Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 126-bis,  comma
2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della
strada), modificato dall'art.  2,  comma  164,  del  decreto-legge  3
ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in  materia  tributaria  e
finanziaria), convertito in legge, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286, promosso  dal  Giudice
di pace di Torino nel procedimento vertente tra C.R. ed il Comune  di
Torino con ordinanza del 12 gennaio 2009,  iscritta  al  n.  153  del
registro ordinanze 2009, pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 22, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 4 novembre  2009  il  giudice
relatore Alfonso Quaranta. 
    Ritenuto che il Giudice di  pace  di  Torino  ha  sollevato -  in
riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione  -  questioni
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  126-bis,  comma  2,  del
decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
strada), modificato dall'art.  2,  comma  164,  del  decreto-legge  3
ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in  materia  tributaria  e
finanziaria), convertito in legge, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286; 
        che  il  giudice  remittente  premette  di  essere  investito
dell'opposizione  proposta  dalla  proprietaria  di  un   autoveicolo
avverso il verbale con il quale le veniva contestata - in forza della
disposizione censurata - l'omessa comunicazione dei dati personali  e
della patente del  conducente,  resosi  precedentemente  responsabile
dell'infrazione stradale sanzionata dall'art. 142 del medesimo codice
della strada (Eccesso di velocita') e  non  identificato  al  momento
della commessa violazione; 
        che il giudice a quo, sempre in punto di fatto, deduce che la
ricorrente - essendole stato notificato, in data 19  marzo  2008,  il
verbale relativo alla pregressa violazione dell'art. 142  del  codice
della strada, accertata a carico del  veicolo  di  sua  proprieta'  -
oltre ad impugnare tale verbale (radicando un primo giudizio, diverso
rispetto a quello principale) forniva, con comunicazione  inviata  il
16 maggio  2008  a  mezzo  lettera  raccomandata,  «dichiarazione  di
impossibilita' di risalire all'effettivo trasgressore»; 
        che, secondo il Giudice di pace di Torino, il  predetto  art.
126-bis, comma 2, «nella sua attuale formulazione letterale»  e  «per
come  viene  interpretato  dalla  Corte  di  cassazione»,   non   gli
consentirebbe «di aderire alla richiesta di annullamento» del secondo
verbale, avanzata nel giudizio principale  dalla  proprietaria  della
vettura; 
        che tale richiesta, infatti, risulta fondata sul fatto che la
ricorrente, da un lato, «ha dichiarato di  non  essere  in  grado  di
risalire al guidatore  dell'auto  al  momento  della  violazione»  e,
dall'altro, che «il verbale per la mancata comunicazione dei dati del
guidatore le e' stato notificato  quando  il  primo  accertamento»  -
quello, cioe', relativo alla  violazione  dell'art.  142  del  codice
della strada - «non era ancora divenuto definitivo»; 
        che in  relazione  al  primo  dei  due  profili,  il  giudice
remittente richiama, innanzitutto, le  vicende  normative  che  hanno
interessato la censurata disposizione; 
        che il testo  originario  dell'art.  126-bis,  comma  2,  del
codice della strada - introdotto dall'art. 7 del decreto  legislativo
15 gennaio 2002, n. 9  (Disposizioni  integrative  e  correttive  del
nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1,  comma  1,  della
legge 22 marzo 2001, n. 85)  -  stabiliva  che  l'organo  accertatore
della violazione comportante la perdita  di  punteggio  dovesse  dare
notizia, entro trenta giorni dalla definizione  della  contestazione,
all'anagrafe nazionale  degli  abilitati  alla  guida,  «solo  se  la
persona del conducente, quale responsabile della  violazione»,  fosse
stata «identificata inequivocabilmente»; 
        che, per contro, a seguito dell'avvenuta modifica della norma
censurata  (compiuta  dall'art.  7,   comma   3,   lettera   b,   del
decreto-legge  27  giugno  2003,  n.  151,  recante   «Modifiche   ed
integrazioni al codice della strada», convertito, con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214) era posta a
carico del proprietario del veicolo,  che  non  avesse  provveduto  a
comunicare i dati  personali  e  della  patente  del  conducente  non
identificato al momento della  commessa  violazione,  addirittura  la
sanzione personale della decurtazione del punteggio dalla patente  di
guida, oltre quella pecuniaria prevista dall'art. 180, comma  8,  del
codice della strada; 
        che, richiamata, altresi', la sentenza n. 27 del 2005 con cui
la Corte costituzionale  ha  dichiarato  la  parziale  illegittimita'
costituzionale di  tale  novellata  formulazione  dell'art.  126-bis,
comma 2, del codice della strada (proprio nella parte in cui poneva a
carico di un soggetto diverso dall'effettivo trasgressore la suddetta
sanzione personale), il giudice a quo rammenta le  ulteriori  vicende
che hanno interessato la censurata disposizione; 
        che - per effetto dell'ulteriore modifica apportata dall'art.
