LA CORTE DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  da
Papierz Miroslaw Kazimierz nato a Rzeszow (Polonia)  il  12  dicembre
1984, cittadino polacco, avverso la sentenza  18  giugno  2009  della
Corte di appello di Roma. 
    Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso. 
    Sentita la relazione fatta dal consigliere Luigi Lanza. 
    Udito  il  pubblico  ministero,  nella  persona   del   sostituto
procuratore generale Carmine Stabile che ha concluso per  il  rigetto
del  ricorso,  nonche'  l'avv.  Antonio  Fiorella  che   ha   chiesto
nell'ordine: 1)  l'accoglimento  del  ricorso,  anche  a  seguito  di
applicazione analogica della norma dell'art. 19, comma 1, lettera  c)
legge 22 aprile 2005, n. 69; 2) la rimessione degli atti  alla  Corte
costituzionale per lo scrutino di legittimita' dell'art. 18, comma 1,
lettera r) legge 22 aprile 2005, n. 69, per violazione degli artt. 3,
27,  117,  primo  comma,  Costituzione  nonche'  delle  norme   della
decisione quadro 2002/584/GAI; 3) la sospensione del procedimento  in
attesa della definizione da parte  della  Corte  di  giustizia  delle
Comunita' europee, della causa  C-123/08,  concernente  la  questione
pregiudiziale, sollevata dal Rechtbank Amsterdam il 21 marzo 2008 (in
Gazzetta  Ufficiale  Comunita'  europee  C  116/18),  in   punto   di
discriminazione tra cittadini degli Stati membri dell'Unione europea. 
1) I fatti e la decisione impugnata. 
    Il cittadino polacco Mirostaw  Kazimierz  Papierz,  arrestato  in
Italia il 23 aprile 2009, in quanto destinatario  di  un  mandato  di
arresto europeo, ricorre,  a  mezzo  del  suo  difensore,  contro  la
sentenza 18 giugno 2009 della Corte di appello di  Roma,  che  ne  ha
disposto  la  consegna  all'autorita'   dello   Stato   di   Polonia,
richiedente, ex legge n. 69/2005, ai fini dell'esecuzione di una pena
privativa della liberta' personale. 
    Risulta dagli atti che il ricorrente e' destinatario del  mandato
di arresto europeo in  data  6  luglio  2006  n. II  KOP  19/06,  del
Tribunale circondariale di Rzeszow (Polonia), per concorso in duplice
rapina, per avere, con altre persone, nei giorni 11 gennaio 2003 e 15
gennaio 2003, mediante violenza alle persone, uso di armi da fuoco  e
di fiamma ossidrica, sottratto denaro  ed  altro  in  due  negozi  di
Debica (Polonia), reati questi previsti dagli artt. 280, 157, 11  del
codice penale polacco e per i quali il Papierz ha riportato  condanna
definitiva,  ad  anni  3  e  mesi  6  di  reclusione,   dalla   Corte
distrettuale di Debica (Polonia), con sentenza 19 novembre 2003 (pena
ancora da espiare: indicata  in  anni  3,  mesi  1  e  giorni  22  di
reclusione). 
    Risulta ancora prodotta agli atti, documentazione (certificati di
residenza e stato di  famiglia,  contratto  di  lavoro  del  coniuge,
certificato di frequenza della scuola materna da parte  del  figlio),
non contestata nella sentenza della  corte  distrettuale,  intesa  ad
avvalorare la circostanza che il ricorrente ha effettiva residenza in
Italia ed  ha  ivi  istituito  la  sede  principale  anche  dei  suoi
interessi affettivi. 
    La decisione impugnata, nel disporre la consegna del  condannato,
ha stabilito, citando una costante  giurisprudenza  di  questa  Corte
(Cass. pen., sez. VI, n. 21669/2007,  Kabrine)  che  non  puo'  nella
specie applicarsi - come dedotto dalla difesa - il disposto dell'art.
