Ordinanza 
 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito della deliberazione del Senato della  Repubblica  del
19 febbraio 2009 relativa all'insindacabilita',  ai  sensi  dell'art.
68, primo comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni  espresse  da
Raffaele Iannuzzi, senatore all'epoca dei fatti,  nei  confronti  del
dott. Giancarlo Caselli ed altri, promosso dal Tribunale di  Milano -
sezione VIII penale, con ricorso  depositato  in  cancelleria  il  16
aprile 2009 ed iscritto al n. 5 del  registro  conflitti  tra  poteri
dello Stato 2009, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella Camera di consiglio del 7  ottobre  2009  il  giudice
relatore Paolo Maddalena. 
    Ritenuto che il Tribunale di Milano, nel corso di un procedimento
penale per reati di diffamazione aggravata a mezzo stampa a carico di
Raffaele Iannuzzi, senatore all'epoca dei fatti, con  ricorso  del  7
aprile 2009, pervenuto nella cancelleria di questa Corte il 16 aprile
2009, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri  dello  Stato
nei  confronti  del  Senato  della  Repubblica,  in  relazione   alla
deliberazione adottata il 19 febbraio 2009 (doc. IV-ter, n.  6),  con
la quale e' stato dichiarato, su conforme proposta della Giunta delle
elezioni e delle immunita' parlamentari, che i fatti per i  quali  e'
in corso l'indicato procedimento debbono ritenersi  insindacabili  ai
sensi dell'art. 68 della Costituzione, costituendo opinioni  espresse
nell'esercizio delle funzioni di parlamentare; 
        che il ricorrente,  nel  riportare  in  premessa  i  capi  di
imputazione, rileva che il procedimento penale  e'  sorto  a  seguito
delle querele proposte dai magistrati  Giancarlo  Caselli,  Guido  Lo
Forte, Gioacchino Natoli e Roberto  Scarpinato  nei  confronti  dello
Iannuzzi, il quale -  con  due  articoli  di  stampa  pubblicati  sul
quotidiano «Il Giornale», l'uno, del  2  novembre  2003,  dal  titolo
«Genesi di una persecuzione - Buscetta rinnego' il verbale che  apri'
il caso Pecorelli», l'altro, del 19 settembre 2004, dal  titolo  «Gli
intoccabili in toga» - avrebbe offeso la reputazione dei  querelanti,
affermando: che il processo  al  senatore  Giulio  Andreotti  sarebbe
stato instaurato per finalita' politiche; e che i predetti magistrati
avrebbero strumentalizzato le  dichiarazioni  del  pentito  Buscetta,
avrebbero posto in essere una serie di atti tali  da  determinare  il
suicidio del maresciallo Lombardo ed avrebbero, in sostanza,  abusato
delle rispettive posizioni  per  impedire  che  fossero  scoperte  le
tracce del loro operato, anche  attraverso  un'indebita  interferenza
nel  dibattito  parlamentare  conseguente  all'esito   del   processo
Andreotti; 
        che il Tribunale esclude che,  nella  specie,  vi  sia  alcun
elemento concreto da cui si possa  desumere  la  sussistenza  di  una
corrispondenza sostanziale tra i  contenuti  degli  articoli  oggetto
delle querele e le opinioni gia' espresse dal senatore  in  specifici
atti parlamentari, non essendo  sufficiente  una  mera  comunanza  di
tematiche  e  un  generico  riferimento  alla  rilevanza  dei   fatti
pubblici; 
        che, richiamandosi alla giurisprudenza di  questa  Corte,  il
giudice ricorrente osserva che tale correlazione funzionale non  puo'
derivare  dall'interesse  costantemente  manifestato   dal   senatore
Iannuzzi, nello svolgimento della  sua  attivita'  politica,  per  le
tematiche  della  politica  giudiziaria  in   ambito   di   contrasto
all'attivita' mafiosa; 
        che,  a  suo  avviso,  l'interpretazione  prospettata   dalla
deliberazione da cui e' sorto il conflitto comporterebbe,  di  fatto,
che l'istituto della insindacabilita', previsto  dall'art.  68  della
Costituzione,  si  trasformerebbe  da  esenzione  di  responsabilita'
legata alla funzione in privilegio personale, con la conseguenza  che
le  opinioni  e  le  dichiarazioni  manifestate  da  un  parlamentare
sarebbero,   sempre   e    comunque,    sottratte    alla    verifica
giurisdizionale; 
        che la condotta  addebitabile  allo  Iannuzzi,  astrattamente
idonea, nella sua specificita' e gravita', ad integrare un  illecito,
esulerebbe  dall'esercizio  delle   funzioni   parlamentari   e   non
presenterebbe  oggettivamente  alcun  legame  con  atti  parlamentari
neppure nell'accezione piu' ampia e, come  tale,  dovrebbe  rientrare
nella cognizione riservata al sindacato giurisdizionale; 
        che, stante la  dedotta  carenza  del  nesso  funzionale,  il
Tribunale  chiede  che   questa   Corte,   previa   declaratoria   di
ammissibilita' del conflitto, dichiari che  non  spettava  al  Senato
della Repubblica la  valutazione  della  condotta  addebitabile  allo
Iannuzzi, in quanto estranea alla  previsione  di  cui  all'art.  68,
primo comma, Cost., e, per l'effetto, annulli  la  deliberazione  del
Senato della Repubblica in data 19 febbraio 2009,  in  quanto  lesiva
della sfera delle attribuzioni giurisdizionali. 
    Considerato che,  in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'
chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge  11
marzo 1953, n. 87, a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso
sia ammissibile in quanto vi sia la «materia di un conflitto  la  cui
risoluzione spetti alla sua competenza»,  sussistendone  i  requisiti
soggettivo ed oggettivo  e  restando  impregiudicata  ogni  ulteriore
questione, anche in punto di ammissibilita'; 
        che,  sotto  il  profilo   del   requisito   soggettivo,   va
riconosciuta la legittimazione del Tribunale di  Milano  a  sollevare
conflitto,  in  quanto  organo  giurisdizionale,  in   posizione   di
indipendenza costituzionalmente garantita,  competente  a  dichiarare
definitivamente la volonta' del potere cui appartiene  nell'esercizio
delle funzioni attribuitegli; 
        che, parimenti, deve essere  riconosciuta  la  legittimazione
del Senato della Repubblica ad essere parte del  presente  conflitto,
quale organo competente a dichiarare in modo  definitivo  la  propria
volonta' in ordine  all'applicabilita'  dell'art.  68,  primo  comma,
della Costituzione; 
        che, per quanto attiene  al  profilo  oggettivo,  il  giudice
ricorrente lamenta la lesione della propria  sfera  di  attribuzione,
costituzionalmente garantita, da parte della impugnata  deliberazione
del Senato della Repubblica; 
        che, dunque, esiste  la  materia  di  un  conflitto,  la  cui
risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.