione di costituzionalita' di fronte a codesta ecc.ma Corte costituzionale avverso il suddetto articolo 3, commi 40, 41, 42 e 43, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. h), quarto comma e sesto comma, Cost., anche sotto il profilo della violazione della leale collaborazione. Parimenti, le norme del decreto ministeriale 8 agosto 2009 in esame, non sembrano raccordarsi con il quadro costituzionale e, in particolare, danno attuazione proprio alle predette disposizioni gia' impugnate. Piu' in particolare, per effetto di tali previsioni, le competenze regionali in materia di polizia amministrativa locale e di politiche sociali risultano compresse (anche rispetto al quadro normativo di riferimento antecedente la riforma del Titolo V); tutto cio' in violazione dell'articolo 117, secondo comma lett. h), quarto comma e sesto comma, Cost., anche sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione. Il decreto ministeriale impugnato e' pertanto lesivo delle attribuzioni regionali per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. h), quarto comma e sesto comma Cost. e violazione del principio di leale collaborazione. Con il decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto 2009, lo Stato ha previsto - in attuazione dell'art. 3, commi da 40 a 44, della legge 15 luglio 2009, n. 94 - una specifica disciplina relativa al possibile coinvolgimento di associazioni di privati cittadini per la segnalazione agli organi competenti di eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero di situazioni di disagio sociale. In particolare: l'art. 1, relativo ai requisiti per l'iscrizione e tenuta del registro delle associazioni di osservatori volontari, prevede che «1. In ciascuna Prefettura - Ufficio territoriale del Governo e' istituito l'elenco provinciale delle associazioni di cittadini di cui all'art. 3, comma 41 della legge 15 luglio 2009, n. 94, per la segnalazione alle polizie locali, ovvero alle Forze di polizia dello Stato, di eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale. 2. Ai fini dell'iscrizione nell'elenco di cui al precedente comma, le associazioni ivi richiamate, oltre a quanto previsto dai commi 40, 41 e 42 dell'art. 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94, e dalla vigente normativa sul diritto di associazione, devono avere fra gli scopi sociali, risultanti dall'atto costitutivo e/o dallo statuto, quello di prestare attivita' di volontariato con finalita' di solidarieta' sociale nell'ambito della sicurezza urbana, come individuata dal decreto del Ministro dell'interno del 5 agosto 2008, richiamato in premessa, ovvero del disagio sociale, o comunque riconducibili alle stesse. Inoltre, ai fini della predetta iscrizione le stesse associazioni devono: a) svolgere la propria attivita' gratuitamente e senza fini di lucro, anche indiretto; b) non essere espressione di partiti o movimenti politici, ne' di organizzazioni sindacali ne' essere ad alcun titolo riconducibili a questi; c) non essere ad alcun titolo collegate a tifoserie organizzate; d) non essere riconducibili a movimenti, associazioni o gruppi organizzati, di cui al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205; e) non essere comunque destinatarie anche indirettamente, di risorse economiche, ovvero di altri finanziamenti a qualsiasi titolo provenienti da soggetti di cui alle lettere b), c) e d); f) individuare gli associati destinati a svolgere attivita' di segnalazione di cui al comma 1, quali Osservatori volontari, ed attestare che gli stessi siano in possesso dei requisiti previsti dall'art. 5. 3. La domanda di iscrizione, sottoscritta dal legale rappresentante, corredata da copia autentica dello statuto e/o dell'atto costitutivo, della completa indicazione degli associati, di coloro che fanno parte degli organi rappresentativi, nonche' della documentazione comprovante il possesso dei requisiti di cui all'art. 5 e di quella integrativa eventualmente richiesta, e' indirizzata al Prefetto della provincia dove l'associazione intende operare ed ha una sede. 4. L'iscrizione e' effettuata dal Prefetto, sentito il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, previa verifica dei requisiti di cui al comma 2 nonche' del possesso da parte degli associati e degli appartenenti agli organi rappresentativi dei requisiti di cui all'art. 5, comma 1, ad eccezione di quelli di cui alla lettera b). Resta fermo quanto previsto per gli osservatori volontari»; l'art. 2, comma 