18, comma 1, lettera r) legge n. 69/2005, il cui  particolare  regime
si applica al solo cittadino italiano e non puo'  estendersi  in  via
interpretativa allo straniero residente in territorio italiano. 
    La stessa Corte d'appello, poi, nel  riprendere  la  sentenza  di
questa Corte citata dai difensori (Cass. Pen., sez. VI, n.  1421/2009
Markovic),  osserva  che   nella   stessa   decisione   si   conferma
testualmente, a proposito di un cittadino  straniero  condannato  con
sentenza definitiva,  che,  non  puo'  trovare  accoglimento  la  sua
richiesta di scontare la pena in Italia, posto che,  ai  sensi  della
citata norma dell'art. 18, comma 1, lettera r), tale possibilita'  e'
stata prevista per il solo cittadino italiano e non per lo straniero,
quand'anche residente nel territorio dello Stato. 
2) I motivi di impugnazione e le conclusioni del ricorrente Papierz. 
    La difesa del consegnando lamenta con  un  primo  motivo  che  la
sentenza impugnata non abbia nella specie fatto applicazione  -  come
richiesto - dal disposto dell'art. 19, comma  1,  lettera  c),  della
legge n. 69/2005, del quale ricorrevano tutti i requisiti, e  che,  a
giudizio  del  ricorrente,  era  applicabile  anche  per  il  mandato
finalizzato alla esecuzione di una condanna definitiva e non  per  il
solo  «m.a.e.  processuale»,  come  aveva  erroneamente  ritenuto  la
decisione impugnata. 
    Con ulteriore deduzione si lamenta l'assenza di  motivazione  sul
punto della effettivita' e continuita' della residenza del ricorrente
nel territorio dello Stato, funzionale all'applicazione  della  norma
ultima citata. 
    Con produzione documentale, il giorno prima dell'udienza,  l'avv.
Fiorella,  difensore  dei  ricorrente,  ha  dimesso  le   conclusioni
presentate il 24 marzo 2009 dall'Avvocato  generale  della  Corte  di
giustizia delle Comunita' europee, Yves Bot, nella Causa C-123/08, la
quale concerneva una questione pregiudiziale, in corso  di  decisione
presso la Corte di giustizia delle Comunita', sollevata dal Rechtbank
Amsterdam il 21 marzo 2008 (in Gazzetta Ufficiale Comunita' europee C
116/18). 
    Ha rilevato la difesa che  si  tratta  di  questione  che  ha  ad
oggetto la legittimita' di una disciplina  nazionale  la  quale,  nel
dare  esecuzione  alla  decisione  quadro  2002/584  (disciplina  del
mandato di arresto europeo), discrimini, nel regolamentare i casi  di
rifiuto dell'esecuzione, tra cittadino nazionale e cittadino  di  uno
Stato dell'Unione europea, residente nel territorio  dello  Stato  di
esecuzione del mandato stesso. 
    Secondo il ricorrente si versa in una tematica che,  collegandosi
a principi costituzionali espressi dagli artt. 3, 27, terzo  comma  e
117  Cost.,  nonche'  comunitari,  toccherebbe  immediatamente  anche
l'interpretazione degli artt. 18, comma 1, lett. r) e  19,  comma  1,
lett.  c)  legge  22  aprile  2005,  n.  69,  ponendosi,  in  termini
corrispondenti,  nel  procedimento  in  oggetto  a  carico  del  sig.
Papierz,  il  quale,  cittadino  di  nazionalita'  polacca,   risiede
stabilmente in Italia con il proprio nucleo familiare. 
    In particolare, si evidenzia nella memoria che Avvocato  generale
ha concluso (cfr. punto 154) nel senso che: «In conformita' dell'art.
