IL GIUDICE DI PACE Nel procedimento penale con n. di R.G. g.d.p. 113/09 e con n. di r.g.n.r. 406/09. A) La questione e' rilevante, atteso che il presente procedimento penale e' stato radicato in quanto e' stato richiesto dichiararsi la penale responsabilita' dell'imputato per la violazione dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998 (introdotto con la legge n. 94/2009), per la quale disposizione di legge si ritiene di sollevare d'ufficio la questione di costituzionalita': ne consegue, infatti, che una eventuale pronunzia di incostituzionalita' della norma comporterebbe l'assoluzione del prevenuto. Il giudizio non puo' pertanto essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. B) Si ritiene sussistere la non manifesta infondatezza per le ragioni che seguono. Se e' pur vero, infatti, che in altri Paesi membri dell'UE e' prevista una fattispecie di reato in qualche modo paragonabile a quella di cui all'art. 10-bis T.U. immigrazione, deve tuttavia rilevarsi che negli ordinamenti interni di tali Paesi vigono per l'ingresso norme differenti da quelle in vigore in Italia, ove, invece, sarebbe del tutto avulso dalla realta' negare che la maggioranza delle domande di inserimento nei flussi vengano presentate non dal proprio paese d'origine, bensi' da irregolari che gia' lavorano in nero nel territorio nazionale. E cio', indubbiamente, con serie perplessita' per quanto attiene l'attuazione in concreto del principio generale di cui all'art. 2 Cost., e comunque con un danno all'immagine di legalita' che questo Paese offre in concreto ai molti stranieri che, in un futuro non troppo lontano, aspirano a diventare cittadini italiani. 1) Per quanto attiene un primo profilo di contrasto con la nostra Carta dei diritti, si ritiene opportuno richiamare pedissequamente alcuni passi tratti dalla richiesta di remissione della questione alla Corte costituzionale, da parte della Procura della Repubblica, in una sede di Tribunale di questo stesso distretto di Corte d'appello, in quanto si condividono i motivi di seguito esposti. «Tale norma appare anzitutto in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza della scelta legislativa di criminalizzare l'ingresso e la permanenza clandestini nello Stato italiano; infatti, pur riconoscendo che compete al legislatore un generale potere "di regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati'' (v. C. cost. sent. n. 5/2004), facendo buon uso della sfera di discrezionalita' sua propria, l'azione di tale organo costituzionale trova limiti insuperabili nell'osservanza dei principi fondamentali del sistema penale stabiliti dalla Costituzione e nell'adozione di soluzioni orientate a canoni di ragionevolezza e di razionalita' finalistica; la irragionevolezza della nuova fattispecie criminosa e' chiaramente evidenziata dalla carenza di un pur minimo fondamento giustificativo: la penalizzazione di una condotta dovrebbe intervenire, come extrema ratio, in tutti i casi in cui non sia possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo. Ora, l'obiettivo perseguita dalla nuova fattispecie incriminatrice e' costituito dall'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato. Esso e' chiaramente desumibile dalle svariate previsioni, accessorie alla fattispecie incriminatrice, aventi ad oggetto proprio l'espulsione dello straniero: tale misura e', infatti, prevista come sanzione sostitutiva irrogabile» dopo l'introduzione della legge n. 94/2009 «dal giudice di pace ai sensi dell'art. 16 d.lgs n. 286/1998, appositamente modificato per comprendervi, tra i presupposti, la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 10-bis (cosi alterando, anche con l'espressa introduzione dell'art. 62-bis) il sistema sanzionatorio disegnato dal d.lgs n. 274/7000, che prescriveva, all'art. 62, dopo la descrizione delle sanzioni tipiche di cui agli artt. 52 e ss., l'espresso divieto di applicazione delle altre misure sostitutive di pene detentive brevi); inoltre, la effettiva espulsione dello straniero in via amministrativa costituisce causa di non procedibilita' dell'azione penale, il che rende plasticamente evidente quale sia l'interesse primario