LA CORTE DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  da
Musca Constantin Nicusor avverso la  sentenza  7  agosto  2009  della
Corte di appello di Brescia. 
    Sentita la relazione fatta dal consigliere Giulio Maisano. 
    Udito  il  pubblico  ministero,  nella  persona   del   sostituto
procuratore  generale   Enrico   Delehaye   che   ha   concluso   per
l'annullamento  con   rinvio   limitatamente   all'omessa   pronuncia
sull'art. 19, lett. c) della legge n. 69/2005. 
    Il cittadino rumeno Musca Constantin Nicusor e'  stato  arrestato
in Italia 1'11 giugno 2009 in quanto destinatario di  un  mandato  di
arresto europeo, e ricorre contro la sentenza della  Corte  d'Appello
di Brescia del 7 agosto 2009  che  ne  ha  disposto  la  consegna  al
Tribunale di Strehaia (Romania) che ne aveva fatto richiesta ai sensi
della legge n. 69 del 2005 per l'esecuzione di  una  pena  limitativa
della liberta' personale. A carico del  Musca  e'  stato  emesso  dal
Tribunale di Strehaia in data 12 marzo 2009  un  mandato  di  arresto
europeo per l'esecuzione della sentenza n. 219  emessa  dal  medesimo
tribunale in data 1° marzo 2005, divenuta irrevocabile il  6  ottobre
2005 e in esito alla quale e' stato emesso il mandato  di  esecuzione
della pena con il  carcere  n.  480/2005  del  12  ottobre  2005  per
l'esecuzione della pena di anni tre di reclusione. 
    Dagli  atti  risulta  che  Musca  Constantin  Nicusor  e'   stato
condannato alla pena di anni due di carcere per il reato di  omicidio
colposo previsto e punito  dall'art.  178  del  codice  penale  della
Romania, avendo il condannato, nel maggio 2004, causato un  incidente
stradale nel quale decedeva Tudor Marin. Con la sentenza di  condanna
veniva altresi' revocato il beneficio della sospensione  condizionale
della pena concesso con la sentenza n. 2698 del 14 ottobre  2002  del
Tribunale di Drobetsa Turno per il reato di furto previsto  e  punito
dagli artt. 208 e 209 del codice penale della Romania. 
    La decisione impugnata, nel disporre la consegna del  condannato,
ha stabilito che non puo' nella  specie  applicarsi  -  come  dedotto
dalla difesa - il disposto dell'art. 18, comma 1, lettera r) legge n.
69/2005, il cui particolare  regime  si  applica  al  solo  cittadino
italiano e non puo' estendersi in via interpretativa  allo  straniero
residente in territorio italiano. 
    La  stessa  Corte  d'appello  osserva  che   non   puo'   trovare
accoglimento la sua richiesta di scontare la pena  in  Italia,  posto
che, ai sensi della citata norma dell'art. 18,  comma  1 lettera  r),
tale possibilita' e' stata prevista per solo cittadino italiano e non
per lo straniero, quand'anche residente nel territorio dello Stato. 
    Con  il  primo  motivo  di  impugnazione  il  ricorrente  lamenta
l'erronea applicazione dell'art. 18, lett. r) della legge n.  69/2005
deducendone l'applicabilita' per estensione interpretativa anche allo
straniero che risieda o dimori  in  Italia,  ad  evitare  una  palese
discriminazione fra coloro che sono cittadini e  coloro  che  non  lo
sono. 
    Con secondo motivo si deduce mancanza e/o  manifesta  illogicita'
della motivazione ex art. 606, lett. e) c.p.p. e violazione di  legge
in relazione all'art.  19,  lett.  c)  della  legge  n.  69/2005.  In
particolare si lamenta che la  sentenza  impugnata  non  abbia  nella
specie fatto applicazione - come richiesto - dal  disposto  dell'art.
19, comma 1, lettera c), del legge n. 69/2005, del quale  ricorrevano
tutti requisiti, e che, a giudizio del  ricorrente,  era  applicabile
anche per il mandato finalizzato  alla  esecuzione  di  una  condanna
definitiva e  non  per  il  solo  «m.a.e.  processuale»,  come  aveva
erroneamente ritenuto la decisione impugnata. 
    Osserva  la  Corte  che  deve  essere  sollevata   questione   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.  3,  27  terzo
comma, e 117, primo comma Cost., dell'art.  18,  comma  l,  lett.  r)
della legge 22 aprile 2005, n. 69 nella parte in cui non  prevede  il
rifiuto della consegna del residente non cittadino. 