4, punto 6, della decisione quadro, un cittadino di  un  altro  Stato
membro che dimori o risieda nello  Stato  membro  di  esecuzione,  ai
sensi di questa disposizione, e' assimilato a un  cittadino  di  tale
Stato nel senso che deve poter beneficiare di "una decisione  di  non
esecuzione della consegna" e della possibilita' di scontare  la  pena
nel detto Stato». 
    Per  tali  motivi  si  e'  anche  chiesta  la   sospensione   del
procedimento, in attesa della  decisione  Corte  di  giustizia  delle
Comunita', sul punto in cui e' escluso dalle guarentigie riconosciute
ai propri cittadini, e, nello specifico, dal «rifiuto  di  consegna»,
lo straniero destinatario di  una  decisione  di  condanna  per  pena
privativa della liberta' personale - cittadino di Stato membro -  che
dimori o risieda sul territorio nazionale italiano,  persona  invece,
per la quale, il successivo art. 19, comma  1,  lettera  c),  prevede
l'istituto  della  «consegna  subordinata»,  qualora   il   residente
cittadino straniero sia oggetto di mandato  di  arresto  europeo  «ai
fini di un'azione penale». 
2.1) La norma applicata: art. 18, comma 1, lettera r) legge 22 aprile
2005, n. 69. 
    L'art. 18, comma 1, lettera  r)  citato,  riprende  in  forma  di
rifiuto della consegna la disposizione contenuta nell'art. 4, par.  6
della decisione quadro 2002/584/GAI  del  Consiglio,  del  13  giugno
2002, relativa al mandato d'arresto  europeo,  che  consente  di  non
eseguire la consegna  «se  il  mandato  d'arresto  europeo  e'  stato
rilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o  di  una  misura  di
sicurezza privative della  liberta',  qualora  la  persona  ricercata
dimori nello Stato membro  di  esecuzione,  ne  sia  cittadino  o  vi
risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena  o
misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno». 
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il particolare  regime
stabilito dall'art. 18, comma 1, lett. r) legge n. 69/2005 in tema di
mandato esecutivo, si applica al solo cittadino italiano (Cass. pen.,
sez. 6, n. 21669 del 31 maggio 2007 - 1° giugno 2007, Kabrine) e  non
puo' estendersi in via interpretativa allo straniero che risieda  sul
territorio italiano, in quanto la  decisione-quadro  2002/584/GAI  si
limita  a  facoltizzare  gli  Stati  membri  dell'Unione  europea  ad
estendere  le  guarentigie,  eventualmente  riconosciute  ai   propri
cittadini, anche agli stranieri residenti sul loro territorio  (Cass.
pen., sez. F, n. 34210, del 4 settembre 2007-7 settembre 2007, Dobos,
Rv. 237055; sez. 6, n. 16213, del  16  aprile  2008-17  aprile  2008,
Badilas, Rv. 239720, in via mass.; sez. 6, n. 25879,  del  25  giugno
2008-26 giugno 2008, Vizitiu, Rv. 239946). 
2.2) La norma applicabile secondo l'impugnazione proposta:  art.  19,
comma 1, lettera c) legge 22 aprile 2005, n. 69. 
    Il ricorso  del  Papierz,  invece,  prospetta  criticamente  come
applicabile,   in    via    analogica,    o,    comunque,    mediante
un'interpretazione costituzionalmente orientata, la  norma  dell'art.
19, comma 1, lettera c) legge n. 69/2005, una  disposizione  che  nel
suo tenore lessicale ricalca il contenuto dell'art. 5, par.  3  della
decisione-quadro, il quale prevede la consegna condizionata «ai  fini
di un'azione penale» del cittadino o del  residente  dello  Stato  di
esecuzione («la  consegna  e'  subordinata  alla  condizione  che  la
persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro
di esecuzione  per  scontarvi  la  pena  o  la  misura  di  sicurezza
privative della liberta' eventualmente pronunciate nei suoi confronti
nello Stato membro emittente»). 