perseguito dal legislatore; infine, non e' richiesto alcun nulla osta dell'Autorita' giudiziaria per l'esecuzione dell'espulsione in via amministrativa, al chiaro scopo di non creare intralci alla predetta operazione. Orbene, l'evidente finalita' della nuova fattispecie incriminatrice, strumentale all'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato, ne sottolinea l'assoluta inutilita' e, dunque, la mancanza di una ratio giustificatrice, perche' lo stesso obiettivo era perfettamente raggiungibile prima dell'introduzione della nuova figura di reato, mediante l'adozione dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13, comma 4, d.lgs n. 286/1998. Ne' la nuova norma modifica in alcun modo i presupposti necessari per l'espulsione, perche' anche la misura sostitutiva eventualmente disposta dal giudice di pace, eseguibile con le modalita' di cui all'art. 13, comma 4, puo' essere adottata soltanto quando non ricorrano la cause ostative indicate nell'art. 14, comma 1, e le difficolta' di carattere amministrativo ed organizzativo che fino ad oggi hanno ostacolato la piena applicazione dell'espulsione manu militari non verranno certo meno con l'introduzione della nuova, figura di reato. Dunque l'ambito di applicazione della nuova fattispecie coincide perfettamente con quello della preesistente misura amministrativa dell'espulsione, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari (stranieri entrati o trattenuti irregolarmente nel territorio dello Stato), sia sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa che c'era gia' nell'ordinamento italiano uno strumento ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo (tanto che esso non e' stato oggetto di alcuna modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale resta priva di ogni giustificazione» (cosi' la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, con istanza del 15 settembre 2009 resa pubblica tramite i mezzi di informazione). 2) L'art. 3 Cost. apparirebbe altresi' violato, sempre secondo la Procura della Repubblica di Torino, «sotto un altro specifico profilo, concernente la irragionevole disparita' di trattamento tra la nuova fattispecie e quella di cui all'art. 14, comma 5-ter d.lgs n. 286/1998, che prevede la punibilita' dello straniero inottemperante all'ordine di allontanamento del Questore solo quando lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato oltre il termine stabilito e "senza giustificato motivo''. Due condizioni che, si fa notare, non si rinvengono nella nuova fattispecie astratta, cosicche' sarebbe sufficiente, per es., il venir meno, per un qualche motivo, del permesso di soggiorno perche' sia immediatamente e automaticamente integrata una ipotesi di trattenimento illecito, senza alcuna possibilita' per l'interessato, di addurre una qualche giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare». Se tali ultimi inconvenienti potrebbero essere superati attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata della nuova fattispecie di reato, tuttavia questo remittente osserva che, non essendo possibili ne' la concessione della sospensione condizionale (che nel caso di specie e' stata proprio concessa all'imputato proprio all'esito dell'unico altro procedimento penale cui e' mai stato sottoposto in Italia, per violazione appunto dell'art. 14, comma 5-ter T.U. Immigrazione), ne' la riduzione di pena conseguente all'adozione di un rito alternativo (vietate dagli artt. 2 e 60, d.lgs n. 274/2000), ne', si rammenti, l'oblazione, espressamente vietata dalla norma qui sottoposta al vaglio dell'ecc.mo Giudice delle leggi, permane in modo piuttosto evidente una disparita' di trattamento nelle due ipotesi anche nel concreto dell'esito processuale; si condivide pertanto la considerazione di una «irrazionale e ingiustificata disparita' di trattamento tra le due fattispecie criminose, entrambe tese a colpire la stessa situazione soggettiva (lo straniero ab origine o divenuto clandestino)». Si condivide inoltre la constatazione che «le stesse siano irrimediabilmente contrastanti tra loro, sia sul piano logico che su quello pragmatico: tutti i presupposti richiesti per l'emanazione