    Il presente giudizio,  che  attiene  alla  consegna  o  meno  del
cittadino rumeno Musca,  nel  quadro  dell'istituto  del  mandato  di
arresto europeo, non puo'  essere  definito  indipendentemente  dalla
risoluzione della questione di legittimita' costituzionale  proposta,
che risulta pertanto rilevante ai fini della  decisione,  considerato
che le disarmonie di trattamento tra cittadini italiani e  residenti,
nei contesti prospettati e come  si  argomentera'  piu'  oltre,  sono
idonee a concretizzare  l'ulteriore  requisito  della  non  manifesta
infondatezza  della  questione,  a  sensi   dell'art.   23,   secondo
comma, legge 11 marzo 1953, n. 87. 
    La questione, nei termini prospettati e' di risolutiva  rilevanza
nella vicenda, dato che il ricorrente  Musca,  alquanto  risulta,  ha
fornito  la  prova  necessaria,  e  nei   termini   richiesti   dalla
giurisprudenza di questa Corte,  del  suo  concreto  radicamento  sul
territorio e della sua abitudine alla dimora, ed il relativo giudizio
(di consegna oppure di rifiuto di consegna) non  puo'  quindi  essere
definito in modo indipendente dalla risoluzione  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  della  norma  dell'art.  18,  comma  1,
lettera r), applicata dai giudici di merito  per  negare  il  chiesto
rifiuto di consegna. 
    La nozione di «residente», infatti va determinata in modo che sia
funzionale all'assimilazione dello straniero residente al  cittadino,
operata dall'art. 4, n. 6 della decisione-quadro  2002/584/GAI-quadro
2002/584/GAI, con la  conseguenza  che  assume  rilievo  l'esistenza,
nella  specie  non  contestata,  di  un  «radicamento  reale  e   non
estemporaneo» dello straniero in Italia, che dimostri che egli  abbia
ivi istituito, con continuita'  temporale  e  sufficiente  stabilita'
territoriale, la sede principale e  non  occasionale,  anche  se  non
esclusiva, dei propri interessi affettivi, professionali od economici
(Cass. pen. cfr.: sez. 6, n. 12665, del 19  marzo  2008  -  21  marzo
2008, Vaicekauskaite, Rv. 239156),  richiedendosi  inoltre  che  tale
scelta sia altresi' indicativa di una volonta' di stabile  permanenza
nel territorio italiano, per un apprezzabile periodo di tempo  (Cass.
pen. sez. 6, n. 17643, del 28 aprile 2008-30 aprile  2008,  Chaloppe,
Rv. 239651). 
    Il  ricorrente  quindi,  in  quanto  «cittadino  dello  Stato  di
emissione», che ha pero' individuato nel territorio  dello  Stato  di
esecuzione la sede principale dei suoi interessi,  avrebbe  titolo  a
vedere accolta la sua domanda, laddove fosse rimosso il vizio dedotto
di illegittimita' costituzionale della  norma  ostativa,  individuata
nel citato art. 18, comma 1, lettera  r),  nella  parte  in  cui  non
prevede il  rifiuto  della  consegna  del  «residente  non  cittadino
italiano». 
    Sull'applicabilita' al solo cittadino  italiano  del  particolare
regime previsto dall'art. 18, comma 1, lettera r)  legge  n.  69/2005
(Cass. pen. sez. 6, n. 21669  del  31  maggio  2007-1°  giugno  2007,
Kabrine) e sulla impossibilita' di estenderlo, in  via  interpretava,
allo straniero che dimmi o  risieda  sul  territorio  italiano,questa
Corte  di  legittimita'  -  come  gia'  detto  -  si  e'  piu'  volte
pronunciata, anche nel senso che la decisione-quadro 20021584/GAI da'
una mera facolta' agli Stati membri dell'Unione europea di  estendere
le guarentigie eventualmente riconosciute ai propri  cittadini  anche
agli stranieri residenti sul loro territorio (Cass. pen. sez.  F,  n.
34210, del 4 settembre 2007-7 settembre 2007, Dobos, Rv. 237055; Sez.
6, n. 16213, del 16 aprile 2008-17 aprile 2008, Badilas, Rv.  239720;
Sez. 6, n. 25879, del 25 giugno 2008-26  giugno  2008,  Vizitiu,  RV,
239946). 
