LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 121/2009 nel giudizio  di
responsabilita', iscritto al n. 15577  del  registro  di  Segreteria,
promosso dalla Procura regionale della Corte dei conti nei  confronti
di: 
        1) Stroili Emanuela, nata  il  23  giugno  1956  ad  Udine  e
residente a Trieste, via S. Francesco D'Assisi n. 9, rappresentata  e
difesa dall'avv. Anselmo Torchia ed elettivamente domiciliata nel suo
studio in Catanzaro alla via Crispi n. 37; 
        2) Filocamo Giovanni, nato il 18 settembre 1936  a  Serra  S.
Bruno e residente in Roccella Jonica, c.da Mellisari, rappresentato e
difeso dall'avv. Valerio Zimatore ed  elettivamente  domiciliato  nel
suo studio via Buccarelli n. 49; 
        3) Biamonte Peppino, nato il  18  marzo  1948  a  San  Pietro
Apostolo ed ivi residente in C.so Vittorio Emanuele II, rappresentato
e  difeso  dagli  avv.ti  Antonio  Masi  e  Gianfranco  Spinelli   ed
elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Amato, via F.
Priolo n. 7; 
        4) Sgro' Andrea Luigi,  nato  a  Lungo  l'11  aprile  1938  e
residente in Catanzaro alla via Nicola Misasi n. 40, rappresentato  e
difeso dagli avv.ti Alfredo Gualtieri  e  Giuseppe  Iannello,  con  i
quali domicilia in Catanzaro alla via F. Crispi n. 18; 
    Uditi, nella pubblica udienza del 22  ottobre  2009,  il  giudice
relatore Ida Contino, il vice procuratore  generale  dott.  Salvatore
Librandi, l'avv. Alfredo Gualtieri, l'avv. Valerio  Zimatore,  l'avv.
Anselmo Torchia e gli avv.ti Antonio Masi e Gianfranco Spinelli. 
    Esaminati gli atti ed i documenti del fascicolo processuale. 
 
                              F a t t o 
 
    Con atto introduttivo depositato il 13 luglio  2007,  la  Procura
regionale presso questa sezione ha citato gli odierni  convenuti  per
sentirli condannare a titolo di dolo o, in via subordinata  a  titolo
di colpa grave, al risarcimento del danno nei confronti dell'Asl n. 9
di Locri. 
    I fatti esposti nell'atto di citazione sono i seguenti: 
        con provvedimento n. 482 del  6  dicembre  1999  ed  allegata
circolare, la Regione Calabria individuava  le  linee  guida  per  la
realizzazione delle campagne di screening per la diagnosi precoce dei
tumori femminili in base all'art. 1, comma 34 e 34-bis della legge 23
dicembre  1996/662.  In  particolare  stabiliva  che   ogni   Azienda
sanitaria,  al  fine  di  ottenere  i  finanziamenti  relativi   alla
realizzazione del programma regionale  di  screening  mammografico  e
citologico, doveva istituire un Centro di Riferimento Aziendale ed un
Comitato tecnico  al  fine  di  elaborare  i  progetti  aziendali  da
presentare all'Assessorato alla sanita'; 
        il 30 dicembre 1999 il  Direttore  Generale  dell'A.s.  n.  9
istituiva il Centro di Riferimento ed il Comitato tecnico, e, in data
3 marzo 2000, con la deliberazione n. 317/2000, approvava i  progetti
di screening del cervicocarcinoma e del carcinoma mammario; 
        con nota n. 6261 del 20 febbraio 2001, il Direttore  generale
Manuela Stroili chiedeva all'Assessorato regionale  alla  Sanita'  di
poter acquistare, con l'utilizzo di fondi regionali  finalizzati,  il
sistema  mammografico  prono  con  stereotassi  digitale   denominato
Mammotest plus/S Surgical system integrato da mammografo Athena  HF-X
e da sistema di biopsia della mammella Mammotome; 
        in data 12 aprile 2001,  con  la  nota  n.  9086  recante  ad
oggetto «richiesta somma per screening prevenzione tumori femminili»,
l'Assessore  alla  Sanita'  della  Regione  Calabria  comunicava   al
Direttore Generale Stroili che «con decreto n.  31130  del  4  aprile
2001, su proposta dell'Assessore alla Sanita' e' stato  dato  mandato
all'Ufficio di ragioneria di emettere ordinativo di pagamento per  la
somma  di  £.  1.280.000.000  per  l'espletamento   della   procedura
d'acquisto relativo alla vostra richiesta prot. n. 6261 del 2001». 