    La condizione in  questione,  dettata  in  tema  di  «mandato  di
arresto  europeo  processuale»,  risulta  collegata  -  a  differenza
dell'omologa disposizione dell'art. 18, comma 1, lettera r)  in  tema
di' mandato esecutivo  -  alla  alternativa  qualita'  di  essere  il
consegnando  «cittadino  italiano»,  oppure  «residente  dello  Stato
italiano» e il raffronto critico tra le  due  disposizioni  e'  stato
sempre  risolto  nella  affermazione   che   soltanto   «la   persona
giudicanda» (cittadino o residente dello Stato), e per  la  quale  e'
appunto in corso l'azione penale, ha titolo per invocare  l'art.  19,
comma 1, lettera c), in punto di «consegna subordinata». 
    Nella ipotesi invece, come quella in esame, di azione penale gia'
esercitata e consumata con la  decisione  di  condanna  irrevocabile,
solo «il cittadino italiano» e non quindi «il residente dello Stato»,
puo' beneficiare della disciplina apprestata dall'art. 18,  comma  1,
lettera r). 
3)  Rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera  r)  legge
22 aprile 2005, n. 69, con riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma,
e 117 primo comma Costituzione. 
    Il presente giudizio,  che  attiene  alla  consegna  o  meno  del
cittadino polacco Papierz, nel quadro dell'istituto  del  mandato  di
arresto europeo, non puo'  essere  definito  indipendentemente  dalla
risoluzione della questione di legittimita' costituzionale,  proposta
dal  ricorrente,  che  risulta  pertanto  rilevante  ai  fini   della
decisione, considerato che le disarmonie di trattamento tra cittadini
italiani e residenti, nei contesti prospettati e come si argomentera'
piu' oltre, sono idonee a concretizzare l'ulteriore  requisito  della
non  manifesta  infondatezza  della  questione,  a  sensi   dell'art.
23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87. 
3.1) Profili di rilevanza della dedotta questione di legittimita'. 
    La questione, nei termini prospettati e' di risolutiva  rilevanza
nella vicenda, dato che il ricorrente Papierz, a quanto  risulta,  ha
fornito  la  prova  necessaria,  e  nei   termini   richiesti   dalla
giurisprudenza di questa Corte,  del  suo  concreto  radicamento  sul
territorio e della sua abitudine alla dimora, ed il relativo giudizio
(di consegna oppure di rifiuto di consegna) non  puo'  quindi  essere
definito in modo indipendente dalla risoluzione  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  norma  dell'art.  18,  comma  1,
lettera r), applicata dai giudici di merito  per  negare  il  chiesto
rifiuto di consegna. 
    La nozione di «residente», infatti va determinata in modo che sia
funzionale all'assimilazione dello straniero residente al  cittadino,
operata dall'art. 4 n. 6 della  decisione-quadro  2002/584/GAI-quadro
2002/584/GAI, con la  conseguenza  che  assume  rilievo  l'esistenza,
nella  specie  non  contestata,  di  un  «radicamento  reale  e   non
estemporaneo» dello straniero in Italia, che dimostri che egli  abbia
ivi istituito, con continuita'  temporale  e  sufficiente  stabilita'
territoriale, la sede principale e  non  occasionale,  anche  se  non
esclusiva, dei propri interessi affettivi, professionali od economici
(Cass. pen., cfr.: sez. 6, n. 12665, del 19 marzo  2008  -  21  marzo
2008, Vaicekauskaite, Rv. 239156),  richiedendosi  inoltre  che  tale
scelta sia altresi' indicativa di una volonta' di stabile  permanenza
nel territorio italiano, per un apprezzabile periodo di tempo  (Cass.
pen., sez. 6, n. 17643, del 28 aprile 2008-30 aprile 2008,  Chaloppe,
Rv. 239651). 
