Ricorso della  Provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona  del
Presidente della  Giunta  provinciale  pro  tempore  Lorenzo  Dellai,
autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale  25  settembre
2009, n. 2328 (doc. 1),  rappresentata  e  difesa,  come  da  procura
speciale n. rep. 27192 del 29 settembre 2009  (doc.  2),  rogata  dal
dott.  Tommaso  Passerella,  ufficiale   rogante   della   provincia,
dall'avv. prof. Giandomenico  Falcon  di  Padova,  dall'avv.  Nicolo'
Pedrazzoli dell'Avvocatura della  Provincia  di  Trento  e  dall'avv.
Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in  Roma  nello  studio  di
questi in via Confalonieri n. 5; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge  3  agosto
2009, n. 102, recante Conversione in legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, «Provvedimenti anticrisi nonche'
proroga di termini», in  relazione  alle  seguenti  disposizioni  del
decreto-legge convertito: 
        art. 4 (Interventi urgenti per le reti  dell'energia),  commi
da 1 a 4, come modificato dall'art.  1  del  decreto-legge  3  agosto
2009, n. 103; 
        art. 9-bis (Patto di stabilita' interno per gli enti locali),
comma 5, secondo, terzo e quarto periodo; 
        art.  13-bis  (Disposizioni  concernenti  il   rimpatrio   di
attivita' finanziarie e patrimoniali detenute  fuori  del  territorio
dello Stato), comma 8; 
        art. 22 (Settore sanitario), commi 2 e 3, per violazione: 
          dell'articolo 117, terzo, quarto e sesto comma; 
          dell'articolo 118; dell'articolo 119 della Costituzione, in
combinato disposto con l'articolo 10 della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3; 
          dell'articolo 4, n. 7); dell'articolo 8, n. 1), n.  5),  n.
6), n. 17), n. 19), n.  22),  e  n.  28;  dell'articolo  9,  n.  10);
dell'articolo 14), dell'articolo 16);  del  Titolo  VI,  tra  cui  in
particolare gli articoli 75, comma 1, lettera g), e 78; dell'articolo
104, comma primo; dell'articolo 107 dello statuto speciale, approvato
con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, come  modificato  dalla  legge  30
novembre 1989, n. 386; 
          delle norme di attuazione statutaria,tra cui il  d.P.R.  22
marzo 1974, n. 381, in materia di urbanistica ed opere pubbliche;  il
d.P.R. n. 474/1975 in materia di sanita'; il d.P.R. 26 marzo 1977, n.
235, in materia di energia; il decreto legislativo 16 marzo 1992,  n.
266, in materia di rapporto tra legislazione statale  e  legislazione
provinciale e relative funzioni amministrative, e in particolare  gli
articoli 2 e 4, comma 1; il decreto legislativo 16 marzo  1992,  268,
in materia di finanza regionale e provinciale e  in  particolare  gli
articoli 9 e  10,  commi  1,  6  e  7;  nonche'  le  altre  norme  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  contenute  nella  legge   30
novembre 1989, n. 386; 
          del principio di leale collaborazione; 
          dei  principi  di  legalita',  e  di  ragionevolezza  e  di
adeguatezza, nei modi e per i profili di seguito illustrati. 
 
                              F a t t o 
 
    La presente controversia ha ad oggetto talune disposizioni  della
legge n. 102 del 2009, che ha convertito con modificazioni il d.l. n.
78/2009, Provvedimenti anticrisi nonche' proroga  di  termini.  Esse,
peraltro,  sono  attinenti  a  diversi  settori,  come   di   seguito
illustrato. 
    L'art. 4 concerne Interventi urgenti per le reti dell'energia  e,
al comma 1 (modificato dalla  legge  di  conversione  n.  102/2009  e
sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera a), n.  1),  d.l.  3  agosto
2009, a 103), dispone che il Consiglio dei ministri, su proposta  dei
Ministri  competenti,  «individua  gli   interventi   relativi   alla
trasmissione ed alla distribuzione  dell'energia,  nonche',  d'intesa
con le regioni e le province  autonome  interessate,  gli  interventi
relativi alla produzione dell'energia,  da  realizzare  con  capitale
prevalentemente  o  interamente  privato,  per  i   quali   ricorrono
particolari  ragioni  di  urgenza  in   riferimento   allo   sviluppo
socioeconomico e che devono essere  effettuati  con  mezzi  e  poteri
straordinari». 
    Per la realizzazione dei predetti interventi e  con  le  medesime
modalita' si prevede la nomina, con deliberazione del  Consiglio  dei
ministri, di uno o piu' Commissari straordinari del Governo ai  sensi
dell'art. 11, legge n. 400/1988 (comma 2). 
    Ciascun commissario «sentiti gli enti locali  interessati,  emana
gli atti e i provvedimenti,  nonche'  cura  tutte  le  attivita',  di
competenza delle amministrazioni pubbliche che non abbiano rispettato
i termini previsti dalla legge o  quelli  piu'  brevi,  comunque  non
inferiori alla meta', eventualmente fissati in  deroga  dallo  stesso
commissario,   occorrenti    all'autorizzazione    e    all'effettiva
realizzazione  degli  interventi,  nel  rispetto  delle  disposizioni
comunitarie, avvalendosi ove necessario dei poteri di sostituzione  e
di deroga di cui all'art. 20, comma 4, del decreto-legge 29  novembre
2008, n. 185» (comma 3, come modificato dal d.l. n. 103/2009). 
    Con i provvedimenti di cui al comma 1 «sono altresi'  individuati
le strutture di cui si avvale il commissario straordinario, senza che
cio' comporti nuovi o maggiori oneri  a  carico  del  bilancio  dello
Stato, nonche' i poteri di controllo e di vigilanza del Ministro  per
la semplificazione  normativa  e  degli  altri  Ministri  competenti«
(comma 4). 
    Tali disposizioni attengono alla materia «energia»,  nella  quale
la Provincia di Trento ha potesta' legislativa ed amministrativa  sin
dal d.lgs. n. 463/1999, che ha  aggiunto  l'art.  01  nel  d.P.R.  n.
235/1977, in attuazione  delle  norme  statutarie  che  attribuiscono
potesta'  primaria   alla   Provincia   di   Trento   nelle   materie
dell'urbanistica», della «tutela del paesaggio», dei «lavori pubblici
di interesse  provinciale»,  della  «assunzione  diretta  di  servizi
pubblici» e della «espropriazione per pubblica utilita' (art. 8,  nn.
5, 6, 17, 19 e 22 dello statuto speciale). Inoltre, l'art. 14,  comma
1, dello statuto prevede il parere obbligatorio della  provincia  per
le concessioni in materia di comunicazioni  e  trasporti  riguardanti
linee che attraversano il  territorio  provinciale  e  l'art.  9  del
d.P.R. n. 235 precisa che quanto disposto da tale art. 14 si  applica
«per quanto concerne il territorio delle province  autonome  a  tutto
cio' che riguarda «lo sviluppo della rete di trasmissione nazionale». 
    Ancora, l'art. 01 del d.P.R. n. 235  del  1977  trasferisce  alle
province autonome «le funzioni in materia di energia  esercitate  sia
direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato  sia  per
il tramite di enti  e  istituti  pubblici  a  carattere  nazionale  o
sovraprovinciale, salvo quanto previsto dal comma 3» (comma 1); ed il
comma 2 precisa che le finzioni relative alla  materia  «energia»  di
cui al comma 1  «concernono  le  attivita'  di  ricerca,  produzione,
stoccaggio, conservazione, trasporto  e  distribuzione  di  qualunque
forma di energia» enfasi aggiunta). 