    Tale indirizzo e' stato ancora ribadito con la  precisazione  che
la limitazione del rifiuto, in favore del  solo  cittadino  italiano,
non si porrebbe in contrasto con i principi  della  Decisione  quadro
2002/584/GAI, posto che  quest'ultima  enuncia  «ipotesi  di  rifiuto
facoltative» la cui  trasposizione,  in  una  specifica  disposizione
interna, e' affidata  all'autodeterminazione  decisoria  dei  singoli
legislatori nazionali. 
    Si tratterebbe, dunque,  di  una  scelta  di  politica  criminale
rispondente ad esigenze dell'ordinamento nazionale  ed  a  canoni  di
valutazione discrezionale, che sarebbero immuni da possibili  censure
di  irragionevolezza,  e  sulla  quale  nessuna  incidenza   potrebbe
esercitare la sentenza della Corte di  giustizia  CE  del  17  luglio
2008, C- 66/08, Kozlowsky, che  si  e'  invece  limitata  ad  offrire
l'interpretazione uniforme della nozione di residenza richiamata  nel
su citato art. 4, punto 6, senza esprimersi  in  via  generale  sulla
correttezza  o  meno  delle  normative  nazionali   attuative   della
Decisione quadro in tema di rifiuto della consegna (Cass.  Pen.  sez.
F, n. 35286, del 2 settembre 2008 - 15 settembre 2008, Zvenca). 
    Premesso quindi che tale preciso orientamento  interpretativo  di
questa  Corte  e'  stato   rigorosamente   rispettato   dalla   corte
distrettuale romana,  si  deve  ora  verificare  la  possibilita'  di
seguire una interpretazione diversa da quella accolta, esplorando  la
sussistenza di eventuali letture conformi a  Costituzione,  prima  di
sollevare una questione di legittimita' costituzionale. 
    Nella specie  peraltro,  l'univocita'  testuale  che  connota  il
tenore  della  norma  dell'art.  18,  comma  1,  lettera  r)  (m.a.e.
esecutivo),  nonche'  la  valutazione  comparativa  con  il  disposto
dell'art.  19,  comma  1,  lettera  c)   (m.a.e.   processuale)   non
autorizzano soluzioni interpretative diverse da quelle fatte  proprie
dalla decisione impugnata. 
    Va infatti preso atto che il  legislatore  ha  fatto  una  scelta
normativa, diversa da quella che oggi si invoca, la quale, per la sua
precisa connotazione anche lessicale, impedisce una  qualsiasi  forma
di superamento od aggiramento ermeneutico in termini di  applicazione
analogica:  la  norma  esclusivamente  applicabile   risulta   essere
pacificamente quella indicata nella sentenza impugnata e cioe' l'art.
18, comma 1, lettera r), legge n. 69/2005. 
    Neppure puo' ritenersi che,  come  prospetta  il  ricorrente,  il
riferimento  alla   decisione   quadro   consenta   una   dilatazione
interpretativa in bonam partem, che estenda allo straniero «residente
dello Stato» e destinatario di una «richiesta di consegna  esecutiva»
il piu' favorevole trattamento riservato al cittadino, in  quanto  vi
osta il chiaro disposto limitativo dell'art. 18, comma 1, lettera r). 
    E' vero  infatti,  come  piu'  volte  ha  chiarito  la  Corte  di
giustizia delle Comunita' europee, che i giudici nazionali, in  linea
con  il  «principio  di  interpretazione  conforme»,  sono  tenuti  a
interpretare il proprio diritto interno - per quanto possibile - alla
luce della lettera e dello scopo della decisione quadro, al  fine  di
conseguire il risultato perseguito da questa, ma  e  anche  vero  che
tale obbligo cessa allorche' diritto interno - come  nella  specie  -
non consenta un'interpretazione compatibile con la decisione  quadro,
non potendo il  principio  di  interpretazione  conforme  servire  da
fondamento a un'interpretazione contra legem (cfr. Corte di giustizia
delle Comunita' europee, sentenza 16 giugno 2005, Pupino). 
    In relazione all'alt 117, primo comma Cost. l'art. 18,  comma  1,
lettera r), nel limitare al cittadino la previsione del rifiuto della
consegna, si pone inoltre in contrasto con la  normativa  comunitaria
cui la legge n. 69/2005 ha inteso dare attuazione. 