2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262  (Disposizioni
urgenti in materia tributaria e finanziaria),  comma  aggiunto  dalla
relativa legge di conversione, 24 novembre 2006, n. 286  -  a  carico
del proprietario del veicolo, il quale non comunichi, entro  sessanta
giorni  dalla  richiesta,  i  dati  personali  e  della  patente  del
conducente non identificato al momento della commessa violazione,  si
applica la (sola) «sanzione amministrativa del pagamento di una somma
da euro 250 a euro 1.000», sempre che tale  omissione  sia  posta  in
essere «senza giustificato e documentato motivo»; 
        che, tanto premesso, il Giudice di pace di Torino  sottolinea
come  la  Corte  costituzionale  -   nell'interpretazione   dell'art.
126-bis,  comma  2,  del  codice  della  strada  -   abbia   ritenuto
impossibile «un'opzione ermeneutica» che pervenga  «alla  conclusione
di  equiparare  ogni  ipotesi  di  omessa  comunicazione  dei   "dati
personali e della patente del conducente al  momento  della  commessa
violazione"», giacche' essa «presenterebbe una dubbia  compatibilita'
con l'art. 24 Cost.», in  quanto,  «non  consentendo  in  alcun  modo
all'interessato  di   sottrarsi   all'applicazione   della   sanzione
pecuniaria, si risolverebbe nella previsione di una presunzione iuris
et de iure di responsabilita'» (ordinanza n. 434 del 2007); 
        che non  in  linea,  tuttavia,  con  quanto  affermato  dalla
giurisprudenza costituzionale si porrebbe,  a  dire  del  remittente,
l'interpretazione fatta propria dalla Corte di cassazione; 
        che, difatti, tanto dal testo dell'art. 126-bis, comma 2, del
codice della strada - considerato sia «il suo tenore letterale»,  che
«la sua chiara ratio giustificatrice, rappresentata dall'obiettivo di
individuare e quindi sanzionare il trasgressore della  violazione»  -
emerge, secondo la giurisprudenza di legittimita', che  l'obbligo  in
parola  puo'  considerarsi  assolto  soltanto  con  la  comunicazione
completa delle informazioni  richieste,  essendo,  per  contro,  «del
tutto priva di pregio» l'argomentazione secondo cui  il  proprietario
avrebbe «comunque ottemperato all'obbligo di  comunicazione  mediante
la dichiarazione di non essere  in  grado  di  indicare  i  dati  del
conducente» (Corte di cassazione, sezione II civile, n. 10786 del  31
gennaio 2008); 
        che su tali basi,  quindi,  il  remittente  assume  un  primo
profilo di illegittimita' costituzionale,  «per  quanto  riguarda  la
rigida  interpretazione  della  scriminante   del   «giustificato   e
documentato motivo», secondo la Cassazione mai sussistente»; 
        che il giudice a quo ipotizza, poi,  un  secondo  profilo  di
illegittimita' della disposizione censurata, derivante dal fatto  che
la stessa  -  avuto  riguardo,  ancora  una  volta,  tanto  alla  sua
formulazione  letterale,  quanto  all'interpretazione  offerta  dalla
giurisprudenza di legittimita' - prevede che  l'omessa  comunicazione
dei dati personali e della  patente  del  conducente  sia  sanzionata
prima della (e a prescindere dalla)  definitivita'  dell'accertamento
della violazione riscontrata a carico dello stesso; 
        che, infatti,  in  base  al  tenore  letterale  della  norma,
soltanto la comunicazione  «all'anagrafe  nazionale  degli  abilitati
alla guida» - comunicazione avente ad oggetto l'avvenuta decurtazione
del punteggio da parte dell'organo «da cui dipende  l'agente  che  ha
accertato la violazione che comporta la perdita di punteggio» -  deve
avvenire  non  prima  che  siano  trascorsi  «trenta   giorni   dalla
definizione  della  contestazione  effettuata»,   evenienza   (questa
