ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 604, comma 4,
del  codice  di  procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4
giugno  1999 dal tribunale di Biella nel procedimento penale a carico
di  F.  P.  P.,  iscritta  al  n. 609  del  registro ordinanze 1999 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1a serie
speciale, dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 25 ottobre 2000 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con  ordinanza  del  4 giugno 1999 il tribunale di
Biella  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  24  e 112 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 604,
comma  4, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, quando
venga  accertata  con  sentenza  dal  giudice  di  appello  una delle
nullita'  indicate nell'art. 179 cod. proc. pen., da cui sia derivata
la  nullita'  del  provvedimento  che  dispone il giudizio davanti al
pretore  o al tribunale in composizione monocratica, gli atti debbano
essere rinviati al pubblico ministero;
        che   l'ordinanza  premette,  in  punto  di  fatto,  che  nel
procedimento  a  quo  la Corte di appello di Torino aveva dichiarato,
con  sentenza,  la  nullita' del giudizio di primo grado, celebratosi
davanti  al  pretore  di  Biella,  per nullita' della declaratoria di
contumacia   dell'imputato,   essendo  la  notifica  del  decreto  di
citazione   a   giudizio   avvenuta   "secondo  modalita'  dichiarate
successivamente incostituzionali";
        che,   in  applicazione  della  norma  denunciata,  la  Corte
territoriale  aveva  quindi  trasmesso  gli  atti al giudice di primo
grado per un nuovo giudizio;
        che,  a  fronte  di  tale  pronuncia,  esso  giudice  a quo -
all'epoca   ancora   pretore   di  Biella,  e  poi  divenuto  giudice
monocratico  del  tribunale  della  stessa citta' per la sopravvenuta
efficacia  delle  disposizioni  del  decreto  legislativo 19 febbraio
1998,  n. 51, in tema di istituzione del giudice unico di primo grado
-  aveva  emesso nuovo decreto di citazione a giudizio dell'imputato,
ai sensi dell'art. 143 norme att. cod. proc. pen;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il  rimettente  rileva  come,  in  forza dell'art. 604, comma 4, cod.
proc. pen., il giudice di appello - ove accerti una nullita' assoluta
da  cui  sia  derivata  la  nullita' del provvedimento che dispone il
giudizio  -  debba  dichiararla  con sentenza, rinviando gli atti "al
giudice che procedeva quando si e' verificata la nullita'";
        che  tale  disposizione  -  mentre  si  presterebbe ad essere
applicata  senza  difficolta'  nel  procedimento  penale  "tipo", che
contempla la celebrazione dell'udienza preliminare (rispetto al quale
il  giudice  del rinvio sarebbe agevolmente individuabile nel giudice
per  le  indagini  preliminari)  -  mal  si  adatterebbe,  invece, ai
procedimenti  che  detta  udienza non contemplano, quali l'originario
rito   pretorile   ed   il   procedimento  davanti  al  tribunale  in
composizione monocratica, che lo ha surrogato;
        che   in   tali   ultimi   procedimenti,   infatti,   non  e'
identificabile alcun giudice che "procedesse" quando si e' verificata
la  nullita',  in  quanto  il provvedimento che dispone il giudizio -
rappresentato,  nella  specie,  dal  decreto  di  citazione  -  viene
adottato,  non  dal  giudice,  ma  dal pubblico ministero in una fase
"preprocessuale";
        che,  tuttavia,  il riferimento della norma impugnata al solo
"giudice",  come  destinatario  del rinvio degli atti, impedirebbe di
aderire  alla soluzione interpretativa - pure adottata dalla Corte di
cassazione  - in forza della quale, nel caso in questione, il giudice
di appello dovrebbe trasmettere gli atti al pubblico ministero;
        che,  pertanto, il giudice di primo grado, cui gli atti siano
rinviati,  non  potrebbe  far  altro che emettere un nuovo decreto di
citazione  a  giudizio  ai  sensi dell'art. 143 norme att. cod. proc.
