Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 443,  comma  1,
del codice di procedura penale, come  modificato  dall'art.  2  della
legge 20 febbraio 2006, n.  46  (Modifiche  al  codice  di  procedura
penale,  in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze   di
proscioglimento),  promosso  dalla  Corte  d'appello  di  Napoli  nel
procedimento penale a carico di  G.M.  con  ordinanza  dell'11  marzo
2008, iscritta al n. 326 del registro  ordinanze  2008  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2008. 
    Udito nella Camera di consiglio del 23 settembre 2009 il  giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
                          Ritenuto in fatto 
    Con ordinanza del 22 febbraio 2008, depositata il  successivo  11
marzo, la Corte d'appello di Napoli ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 443, comma 1,  del
codice di procedura penale, come modificato dall'art. 2  della  legge
20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale,  in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze  di  proscioglimento),
«nella  parte  in  cui  esclude  che»,   nel   giudizio   abbreviato,
«l'imputato possa proporre appello contro le sentenze di  assoluzione
pronunziate ai sensi dell'art. 88 del codice penale  (proscioglimento
per vizio totale di mente)». 
    La Corte rimettente riferisce di  essere  investita  dell'appello
proposto dai difensori dell'imputato contro la sentenza emessa il  28
giugno 2007 dal Giudice dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di
Napoli, a  seguito  di  giudizio  abbreviato.  Detta  sentenza  aveva
assolto l'imputato dal reato  di  tentato  omicidio  in  danno  della
convivente, in quanto non  imputabile  per  vizio  totale  di  mente,
applicando al medesimo, ai sensi dell'art. 222 cod. pen.,  la  misura
di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario per la
durata minima di cinque anni. 
    Con l'atto di appello, i difensori avevano chiesto che  il  fatto
venisse qualificato come lesione personale,  non  avendo  la  persona
offesa corso pericolo di vita; che fosse riconosciuta la  desistenza,
ai sensi dell'art. 56, terzo comma, cod.  pen.;  che  venisse  infine
applicata  una  misura  di  sicurezza  meno  afflittiva,  cosi'  come
consentito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2003. 
    All'udienza camerale, di fronte alla  richiesta  del  Procuratore
generale della Repubblica di dichiarare inammissibile l'appello  alla
luce della nuova formulazione dell'art.  443,  comma  1,  cod.  proc.
pen., i difensori avevano eccepito l'illegittimita' costituzionale di
tale norma, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. 
    Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a  quo  osserva
che la disposizione censurata esclude,  in  via  generale,  l'appello
dell'imputato  contro  le  sentenze  di   proscioglimento:   con   la
conseguenza che la decisione sull'ammissibilita' del gravame viene  a
dipendere dalla soluzione della questione  stessa.  La  sentenza  che
dichiara il difetto di imputabilita' ai sensi dell'art. 88 cod. pen.,
pur presentando aspetti peculiari, e' qualificata, difatti, dall'art.
530 cod. proc. pen. come sentenza  di  assoluzione:  dato  letterale,
questo, che non consentirebbe alcuna  interpretazione  del  novellato
art. 443 cod. proc. pen. atta a superare la preclusione censurata. 
    Ne' soccorrerebbe, nella specie, l'art. 680, comma 2, cod.  proc.
pen., che prevede la competenza del tribunale di  sorveglianza  sulle
impugnazioni contro le sentenze  di  condanna  o  di  proscioglimento
concernenti le disposizioni che riguardano le  misure  di  sicurezza.
Per  costante  giurisprudenza   di   legittimita',   infatti,   detta
disposizione si applica - conformemente al tenore letterale di  detta
norma e dell'art. 579, commi 1 e 2, cod. proc.  pen.  -  solo  quando
l'impugnazione investa  in  via  esclusiva  il  capo  della  sentenza
concernente le misure di sicurezza: mentre, nel giudizio  a  quo,  il
gravame della difesa e' volto a contestare  anche  la  qualificazione
giuridica del fatto. 
    Riguardo, poi, alla non manifesta infondatezza  della  questione,
il rimettente osserva come la sentenza di assoluzione emessa ai sensi
dell'art. 88 cod. pen. abbia connotazioni particolari, che valgono  a
differenziarla dalla generalita' delle  altre  pronunce  assolutorie.