    Il  ricorrente  quindi,  in  quanto  «cittadino  dello  Stato  di
emissione», che ha pero' individuato nel territorio  dello  Stato  di
esecuzione la sede principale dei suoi interessi,  avrebbe  titolo  a
vedere accolta la sua domanda, laddove fosse rimosso il vizio dedotto
di illegittimita' costituzionale della  norma  ostativa,  individuata
nel citato art. 18, comma 1, lettera  r),  nella  parte  in  cui  non
prevede il  rifiuto  della  consegna  del  «residente  non  cittadino
italiano». 
3.2)  Profili  di  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' e negativa esplorazione  circa  la  sussistenza  di  una
lettura alternativa, conforme a Costituzione e aderente al  principio
di «interpretazione conforme alla decisione quadro». 
    Sull'applicabilita' al solo cittadino  italiano  del  particolare
regime previsto dall'art. 18, comma 1, lettera r)  legge  n.  69/2005
(Cass. pen., sez. 6, n. 21669 del 31 maggio 2007 -  1°  giugno  2007,
Kabrine) e sulla impossibilita' di estenderlo, in  via  interpretava,
allo straniero che dimori o risieda sul territorio  italiano,  questa
Corte  di  legittimita'  -  come  gia'  detto  -  si  e'  piu'  volte
pronunciata, anche nel senso che la decisione-quadro 2002/584/GAI da'
una mera facolta' agli Stati membri dell'Unione europea di  estendere
le guarentigie eventualmente riconosciute ai propri  cittadini  anche
agli stranieri residenti sul loro territorio (Cass. pen., sez. F,  n.
34210, del 4 settembre 2007-7 settembre 2007, Dobos, Rv. 237055; sez.
6, n. 16213, del 16 aprile  2008  -  17  aprile  2008,  Badilas,  Rv.
239720; sez. 6, n. 25879, del  25  giugno  2008  -  26  giugno  2008,
Vizitiu, Rv. 239946). 
    Tale indirizzo e' stato ancora ribadito con la  precisazione  che
la limitazione del rifiuto, in favore del  solo  cittadino  italiano,
non si porrebbe in contrasto con i principi  della  decisione  quadro
2002/584/GAI, posto che  quest'ultima  enuncia  «ipotesi  di  rifiuto
facoltative» la cui  trasposizione,  in  una  specifica  disposizione
interna, e' affidata  all'autodeterminazione  decisoria  dei  singoli
legislatori nazionali. 
    Si tratterebbe, dunque,  di  una  scelta  di  politica  criminale
rispondente ad esigenze dell'ordinamento nazionale  ed  a  canoni  di
valutazione discrezionale, che sarebbero immuni da possibili  censure
di  irragionevolezza,  e  sulla  quale  nessuna  incidenza   potrebbe
esercitare la sentenza della Corte di  giustizia  CE  del  17  luglio
2008, C- 66/08, Kozlowsky, che  si  e'  invece  limitata  ad  offrire
l'interpretazione uniforme della nozione di residenza richiamata  nel
su citato art. 4, punto 6, senza esprimersi  in  via  generale  sulla
correttezza  o  meno  delle  normative  nazionali   attuative   della
Decisione quadro in tema di rifiuto della consegna (Cass. pen.,  sez.
F, n. 35286, del 2 settembre 2008-15 settembre 2008, Zvenca). 
    Premesso quindi che tale preciso orientamento  interpretativo  di
questa  Corte  e'  stato   rigorosamente   rispettato   dalla   corte
distrettuale romana,  si  deve  ora  verificare  la  possibilita'  di
seguire una interpretazione diversa da quella accolta, esplorando  la
sussistenza di eventuali letture conformi a  Costituzione,  prima  di
sollevare una questione di legittimita' costituzionale. 
    Nella specie peraltro, univocita' testuale che connota il  tenore
della norma dell'art. 18, comma 1,  lettera  r)  (m.a.e.  esecutivo),
nonche' la valutazione comparativa  con  il  disposto  dell'art.  19,
comma 1, lettera c) (m.a.e. processuale)  non  autorizzano  soluzioni
interpretative  diverse  da  quelle  fatte  proprie  dalla  decisione
impugnata. 