pen., senza poter disporre la regressione del procedimento allo stato
e  grado  in  cui  si  era  verificata la nullita', in conformita' al
generale disposto dell'art. 185, comma 3, cod. proc. pen;
        che   la   disciplina,  cosi'  ricostruita,  comprometterebbe
peraltro  il  diritto di difesa dell'imputato, il quale si troverebbe
privato,  per  effetto  dell'indicata  sequenza procedimentale, della
facolta'  di  accesso  ai  riti  alternativi  - e, in particolare, al
giudizio  abbreviato  -  facolta'  della  quale  non  aveva potuto in
precedenza  avvalersi  proprio a causa del vizio da cui il decreto di
citazione era affetto;
        che sarebbe violato, altresi', l'art. 112 della Costituzione,
in  quanto l'azione penale - mai in precedenza esercitata validamente
-  verrebbe  ad  essere  di  fatto promossa, mediante l'emissione del
nuovo  decreto  di  citazione,  dal  giudice del rinvio, anziche' dal
pubblico ministero, cui essa e' riservata dalla Carta costituzionale;
        che,  infine,  quanto  alla  rilevanza  della  questione,  il
rimettente   rimarca  come  il  dubbio  di  costituzionalita'  incida
sull'atto  introduttivo  del  processo  in  corso,  la  cui eventuale
invalidita' travolgerebbe l'intero giudizio a quo;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il quale ha concluso per la
dichiarazione di non fondatezza della questione;
        che   l'Avvocatura  erariale  contesta,  in  particolare,  la
correttezza  della  premessa  interpretativa  del  rimettente,  circa
l'obbligo  del  giudice  monocratico  del  rinvio  di  procedere alla
citazione  dell'imputato ai sensi dell'art. 143 norme att. cod. proc.
pen.,  sottolineando come, secondo la giurisprudenza di legittimita',
quest'ultima   disposizione   debba   ritenersi   inapplicabile   nel
procedimento  pretorile, quante volte si sia al cospetto - come nella
specie  -  di nullita' che abbiano impedito un valido passaggio dalla
fase delle indagini preliminari a quella del giudizio.
    Considerato che il tribunale rimettente dubita della legittimita'
costituzionale,  in  riferimento agli artt. 24 e 112 Cost., dell'art.
604, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che, quando
il  giudice  di  appello  accerti  una  nullita'  assoluta da cui sia
derivata  la  nullita'  del  provvedimento  che  dispone  il giudizio
davanti  al pretore o al tribunale in composizione monocratica, debba
rinviare  gli  atti "al giudice che procedeva quando si e' verificata
la nullita'", anziche' al pubblico ministero;
        che il rimettente fonda il quesito di costituzionalita' sulla
premessa interpretativa per cui, nell'ipotesi considerata, il giudice
di  appello dovrebbe trasmettere gli atti al giudice del dibattimento
di  primo  grado  (e non gia' al giudice per le indagini preliminari,
essendo  il  decreto  di  citazione  a  giudizio  un  atto emesso dal
pubblico  ministero  in  fase  "preprocessuale"), il quale sarebbe, a
propria volta, vincolato ad emettere un nuovo decreto di citazione in
applicazione dell'art. 143 norme att. cod. proc. pen;
        che  da  tale premessa il giudice a quo desume, per un verso,
una  lesione  del  diritto  di difesa dell'imputato, sotto il profilo
della  perdita  della facolta' di accesso ai riti alternativi - e, in
particolare,  al  giudizio  abbreviato  -  facolta' in precedenza non
potuta  esercitare  proprio  a causa del vizio che inficiava il primo
decreto di citazione; e, per l'altro, una violazione del principio di
riserva  al pubblico ministero dell'esercizio dell'azione penale, sul
rilievo  che  tale  azione - mai validamente promossa in precedenza -
verrebbe  di  fatto  esercitata  dal  giudice  del  dibattimento  con
l'emissione del nuovo decreto;
        che  l'indicata  premessa  interpretativa si pone peraltro in
contrasto  non soltanto con la lettura data dalla Corte di cassazione
alla  stessa  norma  impugnata,  stando  alla  quale, nell'ipotesi in
esame,  il  giudice  di  appello  avrebbe dovuto rinviare gli atti al
pubblico  ministero,  e  non  al giudice (lettura non apprezzabile in
termini  di  giurisprudenza consolidata ed il dissenso dalla quale e'
motivato  dal rimettente); ma anche con l'orientamento ormai costante