Essa  presuppone,  difatti,  che  il  giudice  abbia   accertato   la
sussistenza del «fatto-reato», la sua riferibilita' all'imputato  «in
termini  materiali  e  di  colpevolezza»  e  l'assenza  di  cause  di
giustificazione: sicche', in presenza di tutti i presupposti per  una
condanna, l'assoluzione viene pronunciata solo perche' l'imputato era
affetto da vizio totale di mente  al  momento  del  fatto.  Al  tempo
stesso, poi, la sentenza in parola «comporta  l'applicazione  di  una
sanzione  particolarmente  invasiva  e  limitativa   della   liberta'
personale, quale il ricovero in un ospedale psichiatrico  giudiziario
o in una casa di cura e custodia per una durata massima  non  fissata
dalla legge, ma soggetta al  riesame  ai  sensi  dell'art.  208  cod.
pen.». 
    Risulterebbe, pertanto, di tutta  evidenza  come  l'imputato  sia
portatore di un rilevante interesse a vedere  rivalutate,  anche  nel
merito, la sussistenza dei presupposti della pronuncia, la ricorrenza
degli  estremi  per  l'applicazione  della  misura  di  sicurezza   e
l'adeguatezza  della  misura  applicata   rispetto   alle   accertate
condizioni di salute. 
    La preclusione dell'appello, introdotta dall'art. 2  della  legge
n. 46 del 2006, si risolverebbe, di conseguenza, in  una  menomazione
del diritto di difesa, tutelato dall'art. 24, secondo comma, Cost. La
soppressione del potere di appello non potrebbe ritenersi compensata,
infatti, dall'ampliamento  dei  motivi  di  ricorso  per  cassazione,
operato dalla stessa legge n. 46 del 2006: giacche' -  come  rilevato
dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 26 e n. 320 del  2007  -
quale che sia l'effettiva portata dei  nuovi  e  piu'  ampi  casi  di
ricorso, il rimedio non attinge comunque alla pienezza del riesame di
merito consentito dall'appello. 
    Ne', d'altro canto, la  preclusione  censurata  potrebbe  trovare
giustificazione nella scelta del giudizio abbreviato,  operata  dallo
stesso imputato. Come riconosciuto dalla Corte  costituzionale  nella
sentenza  n.  363  del  1991,  difatti,  il  potere  di  impugnazione
dell'imputato, in quanto esplicazione di valori  fondamentali,  quali
il diritto di difesa e l'interesse a far valere la propria innocenza,
non  potrebbe  essere  sacrificato  in  vista  delle   finalita'   di
speditezza  ed  economia  processuale,  proprie  del  suddetto   rito
semplificato. 
    La disposizione violerebbe, altresi', in parte qua,  l'art.  111,
secondo   comma,   Cost.   A   seguito    delle    declaratorie    di
incostituzionalita' degli artt. 1 e 2 della legge n. 46 del 2006,  di
cui alle citate sentenze n.  26  e  n.  320  del  2007,  il  pubblico
ministero puo' attualmente appellare le sentenze  di  proscioglimento
pronunciate tanto nel giudizio ordinario che a  seguito  di  giudizio
abbreviato: donde una asimmetria  di  poteri  inconciliabile  con  il
principio costituzionale di parita' delle parti processuali. 
    Risulterebbe leso, da ultimo, anche  l'art.  3  Cost.,  sotto  il
profilo della ragionevolezza. In contrasto con tale canone,  difatti,
il vigente testo dell'art. 443 cod. proc. pen. impedisce all'imputato
di appellare le sentenze di assoluzione per vizio  totale  di  mente,
che determinano l'applicazione di una misura di sicurezza  limitativa
della liberta' personale e di  durata  non  prefissata  nel  massimo;
mentre gli  consente  di  proporre  appello  contro  le  sentenze  di
condanna alla sola pena della multa, obiettivamente meno afflittiva. 
                       Considerato in diritto 
    1. - La Corte  d'appello  di  Napoli  dubita  della  legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3,  24,  secondo  comma,  e
111, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 443, comma  1,  del
codice di procedura penale, come modificato dall'art. 2  della  legge
20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale,  in
materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella
parte in cui non consente all'imputato di proporre appello contro  le
sentenze di assoluzione per difetto  di  imputabilita'  derivante  da
vizio totale di mente, emesse a seguito di giudizio abbreviato. 
