Letti gli atti del procedimento penale sopra a margine indicato nei confronti di Iannuzzi Raffaele Lino, nato a Grottolella (Avellino) il 20 febbraio 1928, imputato «del reato previsto e punito dagli artt. 595, c.p. e 61, n. 10, c.p., 13 (aggravante per aver attribuito fatti determinati) e 21, legge 8 febbraio 1948, n. 47 perche' quale autore dell'articolo che qui si intende integralmente riportato dal titolo «Il boss e la verita' che nessuno volle sapere - La storia di Badalamenti, il "nemico" di Buscetta», apparso sul periodico Il Giornale le cui c.d. copie d'obbligo sono state depositate in Milano in data 3 maggio 2004, offendeva la reputazione di Caselli Gian Carlo all'epoca della riferibilita' dei fatti asseriti in qualita' di Procuratore della Repubblica di Palermo, attualmente Procuratore generale di Torino in quanto: con la tecnica di porre domande retoriche seguite da risposte false e spiegazioni infondate; con l'artificio di elencare una serie di «scuse» con le quali sarebbe stato impedito a Badalamenti di partecipare al processo senza specificare di quale processo si sia trattato, quello di Palermo o quello di Perugia, e poi con un attacco diretto ai magistrati di Palermo; riferendosi inequivocabilmente alla Procura di Palermo e quindi a colui che allora la dirigeva, induceva i lettori a giungere erroneamente alla conclusione che sia esistito ed efficacemente posto in essere un disegno secondo cui la Procura di Palermo avrebbe, con una serie di pretesi cavilli, impedito a Gaetano Badalamenti di essere sottoposto ad interrogatorio dibattimentale nel processo che lo vedeva coimputato con il senatore Giulio Andreotti per l'omicidio di Nino Pecorelli affinche' non potesse smentire le dichiarazioni di Tommaso Buscetta, e quindi che Gaetano Badalamenti avrebbe voluto venire in Italia per intervenire in detto processo e smentire le affermazioni di Tommaso Buscetta che «denunciavano» il coinvolgimento del senatore Giulio Andreotti ma glielo avevano impedito per processare a tutti i costi lo stesso. Ed inoltre: ponendo subdoli interrogativi relativamente alla tragica vicenda del suicidio del maresciallo dei carabinieri Antonio Lombardo; mettendo insieme fatti noti e palesi falsita', induceva i lettori a convincersi erroneamente dell'esistenza di pesanti responsabilita' di Gian Carlo Caselli in detta vicenda, anche relativamente alla sospensione dell'incarico affidato al maresciallo dei carabinieri Antonio Lombardo di recarsi negli USA a prelevare Gaetano Badalamenti per condurlo in Italia, all'asserita iscrizione dello stesso nel registro degli indagati della procura di Palermo ed alla presupposizione di una richiesta di arresto a suo carico. Con l'aggravante di aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale. In Paderno Dugnano il 3 maggio 2004. Premesso che in data 27 febbraio 2009 e' pervenuta la decisione del Senato della Repubblica che nella seduta del 19 febbraio 2009 non approvava la proposta della giunta per le autorizzazioni a procedere di ritenere che le dichiarazioni rese da Raffaele Iannuzzi non costituiscono opinioni espresse dallo stesso nell'esercizio delle sue funzioni di parlamentare ai sensi dell'art. 68 della Costituzione; che alla luce di cio' all'udienza del 27 aprile 2009 la difesa dell'imputato chiedeva sentenza ex art. 129 c.p.p., il p.m. si rimetteva alla decisione del giudice e la parte civile chiedeva che il giudice sollevasse conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato ai sensi degli artt. 37, 23, 25, 26, legge n. 87/1953, sotto il profilo che non competeva al Senato della Repubblica dichiarare la insindacabilita' delle opinioni espresse dal senatore Iannuzzi nell'articolo pubblicato il 3 maggio 2004 sul quotidiano Il Giornale e che pertanto, con la delibera adottata il 19 febbraio 2009, e' stata invasa la competenza dell'autorita' giudiziaria, con la conseguenza che tale delibera deve essere annullata dalla Corte costituzionale O s s e r v a La richiesta formulata dalla parte civile e' fondata e' va accolta. Va rilevato in proposito che, perche' possa invocarsi l'applicabilita' dell'art. 68 Cost., occorre che sia individuabile un nesso funzionale tra le dichiarazioni o affermazioni rese da un membro del Parlamento al di fuori della sede parlamentare e l'esercizio delle funzioni parlamentari