    Va infatti preso atto che il  legislatore  ha  fatto  una  scelta
normativa, diversa da quella che oggi si invoca, la quale, per la sua
precisa connotazione anche lessicale, impedisce una  qualsiasi  forma
di superamento od aggiramento ermeneutico in termini di  applicazione
analogica:  la  norma  esclusivamente  applicabile   risulta   essere
pacificamente quella indicata nella sentenza impugnata e cioe' l'art.
18, comma 1, lettera r), legge n. 69/2005. 
    Neppure puo' ritenersi che,  come  prospetta  il  ricorrente,  il
riferimento  alla   decisione   quadro   consenta   una   dilatazione
interpretativa in bonam partem, che estenda allo straniero «residente
dello Stato» e destinatario di una «richiesta di consegna  esecutiva»
il piu' favorevole trattamento riservato al cittadino, in  quanto  vi
osta il chiaro disposto limitativo dell'art. 18, comma 1, lettera r). 
    E' vero  infatti,  come  piu'  volte  ha  chiarito  la  Corte  di
giustizia delle Comunita' europee, che i giudici nazionali, in  linea
con  il  «principio  di  interpretazione  conforme»,  sono  tenuti  a
interpretare il proprio diritto interno - per quanto possibile - alla
luce della lettera e dello scopo della decisione quadro, al  fine  di
conseguire il risultato perseguito da questa, ma e'  anche  vero  che
tale obbligo cessa allorche' il diritto interno - come nella specie -
non consenta un'interpretazione compatibile con la decisione  quadro,
non potendo il  principio  di  interpretazione  conforme  servire  da
fondamento a un'interpretazione contra legem (cfr. Corte di giustizia
delle Comunita' europee, sentenza 16 giugno 2005, Pupino). 
3.3) Le censure di illegittimita' costituzionale in riferimento  agli
artt. 117, primo comma e 27, terzo comma Costituzione. 
    Il  ricorrente,  richiamando  le  ampie   considerazioni   svolte
dall'Avvocato generale della Corte CEE a sostegno  delle  conclusioni
presentate il 24 marzo 2009, nella causa  C-123/08,  ha  dedotto,  in
relazione all'art. 117, primo comma Cost., che l'art.  18,  comma  1,
lettera r), nel limitare al cittadino la previsione del rifiuto della
consegna, si pone in contrasto con la normativa  comunitaria  cui  la
legge n. 69/2005 ha inteso dare attuazione. 
    In effetti l'art. 4 n. 6 della decisione-quadro 2002/584/GAI, con
la  previsione  che  l'autorita'  giudiziaria  dell'esecuzione   puo'
rifiutare la consegna per un m.a.e.  esecutivo  «qualora  la  persona
ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o
vi risieda», regola un caso di rifiuto rimesso,  a  quanto  pare  (le
conclusioni  dell'Avvocato  generale   pero'   ne   dubitano),   alla
discrezionalita' del legislatore nazionale, ma non consente a  questo
di differenziare la posizione del cittadino da quella del  «residente
non  cittadino»,  dato  che  l'esecuzione  della  pena  nello   Stato
richiesto della consegna,  anziche'  in  quello  della  condanna,  e'
prevista non per il riconoscimento di un  privilegio  in  favore  del
cittadino,  solo  eventualmente  estensibile  al  residente,  ma  per
consentire alla pena di svolgere nel migliore dei modi la funzione di
risocializzazione del condannato, rendendo possibile il  mantenimento
dei  suoi  legami  familiari  e  sociali  per  favorire  un  corretto
reinserimento al termine dell'esecuzione;  funzione  questa  che  non
tollera distinzioni tra cittadino e residente. 