    Ad avviso della Corte rimettente, la norma  censurata  violerebbe
il diritto di  difesa  (art.  24,  secondo  comma,  Cost.),  privando
l'imputato della possibilita'  di  far  valere  doglianze  di  merito
contro una sentenza che - come quella considerata  -  per  un  verso,
presuppone l'accertamento del «fatto-reato» e della sua riferibilita'
all'imputato; e, per altro verso, comporta l'applicazione  di  misure
di  sicurezza  particolarmente  afflittive,  di  durata  massima  non
prefissata.   La   preclusione   denunciata   non   potrebbe   essere
giustificata dalla scelta  del  giudizio  abbreviato,  operata  dallo
stesso imputato, giacche' il diritto di difesa di quest'ultimo  -  di
cui il potere di appello e' espressione - non sarebbe suscettibile di
venir sacrificato, per il  suo  valore  preminente,  in  vista  delle
finalita' deflattive proprie del rito semplificato. 
    Risulterebbe leso, inoltre, il principio di parita'  delle  parti
del processo (art. 111, secondo comma,  Cost.),  stante  l'asimmetria
dei poteri dell'imputato rispetto a quelli del pubblico ministero, il
quale, a seguito delle declaratorie  di  incostituzionalita'  di  cui
alle sentenze n. 26 e n. 320 del 2007, e'  attualmente  abilitato  ad
appellare contro le sentenze  di  proscioglimento  emesse  tanto  nel
giudizio ordinario che all'esito del giudizio abbreviato. 
    Sarebbe violato, infine, il principio di ragionevolezza  (art.  3
Cost.), posto che l'art. 443 cod. proc. pen., nel  testo  attualmente
in vigore,  consente  all'imputato  di  proporre  appello  contro  le
sentenze di condanna anche alla sola multa: pena obiettivamente  meno
afflittiva rispetto alla  misura  di  sicurezza  applicabile  con  la
sentenza di assoluzione per vizio totale di mente. 
    2.  -  In  via  preliminare,  va  rilevato  come  i   presupposti
interpretativi su cui la Corte rimettente basa tanto il  giudizio  di
rilevanza  della  questione  che  le  censure  di   costituzionalita'
appaiano senz'altro condivisibili. 
    Il vigente testo dell'art. 443, comma 1, cod. proc.  pen.  e'  la
risultante della modifica operata dall'art. 2 della legge n.  46  del
2006 (che ha soppresso  l'inciso  limitativo  finale,  gia'  presente
nella norma  censurata,  «quando  l'appello  tende  ad  ottenere  una
diversa formula») e della successiva sentenza  n.  320  del  2007  di
questa Corte (che ha rimosso la limitazione ivi prevista al potere di
impugnazione nei confronti del pubblico ministero).  Esso  stabilisce
la radicale inappellabilita', da parte dell'imputato, delle  sentenze
di proscioglimento emesse in esito al giudizio abbreviato: genus  che
abbraccia, alla luce della sistematica del codice di  rito  (si  veda
l'art. 530 cod. proc. pen., incluso nella sezione dedicata,  appunto,
alla «sentenza di proscioglimento»), anche le sentenze di assoluzione
per difetto di imputabilita' dovuto a vizio totale di mente (art.  88
cod. pen.). 
    Pienamente plausibile appare, altresi', l'ulteriore assunto della
Corte rimettente, secondo cui non  soccorre  -  almeno  nel  caso  di
specie - l'art. 680, comma 2, cod. proc.  pen.,  ove  si  prevede  la
competenza del tribunale di sorveglianza sulle impugnazioni contro le
sentenze di condanna o di proscioglimento concernenti le disposizioni
che riguardano le misure di sicurezza. Ammessa pure  l'estensibilita'
al giudizio abbreviato della clausola di salvezza degli artt.  579  e
680 cod. proc. pen., presente nell'art. 593, comma 1, cod. proc. pen.
