IL GIUDICE DI PACE Nel processo penale a carico di Hazim Gharkai nato in Marocco il 2 febbraio 1977 elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avvocato Fausto Martini in Garbagnate Monastero in via Ugo Foscolo, n. 37, imputato del reato p. e p. dall'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 perche' faceva ingresso e si tratteneva nel territorio dello Stato senza autorizzazione. In Cernusco Lombardone (Lecco) il 13 agosto 2009. Emette la seguente ordinanza. Premesso che: in data 13 ottobre 2009, alle ore 10, una pattuglia dei carabinieri della stazione di Merate, nell'effettuare un posto di controllo nel comune di Cernusco Lombardone fermava il cittadino extracomunitario Hazim Gharkai che risultava sprovvisto di qualsiasi documento di riconoscimento; il medesimo veniva quindi accompagnato presso la caserma dei Carabinieri di Merate ove veniva sottoposto al fotosegnalamento con sistema AFIS e risultava irregolarmente presente in Italia in quanto privo del permesso di soggiorno; con decreto in pari data il Prefetto della Provincia di Lecco, esaminata la segnalazione della stazione dei Carabinieri di Merate dalla quale risultava che il soggetto era entrato nel territorio dello stato italiano nel mese di dicembre del 2007 attraverso il confine nella zona di Ventimiglia e che non aveva richiesto il permesso di soggiorno, ex art. 5, comma 2, d.lgs. n. 286/1998, entro otto giorni lavorativi dal suo ingresso e che tale omissione non era giustificata da alcun motivo di forza maggiore, disponeva l'espulsione dal territorio nazionale disponendo che il medesimo fosse accompagnato alla frontiera a mezzo della forza pubblica e delegando per l'esecuzione il Questore di Lecco; in pari data il Questore di Lecco, accertato che non era possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera perche' era necessario procedere ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identita' ed acquisire un valido documento per l'espatrio e considerato altresi' che non era possibile procedere al trattenimento presso un centro di identificazione ed espulsione attesa l'indisponibilita' di posti presso tutti i C.I.E. nazionali, ordinava a Hazim Gharkai di lasciare il territorio dello stato entro il termine di cinque giorni dalla frontiera di Milano Malpensa; l'imputato veniva quindi ritualmente tratto a giudizio per rispondere del reato di cui al capo di imputazione; all'udienza del 24 settembre 2909, aperto il dibattimento, esaurita l'istruttoria consistita nell'acquisizione dei documenti prodotti dal pubblico ministero e nell'esame del teste maresciallo Angelo Torrone, il legale dell'imputato eccepiva il profilo di incostituzionalita' dell'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 in riferimento agli articoli 2, 3, 25, comma 2, 27 e 111 della Costituzione oltre che al principio costituzionale della ragionevolezza; il pubblico ministero chiedeva un termine per potere replicare ed argomentare in relazione all'eccezione di incostituzionalita'; all'udienza del 1° ottobre 2009 il pubblico ministero si associava all'eccezione di incostituzionalita' sollevata dalla difesa dell'imputato ed alla conseguente richiesta di rimessione degli atti alla Corte costituzionale. O s s e r v a a) A norma dell'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 risulta punito con l'ammenda da € 5.000,00 a € 10.000,00 lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nello stato in violazione della normativa regolante il soggiorno dello straniero extracomunitario. Il testo dell'articolo non comprende dunque l'inciso «senza giustificato motivo»; in altri termini l'assenza di un giustificato motivo non risulta prevista dal legislatore come elemento costitutivo del reato. Sul punto va rammentato quanto osservato dalla Corte costituzionale al punto 7.4 della sentenza n. 22/2007: «Quanto all'eccessivo rigore della norma censurata (l'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998) si deve anzitutto ricordare che questa Corte, conformemente alla sua recente giurisprudenza, ha sottolineato il ruolo che, nell'economia applicativa della fattispecie criminosa, e' chiamato a svolgere il requisito negativo espresso dalla formula «senza giustificato motivo» (ord. 386/2006). Tale formula copre tutte le ipotesi di impossibilita' o di grave difficolta' (mancato rilascio di documenti da parte dell'autorita' competente, assoluta indigenza che rende impossibile l'acquisto di biglietti di viaggio e altre simili situazioni) che, pur non integrando cause di giustificazione in senso tecnico, impediscono allo straniero di prestare osservanza all'ordine di allontanamento nei termini prescritti». Ugualmente nella sentenza n. 5/2004 la Corte costituzionale ha rilevato: «Giova peraltro osservare come la formula "senza giustificato motivo" e formule ad essa equivalenti od omologhe, "senza giusta causa", "senza giusto