    Il comma 3, lettera c), riserva  allo  Stato  «la  costruzione  e
l'esercizio degli impianti di  produzione  di  energia  elettrica  da
fonti convenzionali di potenza superiore a 300 MW termici nonche'  le
reti per il trasporto dell'energia elettrica costituenti la  rete  di
trasmissione nazionale con tensione superiore a 150 KV,  l'emanazione
delle relative norme tecniche e  le  reti  di  livello  nazionale  di
gasdotti con pressione di esercizio superiore a 40 bar e  oleodotti».
Anche in relazione a tali compiti,  comunque,  l'art.  01,  comma  4,
prevede  il  parere  obbligatorio  di  questa  provincia,  ai   sensi
dell'art. 14, primo comma, dello statuto speciale. 
    Come noto, poi, la legge  Cost.  n.  3/2001  ha  attribuito  alle
regioni  ordinarie  potesta'  legislativa  concorrente  e  potere  di
allocare  le  funzioni  amministrative  in  materia  di  «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»  (art.  117,  terzo
comma, e art. 118 della Costituzione). 
    Le norme statali sopra illustrate, dunque, sono  illegittime  sia
perche' attribuiscono poteri  amministrativi  ad  organi  statali  in
materie di competenza provinciale, sia in subordine perche' - ove  si
ritenesse per qualunque regione giustificata la  titolarita'  statale
di tali poteri -  non  e'  prevista  l'intesa  con  la  provincia  in
relazione alla trasmissione e alla distribuzione dell'energia. 
    Inoltre,  risulta  illegittima,  per   l'ambito   di   competenza
provinciale, la nomina statale dei commissari di cui al comma  2,  in
relazione ai compiti di cui al comma 3. 
    L'art.  9-bis  del  d.l.  n.  78/2009  disciplina  il  Patto   di
stabilita' intento per gli enti locali. Il secondo periodo del  comma
5 dispone che, «in funzione di  anticipazione  dell'attuazione  delle
misure connesse alla  realizzazione  di  un  sistema  di  federalismo
fiscale, secondo quanto previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42,  e
allo scopo di assicurare la tutela dei diritti  e  delle  prestazioni
sociali fondamentali su  tutto  il  territorio  nazionale,  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera  m),  della  Costituzione,  con
decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  sentita  la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
Province autonome di Trento  e  di  Bolzano  e  acquisito  il  parere
espresso in sede di tavolo di confronto di cui all'art. 27, comma  7,
della citata legge n. 42 del 2009, da adottare entro sessanta  giorni
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente decreto, sono fissati i criteri per la  rideterminazione,  a
decorrere dall'anno 2009, dell'ammontare  dei  proventi  spettanti  a
regioni e province  autonome,  compatibilmente  con  gli  statuti  di
autonomia delle regioni ad autonomia speciale e delle citate province
autonome, ivi compresi quelli  afferenti  alla  compartecipazione  ai
tributi erariali statali, in misura tale da garantire  disponibilita'
finanziarie complessivamente non inferiori  a  300  milioni  di  euro
annui e, comunque, senza  nuovi  o  maggiori  oneri  per  la  finanza
pubblica». 
    Il terzo periodo del comma 5  aggiunge  che  «tali  risorse  sono
assegnate ad un fondo da istituire nello stato  di  previsione  della
spesa del Ministero dell'economia e delle finanze per le attivita' di
carattere sociale di pertinenza regionale». Inoltre - ed e' il quarto
periodo - in sede di Conferenza Stato-regioni «sono stabiliti,  entro
trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di  cui  al
secondo periodo del  presente  comma,  criteri  e  modalita'  per  la
distribuzione delle risorse di cui al presente comma tra  le  singole
regioni e province autonome, che il Ministro  dell'economia  e  delle
finanze provvede ad attuare con proprio decreto». 
    Ad avviso della Provincia autonoma di Trento tali norme risultano
lesive della propria autonomia finanziaria, come regolata dal  Titolo
VI dello statuto speciale, integrato dalla legge n.  386/1989  e  dal
d.lgs. n. 268/1992, e della  competenza  provinciale  in  materia  di
servizi sociali, sia in quanto prevedono  la  rideterminazione  delle
risorse ad essa  spettanti  mediante  procedure  difformi  da  quelle
statutariamente previste, sia in quanto prevedono un fondo statale  a
destinazione vincolata, sia infine in quanto si pongono in  contrasto
con il principio di legalita' sostanziale e di leale collaborazione. 
    L'art. 13-bis detta  Disposizioni  concernenti  il  rimpatrio  di
attivita' finanziarie e patrimoniali detenute  fuori  del  territorio
dello Stato. Il comma 1  istituisce  un'imposta  straordinaria  sulle
attivita'   finanziarie   e   patrimoniali:   a)    detenute    fuori
del territorio dello Stato senza l'osservanza delle disposizioni  del
decreto-legge 28 giugno 1990, n.  167...;  b)  a  condizione  che  le
stesse  siano  rimpatriate  in  Italia  da  Stati  non   appartenenti
all'Unione  europea,  ovvero  regolarizzate  o  rimpatriate   perche'
detenute in Stati dell'Unione europea e in Stati aderenti allo Spazio
economico  europeo   che   garantiscono un   effettivo   scambio   di
informazioni fiscali in via amministrativa. Il comma  8  dispone  che
«le maggiori entrate derivanti dal presente articolo  affluiscono  ad
un'apposita contabilita' speciale per essere destinate alle finalita'
indicate  all'art.  16,  comma  3»,  cioe',  «in   conformita'   alle
indicazioni    contenute    nel    Documento    di     programmazione
economico-finanziaria per gli anni  2010-2013,  all'attuazione  della
manovra di bilancio per gli anni 2010 e seguenti». 
    Qualora l'art. 13-bis, comma  8,  nel  disporre  delle  «maggiori
entrate», si riferisse anche  a  quelle  riscosse  nell'ambito  della
provincia di Trento, esso  lederebbe  l'autonomia  finanziaria  della
provincia, regolata dal Titolo VI dello Statuto  speciale,  integrato
dalla legge n. 386/1989 e dal d.lgs. n. 268/1992, per le ragioni  che
in seguito si esporranno. 
    L'art. 22, d.l. n. 78/2009 si occupa del  settore  sanitario.  Il
comma 2 istituisce «un fondo con dotazione pari a 800 milioni di euro
a decorrere dall'anno  2010,  destinato  ad  interventi  relativi  al
settore sanitario, da definirsi con decreto del Ministro del  lavoro,
della salute e delle politiche sociali di concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento  e
di Bolzano», prevedendo che  con  intesa  da  stipulare  in  sede  di
Conferenza Stato-regioni siano «definiti gli importi, in  misura  non
inferiore a 50 milioni di euro» (a valere sulle risorse del fondo  di
cui allo stesso comma) «da destinare a programmi dedicati  alle  cure
palliative, ivi comprese quelle relative alle patologie  degenerative
neurologiche croniche invalidanti». 
    Il comma 3 dispone che «il fondo di cui al comma 2 e'  alimentato
dalle economie conseguenti alle  disposizioni  di  cui  all'art.  13,
comma 1, lettera  b),  del  decreto-legge  28  aprile  2009,  n.  39,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n.  77,  e
all'attivita' amministrativa dell'Agenzia italiana del farmaco  nella
determinazione del prezzo dei medicinali equivalenti di cui  all'art.
7, comma 1, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347». A tal  fine
«il tetto di spesa per l'assistenza farmaceutica territoriale di  cui
all'art. 5, comma 1, del decreto-legge 1° ottobre 2007,  n.  159,  e'
rideterminato in riduzione in valore assoluto di 800 milioni di  euro
a decorrere dall'anno 2010 e in termini percentuali nella misura  del
13,3 per cento a decorrere dal medesimo anno 2010». 