con riferimento all'appello nel giudizio ordinario, e'  dirimente  il
rilievo che - secondo il corrente indirizzo della  giurisprudenza  di
legittimita' (che riflette, peraltro, la chiara  lettera  dei  citati
artt. 579 e 680) - la competenza del tribunale  di  sorveglianza  (e,
dunque, anche la residua appellabilita' avanti ad esso delle sentenze
che  qui   interessano)   resterebbe   comunque   circoscritta   alle
impugnazioni che attengono, in via esclusiva, al capo  relativo  alle
misure di sicurezza. Nella specie,  per  contro,  l'appello  proposto
dalla difesa dell'imputato ha un  contenuto  piu'  ampio,  investendo
anche  la  qualificazione  giuridica   del   fatto   e   il   mancato
riconoscimento della desistenza, ai sensi dell'art. 56, terzo  comma,
cod. pen. 
    3. - Nel merito la questione  e'  fondata,  in  riferimento  agli
artt. 3 e 24, secondo comma, Cost. 
    3.1. - Il tema oggetto di scrutinio va affrontato alla  luce  dei
principi ispiratori  del  rito  alternativo  in  cui  la  limitazione
censurata  si  innesta:  principi  che  impediscono  una   automatica
estensione all'ipotesi considerata degli argomenti in base  ai  quali
questa  Corte,  con  sentenza  n.  85   del   2008,   ha   dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 593, comma 1, cod. proc.  pen.,
come sostituito dall'art. 1 della legge n. 46 del 2006,  nella  parte
in  cui  esclude  che  l'imputato  possa  appellare  le  sentenze  di
proscioglimento  emesse  a  seguito  di  giudizio  ordinario   (fatta
eccezione per talune limitate ipotesi). 
    Il giudizio abbreviato si fonda, difatti,  come  e'  noto,  sulla
«libera e consapevole accettazione», da parte dell'imputato  -  quale
contropartita per un trattamento  premiale  sul  piano  sanzionatorio
(riduzione di un  terzo  della  pena  eventualmente  inflitta)  -  di
«limitazioni di diritti e facolta' [...], altrimenti riconosciuti nel
rito ordinario»  (sentenza  n.  288  del  1997).  Tra  i  «sacrifici»
richiesti all'imputato figura -  a  fianco  del  consenso  ad  essere
giudicato sulla base degli atti raccolti nelle indagini  preliminari,
con conseguente rinuncia al contraddittorio  nella  formazione  della
prova in sede dibattimentale -  anche  l'accettazione  preventiva  di
limitazioni alla facolta' di appello. Cio' e' nella logica di un rito
alternativo che, per un verso, persegue obiettivi di  semplificazione
e accelerazione dei processi; e, per altro verso, si fonda - ormai in
via esclusiva - sulla volonta' dello stesso imputato. 
    Tuttavia, le limitazioni  all'appello  dell'imputato,  per  poter
essere considerate costituzionalmente compatibili, debbono  risultare
comunque basate su criteri razionali, nel confronto  con  i  casi  di
perdurante  appellabilita',  e   debbono   trovare,   altresi',   «un
fondamento ragionevolmente commisurato ... al rilievo  costituzionale
dell'interesse inciso» (sentenza n. 363 del 1991).  Come  piu'  volte
rilevato  da  questa  Corte,  difatti,   pur   in   assenza   di   un
riconoscimento costituzionale della  garanzia  del  doppio  grado  di
giurisdizione di  merito,  il  potere  di  appello  dell'imputato  si
presenta correlato al fondamentale valore  espresso  dal  diritto  di
difesa (art. 24, secondo comma, Cost.), che gli conferisce  una  piu'
accentuata «forza di resistenza» di fronte a «sollecitazioni di segno
inverso»,  legate  alla  realizzazione  di  obiettivi  di  speditezza
processuale (sentenza  n.  26  del  2007;  si  vedano,  altresi',  le
sentenze n. 298 del 2008 e n. 98 del 1994). 
    In questa  prospettiva,  la  Corte  dichiaro'  costituzionalmente
illegittima,  per  contrasto  con  l'art.   3   Cost.,   l'originaria
preclusione dell'appello dell'imputato contro le sentenze di condanna
a pena che comunque non dovesse essere  eseguita,  sancita  dall'art.