della  giurisprudenza  di legittimita' circa i limiti di operativita'
dell'art.  143 norme att. cod. proc. pen. nel procedimento davanti al
pretore, orientamento sia pure formatosi in rapporto a fattispecie di
nullita' dichiarate dal giudice di primo grado;
        che,  infatti, alla stregua di tale indirizzo interpretativo,
la  citata  norma  di attuazione era destinata a trovare applicazione
anche  nel procedimento pretorile, ma esclusivamente nei casi in cui,
dopo  la  valida  instaurazione  del rapporto processuale, occorresse
citare  nuovamente,  per  qualunque ragione, l'imputato: non, invece,
quando  la necessita' della rinnovazione della citazione derivasse da
una  nullita'  preclusiva  di  un  valido  passaggio dalla fase delle
indagini  preliminari  a quella del giudizio (quale, nella specie, la
nullita' della notifica del decreto di citazione);
        che,  in  quest'ultima  ipotesi  - sempre secondo l'accennato
orientamento  della  Corte  di  cassazione  -  alla  dichiarazione di
nullita'  doveva piuttosto conseguire, ai sensi del generale disposto
dell'art.   185,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  la  regressione  del
procedimento  allo  stato  e  grado  in cui era stato compiuto l'atto
nullo; sicche', in pratica, competeva al pubblico ministero, e non al
giudice,  provvedere  alla nuova citazione: e cio' anche e proprio al
fine   di   non   privare   l'imputato  delle  facolta'  relative  ai
procedimenti speciali;
        che,  peraltro,  anche  a voler ritenere corretta la premessa
interpretativa del giudice a quo la dedotta violazione del diritto di
difesa dell'imputato risulterebbe nel caso concreto insussistente;
        che,  infatti  -  nel sostenere che il meccanismo processuale
denunciato  precluderebbe all'imputato l'accesso ai riti alternativi,
e  segnatamente  al  giudizio  abbreviato  (e  cio'  sul presupposto,
inespresso,  che  la  relativa  richiesta  non possa essere formulata
davanti  al  giudice  del  dibattimento)  -  il  rimettente  trascura
l'incidenza della speciale disciplina transitoria dettata dagli artt.
223  e  224  del  decreto  legislativo  19 febbraio 1998, n. 51, gia'
operante  alla data in cui la questione di costituzionalita' e' stata
sollevata;
        che  detta  disciplina  transitoria,  in effetti, "rimette in
termini"  l'imputato  - nei giudizi di primo grado in corso alla data
di  efficacia  del  decreto  stesso  (ossia  al  2 giugno 1999) - per
chiedere  il  giudizio abbreviato e l'applicazione della pena a norma
dell'art.  444  cod.  proc.  pen.,  nonche'  per formulare domanda di
oblazione;
        che,  in  particolare,  ai  sensi  dell'art.  223 del decreto
legislativo  n. 51 del 1998, la richiesta di giudizio abbreviato puo'
essere utilmente presentata, nei suddetti giudizi, "prima dell'inizio
dell'istruzione  dibattimentale":  limite non valicato nel processo a
quo  secondo  quanto si desume dalle premesse in fatto dell'ordinanza
di  rimessione  (e  cio' a prescindere dalle modifiche "a regime" dei
termini  per  la richiesta, successivamente introdotte dalla legge 16
dicembre 1999, n. 479);
        che,  d'altro canto, non appare neppure riscontrabile - nella
cornice  della  soluzione interpretativa adottata dal giudice a quo -
la lamentata compromissione dell'art. 112 Cost;
        che  l'assunto  del  rimettente - secondo cui, nel frangente,
l'azione  penale  verrebbe inammissibilmente promossa dal giudice del
dibattimento  con  l'emissione  del  nuovo  decreto  di  citazione  -
trascura  infatti  la circostanza che, nel procedimento pretorile, il
decreto  di  citazione  partecipa  della  duplice  natura  di atto di
esercizio dell'azione penale e di vocatio in iudicium dell'imputato;
        che,  nel  caso  di specie, si e' al cospetto di una nullita'
che - attenendo alla notificazione del decreto - inficia la validita'
dell'atto  sotto  il secondo profilo, senza necessariamente escludere
la  riferibilita'  dell'esercizio  dell'azione  penale,  per il fatto
oggetto di giudizio, alla volonta' del pubblico ministero.
    Visti  gli  artt.  26,  secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.