    Conseguentemente, «il livello del finanziamento  a  cui  concorre
ordinariamente lo Stato e' ridotto di 800 milioni di euro a decorrere
dall'anno 2010». In sede di stipula  del  Patto  per  la  salute  «e'
determinata la quota che le regioni a statuto speciale e le  Province
autonome di Trento e di Bolzano riversano  all'entrata  del  bilancio
dello Stato per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale». 
    L'art. 13, comma 1, lettera b), d.l. n. 39/2009 prevede che,  «al
fine di conseguire una  razionalizzazione  della  spesa  farmaceutica
territoriale:... per i medicinali  equivalenti  di  cui  all'art.  7,
comma  1,  del  decreto-legge  18  settembre  2001,  n.  347,...  con
esclusione dei medicinali originariamente coperti da brevetto  o  che
abbiano usufruito di licenze derivanti da tale brevetto, le quote  di
spettanza sul prezzo di vendita al pubblico al netto dell'imposta sul
valore aggiunto, stabilite dal primo periodo del comma 40 dell'art. 1
della legge 23 dicembre 1996, n. 662, sono cosi'  rideterminate:  per
le aziende farmaceutiche 58,65 per cento, per i  grossisti  6,65  per
cento e per i farmacisti 26,7 per cento». Il  comma  3  dell'art.  13
destina ad altri scopi «le complessive economie derivanti per  l'anno
2009 dalle disposizioni di cui al comma 1», per cui  e'  da  ritenere
che le «economie conseguenti alle disposizioni di  cui  all'art.  13,
comma 1, lettera b)», di cui  parla  l'art.  22,  comma  3,  d.l.  n.
78/2009, siano quelle relative agli anni successivi al 2009. 
    Dunque, l'art. 22 istituisce un fondo settoriale  a  destinazione
vincolata (ma generica, perche' si parla solo di «interventi relativi
al settore sanitario, da  definirsi  con  decreto  del  Ministro  del
lavoro, della salute e delle politiche sociali  di  concerto  con  il
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  sentita  la  Conferenza»
Stato-regioni) in materia di  competenza  provinciale  (tutela  della
salute), prevedendo che questo fondo sia alimentato con le  «economie
conseguenti alle disposizioni di cui all'art. 13,  comma  1,  lettera
b), del decreto-legge  28  aprile  2009,  n.  39,..  e  all'attivita'
amministrativa dell'Agenzia italiana del farmaco nella determinazione
del prezzo dei medicinali  equivalenti».  Poiche'  di  tali  economie
dovrebbe beneficiare anche la Provincia di Trento,  l'ultimo  periodo
dell'art. 22, comma 3, prevede che, «in sede di stipula del Patto per
la salute e' determinata la quota che le regioni a statuto speciale e
le Province autonome di Trento e di Bolzano riversano all'entrata del
bilancio dello Stato per  il  finanziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale». 
    Tali norme,  pero',  ledono  l'autonomia  della  provincia  nella
materia della tutela della salute  e  l'autonomia  finanziaria  della
provincia  stessa,  oltre   a   violare   il   principio   di   leale
collaborazione. 
    Dunque, tutte le norme sopra illustrate si pongono  in  contrasto
con le prerogative costituzionali della Provincia di  Trento  per  le
seguenti ragioni di 
 
                            D i r i t t o 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, commi da 1 a 4. 
    Come esposto in narrativa, l'art. 4, commi da 1 a 4,  attribuisce
ad organi statali il potere di individuare e  realizzare  determinati
interventi  relativi  alla   trasmissione   ed   alla   distribuzione
dell'energia, senza  prevedere  alcun  coinvolgimento  delle  regioni
interessate ne'  nel  momento  dell'individuazione  degli  interventi
(comma 1) ne' nel momento della nomina dei commissari (comma  2)  ne'
in quello della realizzazione degli interventi (commi 2 e 3). 
    In particolare, l'art. 4  comma  1  (modificato  dalla  legge  di
conversione n. 102/2009 e sostituito dall'art. 1,  comma  1,  lettera
a), n. 1), d.l. 3 agosto 2009, n. 103), dispone che il Consiglio  dei
ministri,  su  proposta  dei  Ministri  competenti,  «individua   gli
interventi  relativi  alla   trasmissione   ed   alla   distribuzione
dell'energia, nonche', d'intesa con le regioni e le province autonome
interessate, gli interventi relativi alla produzione dell'energia, da
realizzare con capitale prevalentemente o interamente privato, per  i
quali ricorrono particolari ragioni di urgenza  in  riferimento  allo
sviluppo socio-economico e che devono essere effettuati con  mezzi  e
poteri straordinari». 
    Le disposizioni impugnate,  e  in  particolare  il  comma  1,  si
riferiscono genericamente ad «interventi relativi  alla  trasmissione
ed alla distribuzione dell'energia» e di  «interventi  relativi  alla
produzione dell'energia», senza  distinguere  in  base  alla  portata
dell'impianto o della rete, e senza menzionare affatto  la  Provincia
autonoma di Trento. 
    Se   ne    dovrebbe    dedurre    -    secondo    il    principio
dell'interpretazione costituzionalmente conforme  -  che  per  quanto
riguarda  il  territorio  provinciale  gli  interventi   statali   si
riferiscono solo a quanto eccettuato dalla competenza provinciale  ai
sensi dell'art. 01, comma 3, d.P.R. n.  235/1977,  e  sempre  con  la
salvezza di quanto disposto per ogni tipo di intervento dall'art.  14
dello statuto e dall'art. 9 dello stesso d.P.R. n. 235 del 1977. 
    Se cosi' non fosse, tuttavia, cioe' se i commi da 1 a 3 dovessero
intendersi come riferiti - anche per la Provincia di Trento - a tutti
gli impianti e a  tutte  le  reti,  essi  sarebbero  illegittimi  per
violazione dell'art. 8, commi  5,  6,  17,  19  e  22  dello  statuto
speciale, sopra gia' menzionati, e dell'art. 16  dello  statuto,  che
attribuisce alle  province  competenza  amministrativa  nelle  stesse
materie in cui hanno potesta' legislativa. Inoltre, l'art.  4,  commi
da 1 a 3, violerebbe specificamente l'art. 01,  d.P.R.  n.  235/1977,
che prevede la competenza statale solo per  certi  impianti  e  reti,
come visto, e l'art. 4, comma 1, del decreto legislativo n.  266  del
1992, il quale esclude che la  legge  possa  attribuire  agli  organi
statali - nelle materie di competenza propria delle province autonome
- funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza,  di  polizia
amministrativa  e  di  accertamento  di  violazioni   amministrative,
diverse da quelle spettanti allo Stato secondo, appunto,  lo  statuto
speciale e le relative norme di attuazione. 
    Ne' la competenza statale potrebbe giustificarsi sulla  base  del
riferimento alle «particolari ragioni di urgenza in riferimento  allo
sviluppo socio-economico» e del  fatto  che  gli  interventi  «devono
essere effettuati con mezzi e poteri straordinari« (art. 4, comma 1).
Tali circostanze  non  basterebbero  a  giustificare  una  competenza
statale esclusa dalle norme di attuazione appena citate  e,  inoltre,
e' da osservare che, poiche' gli interventi devono essere  realizzati
«con capitale prevalentemente o interamente privato», la stessa legge
smentisce  la  particolare  urgenza   dell'intervento,   perche'   la
disponibilita' del capitale privato e' per definizione non garantita;
se l'intervento fosse davvero urgente, la legge avrebbe  direttamente
stanziato una somma. 
    Ne', per quanto riguarda le  attivita'  che  spettano  agli  enti
locali, vi e' ragione alcuna per la quale  esse  non  possano  essere
assicurate, eventualmente anche  in  via  sostitutiva,  dalla  stessa
Provincia  autonoma  di  Trento,  titolare  delle  competenze   nella
materia. 