443, comma 2, cod. proc. pen. (sentenza n. 363 del 1991). Il criterio
che  discriminava,  quanto  alla  facolta'  di  appello,  i  soggetti
condannati a seguito di  giudizio  abbreviato  -  ossia  la  concreta
eseguibilita' o meno della pena inflitta - faceva perno, difatti,  su
«un elemento estrinseco alla natura del reato commesso e ai caratteri
della pena irrogata»: trascurando cosi'  -  irrazionalmente  -  «ogni
riferimento agli aspetti che piu' sono destinati a caratterizzare  la
responsabilita' dell'imputato e le conseguenze dell'azione criminosa,
quali il titolo del reato, il tipo di sanzione, la misura della  pena
edittale». 
    La Corte ritenne, per contro, che i tre  requisiti  ora  indicati
risultassero «pienamente rispettati» dalla preclusione relativa  alle
sentenze  con  le  quali  fossero  applicate  sanzioni   sostitutive,
originariamente contemplata dall'art. 443, comma 1, lettera b),  cod.
proc. pen. La minore gravita' dei titoli di reato per i quali operano
le sanzioni sostitutive, la minore afflittivita' di esse e i  livelli
necessariamente  piu'  bassi  delle  pene  edittali  di   riferimento
escludevano, difatti,  «vizi  di  irragionevolezza»,  consentendo  di
concludere   che   la   previsione   rientrava   «negli   spazi    di
discrezionalita'  legittimamente  utilizzabili  dal  legislatore  per
realizzare  l'obiettivo  della  rapida   definizione   del   giudizio
abbreviato» (sentenza n. 288 del 1997). 
    3.2. - Circa il caso che qui  interessa,  questa  Corte  ha  gia'
avuto modo di rilevare, nella citata sentenza n. 85  del  2008,  come
«la categoria delle sentenze  di  proscioglimento»  -  che  la  norma
censurata assoggetta ad un regime unitario, quanto  alla  sottrazione
all'appello dell'imputato - non costituisca  un  genus  unitario,  ma
abbracci  «ipotesi  marcatamente  eterogenee,  quanto  all'attitudine
lesiva degli interessi morali e giuridici del prosciolto». 
    Per questo verso, del tutto particolare si presenta, in  effetti,
la  sentenza  di  assoluzione  per  vizio  totale  di  mente.   Lungi
dall'assumere una valenza  pienamente  liberatoria,  detta  pronuncia
postula l'accertamento della sussistenza del fatto  di  reato,  della
sua riferibilita' all'imputato  -  in  termini  tanto  materiali  che
psicologici  -  e  dell'assenza  di  cause  di  giustificazione:  non
distinguendosi, dunque,  sotto  tale  profilo,  da  una  sentenza  di
condanna. 
    Non soltanto per questa ragione, ma anche e  soprattutto  per  il
motivo  che  impone  di  adottare  la  formula  assolutoria  -  ossia
l'incapacita' di intendere e di volere al momento del fatto, dovuta a
totale infermita' mentale - la sentenza  in  questione  e'  idonea  a
causare all'imputato un pregiudizio di ordine morale  particolarmente
intenso, persino superiore a quello che puo' derivare da una sentenza
di condanna (sentenza n. 85 del 2008). 
    Dalla  pronuncia  in  questione  possono  conseguire,   altresi',
rilevantissimi   pregiudizi   di   ordine   giuridico,   segnatamente
allorche',   a   seguito   dell'accertata    pericolosita'    sociale
dell'imputato,  venga  applicata  -  o  possa  essere  applicata  con
provvedimento successivo (art. 205, secondo comma, cod. pen.)  -  una
misura di sicurezza, consistente,  in  specie,  nel  ricovero  in  un
ospedale psichiatrico giudiziario (art. 222 cod. pen.) ovvero  -  per
effetto della sentenza n. 253  del  2003  di  questa  Corte  -  nella
diversa misura, prevista dalla legge, che il giudice  individui  come
idonea ad assicurare adeguate cure  all'infermo  di  mente  e  a  far
fronte alla sua pericolosita' sociale. S'intende come queste  misure,
limitative della liberta' personale e di  durata  non  predeterminata
nel massimo, in quanto  soggette  al  meccanismo  del  riesame  della
pericolosita', possano risultare, in concreto,  di  gran  lunga  piu'
afflittive della pena irrogata con una sentenza di condanna. 