    In effetti l'art. 4, n. 6  della  decisione-quadro  2002/584/GAI,
con la previsione che l'autorita'  giudiziaria  dell'esecuzione  puo'
rifiutare la consegna per un m.a.e.  esecutivo  «qualora  la  persona
ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o
vi risieda», regola un caso di rifiuto rimesso alla  discrezionalita'
del legislatore nazionale, ma non consente a questo di  differenziare
la posizione del cittadino da quella del «residente  non  cittadino»,
dato  che  l'esecuzione  della  pena  nello  Stato  richiesto   della
consegna, anziche' in quello della condanna, e' prevista non  per  il
riconoscimento  di  un  privilegio  in  favore  del  cittadino,  solo
eventualmente estensibile al residente, ma per consentire  alla  pena
di svolgere nel migliore dei modi la  funzione  di  risocializzazione
del condannato, rendendo possibile il mantenimento  dei  suoi  legami
familiari e sociali per favorire un corretto reinserimento al termine
dell'esecuzione; funzione questa  che  non  tollera  distinzioni  tra
cittadino e residente. 
    Le medesime ragioni sorreggono la disposizione dell'art. 5, n.  3
della decisione-quadro, in tema di  m.a.e.  processuale,  secondo  la
quale «se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo ai fini di
un'azione penale e' cittadino  o  residente  dello  Stato  membro  di
esecuzione, la consegna puo' essere subordinata alla  condizione  che
la persona, dopo essere stata ascoltata,  sia  rinviata  nello  Stato
membro di esecuzione per scontarvi la pena». 
    Anche in questo caso la posizione del cittadino e'  parificata  a
quella del  residente  e  non  potrebbe  ritenersi  giustificata  una
differenziazione della. legislazione nazionale tra le due posizioni. 
    Ancor, meno giustificata quindi risulta una differenziazione come
quella operata dalla legge n. 69/2005, che per il  m.a.e.  esecutivo,
nell'art. 18, comma 1,  lettera  r),  tratta  il  residente  in  modo
diverso dal cittadino, mentre per il  m.a.e.  processuale,  nell'art.
19, comma 1, lettera e), lo parifica. 
    Insomma, nella prospettiva della decisione quadro, una disparita'
di  trattamento  tra  cittadini   e   residenti   non   puo'   essere
giustificata, avuto riguardo al «principio di individualizzazione del
regime  di  (futura)  esecuzione»,  il  quale  non  puo'  che  essere
«indistintamente»  preordinato  e  finalizzato   ad   accrescere   le
opportunita' di inserimento del condannato nel  tessuto  relazionale,
sociale, affettivo, ma anche economico ed abitativo, piu'  funzionale
allo sviluppo delle potenzialita' socializzanti e  rieducative  della
pena, inflitta (oppure infliggenda)  dallo  Stato  di  emissione,  ma
della cui positiva operativita' vengono a trarre diretto ed immediato
beneficio  sia  lo  Stato  di  esecuzione,  in  quanto  Stato   della
cittadinanza o della residenza del consegnando, sia gli  altri  Stati
dell'Unione europea. 
    Infatti, come ha rilevato l'Avvocato  generale  della  Corte  CEE
nelle ricordate conclusioni, «l'apertura delle frontiere ha reso  gli
Stati  membri  solidalmente  responsabili  nella  lotta   contro   la
criminalita'» e percio' «si impone la trasposizione dell'art. 4 n.  6
della  decisione  quadro  nel  diritto  di  ciascuno  Stato   membro,
affinche' il mandato di arresto europeo non si applichi  a  discapito
del reinserimento della persona condannata e, quindi,  dell'interesse
legittimo  di  tutti  gli  Stati  membri   alla   prevenzione   della
criminalita', che il motivo  di  non  esecuzione  enunciato  in  tale
disposizione mira a garantire». 
    E' da aggiungere che l'obbiettivo perseguito dagli artt. 4, n.  6
e 5, n. 3 della  decisione  quadro  e'  riconducibile  al  principio,
consacrato nell'art. 27, terzo  comma  Cost.,  che  le  pene  «devono
tendere alla rieducazione del condannato» e che sotto questo  aspetto
il   ricorrente   ha   fondatamente   prospettato    l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  18,  comma  1,  lettera   r)   anche   con
riferimento a tale disposizione costituzionale. 