    Anche nel  caso  in  cui  si  riferiscano  -  per  il  territorio
provinciale - ad opere diverse da quelle trasferite alla provincia ai
sensi dell'art. 01, d.P.R. n.  235/1977  (ed  ovviamente  a  maggiore
ragione ove si riferiscano anche ad  esse)  -  e  fermo  restando  il
diritto statutario della provincia di esprimere il proprio parere  su
ogni tipo di opere anche statali relative al settore dell'energia  ex
art. 14, comma 1 statuto - le norme  impugnate  risultano  ad  avviso
della ricorrente provincia comunque illegittime. 
    Si tratta infatti della attribuzione di compiti amministrativi ad
organi statali in materia di competenza concorrente,  di  regola  non
ammissibile. 
    Ove  tuttavia  dovesse   ritenersi   che   l'assegnazione   delle
competenze ad organi statali, in  deroga  al  normale  riparto  delle
competenze legislative  stabilite  dall'art.  117,  terzo  comma,  si
giustifichi in quanto si tratta di interventi «per i quali  ricorrono
particolari  ragioni  di  urgenza  in   riferimento   allo   sviluppo
socio-economico e che devono essere effettuati  con  mezzi  e  poteri
straordinari», l'alterazione dell'ordinario assetto delle  competenze
dovrebbe pero' trovare la compensazione dell'intesa con le regioni  o
province autonome interessate: intesa che nel caso e'  prevista  solo
per  l'individuazione  degli  interventi  relativi  alla   produzione
dell'energia,  e  non  per  quelli  relativi  alla   trasmissione   e
distribuzione dell'energia. 
    Sembra del tutto evidente che di tale differenziazione non vi  e'
ne' vi puo' essere ragione alcuna, al punto che puo' supporsi che  si
tratti di una svista nella redazione legislativa  tanto  e'  evidente
che  le  regioni  e  le  province  autonome  sono  interessate   alla
realizzazione di  interventi  «relativi  alla  trasmissione  ed  alla
distribuzione dell'energia» non  meno  che  a  quelli  relativi  alla
«produzione».  In  aggiunta  alla  considerazione  della   competenza
costituzionale nella specifica materia, va  anche  osservato  che  la
trasmissione   dell'energia   avviene    principalmente    con    gli
elettrodotti, cioe' con i tralicci ad alta tensione a  forte  impatto
ambientale e paesaggistico. 
    Tuttavia, tale svista - se di svista si tratta - non puo'  essere
corretta in sede interpretativa, dal momento che il testo  e'  chiaro
nel prevedere l'intesa in un caso e non nell'altro. 
    Di qui l'illegittimita' costituzionale del comma 1, in quanto non
prevede tale intesa in relazione alla  trasmissione  e  distribuzione
dell'energia. 
    Il  comma  2  prevede  che  per  la  realizzazione  dei  predetti
interventi e con le medesime modalita'  si  prevede  la  nomina,  con
deliberazione del Consiglio dei ministri, di uno  o  piu'  Commissari
straordinari del Governo ai sensi dell'art.  11,  legge  n.  400/1988
(comma 2). 
    Anche in questo caso, ribadito che per le competenze statuarie  e
derivanti dalle norme di attuazione  non  potrebbe  la  realizzazione
delle opere essere affidata ad un commissario statale, ove invece  in
relazione alla competenza concorrente  di  cui  all'art.  117,  terzo
comma, della  Costituzione  si  ritenesse  legittima  (in  forza  del
principio di sussidiarieta' di cui  all'art.  118,  primo  comma)  la
nomina di commissari statali, dovrebbe ugualmente valere il principio
dell'intesa, che invece e' previsto, attraverso il rinvio al comma 1,
per le sole opere di produzione dell'energia. Di  qui  in  ogni  caso
l'illegittimita' costituzionale del comma 2  per  non  aver  previsto
l'intesa anche sulla nomina di commissari statali in  relazione  alle
opere di trasmissione e distribuzione  dell'energia,  per  le  stesse
ragioni sopra esposte. 
    I compiti dei commissari sono definiti  dal  comma  3,  il  quale
(nella versione modificata dal decreto-legge n. 103/2009)  stabilisce
che ciascun commissario, «sentiti gli enti locali interessati,  emana
gli atti e i provvedimenti,  nonche'  cura  tutte  le  attivita',  di
competenza delle amministrazioni pubbliche che non abbiano rispettato
i termini previsti dalla legge o  quelli  piu'  brevi,  comunque  non
inferiori alla meta', eventualmente fissati in  deroga  dallo  stesso
commissario,   occorrenti    all'autorizzazione    e    all'effettiva
realizzazione  degli  interventi,  nel  rispetto  delle  disposizioni
comunitarie, avvalendosi ove necessario dei poteri di sostituzione  e
di deroga di cui all'art. 20, comma 4, del decreto-legge 29  novembre
2008, n. 185» (comma 3, come modificato dal d.l. n. 103/2009). 
    Anche in questo caso la norma risulta illegittima in  quanto  non
prevede  che  i  provvedimenti   relativi   alla   autorizzazione   e
realizzazione  degli  interventi  vengano  assunti  d'intesa  con  la
provincia autonoma. Non si comprende perche' il comma  3  preveda  il
coinvolgimento degli enti locali e non quello delle regioni, titolari
costituzionali dei poteri legislativi e di allocazione delle funzioni
amministrative  nelle  materie  dell'energia  e   del   governo   del
territorio  ed  evidentemente  interessate  dalla  realizzazione   di
interventi che non hanno certo ambito infracomunale. 
    In relazione a tutti e  tre  i  cottimi  sopra  considerati  deve
essere ulteriormente argomentato che  gia'  da  tempo  codesta  Corte
costituzionale ha sancito la necessita' dell'intesa  con  la  regione
interessata per la localizzazione e realizzazione di opere  «gestite»
da organi centrali in virtu' del principio di sussidiarieta'. Cio' e'
accaduto sin dalla sentenza fondante n. 303  del  2003,  nella  quale
espressamente si afferma che «per giudicare se una legge statale  che
occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o  non
costituisca invece applicazione  dei  principi  di  sussidiarieta'  e
adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la  previsione  di
un'intesa fra lo Stato e  le  regioni  interessate,  alla  quale  sia
subordinata l'operativita' della disciplina» (punto 4.1 in  diritto):
ed e' esattamente questo  valore  che  nella  stessa  sentenza  viene
attribuito all'intesa regionale rispetto  al  Programma  delle  opere
strategiche approvato dal CIPE in base alla legge n. 443 del 2001. 
    Questo principio e' stato  ribadito  proprio  in  relazione  alla
materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia
elettrica» dalla sentenza n. 6 del 2004, nella quale la  legittimita'
costituzionale della normativa statale impugnata e'  stata  affermata
proprio  in   ragione   della   circostanza   che   «l'autorizzazione
ministeriale per il singolo impianto "e' rilasciata a seguito  di  un
procedimento unico, al quale partecipano le amministrazioni statali e
locali   interessate,   svolto   nel   rispetto   dei   principi   di
semplificazione e con le modalita' di cui alla legge 7  agosto  1990,
n.  241,  e  successive  modificazioni,  d'intesa  con   la   regione
interessata"» (punto 7 in diritto). Ed in questa occasione  la  Corte
ha sottolineato che si deve trattare di «un'intesa "forte", nel senso
che il suo mancato raggiungimento costituisce  ostacolo  insuperabile
alla conclusione del procedimento - come, del resto, ha  riconosciuto
anche l'Avvocatura dello Stato - a causa del particolarissimo impatto
che una struttura produttiva di questo tipo ha su tutta una serie  di
funzioni regionali relative al governo del  territorio,  alla  tutela
della salute, alla valorizzazione dei beni culturali  ed  ambientali,
al turismo, etc.». 