motivo" "senza necessita'", "arbitrariamente" etc. compaiano con particolare frequenza nel corpo di norme incriminatrici ubicate tanto all'interno dei codici che in leggi speciali. Dette clausole sono destinate in linea di massima a fungere da "valvola di sicurezza" del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori di vere e proprie cause di giustificazione - l'osservanza del precetto appaia in concreto "inesigibile" in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere oggettivo o soggettivo». La Corte ha quindi posto in rilievo l'importanza di tale elemento al fine di rendere il delitto di inottemperanza all'ordine di espulsione (art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998) conforme ai principi di colpevolezza e di proporzionalita' affermando quindi - implicitamente - che i suddetti principi sarebbero stati violati - con conseguente incostituzionalita' dell'articolo sopra richiamato per violazione dell'art. 27 Cost. - se il legislatore avesse imposto l'inflizione di una pena detentiva anche a soggetti la cui permanenza in Italia, anche se non coperta da una vera e propria causa di giustificazione, fosse risultata in concreto inesigibile per valide ragioni oggettive o soggettive. Stupisce quindi che il legislatore non abbia previsto come elemento costitutivo del reato l'assenza del giustificato motivo o non abbia quantomeno inserito nella norma una di quelle clausole di significato analogo menzionate dalla Corte costituzionale e che avrebbero permesso al giudicante di valutare in concreto dal punto di vista soggettivo la singola fattispecie evitando la punizione di condotte di illecito trattenimento di fatto non rimproverabili. Tale aspetto pare assumere un'importanza ancora maggiore posto che l'art. 5 cod. pen. e' stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui non esclude dall'inescusabilita' dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile. Tenuto conto che il reato introdotto dall'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 e' suscettibile di trovare applicazione in una serie di situazioni disparate ed e' verosimilmente applicabile a soggetti che possono presentare difficolta' nella comprensione della lingua italiana o che comunque entrano per la prima volta in contatto con l'ordinamento giuridico italiano, appare ancor piu' necessario dare al giudicante la possibilita' di valutare il profilo di colpevolezza dello straniero ed il grado di intensita' dello stesso. Del resto anche il Presidente della Repubblica nella lettera inviata in data 15 luglio 2009 al Presidente del Consiglio ed ai Presidenti delle Camere ha rilevato: suscita in me forti perplessita' la circostanza che la nuova ipotesi di trattenimento indebito non preveda la esimente della permanenza determinata da "giustificato motivo"». Nel caso specifico la difesa dell'imputato non avrebbe potuto fornire la prova - rectius tale prova non sarebbe risultata rilevante in quanto non valutabile dal giudicante - della circostanza che dopo 1'8 agosto sarebbe stato in concreto impossibile o quantomeno difficoltoso lasciare il territorio dello Stato italiano prima di divenire destinatario del provvedimento di espulsione, evitando cosi' le sanzioni di cui all'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998. b) Peraltro va osservato pure come l'assenza di giustificato motivo sia ancora prevista dall'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 che non ha subito alcuna modifica per effetto della legge n. 15 luglio 2009, n. 94. Cio' determina un'illegittima disparita' di trattamento con conseguente violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Le due figure di reato infatti risultano del tutto assimilabili trattandosi in ogni caso di permanenza illegale nel territorio dello Stato in un caso (art. 10-bis) per violazione delle norme del d.lgs. n. 286/1998 e nell'altro (art. 14, comma 5-ter) per violazione dell'ordine impartito dal questore di lasciare il territorio entro 5 giorni. La differente natura dell'obbligo violato - genericamente le norme del d.lgs. n. 286/1998 o l'ordine specifico del questore che interviene successivamente al decreto di espulsione - puo' giustificare il diverso trattamento sanzionatorio nelle due differenti ipotesi posto che - come costantemente affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale - al Parlamento va riconosciuto un largo margine di discrezionalita' nell'esercizio del potere di incriminazione ma non puo', ad avviso di chi scrive, giustificare diversi criteri di valutazione della colpevolezza ovvero della rimproverabilita' della condotta, valutazione che il giudice deve potere effettuare in ogni caso, indipendentemente dalla gravita' delle sanzioni previste e conformemente al principio espresso dall'art. 27 della Costituzione. c) Va poi rilevato che l'art. 10-bis, comma 5, prevede la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per