stesse. Solo all'interno di questo limite vale la garanzia di cui all'art. 68 Cost., la quale non puo' estendersi fino a coprire, indefinitamente, ogni e qualsiasi affermazione resa dai membri del Parlamento, in qualunque sede e sotto qualsiasi forma, relativa a tematiche genericamente di pubblico interesse. La Corte costituzionale ha spiegato - ormai in modo reiterato e costante - che «per la esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l'espletamento delle sue funzioni e' necessario che tali dichiarazioni siano identificabili come espressione di attivita' parlamentari. Pertanto il ''contesto politico'' o comunque l'inerenza a temi di rilievo generale dibattuti in Parlamento, entro cui le dichiarazioni del deputato si possano collocare, non vale in se' a connotarle quali espressive della sua funzione, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle proprie attribuzioni, siano non gia' il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto, a garanzia delle prerogative delle Camere, dall'insindacabilita'), ma una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell'esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall'art. 21 della Costituzione» (Corte cost. n. 65/2007). In altri termini, la Corte costituzionale ha stabilito che le opinioni espresse da un parlamentare fuori dall'ambito dei lavori parlamentari possano ritenersi collegate dal necessario nesso funzionale alle attivita' parlamentari vere e proprie solo se sussista una «corrispondenza sostanziale» e «cronologica» tra l'attivita' atipica e quella tipica: vale a dire solo se le esternazioni extra moenia siano effettivamente e sostanzialmente corrispondenti ai contenuti di attivita' tipicamente parlamentari e se si concretizzino nella divulgazione o comunicazione all'esterno di atti gia' compiuti nell'ambito della stretta funzione parlamentare. Il «mero contesto politico» o comunque l'inerenza a temi generali dibattuti in Parlamento non connota di per se' le dichiarazioni esterne del parlamentare come espressione della funzione parlamentare. Ove le dichiarazioni esterne non siano «il riflesso del peculiare contributo di un deputato alla vita parlamentare, mediante le proprie opinioni e i propri voti», esse debbono ritenersi come un semplice contributo al dibattito politico, usufruendo della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall'art. 21 della Costituzione, e dunque non coperta dall'immunita' parlamentare (sent. n. 134/2008 e n. 302/2007). Non e' sufficiente, per l'applicazione dell'art. 68, una generica identita' di argomento o di contesto politico, ma e' necessario un legame specifico fra l'atto parlamentare e la manifestazione esterna (sent. n. 171/2008). L'assoluta mancanza di atti parlamentari cui siano riconducibili le dichiarazioni esterne e il mero riferimento all'attivita' parlamentare o comunque all'inerenza a temi di carattere generale, non consentono di ravvisare il nesso funzionale e quindi di applicare in concreto l'insindacabilita' di cui all'art. 68 Cost. (sent. n. 330/2008). Occorre aggiungere che secondo la definitiva interpretazione della Corte costituzionale (sentenza n. 120/04), la legge 140/2003 non ha innovato, ne' poteva innovare, sul contenuto sostanziale dell'art. 68 Cost., e sullo stesso «diritto vivente» che deriva dai ripetuti arresti, degli anni piu' recenti, della Corte stessa. Per risolvere il potenziale conflitto tra le ragioni della garanzia di libero svolgimento della funzione parlamentare e quella dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e della stessa possibilita' di accesso alla giustizia per tutelare beni personali costituzionalmente protetti, l'unico criterio, secondo la sentenza in questione, e' quello di restare ancorati alla formula contenuta nell'art. 68, secondo la quale il parlamentare e' insindacabile solo per le opinioni espresse «nell'esercizio della funzione parlamentare». In questa dizione vanno comprese anche le espressioni e le manifestazioni di pensiero svolte fuori dal Parlamento, ma alla condizione essenziale, che vi sia uno stretto «nesso funzionale» tra tali espressioni e la funzione parlamentare da intendersi nel senso piu' sopra ricordato. In che cosa consista questo nesso, la Corte lo ha ripetuto piu' volte e lo ribadisce ancora oggi, chiarendo ulteriormente che esso non puo' mai