consistente nella definizione della contestazione)  a  propria  volta
ipotizzabile  «quando  sia  avvenuto  il  pagamento  della   sanzione
amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi
amministrativi e  giurisdizionali  ammessi  ovvero  siano  decorsi  i
termini per la proposizione dei medesimi»; 
        che,  viceversa,  il  proprietario  del  veicolo   non   deve
attendere  «trenta  giorni  dalla  definizione  della   contestazione
effettuata», essendo egli tenuto a comunicare  «i  dati  personali  e
della patente del conducente al momento  della  commessa  violazione»
gia' «entro sessanta giorni dalla data di  notifica  del  verbale  di
contestazione» della medesima violazione; 
    che, inoltre, la chiara lettera della legge - osserva  ancora  il
remittente -  ha  trovato  ulteriore  riscontro  nell'interpretazione
fornita dalla giurisprudenza di legittimita', la quale, muovendo  dal
presupposto  secondo  cui  al  proprietario  del  veicolo   «non   e'
riconoscibile alcun potere  dispositivo  delle  informazioni  in  suo
possesso», ne' alcuna «facolta' d'indagare sulla vicenda nella  quale
sia stato ravvisato l'illecito presupposto e di tenere  comportamenti
consequenziali»,   ha   affermato   che    «sulla    configurabilita'
dell'illecito da omessa comunicazione  obbligatoria»  deve  ritenersi
«del tutto ininfluente  la  pendenza  del  giudizio  in  ordine  alla
legittimita' dell'accertamento e  della  contestazione  dell'illecito
presupposto  e/o  del  procedimento  d'irrogazione   delle   relative
sanzioni,  amministrative  e,  se  del  caso,   penali»   (Corte   di
cassazione, sezione II civile, sentenza n. 17348 del 30 maggio 2007); 
        che tale sistema, tuttavia, appare al remittente inficiato da
irragionevolezza  e  non  in  linea  con  quanto  affermato,  seppure
incidentalmente, da questa Corte con la gia' citata  sentenza  n.  27
del 2005; 
        che essa, infatti, nel pronunciarsi su di un preteso  profilo
di illegittimita' costituzionale del comma 2  dell'art.  126-bis  del
codice della strada (nel testo modificato dal  gia'  citato  art.  7,
comma 3, lettera b, del decreto-legge n.  151  del  2003,  convertito
nella legge n. 214 del 2003), derivante dal fatto che  la  norma,  in
quella sua formulazione, avrebbe determinato la  «necessita'  per  il
proprietario del veicolo di autodenunciarsi» - e di subire, cosi', la
decurtazione dei punti dalla propria patente di  guida  -  quantomeno
per evitare l'irrogazione della  sanzione  pecuniaria,  ha  osservato
come  «il  dubbio  di  costituzionalita'  sollevato  dai  rimettenti»
costituisse  il  risultato  «di  una  inesatta   esegesi   del   dato
normativo»; 
        che, secondo la Corte, come  rammenta  l'odierno  remittente,
«la  disposizione   impugnata   espressamente   stabilisce   che   la
comunicazione  all'anagrafe  nazionale  degli  abilitati  alla  guida
dell'avvenuta  perdita  del  punteggio   dalla   patente   (e   cioe'
l'adempimento  che  ha  come  presupposto,  nel   caso   di   mancata
identificazione del conducente responsabile della violazione, proprio
l'avvenuta inutile richiesta al proprietario del veicolo di fornire i
dati  personali  e  della  patente  del  predetto  conducente)»  deve
avvenire «entro trenta giorni dalla definizione  della  contestazione
effettuata», definizione che presuppone,  a  sua  volta,  che  «siano
conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi o  giurisdizionali
ammessi», ovvero che «siano decorsi i termini per la proposizione dei
medesimi»; 
        che, oltre a contrastare con quanto affermato dalla Corte, il
sistema delineato dalla norma censurata sarebbe - secondo il  giudice