il reato in esame nell'ipotesi in cui l'autore sia stato respinto o espulso ex art. 10, comma 2, d.lgs. n. 286/1998. Anche sotto tale profilo l'articolo richiamato appare pero' in contrasto con il principio di parita' di trattamento di cui all'articolo 3 della Costituzione oltre che con il principio di colpevolezza di cui all'art. 27 della Costituzione. Infatti a norma dell'art.14, d.lgs. n. 286/1998 quando non e' possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perche' occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identita' o nazionalita', ovvero all'acquisizione di documenti di viaggio, ovvero per l'indisponibilita' di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero, sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione piu' vicino. A nonna poi del comma 5-bis del medesimo articolo quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza in tale struttura non abbia consentito l'esecuzione - con l'accompagnamento alla frontiera - dell'espulsione o del respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato nel termine di cinque giorni. Il successivo comma 5-ter poi prevede che lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis e' punito con la reclusione da uno a quattro anni. L'esecuzione del provvedimento di espulsione quindi, se non e' di fatto rimessa alla discrezionalita' dell'autorita' amministrativa, risulta quantomeno ricollegata a circostanze comunque attinenti all'organizzazione della suddetta autorita' (la disponibilita' di posti in un dato giorno ad un determinato orario nei centri di identificazione ed espulsione) che nulla hanno a che vedere con il comportamento dello straniero e quindi in alcun modo allo stesso imputabili dal punto di vista soggettivo. Ne consegue che l'accertamento giudiziale di condotte identiche in soggetti distinti - l'illegale trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato con successivo decreto di espulsione - potra' condurre ad effetti differenti (sentenza di non luogo a procedere o sentenza di condanna) a seconda che l'amministrazione riesca e possa nel singolo caso specifico dare esecuzione al decreto di espulsione o, al contrario, non avendone la possibilita'., impartisca allo straniero, in persona del questore, l'ordine di lasciare il territorio (evidentemente con mezzi propri ed a proprie spese) nel termine di 5 giorni. Tale risultato contrasta appunto sia con l'art. 3 che con l'art. 27 della Costituzione. Con l'art. 3 in quanto la norma censurata impone, al termine del complessivo procedimento di espulsione, l'applicazione della sanzione penale (quella di cui all'art. 14, comma 5-ter) ad un soggetto la cui condotta in nulla differisce da quella di un altro soggetto che tuttavia, per condizioni che prescindono dalla sua volonta' e dal suo comportamento (l'esecuzione del provvedimento di espulsione a cura dell'autorita' amministrativa), dovra' essere prosciolto con la sentenza ex art. 529 cod. proc. pen. La norma contrasta invece con l'articolo 27 Cost. in quanto subordina l'accertamento della responsabilita' penale o, al contrario, dei presupposti per la sentenza ex art. 529 cod. proc. pen. al comportamento di un soggetto (la P.A.) terzo rispetto allo straniero. E' pur vero che nell'ipotesi di mancata esecuzione dell'espulsione con conseguente ordine del questore si potrebbe eccepire che il mancato abbandono del territorio da parte dello straniero ovvero l'inottemperanza all'ordine del Questore costituisce un fatto volontario dello straniero che interrompe il nesso di causalita' tra la stessa mancata esecuzione dell'espulsione e la sanzione finale di cui all'art. 14, comma 5-ter ma e' altrettanto vero che la disparita' di trattamento generata dalla norma va individuata, dal punto di vista cronologico, nel momento stesso in cui lo straniero - rispetto al quale non vi e' stata la possibilita' di dare esecuzione all'espulsione - diventa destinatario dell'ordine del questore di lasciare il territorio, con mezzi propri ed a proprie spese. Se e' illegittima - per disparita' di trattamento - la ricezione dell'ordine del questore allora risulta conseguente illegittimo l'onere imposto allo straniero di lasciare il territorio con mezzi propri ma disattendendo l'ordine lo straniero incorrera' automaticamente nel reato di cui all'art. 14, comma 5-ter. Nel caso specifico l'imputato ha ricevuto l'ordine del questore di lasciare il territorio nel termine di 5 giorni proprio perche' non vi erano posti nei C.I.E. e la valutazione del profilo di disparita' di trattamento introdotto dall'art. 10-bis assume quindi rilevanza diretta per la decisione. d) La norma in esame risulta anche non conforme a quanto previsto dalla direttiva n. 2008/115/CE recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno e' irregolare. Infatti al «considerando» n. 10 la richiamata direttiva stabilisce che «se non