1, relativo ai compiti delle associazioni di osservatori volontari, prevede che «Le associazioni di cui all'art. 1, comma 1, attraverso i propri associati individuati per lo svolgimento delle attivita' di segnalazione di cui al medesimo comma, di seguito indicati come «osservatori volontari», volgono attivita' di mera osservazione in specifiche aree del territorio comunale. I predetti volontari, in presenza dei presupposti di cui all'art. 4, comma 1, ultimo periodo, segnalano alla polizia locale e alle Forze di polizia eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana, ovvero situazioni di disagio sociale»; l'art. 4, relativo alla possibilita' per i sindaci di stipulare convenzioni con le associazioni di osservatori volontari, prevede che «1. Per le finalita' di cui all'art. 3, comma 40, della legge 15 luglio 2009, n. 94, i sindaci stipulano convenzioni con le associazioni iscritte nell'elenco volte ad individuare l'ambito territoriale e temporale in cui l'associazione e' destinata a svolgere l'attivita' di cui all'art. 2, comma 1, del presente decreto, nonche' a disciplinare il piano d'impiego, la formazione degli associati con compiti di osservatore volontario ed adeguate forme di controllo per la verifica del rispetto delle disposizioni contenute nelle convenzioni e di quelle di cui al presente decreto. Il piano d'impiego deve contenere anche i presupposti oggettivi per effettuare le,segnalazioni alla polizia locale e alle Forze di polizia dello Stato. 2. Il contenuto delle convenzioni viene concordato con il Prefetto competente per territorio, sentito il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica»; l'art. 6, relativo alla revoca dell'iscrizione delle associazioni di volontari, prevede che «1. L'iscrizione dell'associazione e' revocata dal Prefetto quando: a) venga meno anche uno dei requisiti previsti dall'art. 1, commi 2 e 4; b) l'associazione violi il divieto disposto dal Prefetto ai sensi dell'art. 5, comma 3; c) l'associazione non ottemperi nel termine previsto dall'art. 5, comma 3, a far cessare l'interessato dal rapporto associativo; d) il Prefetto abbia adottato nel corso di un anno, nei confronti della medesima associazione, piu' di un provvedimento di divieto d'impiego in relazione a quanto previsto dall'art. 5, comma 1, lettere c), d) ed e); e) l'associazione violi il divieto di cui all'art. 7, comma 1; f) l'associazione ponga in essere comportamenti in contrasto con quanto previsto dall'art. 3, commi 40 e 42, della legge 15 luglio 2009, n. 94, e dal presente decreto. 2. Il Prefetto comunica al sindaco la revoca dell'iscrizione dell'associazione nell'elenco provinciale»; l'art. 7, comma 1, relativo alla revisione annuale dell'elenco delle associazioni di volontari, prevede che «Il Prefetto, competente per territorio, provvede annualmente alla revisione dell'elenco di cui all'art. 1, al fine di verificare il permanere dei requisiti delle associazioni e degli appartenenti alle stesse. A tal fine, il legale rappresentante dell'associazione, almeno un mese prima della revisione annuale, deposita, in Prefettura - Ufficio territoriale del Governo, la documentazione comprovante l'attualita' dei requisiti. Il mancato deposito della documentazione suddetta nel termine sopra indicato comporta automaticamente la sospensione degli effetti dell'iscrizione nell'elenco provinciale e il divieto di svolgimento dei compiti di cui al presente decreto»; l'art. 7, comma 3, relativo all'ammissione di nuovi associati, prevede che «L'ammissione di nuovi associati deve essere tempestivamente segnalata alla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo per la verifica dei requisiti di cui al presente decreto. Fino alla comunicazione dell'esito degli accertamenti, gli interessati non possono svolgere le attivita' di cui all'art. 2»; l'art. 9, infine, recante la disciplina transitoria, prevede che «1. Le associazioni gia' costituite, che alla data del presente decreto svolgono attivita' di volontariato con finalita' di solidarieta' sociale comunque riconducibili a quanto previsto dall'art. 3, comma 40 della legge 15 luglio 2009, n. 94, e dal presente decreto, possono essere iscritte nell'elenco provinciale delle associazioni di osservatori volontari, con le medesime modalita' di cui all'art. 1, comma 3 del presente decreto, fermo restando il possesso degli altri requisiti previsti dallo stesso art. 1. Dette associazioni possono continuare a espletare la propria attivita' anche nell'ambito e nei limiti dell'art. 2 prima dell'iscrizione e comunque per un periodo non superiore a sei mesi dalla data del presente decreto. 