    Le medesime ragioni sorreggono la disposizione dell'art. 5  n.  3
della decisione-quadro, in tema di  m.a.e.  processuale,  secondo  la
quale «se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo ai fini di
un'azione penale e' cittadino  o  residente  dello  Stato  membro  di
esecuzione, la consegna puo' essere subordinata alla  condizione  che
la persona, dopo essere stata ascoltata,  sia  rinviata  nello  Stato
membro di esecuzione per scontarvi la pena». 
    Anche in questo caso la posizione del cittadino e'  parificata  a
quella del  residente  e  non  potrebbe  ritenersi  giustificata  una
differenziazione della legislazione nazionale tra le due posizioni. 
    Ancor meno giustificata quindi risulta una differenziazione  come
quella operata dalla legge n. 69/2005, che per il  m.a.e.  esecutivo,
nell'art. 18, comma 1,  lettera  r),  tratta  il  residente  in  modo
diverso dal cittadino, mentre per il  m.a.e.  processuale,  nell'art.
19, comma 1, lettera c), lo parifica. 
    Insomma, nella prospettiva della decisione quadro, una disparita'
di  trattamento  tra  cittadini   e   residenti   non   puo'   essere
giustificata, avuto riguardo al «principio di individualizzazione del
regime  di  (futura)  esecuzione»,  il  quale  non  puo'  che  essere
«indistintamente»  preordinato  e  finalizzato   ad   accrescere   le
opportunita' di inserimento del condannato nel  tessuto  relazionale,
sociale, affettivo, ma anche economico ed abitativo, piu'  funzionale
allo sviluppo delle potenzialita' socializzanti e  rieducative  della
pena, inflitta (oppure infliggenda)  dallo  Stato  di  emissione,  ma
della cui positiva operativita' vengono a trarre diretto ed immediato
beneficio  sia  io  Stato  di  esecuzione,  in  quanto  Stato   della
cittadinanza o della residenza del consegnando, sia gli  altri  Stati
dell'Unione europea. 
    Infatti, come ha rilevato l'Avvocato  generale  della  Corte  CEE
nelle ricordate conclusioni, «l'apertura delle frontiere ha reso  gli
Stati  membri  solidalmente  responsabili  nella  lotta   contro   la
criminalita'» e percio' «si impone la trasposizione dell'art. 4 n.  6
della  decisione  quadro  nel  diritto  di  ciascuno  Stato   membro,
affinche' il mandato di arresto europeo non si applichi  a  discapito
del reinserimento della persona condannata e, quindi,  dell'interesse
legittimo  di  tutti  gli  Stati  membri   alla   prevenzione   della
criminalita', che il motivo  di  non  esecuzione  enunciato  in  tale
disposizione mira a garantire». 
    E' da aggiungere che l'obbiettivo perseguito dagli artt. 4 n. 6 e
5  n.  3  della  decisione  quadro  e'  riconducibile  al  principio,
consacrato nell'art. 27, terzo  comma  Cost.,  che  le  pene  «devono
tendere alla rieducazione del condannato» e che sotto questo  aspetto
il   ricorrente   ha   fondatamente   prospettato    l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  18,  comma  1,  lettera   r)   anche   con
riferimento a tale disposizione costituzionale. 
    I rilievi finora svolti riguardano la posizione del residente non
cittadino, in genere, sia che  appartenga  a  uno  Stato  dell'Unione
europea sia che appartenga a uno Stato terzo, ma nel caso  in  esame,
essendo stata richiesta la consegna del cittadino di uno Stato membro
dell'Unione europea, si pone un'ulteriore e piu' specifica questione,
relativa alla conformita' dell'art. 18,  comma  1,  lettera  r)  alle
norme  comunitarie   e   in   particolare   al   principio   di   non
discriminazione sancito dall'art. 12 CE. 