del provvedimento del questore (decreto prefettizio di espulsione, impossibilita' di dare esecuzione all'espulsione coattiva impossibilita' di trattenere lo straniero negli appositi Centri di permanenza o inutile decorso del termine massimo di permanenza in tali strutture), infatti, in tanto avevano ragione di esistere in quanto non era previsto un reato di immigrazione o soggiorno clandestini e la sanzione penale era correlata alla sola violazione dell'ordine questorile di allontanamento. Ora che e' stata introdotta la nuova figura dell'ingresso e del soggiorno illegale, a prescindere dall'esistenza di giustificati motivi, lo straniero viene immediatamente sanzionato senza il ricorso di alcuno di quei presupposti richiesti per l'integrazione del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter». Si condivide infine la considerazione per la quale potrebbe con una certa facilita' ipotizzarsi «il caso di un soggetto, gia' condannato per il reato di ingresso o trattenimento clandestino che, non espulso manu militari, ma intimato di lasciare il territorio dello Stato, possa ivi legittimamente trattenersi perche' sorretto da un "giustificato motivo'' con un evidente ed insanabile contrasto nella posizione di uno Stato che, da un lato, punisce lo straniero non solo ab origine, ma anche divenuto clandestino e, dall'altro, lo autorizza a trattenersi perche' munito di un giustificato motivo». Si richiama, poi, «la sentenza della C cost. n. 5/2004, che ha salvato la costituzionalita' dell'art. 14, comma 5-ter, d.lgs n. 286/1998 proprio grazie ad una interpretazione costituzionalmente orientata della clausola "senza giustificato motivo'', considerata, al pari di altre simili rinvenibili nell'ordinamento, una "valvola di sicurezza'' del meccanismo repressivo, atta ad evitare "che la sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione - l'osservanza del precetto appaia concretamente inesigibile'' per i piu' svariati motivi, ma comunque riconducibili "a situazioni ostative di particolare pregnanza che incidano sulla stessa possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempiere all'intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa'', come le situazioni di cui all'art. 14, comma 1, la "condizione di assoluta impossidenza dello straniero'', il "mancato rilascio, da parte della competente autorita' diplomatica o consolare, dei documenti necessari, pure sollecitamente e diligentemente richiesti''». Dunque la fattispecie astratta di cui all'art. 10-bis d.lgs n. 286/1998 non appare conforme alla Costituzione, in quanto punisce indiscriminatamente tutti i soggetti irregolarmente presenti nel territorio dello Stato, senza tenere conto dell'eventuale esistenza di situazioni legittimanti tale presenza, differentemente dall'altra ipotesi di reato di cui sopra. 3) Altri hanno gia' sollevato la questione di costituzionalita' della norma in questione, anche sotto un altro aspetto di non manifesta infondatezza, e cioe' per quanto attiene l'art. 97, primo comma della Costituzione. Se ne condividono le ragioni, con le considerazioni ulteriori, tuttavia, che seguono. L'art. 16-bis introdotto nel d.lgs. n. 274/2000, prevede che il g.d.p., nei casi stabiliti dalla legge, applichi la misura sostitutiva prevista dall'art.16 del d.lgs. n. 286/1998, ossia l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione. Tralasciando la considerazione incidentale che il g.d.p. non puo' comminare pene detentive, deve rilevarsi che e' stata data ampia diffusione, su tutti gli organi di informazione, da parte dei promotori della legge, al chiarimento che, di fatto, tale disposizione e' la chiave di volta di tutto il nuovo sistema sanzionatorio, atteso che lo scopo, conclamato, si ribadisce, con ampio risalto, della norma incriminatrice in questione, e' con evidenza quello di espellere i clandestini. Ma, come gia' accennato ai capi precedenti, l'espulsione amministrativa dei clandestini era gia' statuita dall'art. 13, del d.lgs. n. 286/1998, con la conseguenza che di fronte ad una condotta penalmente accertata di clandestinita', si devono oggi aprire due distinti procedimenti aventi ad oggetto l'espulsione