remittente - anche affetto da un vizio di irragionevolezza «rilevante
ex artt. 3  e  97  Cost.»,  ove  si  abbia  riguardo  alla  «completa
inutilita', per l'amministrazione, di tale  anticipata  comunicazione
qualora la sanzione accessoria della  decurtazione  dei  punti  sulla
patente divenga inapplicabile in  conseguenza  dell'annullamento  del
verbale di accertamento da parte del Prefetto o del Giudice di pace»; 
        che  in  contrasto,   poi,   «con   i   principi   di   buona
amministrazione» si rivelerebbe -  sempre  secondo  il  remittente  -
«l'ulteriore attivita' di accertamento svolta in  capo  all'effettivo
trasgressore»; 
        che tale ulteriore attivita',  resa  possibile  dall'avvenuta
comunicazione del nominativo del conducente all'autorita' procedente,
da parte del proprietario del veicolo in ottemperanza alla  richiesta
rivoltagli ex art. 126-bis, comma 2, del codice  della  strada,  puo'
portare ad una «eventuale duplicazione dei ricorsi»,  con  l'effetto,
«in caso di accertata illegittimita' della originaria contestazione»,
di una possibile «duplicazione di spese legali per  l'amministrazione
stessa», senza tacere «della violazione dei principi  in  materia  di
giusto processo», stante «l'aumentato numero dei ricorsi inutili»; 
        che, in forza di tali rilievi, il Giudice di pace  di  Torino
ha chiesto dichiararsi l'illegittimita' costituzionale del  censurato
comma  2  dell'art.  126-bis  «secondo  la  lettera  della  norma   e
l'interpretazione  fornita  dalla  Cassazione»,  e  cio'   «sia   con
riferimento  all'obbligo  di   comunicazione   del   nominativo   del
conducente prima (e a prescindere)  della  intervenuta  definitivita'
dell'accertamento della violazione, sia per quanto riguarda la rigida
interpretazione della scriminante  del  "giustificato  e  documentato
motivo", secondo la Cassazione mai sussistente»; 
        che e' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, tramite l'Avvocatura generale  dello  Stato,  chiedendo
che le questioni vengano dichiarate inammissibili  o,  in  subordine,
non fondate; 
        che in relazione, difatti,  alla  questione  che  investe  la
disciplina  del  «giustificato  e  documentato  motivo»,  idoneo   ad
escludere la responsabilita' per l'omessa comunicazione prevista  dal
censurato comma 2 dell'art.  126-bis  del  codice  della  strada,  la
difesa statale rileva come questa Corte - con la sentenza n. 165  del
2008  -  abbia  respinto  analoga  questione   sollevata   da   altro
remittente; 
        che in quella occasione, in particolare, e'  stato  osservato
come il giudice a quo «non avesse attribuito il dovuto rilievo  "alla
circostanza che agli illeciti amministrativi contemplati  dal  codice
della  strada  si  applica  la  disciplina   generale   dell'illecito
depenalizzato di cui alla legge 24 novembre 1981, n.  689  (Modifiche
al sistema penale), il cui art. 3, nel subordinare la responsabilita'
all'esistenza  di  un'azione  od  omissione  che  sia  "cosciente   e
volontaria", ha inteso, appunto, prevedere  il  caso  fortuito  o  la
forza maggiore quali circostanze  idonee  ad  esonerare  l'agente  da
responsabilita'»; 
        che non in contrasto con tali principi si porrebbe -  secondo
l'Avvocatura generale dello Stato  -  l'interpretazione  della  norma
censurata proposta dalla giurisprudenza di legittimita'; 
        che essa, infatti,  ha  affermato  che  il  proprietario  del
veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello  stesso  nei
confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi,  e'
«tenuto sempre a conoscere  l'identita'  dei  soggetti  ai  quali  ne