    Con deliberazione  n.  689  del  21  giugno  2001,  il  Direttore
generale disponeva l'acquisto  dell'apparecchiatura  dando  atto  che
alla spesa si sarebbe provveduto con i fondi finalizzati  di  cui  al
decreto n. 3130 del 4 aprile 2001 dell'Assessorato alla Sanita'  «per
come comunicazione acquisita al protocollo generale n. 014670 del  30
aprile 2004». 
    Assume parte attrice che l'acquisto  del  Mammotest  plus  e  dei
relativi accessori, tra l'altro utilizzato  solo  24  volte  e  senza
alcuna connessione con l'attivita' di  screening,  avrebbe  di  fatto
impedito la realizzazione dei programmi di screening poiche' le somme
destinate a tale acquisto  (pari  ad  € 647.822,88)  sarebbero  state
sottratte alla realizzazione del progetto di  prevenzione  cui  erano
state originariamente destinate. 
    Di cio' sarebbero responsabili l'Assessore alla Sanita'  Fitocamo
ed i dirigenti Biamonte e Sgro' i quali avevano sottoscritto la  nota
n. 9086. Tale documento «apparentemente» innocuo,  a  dire  di  parte
attrice, aveva  un  contenuto  ben  diverso  dal  decreto  richiamato
poiche' gli stanziamenti ivi previsti riguardavano l'intera  campagna
di screening e non l'acquisto di un solo macchinario. 
    Non solo; nella stessa giornata del 12  aprile  2001  i  medesimi
formulavano  ben  dieci  missive,  aventi  lo  stesso  contenuto,  ed
indirizzate ai dirigenti di altre Aziende sanitarie ed ospedaliere. 
    Ulteriore responsabilita' e' stata configurata dalla Procura  nei
confronti del Dirigente generale dell'Azienda n. 9 dott.ssa  Stroili;
quest'ultima, infatti, aveva nelle sue funzioni deliberato l'acquisto
del mammotest plus con fondi a  destinazione  vincolata,  sebbene  il
macchinario non fosse indispensabile per svolgere lo screening. 
    Peraltro ai fini della valutazione  della  colpa,  parte  attrice
evidenzia che  la  Stroili  procedeva  ad  acquistare,  a  trattativa
privata il Mammotest, senza espletare un'apposita gara in conformita'
alle  disposizioni  regionali,  alla  normativa  nazionale  ed   alle
direttive comunitarie. 
    Da tale condotta sarebbe derivato un danno patrimoniale  pari  ad
€ 661.064,83 corrispondente alla somma spesa  per  la  strumentazione
per la mancata realizzazione dello screening; € 661.064,83  a  titolo
di danno da disservizio ed € 50.000 per danno all'immagine. 
    Con riferimento a tale  ultima  posta  di  danno,  parte  attrice
rileva che la vicenda ha avuto un  eco  rilevantissimo  nella  stampa
regionale  e   nazionale,   nonche'   addirittura   nell'ambito   del
telegiornale RAI nazionale e di Mediaset - rete 4 la cui trasmissione
«Tempi moderni» e' stata interamente dedicata al  caso  in  questione
per lo sperpero di risorse pubbliche e del grave disservizio arrecato
alla collettivita'. 
    All'odierna udienza, parte attrice, in via  preliminare,  solleva
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17,  comma  30-ter
della legge n. 102/2009, come modificato dal decreto legge  3  agosto
2009 n. 103, convertito nella  legge  n.  141/2009  limitatamente  ai
periodi: «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il
risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti
dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine,  il
decorso del termine di prescrizione di cui al  comma  2  dell'art.  1
della  legge  n.  20/1994  e'  sospeso  fino  alla  conclusione   del
procedimento penale». La disposizione censurata, a suo dire,  sarebbe
in contrasto alle disposizioni costituzionali contenute negli  art.li
2, comma 1, 3, comma 1, 24, comma 1, 25, comma  1,  81  comma  4,  97
comma 1, 103 comma 2 e  113  comma  1.  Nel  merito  richiama  l'atto
induttivo chiedendone l'accoglimento. 