    Anche la sentenza n. 62/2005, che  riguarda  la  questione  dello
stoccaggio dei rifiuti nucleari, ribadisce che, quando gli interventi
necessari realizzati dallo Stato in vista  di  interessi  unitari  di
tutela ambientale «concernono l'uso del territorio, e in  particolare
la realizzazione di opere e di insediamenti atti  a  condizionare  in
modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole  aree,  l'intreccio,
da un lato, con la competenza regionale  concorrente  in  materia  di
governo del territorio, oltre che  con  altre  competenze  regionali,
dall'altro lato con gli interessi  delle  popolazioni  insediate  nei
rispettivi  territori,  impone  che  siano  adottate   modalita'   di
attuazione degli  interventi  medesimi  che  coinvolgano,  attraverso
opportune forme di collaborazione, le regioni sul cui territorio  gli
interventi sono destinati a realizzarsi (cfr.  sentenza  n.  303  del
2003)» (punto 16 diritto). Di seguito la sentenza rileva che nel caso
era stato prevista sulla individuazione  del  sito  l'intesa  con  la
Conferenza unificata, e valuta come corretta questa previsione.  Essa
tuttavia prosegue osservando che «quando pero', una volta individuato
il sito, si debba provvedere alla sua "validazione",  alla  specifica
localizzazione  e  alla  realizzazione   dell'impianto,   l'interesse
territoriale da prendere  in  considerazione  e  a  cui  deve  essere
offerta, sul piano costituzionale, adeguata tutela, e'  quello  della
regione nel cui territorio l'opera e' destinata ad essere ubicata», e
che  «non  basterebbe   piu',   a   questo   livello,   il   semplice
coinvolgimento della Conferenza unificata, il cui intervento non puo'
sostituire  quello,  costituzionalmente  necessario,  della   singola
regione interessata» (punto 17 in Diritto). 
    Il principio della necessaria intesa con la  regione  interessata
viene ulteriormente ribadito - in  un  giudizio  promosso  da  questa
provincia - con la sentenza  n.  383  del  2005,  in  relazione  alla
individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti  strategici,
ove pure si afferma la necessita' «che anche tale individuazione  sia
effettuata  d'intesa  con  le  regioni   e   le   province   autonome
interessate» (punto 25 in Diritto). 
    Si puo' infine segnalare che la stessa  Commissione  parlamentare
per le questioni regionali, nel parere del 29 luglio 2009, ha chiesto
che  «si  ripristini  il  testo  originario  del  decreto-legge   che
prevedeva l'intesa con le regioni e le province autonome  interessate
non  solo  per  l'individuazione  degli  interventi   relativi   alla
produzione  dell'energia,  ma  anche   per   l'individuazione   degli
interventi  relativi   alla   trasmissione   e   alla   distribuzione
dell'energia  da  realizzare  con  capitale  privato,  per  i   quali
ricorrano particolari ragioni di urgenza in riferimento allo sviluppo
socio-economico». 
    Ne risulta confermata l'illegittimita' delle norme censurate,  in
subordine  ai  motivi  fondati  sullo  statuto  e  sulle   norme   di
attuazione, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.,
e del principio di leale  collaborazione,  nella  parte  in  cui  non
prevedono  un'intesa  «forte»  della  provincia  sia  per  l'atto  di
individuazione degli interventi relativi alla  trasmissione  ed  alla
distribuzione dell'energia sia per l'atto di  nomina  dei  commissari
sia per gli atti adottati dai commissari. 
    Infine, il sistema provinciale di realizzazione degli  interventi
relativi alla  distribuzione  dell'energia,  fondato  sugli  articoli
1-ter e 2 del d.P.R. n. 235 del  1909  e  sul  Piano  provinciale  di
distribuzione approvato con  delibera  n.  882  dell'11  aprile  2003
assicura in modo adeguato il  necessario  coinvolgimento  degli  enti
locali del territorio, non assicurato  invece  negli  stessi  termini
dalle disposizioni qui impugnate. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 99-bis, comma 5,  secondo,
terzo e quarto periodo. 
    Come esposto in narrativa, le norme impugnate prevedono un potere
sostanzialmente  regolamentare  del  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri al fine di fissare «i criteri  per  la  rideterminazione,  a
decorrere dall'anno 2009, dell'ammontare  dei  proventi  spettanti  a
regioni e province  autonome,  compatibilmente  con  gli  statuti  di
autonomia delle regioni ad autonomia speciale e delle citate province
autonome, ivi compresi quelli  afferenti  alla  compartecipazione  ai
tributi  erariali  statali».  Lo  scopo  e'  quello   di   «garantire
disponibilita'  finanziarie  complessivamente  non  inferiori  a  300
milioni di euro annui», destinate «ad un  fondo  da  istituire  nello
stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia  e  delle
finanze  per  le  attivita'  di  carattere  sociale   di   pertinenza
regionale»; si prevede poi che  il  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze provvede ad attuare con proprio decreto i  criteri  stabiliti
dalla Conferenza Stato-Regioni per la distribuzione delle risorse  in
questione. 
    Per giustificare tale potere regolamentare l'art. 9-bis, comma 5,
invoca lo  «scopo  di  assicurare  la  tutela  dei  diritti  e  delle
prestazioni sociali fondamentali su tutto il  territorio  nazionale»,
cioe' una  competenza  statale  esclusiva  ai  sensi  dell'art.  117,
secondo comma, della Costituzione. 
    In realta', tuttavia, e' evidente che l'art. 9-bis, comma 5,  non
definisce alcun livello essenziale delle prestazioni  sociali  ma  si
limita a prevedere un fondo «per le attivita' di carattere sociale di
pertinenza regionale», e che dunque la norma non puo' ricondursi alla
competenza statale di cui all'art. 1l7, secondo comma, lettera m)  ma
incide sulle materie della finanza regionale e dei servizi sociali. 
    L'art. 9-bis, comma 5, contiene,  come  visto,  una  clausola  di
salvaguardia delle autonomie speciali, ma si tratta di  una  clausola
di difficile applicazione, perche' la  disposizione  presuppone  che,
comunque, anche le province autonome debbano essere  coinvolte  dalla
rideterminazione, a  decorrere  dall'anno  2009,  dell'ammontare  dei
proventi spettanti a regioni  e  province  autonome»,  come  conferma
anche l'ultimo periodo del comma 5,  che  prevede  «la  distribuzione
delle risorse di cui al presente  comma  tra  le  singole  regioni  e
province autonome». Ora, il comma 5 richiede che la  rideterminazione
avvenga  «compatibilmente  con  gli  statuti  di  autonomia»:  ma  il
punto e' che nessuna rideterminazione  dei  proventi  spettanti  alla
Provincia di Trento puo' essere compiuta legittimamente con d.P.C.m.,
cioe' con un atto sostanzialmente regolamentare. 
    Infatti, come  noto  le  entrate  delle  province  autonome  sono
regolate dagli artt. 69 ss. dello Statuto speciale,  integrato  dalla
legge n. 386/1989 e dal d.lgs. n. 268/1992, e tutte  tali  fonti  non
sono modificabili o derogabili dalla legge ordinaria e tanto meno  da
un atto sostanzialmente regolamentare. Modifiche ed  integrazioni  di
tale disciplina possono avvenire solo con fonte  primaria  e  con  il
consenso delle province autonome, come risulta  dall'art.  104  dello
statuto e dall'art. 107, che disciplina il procedimento di attuazione
statutaria.   In   particolare,   i    proventi    «afferenti    alla
compartecipazione  ai  tributi  erariali   statali»,   specificamente
menzionati dal comma 5 sono  regolati  dagli  artt.  75  e  78  dello
statuto speciale e dagli artt. 5, 6, 7, 9, 10  e  11  del  d.lgs.  n.