della medesima persona. Ne' puo' ritenersi che la nuova norma in oggetto abbia carattere eccezionale e/o di favore, in quanto incrimina gli stessi soggetti che gia' erano destinatari dell'espulsione amministrativa, il che comporta la conseguenza logica che tale duplicazione e' priva di giustificazione, e percio' irragionevole. Tale palese irragionevolezza si riscontra nel caso di specie in quanto le situazioni poste a confronto (clandestinita' che determina l'espulsione amministrativa e clandestinita-reato che puo' determinare l'espulsione ex art. 16 T.U. Imm.), non possono considerarsi in alcun modo disomogenee. A tale conclusione si perviene considerando che, anche a prescindere dall'omogeneita' esistente in generale tra la fattispecie prevista dall'art. 13, d.lgs. n. 286/1998 e quella prevista dal combinato disposto in esame, non si rinvengono in alcun modo elementi di differenziazione proprio per il richiamo espresso, fatto dalla norma incriminatrice in esame, alla violazione delle disposizioni del d.lgs. n. 286/1998. Se pertanto non vi e' dubbio che il legislatore, nell'esercizio della propria discrezionalita' legislativa, possa disporre, nell'ambito dell'uguaglianza formale, trattamenti differenti per i cittadini e per gli stranieri, ossia trattamenti diversi per situazioni concrete diverse, tuttavia e' altrettanto incontestabile che la previsione di siffatto assetto normativo, e dei conseguenti oneri economici per il contribuente, debba essere compatibile con il principio di ragionevolezza e proporzionalita', e che le relative modalita' di attuazione debbano essere adeguate allo scopo perseguito dal legislatore, che evidentemente e' il contrasto dell'immigrazione clandestina nel territorio nazionale. Se infatti nel nostro sistema non mancano ipotesi di misure amministrative dello stesso genere applicate sia dalla PA che opi dal giudice in sede penale quale sanzione amministrativa accessoria in caso di condanna, queste hanno comunque dei momenti di applicazione e degli scopi differenti. Si pensi, ad esempio, alla sospensione della patente in seguito a contestazione del reato di cui all'art. 186 C.d.S (d.lgs. n. 285/1992), che viene irrogata prima in via amministrativa dal Prefetto in via interinale ed allo scopo di tutelare la sicurezza sulla strada, e solo in un secondo (eventuale) momento dal giudice penale in caso di sentenza di condanna, all'interno della quale la seconda sospensione costituisce invece, una sanzione amministrativa accessoria della pena. 4) Ne' puo' valere a superare le considerazioni del capo precedente, infine, ma anzi puo' valere a rafforzare tale convincimento, la disposizione di cui all'art. 10-bis, comma 5, d.lgs. n. 286/1998, che impone la declaratoria di non doversi procedere qualora l'espulsione sia gia' stata materialmente effettuata (evidentemente in via amministrativa). La previsione, infatti, che alla conclusione del procedimento amministrativo di espulsione consegua l'estinzione del procedimento penale non fa venire meno la sovrapposizione di cui al capo precedente, atteso che l'art. 10-bis, comma 5, risulta per lo meno in contrasto con il piu' elementare diritto di difesa ed in particolare con l'art. 24 Cost: risulta infatti per lo meno illogico, che sia statuito che il giudice debba pronunziare sentenza di non doversi procedere, escludendo ogni altro esame, solamente in quanto e' gia' stata data esecuzione alla misura dell'espulsione, quando l'imputato ben avrebbe potuto essere portatore dell'interesse alla prosecuzione del procedimento per vedere dichiarata giudizialmente la propria innocenza in sede penale per questioni, ad esempio, di merito. Di fatto, una pronunzia di tale genere, si risolverebbe in un avallo giurisdizionale del tutto automatico e vincolato da parte dell'autorita' giudiziaria dell'operato della PA, senza alcuna possibilita' di esame (seppure incidentale) della legittimita' del medesimo ai fini penali. Il che confermerebbe, in concreto una discrezionalita' legislativa che si e', nel suo complesso, orientata ad un principio di presunzione di colpevolezza, in netto contrasto con l'art. 27, secondo comma della Costituzione.