    Non e' superfluo aggiungere, peraltro, che nei casi  in  cui  non
sia applicabile al prosciolto per vizio totale di mente una misura di
sicurezza, in ragione della natura del reato o dei livelli della pena
edittale, l'art. 222, primo comma, cod. pen. prevede comunque che «la
sentenza  di  proscioglimento»  sia  «comunicata   all'autorita'   di
pubblica sicurezza», in vista della sottoposizione  del  soggetto  ad
opportuni controlli. 
    3.3. - Sul versante opposto - quello,  cioe',  dei  casi  in  cui
l'impugnazione e' ammessa - si deve di contro  registrare  come,  per
effetto di novelle legislative successive al ricordato intervento  di
questa Corte (sentenza n. 363 del 1991), l'art. 443 cod.  proc.  pen.
non contempli piu' alcun limite all'appello dell'imputato  contro  le
sentenze di condanna: onde puo' formare oggetto di un suo gravame nel
merito anche la sentenza di condanna alla sola pena della multa o che
applichi una sanzione sostitutiva. 
    Emerge da cio' una  evidente  violazione  degli  artt.  3  e  24,
secondo comma, Cost. Appare, in effetti,  irrazionale  e  lesivo  del
diritto di difesa che  l'imputato  possa  dolersi  nel  merito  della
condanna per un reato bagatellare alla sola pena della  multa  (anche
condizionalmente sospesa), e non sia abilitato, invece, ad  appellare
l'assoluzione per vizio totale di mente,  anche  se  relativa  ad  un
reato di particolare gravita' (nel caso di specie, tentato  omicidio)
ed a cui si riconnetta l'applicazione  di  una  misura  di  sicurezza
limitativa della liberta' personale (nella  specie,  ricovero  in  un
ospedale psichiatrico giudiziario per un  periodo  minimo  di  cinque
anni). 
    Con particolare riguardo all'ipotesi che interessa,  il  criterio
sulla cui base risultano  attualmente  discriminati  i  casi  in  cui
l'appello dell'imputato e' consentito e quelli in cui  e'  inibito  -
vale a dire la circostanza che si tratti di sentenza di condanna o di
proscioglimento - non tiene conto, in effetti, mutatis mutandis,  dei
requisiti giustificativi del  sacrificio  dell'appello  nel  giudizio
abbreviato enucleati dalle citate sentenze n. 288 del 1997 e  n.  363
del 1991. 
    L'assoluzione per totale infermita' di mente - assimilabile, come
detto,  ad  una  condanna,  quanto  alla   attribuzione   del   fatto
all'imputato - puo' avere, infatti,  ad  oggetto  qualunque  tipo  di
reato,  ivi  compresi  quelli  di  maggiore  allarme  sociale;   puo'
comportare l'applicazione di  misure  che,  anche  se  non  punitive,
risultano marcatamente  afflittive  (oltre  che,  in  ogni  caso,  un
pregiudizio di ordine morale di particolare  intensita');  prescinde,
infine, dall'entita'  della  pena  edittale  prevista  per  il  reato
oggetto di giudizio. L'interesse dell'imputato  a  contestare,  anche
nei profili di merito, i presupposti della pronuncia emessa nei  suoi
confronti   subisce,   dunque,   una   limitazione    intrinsecamente
irrazionale, in rapporto all'assetto  complessivo  delle  preclusioni
dell'appello  nel  giudizio   abbreviato,   e   priva   di   adeguata
giustificazione nelle caratteristiche e nelle  finalita'  proprie  di
tale rito. 
    3.4. -  La  residua  censura  della  Corte  rimettente,  riferita
all'art. 111, secondo comma, Cost., resta assorbita. 
    4. - L'art. 443,  comma  1,  cod.  proc.  pen.,  come  modificato
dall'art. 2 della legge n. 46  del  2006,  va  dichiarato,  pertanto,
costituzionalmente  illegittimo  nella  parte  in  cui  esclude   che
l'imputato possa proporre appello contro le sentenze  di  assoluzione
per difetto di imputabilita', derivante  da  vizio  totale  di  mente
(art. 88 cod. pen.).