2. Per lo stesso periodo di 6 mesi, i comuni possono continuare ad avvalersi dei rapporti in atto, per lo svolgimento, da parte dei cittadini, di attivita' comunque riconducibili all'art. 3, comma 40 della legge 15 luglio 2009, n. 94». 1a) E' evidente che dette norme intervengono direttamente su profili attinenti alla disciplina della «polizia amministrativa locale», cioe' ad una materia che, in base al combinato disposto del secondo comma, lett. h) e quarto dell'art. 117 della Costituzione, rientra nella potesta' legislativa residuale delle regioni. Come gia' rilevato in sede di ricorso avverso l'art. 3, commi da 40 a 43, della legge n. 94/2009, dette disposizioni - e, quindi, anche quelle del decreto impugnato, che delle prime sono attuative - non possono essere inquadrate fra le norme disciplinanti la materia dell'ordine pubblico e sicurezza che, sola, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. h), Cost. compete in via esclusiva alla potesta' legislativa statale. In merito, si sottolinea innanzitutto che la giurisprudenza costituzionale costantemente circoscrive l'ambito della «sicurezza pubblica» «alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico» (sentenza n. 407 del 2002). Detta espressione, quindi, deve essere oggetto di interpretazione restrittiva, in quanto l'art. 117, secondo comma, lett. h), Cost. la abbina a quella di «ordine pubblico», in contrapposizione alla «polizia amministrativa locale», da annoverarsi fra le competenze legislative residuali delle regioni. Preme evidenziare che le regioni stesse erano gia' titolari delle predette competenze anche prima della riforma del Titolo V, piu' in particolare a seguito del decreto legislativo n. 112 del 1998 («Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59»), il cui art. 159 aveva previsto che: «1. Le funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla polizia amministrativa regionale e locale concernono le misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati ai soggetti giuridici ed alle cose nello svolgimento di attivita' relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze, anche delegate, delle regioni e degli enti locali, senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni e gli interessi tutelati in funzione dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica. 2. Le funzioni ed i compiti amministrativi relativi all'ordine pubblico e sicurezza pubblica di cui all'articolo 1, comma 3, lettera l), della legge 15 marzo 1997, n. 59 concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunita' nazionale, nonche' alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni». Alle regioni, pertanto, erano gia' state affidate le competenze in materia di polizia amministrativa locale. Ed infatti, la gia' richiamata interpretazione restrittiva della nozione di «sicurezza pubblica» e' stata adottata dalla giurisprudenza costituzionale anche prima della riforma del Titolo V. Piu' precisamente, nella sentenza n. 290 del 25 luglio 2001, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha statuito che «L'art. 159, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998 precisa che le funzioni e i compiti amministrativi relativi all'ordine pubblico e alla sicurezza pubblica concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunita' nazionale, nonche' alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni. E' opportuno chiarire che tale definizione nulla aggiunge alla tradizionale nozione di ordine pubblico e sicurezza pubblica tramandata dalla giurisprudenza di questa Corte, nella quale la riserva allo Stato riguarda le funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali quali l'integrita' fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume primaria importanza per l'esistenza stessa dell'ordinamento. E' dunque in questo senso che deve essere interpretata la locuzione «interessi pubblici primari» utilizzata nell'art. 159, comma 2: non qualsiasi interesse pubblico alla cui cura siano preposte le pubbliche amministrazioni, ma soltanto quegli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile. Una siffatta precisazione e' necessaria ad impedire che una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico si converta in una preminente competenza statale in relazione a tutte le attivita' che vanificherebbe ogni