affida la conduzione, onde dell'eventuale incapacita'  d'identificare
detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une  per
le sanzioni e degli  altri  per  i  danni,  a  titolo  di  colpa  per
negligente osservanza del dovere  di  vigilare  sull'affidamento,  in
guisa  da  essere  in  grado  d'adempiere  al  dovere  di  comunicare
l'identita' del conducente» (e' citata la  sentenza  della  Corte  di
cassazione, sezione II civile, n. 13748 del 15 maggio 2007); 
        che  tanto  premesso,  le  sentenze  richiamate  dal  giudice
remittente - osserva ancora l'Avvocatura generale dello Stato  -  «si
limitano a chiarire che l'obbligo di comunicazione  di  cui  all'art.
126-bis non puo' ritenersi assolto  con  la  mera  dichiarazione  del
proprietario  di  non  essere  in  grado  di  indicare  i  dati   del
conducente, in quanto l'obbligo di comunicazione e' strumentale  alla
soddisfazione  di  un  interesse,  la  repressione  delle  infrazioni
stradali, che e' strettamente collegato  alla  tutela  dell'ordine  e
della sicurezza pubblica e giustifica il  rigore  con  cui  e'  stata
disciplinata la prova  idonea  ad  esonerare  da  responsabilita'  il
proprietario»; 
        che, per contro, conclude sul punto  la  difesa  statale,  il
«compito di verificare l'esimente della  responsabilita'  omissiva  a
carico del proprietario del veicolo e' esercitato dal Giudice di pace
nel momento in cui il primo proponga ricorso,  sostenendo  l'ingiusta
valutazione da parte dell'autorita' verbalizzante del motivo  addotto
a  giustificazione  dell'impossibilita'  di  fornire   i   dati   del
conducente»;  tale  giudizio,  in  quanto  attiene  al  merito  della
vicenda, e' «come tale incensurabile in sede di legittimita'»; 
        che, quanto, invece, alla seconda questione, ovvero a  quella
che attiene alla previsione  di  un  «obbligo  di  comunicazione  del
nominativo del conducente prima  e  a  prescindersi  dall'intervenuta
definitivita'  dell'accertamento  della   violazione»,   l'Avvocatura
generale dello Stato richiama la sentenza di questa Corte n.  27  del
2005; 
        che tale sentenza, «pur non affrontando ex professo il  tema»
(concernendo la norma in esame in una formulazione anteriore a quella
vigente  ed  applicabile  alla  fattispecie  oggetto   del   giudizio
principale), ha affermato - osserva sempre la difesa  statale  -  che
«in nessun caso il proprietario e' tenuto a rivelare i dati personali
e  della  patente  del  conducente  prima   della   definizione   dei
procedimenti giurisdizionali o amministrativi per l'annullamento  del
verbale di contestazione dell'infrazione», dovendosi la contestazione
ritenere «definita» «quando sia avvenuto il pagamento della  sanzione
amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi
amministrativi o  giurisdizionali  ammessi  ovvero  siano  decorsi  i
termini per la proposizione dei medesimi»; 
        che, pertanto, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, nel
sistema delineato dal  codice  della  strada,  «l'applicazione  della
sanzione accessoria della decurtazione dei punti e'  l'effetto  della
definitivita'  dell'accertamento,  sicche'  il  proprietario   potra'
adempiere all'obbligo  di  comunicazione  dei  dati  nel  termine  di
sessanta  giorni  dalla  notifica  del  verbale,  ossia   a   seguito
dell'inutile decorso del termine utile  per  il  ricorso,  senza  che
questo venga proposto, sia entro il termine di sessanta giorni  dalla
conoscenza del rigetto del ricorso, eventualmente proposto», cio' che
palesa la  manifesta  infondatezza  dei  «profili  di  irrazionalita'
ravvisati dal giudice remittente». 