vi e' motivo di ritenere che cio' possa compromettere la finalita' della procedura di rimpatrio, si dovrebbe preferire il rimpatrio volontario al rimpatrio forzato e concedere un termine per la partenza volontaria. Si dovrebbe prevedere una proroga del periodo per la partenza volontaria allorche' lo si ritenga necessario in ragione delle circostanze specifiche del caso individuale. Al fine di promuovere il rimpatrio volontario, gli Stati membri dovrebbero prevedere maggiore assistenza e consulenza al rimpatrio e sfruttare al meglio le relative possibilita' di finanziamento offerte dal Fondo europeo per i rimpatri». E in aderenza a tale premessa l'art. 7 comma 1 della direttiva stabilisce quella che deve costituire la regola per la normale esecuzione del provvedimento di espulsione: «La decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa fra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi 2 e 4. Le eccezioni a tale principio sono previste dal comma 4, dell'art. 7, che prevede che «Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare e' stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni» e dall'art. 2 comma 2 lettera b) che stabilisce che «gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai cittadini di paesi terzi sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformita' della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione». Sennonche' vi e' da rilevare che l'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 risulta avere rovesciato il rapporto tra regola ed eccezione. Infatti non puo' non tenersi conto che l'art.13, comma 4, d.lgs. n. 286/1998 prevede quale modalita' ordinaria di esecuzione dell'espulsione l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica cosicche', avendo l'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 elevato a reato qualunque ingresso o soggiorno irregolare nel territorio dello Stato italiano, l'accompagnamento coattivo non rappresenta piu' l'eccezione rispetto al rimpatrio volontario previsto dal comma 1 dell'art. 7 della direttiva ma diventa la regola sull'evidente presupposto che il rimpatrio sia sempre da classificare come «sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale» (art. 2, comma 2, lett. b) direttiva) oppure che vi sia, in ogni caso di irregolarita' dell'ingresso o del trattenimento, sempre e comunque pericolo di fuga o che il soggetto costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la pubblica sicurezza o per la sicurezza nazionale (art. 7, comma 4 direttiva). L'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 appare quindi contrario alla direttiva comunitaria e quindi all'art. 117 della Costituzione in base al quale la potesta' legislativa deve essere esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della. Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. L'art. 20 della richiamata direttiva assegna agli Stati membri il termine del 24 dicembre 2010 per adeguarsi; potrebbe quindi sostenersi che, non avendo la legge n. 94/2009 dato esecuzione alla direttiva, venga meno il presupposto per il giudizio di valutazione della conformita' della norma suddetta rispetto alla direttiva. Tuttavia vanno svolte le seguenti considerazioni. L'art. 22 della direttiva stabilisce che la medesima entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e quindi alla data dell'8 agosto 2009 (data di entrata in vigore della legge n. 94/2009) la direttiva era gia' entrata in vigore da diversi mesi. Cio' premesso va osservato che il termine del 24 dicembre 2010 e' un termine ultimo che, come tale, non impedisce di certo agli Stati membri di adeguarsi alla direttiva prima della scadenza del termine. Orbene, per sostenere che l'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 non risulti contrario alla direttiva e quindi all'art. 117 Cost. bisognerebbe ritenere che la norma qui censurata sia stata emanata con la volonta' di eliminare o almeno di modificare la stessa prima della scadenza del termine ultimo concesso allo Stato italiano per adeguarsi alla direttiva. Appare pero' alquanto forzato ritenere che la normativa emanata debba considerarsi a tempo, determinato in quanto la medesima non prevede, quanto alla sua efficacia, alcuna limitazione temporale ne' tale delimitazione temporale puo' desumersi indirettamente da alcuna disposizione o risulta dalla ratio della norma, pur estensivamente interpretata. Appare al contrario maggiormente conforme ai criteri di interpretazione della legge ritenere che la legge n. 94 del 15 luglio 2009 abbia voluto dare esecuzione alla direttiva in anticipo rispetto al termine ultimo di scadenza del 24 dicembre 2010 ed in tale misura risulti non rispettosa della direttiva e quindi dell'art. 117 Cost. Per i motivi esposti l'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 risulta in contrasto con le seguenti norme costituzionali: art. 3, art. 27, art. 117.