ripartizione di compiti tra autorita' statali di polizia e autonomie locali». Come gia' anticipato, tale orientamento e' stato confermato anche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. In particolare, nella gia' citata sentenza n. 407 del 2002, codesta ecc.ma Corte ha sottolineato che per definire il concetto di «sicurezza pubblica» «e' sufficiente constatare che il contesto specifico della lettera h) del secondo comma dell'art. 117 [ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale], - che riproduce pressoche' integralmente l'art. 1, comma 3 lettera l) della legge n. 59 del 1997 - induce, in ragione della connessione testuale con "ordine pubblico" e dell'esclusione esplicita della "polizia amministrativa locale", nonche' in base ai lavori preparatori, ad un'interpretazione restrittiva della nozione di "sicurezza pubblica". Questa infatti, secondo un tradizionale indirizzo di questa Corte, e' da configurare in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico» (seguono lo stesso orientamento anche le pronunce successive: cfr., per esempio, le sentenze n. 428 del 29 dicembre 2004; n. 105 del 17 marzo 2006; n. 222 del 13 giugno 2006; n. 237 del 22 giugno 2006; n. 196 del 1° luglio 2009). Con riferimento, poi, alla nozione di «sicurezza urbana», con la recente sentenza n. 196 del 1° luglio 2009, codesta ecc.ma Corte costituzionale ha precisato che una disciplina legislativa e regolamentare statale in materia e' conforme al riparto di competenze legislative e regolamentari previsto dalla Costituzione soltanto se ed in quanto la predetta espressione sia circoscritta dalla medesima normativa all'ambito della «sicurezza pubblica», cioe' come detto, alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico. Ebbene, ne' l'art. 3, comma 40, della legge n. 94/2009, ne' il decreto del Ministro dell'interno censurato specificano tali limiti. Anzi, la formulazione notevolmente ampia e generica da essi utilizzata - «sicurezza urbana» - risulta idonea a ricomprendere anche gli interventi volti a migliorare le condizioni di vivibilita' nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale. In tale ampia dizione sono incluse le attivita' di prevenzione e lotta al degrado urbano, volte a favorire un ordinato sviluppo delle relazioni sociali ed economiche ed una ordinata e civile convivenza della comunita' regionale, le quali, chiaramente, devono essere ricondotte nell'ambito di competenza regionale, in quanto espressioni di «polizia amministrativa locale». L'invasione delle attribuzioni regionali da parte del decreto censurato emerge ancor piu' chiaramente se si considera che i compiti delle associazioni di privati previsti dallo stesso decreto sono estesi alla prevenzione delle situazioni di disagio sociale. Quest'ultima e' una locuzione notoriamente ardua da definire in modo compiuto. Infatti, si puo' intendere per «disagio sociale» (cfr. il Rapporto del maggio 2001 che presenta i risultati di una indagine svolta dal Ciriec per conto dell'Osservatorio Regionale sul Mercato del Lavoro (ORML) della Regione Toscana) «la situazione - prolungata nel tempo - in cui il soggetto, per specifiche condizioni, non e' in grado di utilizzare pienamente le proprie risorse e le opportunita' offerte dalla societa', e alternativamente e/o contemporaneamente si isola o suscita rigetto da parte della societa' stessa; si manifesta cioe' come problema sociale per la soluzione del quale e' opportuno, e talvolta indispensabile, un intervento». Si tratta, quindi, inevitabilmente, di una definizione molto ampia, dovuta al fatto che molteplici possono essere le cause che, da sole oppure combinandosi variamente fra loro, possono condurre a situazioni di disagio sociale. Puo' trattarsi, infatti, di ristrettezze economiche, difficolta' familiari, disoccupazione, malattie o invalidita', solitudine, eta', sesso, carenze culturali, estraneita', tossicodipendenza, maltrattamenti, ecc. Di conseguenza, in relazione al «disagio sociale» si intersecano tra loro molteplici settori ed attivita' di prevenzione, di assistenza, di recupero, ecc. E' evidente, pero', che le modalita' di prestare rimedio a tali situazioni disagiate ben possono ricondursi alla sfera delle «politiche sociali», la quale ricade, per costante giurisprudenza costituzionale, nella competenza legislativa residuale regionale, (cfr., ex pluribus, la sentenza n. 50 del 7 marzo 2008). A nulla rileverebbe, in questo caso, invocare la