sussistere allorche' si pretenda di ravvisare solo un collegamento con lo status di parlamentare, considerato in se'. Se cosi' non fosse, la garanzia - dice la Corte - si trasformerebbe in un inammissibile privilegio: «garanzia e funzione sono inscindibilmente legate fra loro da un nesso che reciprocamente le definisce e giustifica». Al di fuori dei parametri sopra detti, la garanzia di cui all'art. 68 Costituzione si trasformerebbe in un privilegio contrario ai principi di uguaglianza che esporrebbe qualunque cittadino alla possibilita' di essere diffamato (da un parlamentare) senza poter nemmeno tutelare i propri diritti ex art. 24 Cost. (in questo senso si e' espressa anche la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, quarta sezione, con sentenza del 6 dicembre 2005, caso Ielo c.Italia ricorso n. 23053/02). Facendo dunque applicazione dei menzionati principi espressi dalla Corte costituzionale, e' agevole comprendere come nel caso di specie le affermazioni di Iannuzzi contenute nell'articolo dallo stesso redatto e pubblicato su un quotidiano di rilevanza nazionale non attengono alla sua funzione di membro del Senato e, soprattutto, non sussiste nessun nesso funzionale tra l'attivita' parlamentare esercitata in concreto da Iannuzzi e tale manifestazione del pensiero extra moenia. Nel caso di specie non sono state esplicitate le ragioni che hanno determinato la delibera adottata dall'Assemblea del Senato il 19 febbraio 2009 mancando un documento da cui possa dedursi la «motivazione» ufficiale. L'unico testo argomentato e' quello della relazione della senatrice Adamo che e' stata bocciata dall'Assemblea, che si e', diversamente dalla Giunta delle immunita' parlamentari del Senato, pronunciata a favore dell'insindacabilita'. Come risulta dalla parte narrativa di quella relazione, la Giunta delle immunita' parlamentari del Senato ha esaminato la questione relativa allo scritto di Iannuzzi nelle sedute dell'11 novembre e 16 dicembre 2008 e del 27 gennaio 2009. Nella seduta del 16 dicembre fu anche sentito il senatore Iannuzzi, la cui deposizione e' riassunta a pag. 2 della relazione. La conclusione della Giunta fu nel senso che mancassero tutti i presupposti per l'applicazione dell'art. 68 Cost. Nella relazione non solo si dava atto che nessuno dei criteri richiesti per l'applicazione dell'art. 68 Cost. ricorreva nella fattispecie, ma si precisava che le opinioni espresse dal senatore Iannuzzi «non erano riconducibili in alcun modo ad una pur minima forma di nesso funzionale con la carica ricoperta. Fatto questo - aggiungeva la relazione - riconosciuto dallo stesso ex senatore Iannuzzi nella citata audizione del 16 dicembre». La relazione respingeva anche la tesi difensiva secondo la quale non sarebbe possibile scindere l'attivita' di giornalista di Iannuzzi da quella di senatore e dimostrava l'insostenibilita' della figura «anomala» del giornalista-senatore, che come tale potrebbe estendere le garanzie costituzionali di cui gode come Parlamentare a qualsiasi atto concernente la sua professione di giornalista. In aula svolgeva un intervento il senatore Sarro, esprimendo il dissenso del Gruppo del Popolo della Liberta' rispetto alla proposta della Giunta e motivandolo con due argomenti: esisteva il nesso funzionale fra il contenuto dell'articolo e la proposta presentata in Parlamento il 19 febbraio 2004 (cosi' dice il sen. Sarro, ma in realta' la data e' sbagliata perche' e' 29 maggio 2003) dal senatore Iannuzzi per l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulla gestione dei collaboratori di giustizia; il Parlamentare che e' anche giornalista svolge la sua funzione di denuncia politica anche scrivendo su un quotidiano. Il sen. Sarro proponeva quindi di dichiarare l'insindacabilita'. Indetta la votazione, il risultato era che il Senato non approvava la proposta della Giunta; lo scritto di Iannuzzi veniva dunque dichiarato insindacabile. Gli argomenti addotti dal senatore Sarro, unica motivazione disponibile della decisione, sono del tutto infondati. Invero, per cio' che attiene all'atto parlamentare cui sarebbero riconducibili le esternazioni di Raffaele Iannuzzi (progetto di legge per l'istituzione di una commissione di inchiesta) l'argomento si rivela del tutto inconsistente in quanto il D.D.L. n. 2292 (Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione di coloro che collaborano con la giustizia) risulta presentato il 29 maggio 2003 ed assegnato alla Commissione giustizia il 25 giugno 2003; l'articolo di Iannuzzi e' stato pubblicato il 3 maggio 2004, cioe' esattamente un anno dopo. Basterebbe questo per ritenere insussistente una qualsiasi connessione, visto che la Corte costituzionale, con numerose pronunce, ha sottolineato l'importanza assoluta del legame temporale che deve essere tale da far considerare la manifestazione di opinione resa extra moenia come mera divulgazione di quanto svolto nella sede propria nell'esercizio della funzione parlamentare. Ma il nesso non esiste anche per il semplice fatto che si tratta di atti completamente diversi, fra i quali non c'e' neppure quella generica comunanza di contenuti e significati che la Corte costituzionale considera, comunque, insufficiente ai fini dell'applicazione dell'art. 68 Cost. L'articolo di stampa, infatti, e' tutto dedicato al processo Andreotti, al suicidio del maresciallo dei Carabinieri Lombardo, alle dichiarazioni che avrebbe reso Tano Badalamenti in USA e che avrebbe potuto rendere in Italia - secondo l'Autore - se il comportamento di alcuni politici (Leoluca Orlando) e soprattutto di alcuni magistrati della Procura di Palermo (Caselli ed altri) non avessero fatto di tutto per impedire che fosse sentito. Questa e' la tesi di fondo dell'articolo, piu' volte ripetuta in vari scritti da Iannuzzi, che proprio in relazione a questo ha subito diverse condanne, alcune divenute irrevocabili. Un articolo del genere, in cui si ripetono accuse che Iannuzzi aveva formulato anche prima di entrare in Parlamento (col libro «Il processo del secolo» pubblicato nel febbraio 2000, cioe' quasi un anno e mezzo prima che Iannuzzi diventasse Senatore; libro che, fra l'altro, e' stato oggetto di un procedimento penale nel quale Iannuzzi ha subito una severa condanna, confermata poi in appello e da ultimo con la sentenza 31 gennaio 2007 della Corte di cassazione che l'ha resa irrevocabile), non ha nulla a che fare con la richiesta di una commissione d'inchiesta, le cui finalita' sono rese ben chiare dallo stesso testo della proposta, in cui si parla di spese enormi per gestire i pentiti, di anni di carcere espiati da persone innocenti accusate da pentiti, di ambiti di controllo del servizio di protezione, di vicende di collaboratori tornati a delinquere. L'inchiesta - secondo il proponente - avrebbe dovuto riguardare soprattutto la gestione (amministrativa) dei collaboratori di giustizia. Nessuna relazione, dunque, con un complesso di vicende giudiziarie specifiche, come quelle di cui si parla nell'articolo. D'altronde la stessa relazione della Giunta segnalava che Iannuzzi non aveva indicato alcun atto parlamentare a cui si potesse ricollegare l'articolo. Quanto all'argomento relativo all'anomala figura del giornalista-parlamentare a cui tutto sarebbe permesso e i cui scritti sarebbero sempre insindacabili, l'assunto e' stato gia' preso in considerazione dalla Corte costituzionale in altri conflitti cui era interessato anche Iannuzzi e si e' pronunciata nel senso che se lo si accettasse si violerebbe l'art. 68 della Costituzione e si trasformerebbe una garanzia in un inammissibile privilegio, anche in violazione del principio di uguaglianza. Per tutte le ragioni finora espresse e' opinione di questo Giudice che le dichiarazioni contenute nello scritto di Iannuzzi siano del tutto svincolate dall'attivita' funzionale dello stesso e che pertanto la decisione del Senato della Repubblica che ha ritenuto le stesse coperte dall'insindacabilita' ex art. 68 Cost. sia venuta a ledere le prerogative dell'ordine giurisdizionale. Si ritiene pertanto necessario sollevare conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sussistendone i presupposti sia soggettivi (il Tribunale, infatti, e' l'organo competente a decidere definitivamente, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali a lui attribuite, sull'asserita illiceita' delle condotte oggetto delle doglianze della parte lesa) che oggettivi (si tratta, nel caso di specie, per un verso di valutare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68, primo comma Cost. e, per altro verso, di valutare la lesione di attribuzioni giurisdizionali costituzionalmente garantite).