268/1992. 
    Dunque, l'art. 9-bis, comma 5, secondo  periodo,  e'  illegittimo
per  violazione  delle  norme  -  sopra  citate  -  che   configurano
l'autonomia finanziaria della Provincia di Trento e degli artt. 104 e
107 dello statuto, che prevedono fonti primarie e «condivise» per  la
modifica e l'integrazione della disciplina statutaria. 
    L'art. 104, comma primo, in particolare richiede  necessariamente
un preventivo accordo tra il Governo  e  la  regione  o  le  province
autonome affinche' sia  consentito  introdurre  con  legge  ordinaria
modificazioni al predetto Titolo VI dello statuto  speciale.  Dunque,
neppure  una  legge  ordinaria  (non  concordata  con  la  provincia)
potrebbe fissare «i criteri  per  la  rideterminazione,  a  decorrere
dall'anno 2009, dell'ammontare dei proventi  spettanti  a  regioni  e
province autonome», e tanto meno puo' farlo un  atto  sostanzialmente
regolamentare: di qui anche la violazione dell'art. 117, sesto comma,
che limita i regolamenti statali alle materie di competenza esclusiva
dello Stato. 
    In virtu' del principio consensuale che  domina  la  materia  dei
rapporti finanziari Stato-regioni speciali (su cio' v. il motivo  4),
il secondo periodo del comma 5 dovrebbe prevedere  l'accordo  con  le
province autonome per quanto attiene alla compatibilita' del d.P.C.m.
con l'autonomia finanziaria delle province stesse. 
    Non e' certo sufficiente, per soddisfare il  principio  di  leale
collaborazione,   la   previsione   del   parere   della   Conferenza
Stato-regioni e del parere espresso in sede di tavolo di confronto di
cui all'art. 27, comma 7, legge n. 42 del 2009. 
    Converra' ricordare, per una migliore comprensione,  che  secondo
tale ultima disposizione, «al fine di assicurare  il  rispetto  delle
norme fondamentali della presente legge e dei principi  che  da  essa
derivano, nel rispetto  delle  peculiarita'  di  ciascuna  regione  a
statuto speciale e  di  ciascuna  provincia  autonoma,  e'  istituito
presso la Conferenza permanente per  i  rapporti  tra  lo  Stato,  le
regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, in  attuazione
del principio di leale collaborazione, un tavolo di confronto tra  il
Governo e ciascuna regione a statuto speciale  e  ciascuna  provincia
autonoma, costituito dai Ministri per i rapporti con le regioni,  per
le riforme per il  federalismo,  per  la  semplificazione  normativa,
dell'economia e delle finanze e per le politiche europee nonche'  dai
Presidenti  delle  regioni  a  statuto  speciale  e  delle   province
autonome». 
    A parte la circostanza che si tratta  qui  di  pareri  e  non  di
un'intesa, essi non potrebbero  in  ogni  caso  supplire  al  difetto
dell'accordo con la Provincia autonoma di Trento, nei  termini  sopra
illustrati.  Di  qui  comunque  l'illegittimita'  della  disposizione
impugnata. 
    Inoltre, il secondo periodo del comma 5  viola  il  principio  di
legalita' sostanziale, dato  che  l'unico  criterio  contenuto  nella
disposizione legislativa e' di tipo quantitativo:  il  d.P.C.m.  deve
«garantire disponibilita' finanziarie complessivamente non  inferiori
a 300 milioni di euro annui e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri
per la finanza pubblica». La violazione del  principio  di  legalita'
sostanziale  nella  previsione  di  un  atto  governativo  limitativo
dell'autonomia  della  provincia  si   traduce   in   lesione   delle
prerogative costituzionali di questa, come piu' volte ha riconosciuto
codesta Corte. Cosi', la sent. n. 425/2004 ha dato atto che in  forza
del principio di legalita'  sostanziale  «l'esercizio  di  un  potere
politico-amministrativo incidente sull'autonomia  regionale  (nonche'
sull'autonomia  locale)  puo'  essere  ammesso  solo  sulla  base  di
previsioni  legislative  che  predeterminino  in  via   generale   il
contenuto  delle   statuizioni   dell'esecutivo,   delimitandone   la
discrezionalita' (cfr. sentenze n. 150 del 1982, n. 384 del 1992,  n.
301 del 2003)». 
    La legittimazione delle regioni a far valere  la  violazione  del
principio  di  legalita'  sostanziale  risulta  anche  dalle   sentt.
425/1999 («tale principio... costituisce un aspetto della loro [delle
regioni]  stessa  posizione  che  queste  ultime  sono  abilitate   a
difendere nel giudizio costituzionale») e 355/1992. 
    Il  terzo  ed  il  quarto  periodo  dell'art.  9-bis,  comma   5,
dispongono, rispettivamente  che  le  risorse  cosi'  generate  siano
«assegnate ad un fondo da istituire nello stato di  previsione  della
spesa del Ministero dell'economia e delle finanze per le attivita' di
carattere  sociale  di  pertinenza  regionale»,  e  che  in  sede  di
Conferenza Stato-regioni «sono stabiliti, entro trenta  giorni  dalla
data di entrata in vigore del decreto di cui al secondo  periodo  del
presente comma,  criteri  e  modalita'  per  la  distribuzione  delle
risorse di cui al presente comma tra le singole  regioni  e  province
autonome, che il Ministro dell'economia e delle finanze  provvede  ad
attuare con proprio decreto». 
    Ad avviso della ricorrente provincia autonoma, tali  disposizioni
sono anch'esse illegittime in quanto prevedono un fondo settoriale in
una materia che rientra nella competenza piena  della  provincia,  ai
sensi dell'art. 117, quarto comma, e dell'art. 101 Cost. 3/2001  (v.,
ad es., la recente sent. 209/2009, riguardante proprio  la  Provincia
di Trento), con l'anomalia dell'istituzione del fondo «nello stato di
previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle  finanze»,
anziche' presso il Ministero competente. Ne'  questo  fondo  si  puo'
giustificare in virtu' del  principio  di  sussidiarieta',  dato  che
nessuna esigenza  unitaria  risulta  dalla  legge  che,  anzi,  parla
espressamente  di  «attivita'  di  carattere  sociale  di  pertinenza
regionale». 
    L'illegittimita' non viene meno  per  il  fatto  che  «criteri  e
modalita' per la distribuzione delle risorse di cui al presente comma
tra le singole  regioni  e  province  autonome»  sono  fissati  dalla
Conferenza Stato-regioni: comunque, ne risulta un condizionamento per
l'autonomia provinciale nella materia dei servizi sociali. 
    Dunque, il terzo  ed  il  quarto  periodo  sono  illegittimi  per
violazione dell'autonomia finanziaria della provincia, quale  risulta
dalle norme sopra citate (dato che una quota  dei  proventi  generali
della provincia viene destinata dallo Stato al  settore  dei  servizi
sociali) e dell'autonomia legislativa della provincia  nella  materia
dei servizi sociali (dato che le scelte  della  provincia  in  questa
materia sono destinate ad essere condizionate  dalla  delibera  della
Conferenza). 