    Considerato che il Giudice di pace di Torino ha  sollevato  -  in
riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione  -  questioni
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  126-bis,  comma  2,  del
decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
strada), modificato dall'art.  2,  comma  164,  del  decreto-legge  3
ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in  materia  tributaria  e
finanziaria), convertito in legge, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286; 
        che il remittente premette di essere  chiamato  ad  esaminare
l'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 204-bis del  codice  della
strada, avverso il verbale con il quale - a norma dell'art.  126-bis,
comma 2, del medesimo codice - e' stata inflitta alla proprietaria di
un'autovettura (veicolo a carico del quale era  stata  in  precedenza
accertata l'infrazione stradale dell'eccesso di  velocita',  ex  art.
142 del codice della strada, senza pero' l'immediata  identificazione
del suo autore) la sanzione pecuniaria  prevista  per  non  avere  la
stessa comunicato «i dati personali e della patente del conducente al
momento della commessa violazione»; 
        che nella specie il giudice a quo esclude di  poter  «aderire
alla  richiesta  di  annullamento»  del   verbale,   avanzata   dalla
ricorrente nel giudizio principale; 
        che - a suo dire - osterebbe a tale esito, in primo luogo, la
circostanza che la ricorrente «ha dichiarato di non essere  in  grado
di risalire al guidatore  dell'auto  al  momento  della  violazione»,
rendendo, cosi', una dichiarazione «negativa», come tale  non  idonea
(secondo quanto ritenuto dalla  giurisprudenza  di  legittimita')  ad
evitare l'irrogazione della sanzione pecuniaria prevista  dal  citato
comma 2 dell'art. 126-bis del codice della strada; 
        che, in secondo luogo, ulteriore impedimento all'accoglimento
della domanda di annullamento proposta dalla  ricorrente  deriverebbe
dal fatto che «il verbale per la mancata comunicazione dei  dati  del
guidatore le e' stato notificato  quando  il  primo  accertamento»  -
quello, cioe', relativo alla  violazione  dell'art.  142  del  codice
della strada - «non era ancora divenuto  definitivo»,  essendo  stato
dalla stessa gia' impugnato nella sua qualita'  di  responsabile  «in
solido» per il pagamento della sanzione pecuniaria; 
        che,  tanto  premesso,  il  remittente  censura  il  comma  2
dell'art. 126-bis del codice della strada sotto un duplice profilo; 
        che se ne assume,  difatti,  l'illegittimita'  costituzionale
innanzitutto nella parte in cui esso fa «riferimento  all'obbligo  di
comunicazione  del  nominativo  del  conducente»  prima  della  (e  a
prescindere dalla) «intervenuta definitivita' dell'accertamento della
violazione»  in  relazione  alla  quale  e'  stata  richiesta,   alla
proprietaria del veicolo, la prescritta comunicazione; 
        che si contesta, inoltre, la norma anche «per quanto riguarda
la rigida  interpretazione  della  scriminante  del  "giustificato  e
documentato motivo"» (che  esclude  l'applicazione  della  sanzione),
giacche' essa «secondo la Cassazione» dovrebbe, di  fatto,  ritenersi
«mai sussistente»; 
        che le due questioni  risultano,  rispettivamente,  la  prima
manifestamente inammissibile e la seconda manifestamente infondata; 
        che, infatti, l'affermazione del remittente  relativa  ad  un
preteso contrasto tra la giurisprudenza di questa Corte e  quella  di
legittimita' in ordine al significato da attribuire al  «giustificato