    Ai sensi dell'art. 17, n. 1 CE chiunque abbia la cittadinanza  di
uno Stato membro e' cittadino dell'Unione e, ai sensi  dell'art.  18,
n. 1 CE, ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare  e  di
soggiornare liberamente nel  territorio  degli  Stati  membri,  fatte
salve le limitazioni e le condizioni previste dal Trattato CE e dalle
disposizioni adottate in applicazione dello stesso. 
    Percio', al fini della determinazione dello Stato nel quale  deve
essere eseguita una pena, risulta ingiustificata una differenziazione
tra  cittadini  dell'Unione  e  appare  condivisibile  l'affermazione
dell'Avvocato generale della Corte CE che «in conformita' dell'art. 4
n. 6 della decisione quadro, un cittadino di un  altro  Stato  membro
che dimori o risieda nello Stato membro di esecuzione,  ai  sensi  di
questa disposizione e' assimilato a un cittadino di tale  Stato,  nel
senso che deve poter beneficiare di una decisione di  non  esecuzione
della consegna e della possibilita' di scontare  la  pena  nei  detto
Stato». 
    L'art. 18, comma 1, lettera r) limita pero', come si e' visto, il
rifiuto della consegna al  caso  in  cui  la  richiesta  riguardi  un
«cittadino italiano»,  imponendola  per  tutti  gli  altri  cittadini
dell'Unione europea, e anche sotto questo aspetto  puo'  fondatamente
prospettarsi che, contrariamente a quanto dispone l'art.  117,  primo
comma  Cost.,  non  siano  stati  rispettati  i  «vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario». 
3.4) La  censura  di  illegittimita'  costituzionale  in  riferimento
all'art. 3 Cost. 
    Anche se la disposizione dell'art. 18, comma 1, lettera r)  legge
n. 69/2005 non  dovesse  risultare  in  contrasto  con  la  normativa
comunitaria resterebbe comunque priva di ragionevole  giustificazione
la diversita' di trattamento del residente non cittadino, nel caso di
m.a.e. esecutivo e nel caso di m.a.e. processuale. 
    In questo secondo caso infatti, come  si  e'  visto,  l'art.  19,
comma 1, lettera c) parifica il residente  al  cittadino,  stabilendo
che la consegna puo'  essere  subordinata  alla  «condizione  che  la
persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro
di esecuzione per scontarvi la  pena»,  e  non  c'e'  alcuna  ragione
plausibile perche' il residente possa scontare la pena nello Stato di
esecuzione quando il m.a.e. e' processuale  e  non  anche  quando  il
m.a.e. e' esecutivo. 
    A ben vedere anzi potrebbe avere una qualche giustificazione  una
disciplina  inversa,  perche',  nel  caso   di'   m.a.e.   esecutivo,
l'esecuzione della pena in Italia  impedisce  l'allontanamento  della
persona di cui e' stata richiesta la consegna e  quindi  consente  il
mantenimento, per quanto e' possibile, delle sue relazioni  familiari
e sociali, mentre nel caso di m.a.e. processuale la persona non  puo'
non essere consegnata allo  Stato  di  emissione  e  la  restituzione
all'Italia per scontarvi la pena e' destinata ad avvenire quando tali
rapporti hanno gia' subito un affievolimento. Percio'  e'  in  questo
caso che potrebbe risultare meno dannosa l'esecuzione della  condanna
nello Stato di emissione, nel quale la  persona  oggetto  del  m.a.e.
resterebbe per scontare la pena dopo essere  stata  detenuta  per  il
processo. 
    In  conclusione   appare   non   manifestamente   infondata,   in
riferimento agli artt.3, 27 comma 3, e  117  primo  comma  Cost.,  la
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18,  comma  1,
lettera r) legge 22 aprile 2005,  n.  69,  nella  parte  in  cui  non
prevede il rifiuto della consegna del residente non cittadino. 
    Si impone pertanto  la  rimessione  della  questione  alla  Corte
costituzionale per la sua decisione ai  sensi  degli  artt.  1  legge
costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87.