    Infine, si puo' osservare  che  risulta  paradossale  -  e  quasi
irridente - cercare di giustificare l'istituzione di un fondo statale
settoriale  in  materia  regionale  con   l'intento   di   anticipare
l'«attuazione delle misure connesse alla realizzazione di un  sistema
di federalismo fiscale»: non a caso, la Commissione parlamentare  per
le  questioni  regionali,  nel  parere  del  29   luglio   2009,   ha
sottolineato «l'opportunita'  di  verificare  la  effettiva  coerenza
della disposizione di cui al comma 5 - relativa alla costituzione  di
un  fondo  per  le  attivita'  di  carattere  sociale  di  pertinenza
regionale alimentato dai  risparmi  conseguenti  la  rideterminazione
dell'ammontare dei proventi spettanti a regioni e province  autonome,
compresi quelli derivanti dalle compartecipazioni ai tributi erariali
- con i principi dettati dalla legge n.  42/2009  e  con  il  disegno
generale avviato dalla legge stessa basato sull'autonomia di  entrata
e di spesa di ciascun ente, nonche' sulla copertura delle  spese  per
il finanziamento delle funzioni considerate essenziali attraverso  il
gettito di entrate tributarie secondo  aliquote  fissate  al  livello
minimo  sufficiente  ad  assicurare  il   pieno   finanziamento   del
fabbisogno in una singola regione». 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13-bis, comma 8. 
    Il comma 1  dell'art.  13-bis  istituisce,  a  certe  condizioni,
un'imposta straordinaria sulle attivita' finanziarie  e  patrimoniali
detenute fuori del territorio dello Stato. Il comma 8 dispone che «le
maggiori entrate  derivanti  dal  presente  articolo  affluiscono  ad
un'apposita   contabilita'    speciale    per    essere    destinate»
all'attuazione  della  manovra  di  bilancio  per  gli  anni  2010  e
seguenti. 
    L'art. 13-bis non menziona specificamente le  province  autonome,
per  cui  non  e'  chiaro  se  realmente  tale  disposizione  intenda
sottrarre   alla   provincia   le   entrate   tributarie    derivanti
dall'applicazione dell'art. 13-bis e relative a soggetti residenti (o
aventi sede) nel territorio provinciale. 
    In tale situazione di non chiarezza dovrebbe, infatti,  prevalere
l'interpretazione  che  fa  salva   l'autonomia   finanziaria   della
provincia come definita dallo statuto. La  presente  impugnazione  e'
dunque prospettata per l'ipotesi che la disposizione del comma 8 vada
intesa nel senso di riservare al  bilancio  statale  anche  la  quota
delle entrate di competenza della provincia. 
    In questo caso, infatti, essa lederebbe  l'autonomia  finanziaria
della provincia, regolata  dal  Titolo  VI  dello  statuto  speciale,
integrato dalla legge n.  386/1989  e  dal  d.lgs.  n.  268/1992.  In
particolare, il comma 8 violerebbe l'art. 75,  comma  1,  lettera  g)
dello statuto, secondo cui spettano alle province «i nove  decimi  di
tutte le altre entrate  tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,
comunque denominate», e gli artt. 9 e 10, commi  6  e  7,  d.lgs.  n.
268/1992,  in  quanto  esso  riserverebbe  allo  Stato  la  quota  di
spettanza della provincia in assenza dei presupposti indicati da tali
disposizioni. 
    L'art. 9, in particolare, stabilisce che «il gettito derivante da
maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione  di  nuovi  tributi»  e'
riservato allo  Stato  da  un  lato  «se  destinato  per  legge,  per
finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma
1, lettera b), dell'art. 10-bis, alla copertura, ai  sensi  dell'art.
81 della Costituzione, di nuove specifiche  spese  di  carattere  non
continuativo che non rientrano  nelle  materie  di  competenza  della
regione o delle province, ivi comprese quelle  relative  a  calamita'
naturali»,  dall'altro  «purche'  risulti  temporalmente  delimitato,
nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio  statale  e  quindi
quantificabile». Ora, pare chiaro che  la  destinazione  delle  nuove
entrate tributarie  (stabilita  dall'art.  16,  comma  3,  richiamato
dall'art.  13-bis,  comma  8),  «in  conformita'   alle   indicazioni
contenute nel Documento di programmazione  economico-finanziaria  per
gli anni 2010-2013, all'attuazione della manovra di bilancio per  gli
anni 2010 e seguenti», non concreta alcuno  dei  presupposti  di  cui
all'art. 9, d.lgs. n. 268/1992, non essendo previsti  ne'  le  «spese
specifiche», ne' il «carattere non  continuativo»  ne'  l'estraneita'
alle materie regionali. 
    Di qui l'illegittimita' della norma in questione. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 22, commi 2 e 3. 
    Va premesso  che  l'art.  34,  comma  3,  legge  n.  724/1994  ha
stabilito, quale concorso delle  province  autonome  al  riequilibrio
della finanza pubblica nazionale, che «la regione Valle d'Aosta e  le
Province autonome di Trento e Bolzano provvedono al finanziamento del
Servizio sanitario nazionale nei rispettivi  territori,  senza  alcun
apporto   a   carico   del   bilancio   dello    Stato    utilizzando
prioritariamente le entrate derivanti dai contributi sanitari ad esse
attribuiti dall'art. 11, comma 9, del d.lgs.  30  dicembre  1992,  n.
502, e successive modificazioni ed integrazioni, e, ad  integrazione,
le risorse dei propri bilanci». 
    Quindi,  in  Provincia  di  Trento  il  servizio   sanitario   e'
finanziato - essenzialmente  -  con  le  risorse  generali  che  alla
provincia  spettano  in  virtu'  delle  norme  che   ne   configurano
l'autonomia finanziaria, cioe' in virtu' degli  artt.  69  ss.  dello
statuto speciale, della legge n. 386/1989 e del d.lgs. n. 268/1992. 
    Come noto, alle norme del Titolo VI dello  statuto  speciale  non
puo'  derogare  una  legge  ordinaria  (se  non  col  consenso  delle
province: art. 104 st.), cosi' come una legge non puo' derogare  alle
norme del d.lgs. n. 268/1992, dato che le norme di  attuazione  hanno
competenza separata e riservata  e  forza  prevalente  rispetto  alle
leggi, in base a consolidata giurisprudenza costituzionale. 
    Dunque, le risorse che affluiscono  al  bilancio  provinciale  in
base alle  norme  statutarie  e  di  attuazione  non  possono  essere
«distratte» da una legge ordinaria e destinate ad uno scopo da questa
definito. 
    Questo e' invece esattamente  l'effetto  prodotto  dall'art.  22,
comma 3. Le «economie conseguenti alle disposizioni di  cui  all'art.
13, comma 1, lettera b), del decreto-legge 28  aprile  2009,  n.  39,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n.  77,  e
all'attivita' amministrativa dell'Agenzia italiana del farmaco  nella
determinazione  del  prezzo  dei  medicinali  equivalenti»  non  sono
economie che si producono in relazione  a  risorse  statali,  che  lo
Stato ha erogato alla Provincia di Trento per  il  finanziamento  del
servizio sanitario, ma sono economie che si producono in relazione  a
risorse proprie della  provincia,  che  la  provincia,  «senza  alcun
apporto a carico del bilancio dello Stato»  (cosi'  l'art.  34  sopra
citato) ha destinato al servizio sanitario. 
    Ne' varrebbe replicare che tali economie si  producono  in  forza
della legge statale. La non fondatezza di tale  argomento  si  rivela
solo che si pensi che l'azione dello Stato, che questa volta viene  a
determinare un risparmio, altre volte viene invece a  determinare  un
maggior  costo,  ad  esempio  in  caso  di  espansione  dei   livelli
essenziali delle prestazioni: ed a tale maggior  costo  la  provincia
deve far fronte con le proprie risorse, senza poter contare su alcuna
contribuzione da parte dello Stato.  Allo  stesso  modo,  dunque,  la
provincia nulla ha da dare ove la decisione dello  Stato  produca  un
risparmio. 
    E' evidente, dunque, che la  provincia  deve  far  fronte  con  i
propri mezzi al costo del servizio sanitario, e  che  la  circostanza
che tale costo possa essere influenzato in piu'  o  (come  in  questo
caso) in meno da decisioni statali non incide affatto sulla esclusiva
titolarita'  provinciale  delle  somme  che  affluiscono  al  proprio
bilancio in attuazione dello statuto e delle norme di attuazione. 