lett. m) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». E' chiaro, infatti, che le associazioni di cui ai commi 40 e seguenti della legge n. 94/2009 ed alle disposizioni del decreto censurato non operano nell'ambito dell'erogazione di «servizi», ma, per cosi' dire, «a monte», vale a dire svolgono attivita' di prevenzione del disagio sociale. Ebbene, evidentemente una siffatta attivita' rientra nella sfera della competenza legislativa residuale regionale in materia di «politiche sociali». Infatti, non e' (logicamente, prima ancora che giuridicamente) pensabile interpretare detta materia nel senso di attribuire alle regioni il solo compito di intervenire in via successiva, cioe' quando le situazioni di disagio sono ormai insorte, lasciando allo Stato la determinazione della disciplina applicabile all'attivita' di prevenzione. In conclusione, sia l'espressione «sicurezza urbana» sia quella di «disagio sociale», sono locuzioni eccessivamente ampie ed omnicomprensive, quindi suscettibili di invadere le competenze regionali. Il ragionamento appena concluso vale non solo per l'art. 3, commi 40 e ss. della legge n. 94/2009, ma anche per il decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto 2009. Con le disposizioni in esso contenute, di fatto, le regioni vengono private del ruolo che a loro spetta, in base al dettato costituzionale, in materia di «polizia amministrativa locale» e «politiche sociali». Piu' in particolare, l'art. 1, innanzitutto affida al Prefetto il compito della tenuta del registro delle associazioni di cittadini legittimate a partecipare all'attivita' di segnalazione delle situazioni che possano arrecare danno alla sicurezza urbana o quelle di disagio sociale; inoltre, la stessa disposizione prevede, al secondo comma, un elenco analitico e dettagliato dei requisiti che le predette associazioni devono soddisfare ai fini dell'iscrizione nell'apposito elenco. L'art. 2, poi, fissa in modo dettagliato quali sono i compiti degli «osservatori volontari», nonche' le modalita' di svolgimento dei medesimi. Inoltre, l'art. 4, al comma 2, prevede che il contenuto delle convenzioni che i sindaci possono, ai sensi del comma 1 dello stesso articolo, stipulare con le associazioni di privati sia concordato con il Prefetto, di nuovo senza alcun coinvolgimento delle regioni. Il successivo art. 6, poi, relativo alla revoca dell'iscrizione delle associazioni di volontari, di nuovo affida tutti i relativi compiti al Prefetto. Sempre a quest'ultimo l'art. 7, al comma 1 affida il compito di provvedere alla revisione annuale dell'elenco delle associazioni di volontari, mentre al comma 3 si prevede che l'ammissione di nuovi associati sia comunicata alla Prefettura. In sostanza, dai primi sette articoli del decreto del Ministro dell'interno censurato con il presente ricorso si ricava una disciplina molto dettagliata per quanto riguarda i compiti, le modalita' di svolgimento dei medesimi, i requisiti a tal fine necessari, nonche' i controlli in ordine alle associazioni di cittadini che possono partecipare all'attivita' di segnalazione degli eventi idonei ad arrecare danno alla sicurezza urbana e delle situazioni di disagio sociale. Risulta palese che dette norme affidano tutte le relative funzioni e competenze al Prefetto, cioe' ad un rappresentante a livello territoriale del Governo, senza alcun coinvolgimento delle regioni. Il decreto, per i profili qui in rilievo, rappresenta pertanto un'inammissibile intromissione nelle prerogative riconosciute alle regioni, cio' che rende evidente la violazione delle attribuzioni regionali di cui all'art. 117 Cost. in materia di «polizia amministrativa locale» e di «politiche sociali». Ne' la suddetta invasivita' delle attribuzioni regionali puo' ritenersi superata dalla disposizione contenuta nell'art. 8, il quale si limita a prefigurare una forma meramente eventuale, e, soprattutto, del tutto marginale, di partecipazione delle regioni nella materia regolata dal decreto. Infatti, detta disposizione prevede che «Le regioni e gli enti locali interessati possono organizzare corsi di formazione e aggiornamento per gli osservatori volontari, appartenenti alle associazioni iscritte nell'elenco di cui all'art. 1, concernenti l'attivita' di segnalazione. 2. Per le associazioni di cui al successivo art. 9 i corsi dovranno essere svolti in tempo utile per proseguire nell'impiego degli osservatori. 