    I rilievi finora svolti riguardano la posizione del residente non
cittadino, in genere, sia che  appartenga  a  uno  Stato  dell'Unione
europea sia che appartenga a uno Stato terzo, ma nel caso  in  esame,
essendo stata richiesta la consegna del cittadino di uno Stato membro
dell'Unione europea, si pone un'ulteriore e piu' specifica questione,
relativa alla conformita' dell'art. 18,  comma  1,  lettera  r)  alle
norme  comunitarie   e   in   particolare   al   principio   di   non
discriminazione sancito dall'art. 12 CE. 
    Ai sensi dell'art. 17, n. 1 CE chiunque abbia la cittadinanza  di
uno Stato membro e' cittadino dell'Unione e, ai sensi  dell'art.  18,
n. 1 CE, ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare  e  di
soggiornare liberamente nel  territorio  degli  Stati  membri,  fatte
salve le limitazioni e le condizioni previste dal Trattato CE e dalle
disposizioni adottate in applicazione dello stesso. 
    Percio', ai fini della determinazione dello Stato nel quale  deve
essere eseguita una pena, risulta ingiustificata una differenziazione
tra  cittadini  dell'Unione  e  appare  condivisibile  l'affermazione
dell'Avvocato generale della Corte CE che «in  conformita'  dell'art.
4, n. 6 della decisione quadro, un cittadino di un altro Stato membro
che dimori o risieda nello Stato membro di esecuzione,  ai  sensi  di
questa disposizione e' assimilato a un cittadino di tale  Stato,  nel
senso che deve poter beneficiare di una decisione di  non  esecuzione
della consegna e della possibilita' di scontare  la  pena  nel  detto
Stato». 
    L'art. 18, comma 1, lettera r) limita pero', come si e' visto, il
rifiuto della consegna al  caso  in  cui  la  richiesta  riguardi  un
«cittadino italiano»,  imponendola  per  tutti  gli  altri  cittadini
dell'Unione europea, e anche sotto questo aspetto  puo'  fondatamente
prospettarsi che, contrariamente a quanto dispone l'art.  117,  primo
comma  Cost.,  non  siano  stati  rispettati  i  «vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario». 
    Anche se la disposizione dell'art. 18, comma 1, lettera r)  legge
n. 69/2005 non  dovesse  risultare  in  contrasto  con  la  normativa
comunitaria resterebbe comunque priva di ragionevole  giustificazione
la diversita' di trattamento del residente non cittadino, nel caso di
m.a.e. esecutivo e nel caso di m.a.e. processuale. 
    In questo secondo caso infatti, come  si  e'  visto,  l'art.  19,
comma l, lettera c) parifica il residente  al  cittadino,  stabilendo
che la consegna puo'  essere  subordinata  alla  «condizione  che  la
persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro
di esecuzione per scontarvi la  pena»,  e  non  c'e'  alcuna  ragione
plausibile perche' il residente possa scontare la pena nello Stato di
esecuzione quando il m.a.e. e' processuale  e  non  anche  quando  il
m.a.e. e' esecutivo. 
    A ben vedere anzi potrebbe avere una qualche giustificazione  una
disciplina  inversa,  perche',  nel   caso   di   m.a.e.   esecutivo,
l'esecuzione della pena in Italia  impedisce  l'allontanamento  della
persona di cui e' stata richiesta la  consegna  equindi  consente  il
mantenimento, per quanto e' possibile, delle sue relazioni  familiari
e sociali, mentre nel caso di m.a.e. processuale la persona non  puo'
non essere consegnata allo  Stato  di  emissione  e  la  restituzione
all'Italia per scontarvi la pena  e'  destinata  ad  avvenire  quando
tali  rapporti hanno gia' subito un  affievolimento.  Percio'  e'  in
questo caso che potrebbe risultare meno  dannosa  l'esecuzione  della
condanna nello Stato di emissione, nel quale la persona  oggetto  del
m.a.e. resterebbe per scontare la pena dopo essere stata detenuta per
il processo. 
    In  conclusione   appare   non   manifestamente   infondata,   in
riferimento agli artt.3, 27, terzo comma, e 117, primo  comma  Cost.,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  18,  comma  1,
lettera r) legge 22 aprile 2005 n. 69, nella parte in cui non prevede
il rifiuto della consegna del residente non cittadino. 
    Si impone pertanto  la  rimessione  della  questione  alla  Corte
costituzionale per la sua decisione ai sensi  degli  artt.  1,  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n.1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87.