e documentato motivo» di cui alla norma censurata appare frutto di un
erroneo presupposto interpretativo; 
        che, difatti, i due indirizzi ermeneutici posti  a  confronto
dal Giudice remittente si riferiscono all'applicazione  del  comma  2
dell'art. 126-bis del codice della strada in un testo del quale egli,
ratione  temporis,  non  deve  fare  applicazione  per  decidere   la
fattispecie oggetto del giudizio principale; 
        che  tali  indirizzi,  infatti,  si  riferiscono  alla  norma
censurata come modificata dall'art.  7,  comma  3,  lettera  b),  del
decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche  ed  integrazioni  al
codice della strada), convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214; 
        che il remittente, invece, e' chiamato  a  fare  applicazione
del testo della norma de qua  come  ulteriormente  modificato  -  tra
l'altro sulla scorta di quanto  affermato  da  questa  Corte  con  la
sentenza n. 27 del 2005 e con l'ordinanza n. 244 del 2006 - dall'art.
2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262  (Disposizioni
urgenti in materia tributaria e finanziaria),  comma  aggiunto  dalla
relativa legge di conversione, 24 novembre 2006, n. 286; 
        che, pertanto, nella presente ipotesi deve affermarsi «che il
ricordato orientamento giurisprudenziale e'  incongruamente  evocato,
essendo sorto sulla base di una legislazione precedente a quella  ora
in esame», donde la manifesta infondatezza della questione  sollevata
(ordinanza n. 254 del 2008); 
        che, in ogni caso, l'esito della  declaratoria  di  manifesta
infondatezza  della  prima  questione,  relativa  al  significato  da
attribuire al «giustificato e documentato motivo» di cui  alla  norma
censurata, si impone anche per l'ulteriore ragione che il  remittente
ha ignorato quanto affermato da questa Corte proprio con  riferimento
al significato da attribuire al testo della norma del quale egli deve
fare, invece, applicazione; 
        che e'  stato,  infatti,  chiarito  come  non  sia  «corretto
affermare che la disposizione in contestazione costringe  i  soggetti
tenuti alla comunicazione "a doversi procurare ex post e per iscritto
la prova dell'esimente", giacche' l'onere di  documentazione,  su  di
essi gravante, non investe  l'impossibilita'  di  comunicare,  bensi'
semplicemente (...) quelle  circostanze  idonee  a  rivelare  la  non
esigibilita', nel caso di specie, dell'obbligo  di  trasmissione  dei
dati» (ordinanza n. 424 del 2008); 
        che, quindi, nulla impedisce  al  Giudice  remittente  -  per
concludere  sul  punto  -  di  verificare  se  la  ricorrente   abbia
adeguatamente  documentato,  nel   rendere   la   sua   dichiarazione
«negativa», e dunque affermando «di non essere in grado  di  risalire
al guidatore dell'auto al momento della violazione»,  l'esistenza  di
quelle circostanze suscettibili di rivelare la inesigibilita' di  una
comunicazione avente un diverso (e «positivo») contenuto; 
        che le considerazioni appena svolte,  peraltro,  condizionano
anche l'esito della seconda questione sollevata; 
        che, una volta esclusa l'esistenza di un impedimento a carico
del giudice a quo nella definizione del giudizio principale in  senso
favorevole alla ricorrente, non si comprende  in  quale  misura  egli
sarebbe impossibilitato ad «aderire alla richiesta di  annullamento»,
e cio' a causa della ulteriore circostanza che la sua decisione  deve
essere adottata prima della  (e  a  prescindere  dalla)  «intervenuta