    L'avv. Gualtieri, preliminarmente, chiede la  nullita'  dell'atto
di citazione con esclusivo riferimento alla richiesta di risarcimento
per il danno all'immagine e, in  via  subordinata,  si  associa  alla
sollevata  questione   di   legittimita'   costituzionale   rilevando
ulteriormente il contrasto della disposizione contenuta nell'art.  17
comma 30 ter con l'art. 3 della Cost. nella  parte  in  cui  richiama
l'art. 7 della legge n. 97/2001; il combinato disposto dell'art.  17,
comma 30-ter e dell'art. 7 della teste'  richiamata  legge,  infatti,
determinerebbe,  una  disparita'  di  trattamento  tra  i  dipendenti
pubblici, cui la legge n. 97/2001 e' destinata, e gli amministratori.
Nel merito chiede la reiezione della domanda attorea. 
    L'avv.  Zimatore  non  si  associa   alla   sollevata   questione
d'incostituzionalita' ritenendola non  rilevante  poiche'  l'atto  di
citazione farebbe riferimento anche ad altre ipotesi  di  danno.  Nel
merito richiama i precedenti  giurisprudenziali  di  questa  Corte  e
chiede il rigetto della domanda attorea. 
    L'avv.  Torchia  sulla  questione   d'incostituzionalita'   nulla
osserva. Eccepisce la nullita' degli atti  dell'odierno  procedimento
per assenza di una specifica correlata notizia di danno erariale. Nel
merito evidenzia che vi e' stato un decreto di  archiviazione  penale
nei confronti della propria assistita per i fatti di cui all'atto  di
citazione per cui chiede la  reiezione  dell'atto  di  citazione  nei
confronti della convenuta Stroili. 
    L'avv.    Spinelli    non    si    associa     alla     questione
d'incostituzionalita'   e   nel   merito   richiama   i    precedenti
giurisprudenziali della Sezione. Conclude chiedendo il rigetto  della
domanda. 
    Parte attrice, in replica, produce la notizia di  danno  erariale
trasmessa dalla Guardia di Finanza alla Procura regionale della Corte
dei conti il 17 dicembre 2004. 
 
                            D i r i t t o 
 
    1) Seguendo l'ordine logico delle questioni sollevate all'odierna
udienza,  il  Collegio  ritiene  di  dover  vagliare  preliminarmente
l'eccezione  di  nullita'  dell'atto  di  citazione   sollevata   dal
difensore della  convenuta  Stroili  in  virtu'  dell'art.  17  comma
30-ter, 1° periodo  della  legge  n.  102/2009  come  modificata  dal
decreto legge n. 103/2009 convertito in legge n. 141/2009. 
    Detta disposizione recita: «Le  procure  della  Corte  dei  conti
possono  iniziare  l'attivita'  istruttoria  ai  fini  dell'esercizio
dell'azione di danno  erariale  a  fronte  di  specifica  e  concreta
notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente  sanzionate
dalla legge». 
    Innanzi tutto deve premettersi che tale norma va  ragionevolmente
interpretata  riconducendola  al  sistema  generale  che  prevede  il
pubblico ministero contabile comunque titolare di poteri istruttori a
fronte di una notizia di danno; cio' significa che i parametri  della
specificita' e della concretezza, voluti dal  legislatore  del  2009,
non implicano che la notizia di danno debba essere esaustiva di tutti
gli elementi della responsabilita'  amministrativa,  poiche'  in  tal
caso sarebbe superflua la funzione del requirente. 
    Cio' posto,  il  Collegio  rileva  che  la  Guardia  di  Finanza,
Compagnia di Locri, in  data  17  dicembre  2004  ha  trasmesso  alla
Procura regionale della Calabria una segnalazione di  danno  erariale
dalla quale emerge inequivocabilmente la notizia del danno per cui e'
causa. 
    A pag. 69 e ss. della relazione allegata, infatti, con  specifico
riferimento  all'azienda  sanitaria  di  Locri,   e'   data   notizia
dell'acquisto del Mammotest, della somma spesa per tale acquisto, del
fatto che tale  cifra  e'  stata  sottratta  alla  realizzazione  del
progetto di screening  mammografico  e  citologico  cui  erano  state
destinate originariamente le somme; viene altresi'  rilevato  che  il
progetto  di  screening  non   e'   stato   realizzato   poiche'   il
finanziamento  e'  stato   tutto   impiegato   per   l'acquisto   del
macchinario, e che tale macchinario e'  stato  utilizzato  pochissime
volte. 