3. Al termine del corso di formazione il legale rappresentante dell'associazione trasmette al Prefetto l'attestato di superamento del corso di cui al comma 1, necessario per l'impiego degli osservatori volontari nelle attivita' di segnalazione». Si tratta, all'evidenza, di una previsione che non consente affatto alle regioni di recuperare, in qualche modo, quelle attribuzioni loro spettanti alla stregua del dettato costituzionale e loro sottratte per effetto dell'art. 3, commi da 40 a 43, della legge n. 94/2009 e del decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto 2009. Risulta palese, infatti, che attribuire alle regioni la possibilita' di organizzare i corsi di formazione per gli appartenenti alle associazioni di cui trattasi rappresenta un mero «palliativo»: resta ferma, comunque, l'indebita ingerenza statale in materie di competenza regionale, senza alcuna possibilita' per le regioni medesime di incidere sulla disciplina delle attivita' in esame. 1b) Il vizio di costituzionalita' sopra evidenziato e' ulteriormente confermato dalla violazione dell'art. 117, sesto comma della Costituzione: infatti, posto che, per quanto sin qui esposto la materia disciplinata dal decreto ministeriale censurato non puo' essere ricondotta alle nozioni di «ordine pubblico e sicurezza», la stessa non puo' quindi essere oggetto di regolamento statale poiche', ai sensi dell'art. 117, sesto comma della Costituzione, il potere regolamentare dello Stato esiste solo nelle materie di sua potesta' legislativa esclusiva. In altri termini, nelle materie di cui trattasi, un regolamento statale non poteva intervenire, o, quanto meno, non con modalita' cosi' «invasive». Preme evidenziare, inoltre, che il decreto in esame viola ulteriormente le competenze regionali perche' una fonte regolamentare viene espressamente ad essere abilitata a modificare anche la legislazione regionale vigente in materia. A tal riguardo, e a rafforzamento della fondatezza delle argomentazioni fin qui svolte, si rileva che la Regione Toscana aveva gia' esercitato le proprie competenze in materia disciplinando la possibilita' di partecipazione di privati cittadini alle attivita' de quibus, attraverso l'emanazione della legge regionale n. 12 del 3 aprile 2006 («Norme in materia di polizia comunale e provinciale»). Tale normativa, «in conformita' a quanto previsto dall'articolo 117, comma secondo, lettera h), della Costituzione, detta disposizioni concernenti i requisiti essenziali di uniformita' per l'organizzazione e lo svolgimento, anche in forma associata, delle funzioni di polizia amministrativa locale tramite strutture di polizia comunale, denominata polizia municipale, e di polizia provinciale [...]» (art. 1). Piu' in particolare, l'articolo 7 di detta legge regionale prevede che «1. I comuni e le province possono stipulare convenzioni con le associazioni di volontariato iscritte nel registro di cui all'articolo 4 della legge regionale 26 aprile 1993, n. 28 (Norme relative ai rapporti delle organizzazioni di volontariato con la regione, gli enti locali e gli altri enti pubblici - Istituzione del registro regionale delle organizzazioni del volontariato) e successive modificazioni, per realizzare collaborazioni tra queste ultime e le strutture di polizia locale rivolte a favorire l'educazione alla convivenza, al senso civico e al rispetto della legalita'. [...]». La normativa regolamentare impugnata incide sulla suddetta disciplina legislativa regionale, vanificando il ruolo ed i compiti delle associazioni di volontariato ivi previste; cio' evidentemente non e' compatibile con il riparto della potesta' legislativa e regolamentare come delineato nella Costituzione, anche alla luce dell'interpretazione fornitane dalla gia' richiamata giurisprudenza costituzionale. 1c) Particolarmente lesivo delle attribuzioni regionali si rivela l'art. 9 del decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto 2009, il quale, al comma 1, prevede che «Le associazioni gia' costituite, che alla data del presente decreto svolgono attivita' di volontariato con funzioni di solidarieta' sociale comunque riconducibili a quanto previsto dall'art. 3 comma 40 della legge 15 luglio 2009, n. 94, e dal presente decreto, possono essere iscritte nell'elenco provinciale delle associazioni di osservatori volontari, con le medesime modalita' di cui all'art. 1, comma 3, del presente decreto, fermo restando il possesso degli altri requisiti previsti dallo stesso art. 1. Dette associazioni possono continuare a espletare la propria attivita' anche