IL TRIBUNALE Letta l'istanza presentata il 18 settembre 2009 dal difensore di C.A., indagato per i delitti p. e p. dagli artt. 81 c.p. 609-ter - 609-quater c.p., in atto sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, istanza avente ad oggetto la revoca di questa o la sua sostituzione con altra meno gravosa; Considerato altresi' che nel medesimo scritto il difensore chiede venga sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275, comma terzo c.p.p., in relazione agli artt. 3, 13, primo comma e 27, secondo comma della Costituzione; Letto il parere del p.m.; Ritenuto di non poter accogliere l'istanza di revoca, data la persistenza delle esigenze cautelari (come spiegato nella separata ordinanza di rigetto); Ritenuto peraltro che nel caso di specie le esigenze cautelari potrebbero venire fronteggiate con misura piu' lieve di quella in atto, in quanto sufficiente, in particolare, ad evitare contatti tra l'indagato e i suoi familiari; Tutto cio' premesso, O s s e r v a L'attuale testo dell'art. 275, terzo comma c.p.p., frutto della modifica legislativa introdotta con l'art. 2, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 conv. nella legge 23 aprile 2009, n. 38, non consente in alcun modo di sostituire la custodia in carcere con gli arresti domiciliari o altra misura piu' blanda, per il reato p. e p. dall'art. 609-quater c.p. (oltre che per diversi altri delitti che qui non rilevano) salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti l'insussistenza delle esigenze cautelari. Secondo la difesa del C. la suddetta normativa, intesa nel senso che al giudice non rimanga alcun potere di scelta delle misure, pone piu' di un fondato dubbio di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3, 27, secondo comma e 13, primo comma della Costituzione. A tal proposito, richiama il parere espresso dal Consiglio superiore della magistratura sul decreto-legge n. 11/2009 (del 2 aprile 2009). Su questa falsariga, la difesa afferma che le nuove disposizioni suscitano perplessita' poiche' estendono ai reati sessuali la presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere, gia' prevista esclusivamente per i delitti di associazione di stampo mafioso. L'art. 275, comma terzo c.p.p., nel testo previgente, rispondeva alla ratio di sollevare il giudice dall'onere di motivare la scelta della misura carceraria in particolari situazioni di pressione ambientale, determinati dalla presenza dell'associazione di tipo mafioso, e soprattutto per questa ragione aveva superato il vaglio di costituzionalita' della Corte, sotto il profilo dell'irragionevolezza della presunzione in essa insita e della violazione del principio di uguaglianza, in relazione al coefficiente di pericolosita' per le condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva, connaturato agli illeciti di quel genere (il riferimento e' all'ordinanza della Corte costituzionale n. 450 del 18 ottobre 1995). Per quanto riguarda invece i delitti di violenza sessuale, la difesa solleva dunque il dubbio che siffatta ratio non sia ravvisabile. Ad avviso di questo giudice, la questione non puo' dirsi manifestamente infondata. Molti dei delitti indicati o richiamati nel comma terzo dell'art. 275 c.p.p., pur gravi, possono esserlo meno di altri previsti nel nostro ordinamento, come si puo' desumere dal raffronto tra le pene edittalmente previste (si pensi, da un canto, ai delitti di cui agli artt. 416 e 416-bis e, dall'altro, ad es., alla cessione di stupefacenti o alla rapina aggravata). E' dunque di tutta evidenza che la scelta del legislatore di imporre, in presenza di esigenze cautelari, la misura cautelare estrema, non dipende da una constatazione quantitativa della gravita' dei delitti, ma da una loro valutazione qualitativa, giustificata nei termini sopra esposti per quanto concerne i delitti di matrice mafiosa e suscettibile di estensione ad altre fattispecie ora previste (specialmente a quelle di carattere associativo: si pensi all'art. 416, comma sesto c.p. o all'art. 74, d.P.R. n. 309/1990). Non e' invece agevole ravvisare le giustificazioni di siffatta valutazione per quanto concerne i delitti sessuali che, pur nella loro gravita' e odiosita', presentano una meno spiccata caratterizzazione pubblicistica, in quanto colpiscono un bene giuridico (la liberta' individuale e sessuale) fornito di un carattere piu' «individuale». L'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa dell'indagato appare percio' non manifestamente infondata, in riferimento anzitutto all'art. 3 della Costituzione, consistente essendo il dubbio che l'integrazione normativa contenuta nell'art. 2, d.l. n. 11/2009, conv. in legge, per la parte che qui interessa, introduca un trattamento, da un lato, ingiustificatamente identico a quello gia' previsto per i delitti in precedenza elencati nel testo previgente dell'art. 275, comma terzo c.p.p., dall'altro ingiustificatamente piu' severo di quello previsto per altri reati sanzionati dall'ordinamento. La questione, in secondo luogo e di conseguenza, concerne anche gli artt. 13, primo comma e 27 secondo comma Cost., in quanto, qualora venga a cadere la giustificazione cautelare della detenzione, l'imputato o indagato si trova a subire una violazione della propria liberta' personale e un trattamento riservato al colpevole, prima della sentenza di condanna definitiva. La questione e' altresi' rilevante, alla luce di quanto spiegato all'inizio, poiche' dalla sua risoluzione dipende la decisione sull'istanza di sostituzione della misura cautelare in atto nei confronti di C.A.