    Cosi' come, con  specifico  riferimento  al  danno  all'immagine,
sempre la Guardia di Finanza, in data 4 gennaio  2006,  ha  trasmesso
alla Procura regionale, una relazione nella quale si da' notizia  che
le vicende  gia'  descritte  nella  precedente  relazione,  avrebbero
causato un danno all'immagine dell'azienda  sanitaria  poiche'  molte
testate  giornalistiche,  anche  a  tiratura   nazionale,   avrebbero
divulgato le inefficienze, gli  sperperi  e  le  diseconomie  cui  fa
riferimento la relazione trasmessa il 17 dicembre 2004. 
    L'azione del danno erariale per cui e' causa, pertanto, e'  stata
intrapresa dalla Procura  contabile  a  fronte  di  una  specifica  e
concreta notizia di danno,  cosicche'  e'  infondata  l'eccezione  di
nullita' della  citazione  formulata  dai  procuratori  avv.  Alfredo
Gualtieri ed avv. Anselmo Torchia. 
    2) Tanto e' deciso in questa sede anche al fine di  affermare  la
rilevanza della questione di  legittimita'  costituzionale  sollevata
dal Pubblico ministero e dal difensore del convenuto Sgro'. 
    Il Collegio, infatti,  ritenendo  di  non  dover  pronunciare  la
nullita' dell'atto di citazione per indeterminatezza della notizia di
danno,  deve  procedere  all'esame  della   eccepita   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter,  della  legge
n. 102/2009, di conversione del decreto legge  n.  78/2009  per  come
modificata dall'art. 1 del  decreto  legge  n.  103/2009,  convertito
nella legge n. 141/2009. 
    3) A tal riguardo deve dirsi che da una  valutazione  generale  e
complessiva della fattispecie (resa esplicita nelle premesse in fatto
proprio al fine di consentire una verifica sulla sua ammissibilita'),
la questione e' senz'altro rilevante poiche'  la  causa  odierna  non
puo' essere definita se non applicando anche la disposizione gravata. 
    Tale norma, infatti, recita: «Le procure della  Corte  dei  conti
esercitano l'azione per il risarcimento del  danno  all'immagine  nei
soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 dalla  legge  27  marzo
2001,  n.  97.  A  tale  ultimo  fine,  il  decorso  del  termine  di
prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1  della  legge  14  gennaio
1994 n. 20 e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale». 
    Innanzi a tutto, deve essere vagliata l'applicazione della teste'
richiamata disposizione al presente giudizio sotto il  profilo  della
successione della legge nel tempo. 
    In proposito lo stesso legislatore dispone  che  «qualsiasi  atto
istruttorio  o  processuale  posto  in  essere  in  violazione  delle
disposizioni di cui al presente  comma,  salvo  che  sia  stata  gia'
pronunciata sentenza anche non definitiva alla  data  di  entrata  in
vigore della legge di conversione del presente decreto, e'  nullo,  e
la relativa nullita' puo' essere fatta valere  in  ogni  momento,  da
chiunque  vi  abbia  interesse,  innanzi  alla   competente   sezione
giurisdizionale  della  Corte  dei  conti,  che  decide  nel  termine
perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta»  (art.  17,
comma 30-ter, 4° periodo). 
    Ebbene il tenore letterale della norma e' nel senso  che  lo  jus
superveniens trova immediata applicazione in tutti i giudizi pendenti
al momento della sua entrata in vigore tranne nell'ipotesi in cui sia
stata gia' pronunciata una sentenza (anche non  definitiva),  sicche'
anche nel presente giudizio. 
    A cio' si aggiunga che con la norma censurata, il legislatore  e'
andato ad incidere  direttamente  sul  potere  d'agire  del  pubblico
ministero  contabile  cosi'   condizionando   la   stessa   esistenza
dell'azione. 
    Ne discende la natura processuale dello jus superveniens e quindi
la sua diretta efficacia nella presente  causa,  dovendo  il  giudice
sempre applicare  la  norma  processuale  vigente  al  momento  della
pronuncia. 
    4) Ma la rilevanza deve essere scrutinata anche avendo a riguardo
la prevedibile applicabilita' della norma impugnata al caso concreto. 
    Ebbene la parte pubblica,  nell'atto  introduttivo,  chiede,  tra
l'altro, il risarcimento del danno all'immagine pari ad € 50.000  per
la condotta illecita posta  in  essere  dall'Assessore  alla  Sanita'
della Regione Calabria, da Dirigenti dell'Assessorato alla Sanita'  e
dal Dirigente generale dell'A.s. n. 9 di  Locri  in  occasione  della
campagna di screening. 