nell'ambito e nei limiti dell'art. 2 prima dell'iscrizione e comunque per un periodo non superiore a sei mesi dalla data del presente decreto». Il comma 2, poi, prevede che «Per lo stesso periodo di 6 mesi, i comuni possono continuare ad avvalersi dei rapporti in atto, per lo svolgimento, da parte dei cittadini, di attivita' comunque riconducibili all'art. 3, comma 40 della legge 15 luglio 2009, n. 94». Ebbene, non vi e' chi non veda come la predetta disposizione risulti immediatamente e gravemente lesiva delle attribuzioni regionali, in quanto preclude alle associazioni di cittadini che gia' collaboravano con le autorita' locali, in base alla legge regionale n. 12/2006, alla segnalazione di eventi potenzialmente dannosi per la «sicurezza urbana», di continuare ad operare a meno che si conformino a quanto stabilito dal decreto censurato. Tale preclusione risulta ancor piu' grave con riferimento alle associazioni di volontariato che collaborano con le stesse autorita' nell'ambito della prevenzione delle situazioni di disagio sociale. Neppure in tal caso, infatti, sussiste, come gia' anticipato, alcun fondamento costituzionale alla potesta' legislativa e regolamentare dello Stato. Anzi, si tratta di ambiti riservati alle regioni, tanto che la Regione Toscana ha gia' disciplinato la materia con la legge regionale n. 41 del 24 febbraio 2005 («Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale»), che all'art. 58, comma 1, prevede: «Le politiche per le persone a rischio di esclusione sociale consistono nell'insieme degli interventi e dei servizi volti a prevenire e ridurre tutte le forme di emarginazione, comprese le forme di poverta' estrema», precisando, poi, ai commi successivi, le modalita' di attuazione di dette politiche di prevenzione delle situazioni di disagio sociale. Con riguardo alle associazioni operanti nell'ambito da ultimo menzionato, inoltre, e' necessario evidenziare che, per il tramite dell'amplissima formulazione della norma transitoria dettata dall'art. 9, il rischio e' quello di una vera e propria paralisi dell'attivita' delle associazioni medesime, a meno che queste si conformino a quanto previsto dal decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto 2009 e dalla legge n. 94/2009, passando sotto la vigilanza del Prefetto. In particolare, e' l'espressione «funzioni di solidarieta' comunque riconducibili, a quanto previsto» dalla censurata normativa statale che davvero rischia di svuotare di contenuto (e, quindi, privare di possibilita' applicative pratiche) la normativa regionale in materia di prevenzione delle situazioni di disagio sociale. Infatti, gia' la locuzione «disagio sociale», come sopra ampiamente evidenziato, risulta di per se' dai contorni non ben definiti; ancor piu' generico, quindi, e' il riferimento alle funzioni di solidarieta' sociale «comunque connesse» alla prevenzione (tra l'altro) delle situazioni di disagio sociale. In definitiva, con una siffatta formulazione, le competenze statali sono in grado di estendersi ad un punto tale da vanificare ogni attribuzione regionale in materia. Pertanto, ribadito nuovamente che nei settori di cui trattasi non e' possibile un intervento statale, soprattutto a livello di fonte regolamentare, preme evidenziare nuovamente l'indebita invasione delle attribuzioni regionali ad opera del predetto art. 9, il quale davvero risulta in grado di impedire l'attivita' delle associazioni di volontariato di collaborazione alla gestione della comunita' locale sia sotto il profilo della «sicurezza urbana», sia per cio' che attiene alle «politiche sociali» (a meno che tali associazioni, come piu' volte detto, si conformino alle modalita' fissate dalla normativa statale impugnata). In conclusione, il decreto censurato, ed in particolare il suo art. 9, costituiscono un'indebita evidente ingerenza statale nelle competenze regionali. 1d) Le norme censurate sono ulteriormente incostituzionali, per violazione del principio di leale collaborazione, poiche', disciplinando ambiti di competenza regionale, il decreto avrebbe dovuto, quantomeno, contenere la previsione dell'intesa con le regioni interessate o comunque adeguate forme di concertazione al fine di tutelare le istanze regionali costituzionalmente garantite, in un ambito che involge profili di competenza residuale delle regioni. Il decreto in esame, invece, non prevede alcun coinvolgimento delle regioni medesime, risultando percio' costituzionalmente illegittimo.