definitivita' dell'accertamento della violazione» in  relazione  alla
quale  era  stata  richiesta,  alla  proprietaria  del  veicolo,   la
comunicazione prescritta dall'art. 126-bis, comma 2, del codice della
strada; 
        che, sotto questo profilo, dunque, deve  concludersi  che  la
mancata illustrazione, da parte del rimettente, delle pretese ragioni
che conferiscono carattere «pregiudiziale» al primo giudizio radicato
dalla parte opponente (quello avente ad  oggetto  l'annullamento  del
verbale di accertamento dell'infrazione  stradale  ex  art.  142  del
codice della strada), rispetto a quello principale, si risolve in una
carenza di descrizione  della  fattispecie  e,  di  riflesso,  in  un
difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza  della  seconda  questione
sollevata, donde la sua manifesta inammissibilita' (in tal senso,  da
ultimo, ordinanze n. 219 e n. 157 del 2009); 
        che tale esito, vieppiu', si impone ove si consideri  che  il
primo  degli  argomenti  dedotti  a  sostegno  di  questa   ulteriore
questione - il solo  che  appare  in  astratto  conferente  (giacche'
l'altro si riferisce, chiaramente, ad un'ipotesi  diversa  da  quella
oggetto del giudizio principale, non riguardando l'impugnativa  della
sanzione pecuniaria comminata ai sensi del comma 2 dell'art. 126-bis)
- costituisce il risultato,  anche  in  questo  caso,  di  un'erronea
interpretazione effettuata dal remittente; 
        che, infatti, il giudice a quo - nell'assumere  la  «completa
inutilita', per l'amministrazione, di tale anticipata  comunicazione»
(prevista dalla norma censurata), allorche' «la  sanzione  accessoria
della decurtazione dei punti sulla patente divenga  inapplicabile  in
conseguenza dell'annullamento del verbale di  accertamento  da  parte
del Prefetto o del Giudice di pace» -  ravvisa,  impropriamente,  una
generalizzata  connessione  tra  gli  esiti,  da  un  lato,  di  tali
procedimenti e quello, dall'altro, del  giudizio  avente  ad  oggetto
l'annullamento della sanzione pecuniaria comminata ai sensi del comma
2 dell'art. 126-bis del codice della strada; 
        che, per contro, la constatazione che  tale  norma  -  specie
dopo gli interventi legislativi resi  necessari  dalla  sua  parziale
declaratoria di illegittimita' costituzionale  (sentenza  n.  27  del
2005)  -  ha  inteso  sanzionare  un'autonoma  infrazione,  e   cioe'
l'omissione della  collaborazione  che  il  cittadino  deve  prestare
all'autorita' preposta alla vigilanza  sulla  circolazione  stradale,
smentisce l'assunto del  remittente,  inducendo  a  circoscrivere  le
ipotesi nelle quali senz'altro ricorre un nesso  di  pregiudizialita'
tra quei procedimenti ed un giudizio del tipo di quello principale; 
        che, difatti, tale evenienza e' ravvisabile  soltanto  quando
venga  dedotta  una  circostanza   -   quale,   esemplificativamente,
l'avvenuto uso del veicolo contro la volonta' del proprietario ovvero
l'errore nell'identificazione del numero di targa - idonea ex  se  ad
integrare quel «documentato  e  giustificato  motivo»  al  quale  da'
espresso rilievo l'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada; 
        che,  pertanto,  l'erroneita',  sotto  questo  profilo,   del
presupposto interpretativo da cui muove il remittente rafforza quanto
gia' rilevato circa la carente descrizione della  fattispecie  in  un
punto determinante  ai  fini  dell'apprezzamento  della  rilevanza  e
comporta la manifesta inammissibilita' della questione sollevata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.