    Il comma 3, dunque, la' dove prevede che «in sede di stipula  del
Patto per la salute e' determinata la quota che le regioni a  statuto
speciale e le Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano  riversano
all'entrata  del  bilancio  dello  Stato  per  il  finanziamento  del
Servizio sanitario nazionale», viola  l'autonomia  finanziaria  della
provincia perche' prevede che una quota delle risorse  affluite  alla
provincia in attuazione delle norme statutarie e di attuazione  siano
attribuite allo Stato. Il legislatore costituzionale e  le  norme  di
attuazione hanno attribuito certe risorse alla Provincia di Trento  e
la legge ordinaria non puo' «espropriare» una quota di tali risorse a
favore dello Stato,  neppure  se  si  tratta  di  risorse  che  erano
destinate al finanziamento del servizio sanitario e che la  provincia
«risparmia» per effetto delle economie di cui all'art. 22,  comma  3.
Se la provincia gode di un risparmio per effetto  delle  economie  di
cui all'art. 22, comma  3,  decidera'  autonomamente  come  impiegare
quelle risorse  per  migliorare  il  servizio  sanitario  ma  non  e'
costituzionalmente legittimo che una legge statale  attribuisca  allo
Stato  risorse  che  spettano  alla  provincia  in  virtu'  di  norme
statutarie e di attuazione. 
    Si noti che la lesione non viene meno per il fatto che «la  quota
che le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento  e
di  Bolzano  riversano  all'entrata  del  bilancio  dello  Stato»  e'
determinata in sede di stipula del Patto  per  la  salute:  in  primo
luogo, tale norma presuppone comunque  un  dovere  di  «girare»  allo
Stato risorse appartenenti al bilancio provinciale; in secondo luogo,
il  Patto  per  la  salute  e'  concluso  in   sede   di   Conferenza
Stato-regioni,  per  cui  non  si  puo'  parlare  di  un   intervento
codecisorio della Provincia di Trento neppure nella  definizione  del
quantum. 
    Dunque, l'art. 22, comma 3, e' incostituzionale in quanto prevede
che anche la Provincia di Trento  debba  riversare  una  quota  delle
proprie risorse, ad esse spettanti in virtu' di norme non  derogabili
da leggi statali, al bilancio dello Stato, per effetto delle economie
nella spesa farmaceutica. 
    Ne', ancora, l'art. 22, commi 2  e  3,  potrebbero  giustificarsi
invocando la necessita' di risanare la finanza pubblica ed il  potere
statale di coordinamento di essa. Le norme  impugnate  non  mirano  a
produrre un risparmio per il bilancio statale ma sono norme di spesa,
che istituiscono un fondo a destinazione vincolata ma  generica  («E'
istituito un fondo con  dotazione  pari  a  800  milioni  di  euro  a
decorrere dall'anno 2010, destinato ad interventi relativi al settore
sanitario, da definirsi con decreto del Ministro  del  lavoro,  della
salute e delle politiche sociali»). Dunque, le  norme  impugnate  non
realizzano alcun risparmio  ma  si  limitano  a  «spostare»  risorse:
risorse che erano destinate alle regioni  (ordinarie)  per  la  spesa
farmaceutica vengono riaccentrate allo Stato e destinate ad un  fondo
gestito a  livello  ministeriale.  Come  si  puo'  vedere,  le  norme
impugnate non  sono  riconducibili  al  coordinamento  della  finanza
pubblica. Esse rientrano nella materia della «tutela della salute» e,
dunque, risultano illegittime anche perche'  incidono  sull'autonomia
legislativa ed amministrativa  della  provincia  in  quella  materia,
autonomia risultante dall'art. 117, terzo comma, Cost. (in  combinato
con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001) e dal  d.P.R.  n.  474/1975  ed
esercitata con la  l.p.  n.  10/1993.  Infatti,  le  norme  impugnate
sottraggono alla  provincia  risorse  che  essa  impiegherebbe  nella
materia della  sanita'  e  le  attribuiscono  ad  un  fondo  statale,
conferendo al Ministro il potere di definire gli «interventi relativi
al settore sanitario»  (a  parte  i  «programmi  dedicati  alle  cure
palliative, ivi comprese quelle relative alle patologie  degenerative
neurologiche croniche invalidanti», previsti  direttamente  dall'art.
22, comma 2) da  finanziare  con  il  fondo:  di  qui  un'inevitabile
sovrapposizione di scelte ministeriali  a  quelle  costituzionalmente
spettanti  alla  competenza  legislativa  ed   amministrativa   della
provincia. 
    Ancora,  le  norme  impugnate  sono  illegittime  per  violazione
dell'art.  2,  d.lgs.  n.  266/1992,  perche'  pretendono  di  essere
direttamente applicabili in materia di competenza provinciale (tutela
della salute), imponendo alla  provincia  di  destinare  al  bilancio
statale  una  quota  delle  proprie  risorse  destinate  al  servizio
sanitario. 
    Nella denegata ipotesi in cui codesta Corte ritenga che anche  la
provincia debba rientrare nel meccanismo istituito dall'art.  22,  il
primo periodo del comma 2 sarebbe comunque illegittimo nella parte in
cui prevede il parere e non l'intesa della Conferenza  Stato-regioni.
Infatti, poiche' il fondo istituito attiene a materia  di  competenza
regionale,  il  principio  di  leale  collaborazione  impone  che  la
competenza statale sia esercitata con un coinvolgimento «forte» della
Conferenza  Stato-regioni,  in  base  a  consolidata   giurisprudenza
costituzionale. 
    Inoltre, il comma 3 dell'art. 22 sarebbe illegittimo nella  parte
in cui non prevede un'intesa con la provincia per la  quantificazione
concreta  dell'obbligazione  gravante  su  di  essa,  per  violazione
dell'autonomia finanziaria  provinciale  e  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    E' noto che tutto il regime dei rapporti finanziari fra  Stato  e
regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo. Cio' risulta
- a livello normativo - dallo stesso art. 104  dello  statuto,  dalla
previsione dell'accordo per la determinazione della quota  variabile,
dalla competenza delle norme di  attuazione  a  definire  i  rapporti
finanziari Stato-regioni speciali, dalla  previsione  dell'accordo  -
nelle leggi finanziarie degli ultimi anni - per la definizione  delle
spese delle regioni speciali. Ma anche codesta  Corte  costituzionale
ha piu' volte confermato quel principio. Cosi', ad es., la  sent.  n.
82 del 2007 ha riconosciuto che «la previsione normativa  del  metodo
dell'accordo tra  le  regioni  a  statuto  speciale  e  il  Ministero
dell'economia e delle finanze,  per  la  determinazione  delle  spese
correnti e in conto capitale, nonche' dei  relativi  pagamenti,  deve
considerarsi un'espressione» della  «speciale  autonomia  in  materia
finanziaria di cui godono le predette  regioni,  in  forza  dei  loro
statuti» (punto 6 del Diritto); e nella sent.  n.  353  del  2004  la
Corte  ha  affermato  che  il  metodo  dell'accordo  (sempre  per  la
determinazione delle spese), introdotto  per  la  prima  volta  dalla
legge finanziaria  per  il  1998  e  riprodotto  in  tutte  le  leggi
finanziarie successivamente  adottate,  deve  essere  tendenzialmente
preferito ad altri, dato che «la necessita'  di  un  accordo  tra  lo
Stato e  gli  enti  ad  autonomia  speciale  nasce  dall'esigenza  di
rispettare l'autonomia finanziaria di questi  ultimi»  (v.  anche  la
sent. 39/1984 e 98/2000).