    Il Collegio, pertanto, ove non ritenga sussistenti i  presupposti
per la rimessione della questione alla Corte costituzionale,  proprio
in virtu' dell'art. 17, comma 30-ter, poiche' il caso  all'esame  non
rientra tra quelli disciplinati dall'art. 7 della legge  n.  97/2001,
non potrebbe addivenire ad una pronuncia nel merito  con  riferimento
al danno all'immagine. 
    Tra l'altro quanto sopra e' stato  eccepito  preliminarmente  dal
difensore del convenuto Sgro' all'odierna  udienza  e  chiesto  nella
memoria difensiva depositata agli atti il 13 ottobre  2009,  per  cui
anche sotto tale profilo la questione e' rilevante. 
    5) Accertato dunque che  esiste  un  rapporto  di  strumentalita'
necessaria tra la risoluzione della  questione  e  la  decisione,  il
Collegio deve procedere a constatare che essa non sia  manifestamente
infondata avendo a riferimento le singole disposizioni costituzionali
che si ritengono violate. 
    6) A questo punto  s'impone  una  sintetica  premessa  sul  danno
all'immagine della p.a. 
    In proposito il Collegio condivide quella parte della dottrina  e
della giurisprudenza che ricostruisce la figura dogmatica  del  danno
all'immagine  in  termini  esclusivamente  pubblicistici  sicche'  il
nucleo  fondamentale   dell'immagine   pubblica   non   deve   essere
individuato  nella  tutela  del  «buon  nome»  o   della   «identita'
personale»  ma  nella  tutela  del  «prestigio»  dell'Amministrazione
stessa. 
    Il prestigio pubblico deve essere inteso come cio' che  genera  e
incrementa il sentimento di appartenenza dei consociati allo Stato e,
in quanto tale, rappresenta un bene-valore essenziale che non e' fine
a  se  stesso  ma  diretto  ad  ingenerare  negli   amministrati   la
convinzione che lo Stato rappresenti  la  piu'  rilevante  formazione
sociale nella quale si svolge la personalita'  dell'uomo  ex  art.  2
della Cost. (cfr. sez. Umbria sentenza n. 371/2004). 
    Ne consegue che qualora lo Stato, o gli altri  enti  pubblici,  a
causa  della  condotta  illecita  di   un   proprio   dipendente   (o
amministratore) perda di prestigio, si affievolisce nei cittadini  il
desiderio di partecipazione,  il  sentimento  di  appartenenza  e  di
affidamento  alle  istituzioni.  La  p.a.,  pertanto,  perde  la  sua
connotazione peculiare  di  formazione  sociale  in  cui  l'individuo
sviluppa  la  sua  personalita'   cosicche'   ne   viene   minacciata
l'esistenza  stessa.  Cio'  chiarito  e'  indiscusso  che  la  tutela
dell'immagine pubblica  e'  un  diritto  che  trova  la  sua  matrice
costituzionale nell'art. 2 della Costituzione. 
    In proposito si evidenzia che la giurisprudenza della  cassazione
oramai riconosce incondizionatamente i diritti inviolabili anche alle
persone giuridiche sulla considerazione che «sarebbe  contraddittorio
riconoscere la risarcibilita' del danno non patrimoniale per  lesione
di un diritto fondamentale al soggetto persona fisica  quando  agisce
direttamente come tale e non riconoscerla alla formazione sociale  la
quale e' pur sempre espressione di uomini nati da  ventre  di  donna»
(Cass. 12929/2007). 
    Orbene il danno all'immagine e'  risarcibile  proprio  in  virtu'
dell'art. 2059 del c.c., allorquando consegua (danno-conseguenza)  ad
una  apprezzabile   lesione   del   bene-diritto   costituzionalmente
tutelato. 
    Come evidente da quanto sin qui argomentato, il risarcimento  del
danno all'immagine della p.a., proprio  per  la  sua  struttura,  non
necessita  di  essere  subordinato  alla  commissione   di   condotte
penalmente rilevanti. 
    Non v'e' dubbio, infatti, che la condotta gravemente  colposa  di
un amministratore o di un dipendente  pubblico  possa  ingenerare  un
grave detrimento dell'immagine e del  prestigio  dell'amministrazione
quando agisce in spregio al principio di legalita', di correttezza  e
di  imparzialita',  ancorche'  la  sua  condotta  non  abbia   natura
delittuosa. 
    La violazione  dell'immagine  consegue,  infatti,  esclusivamente
alla lesione del prestigio e del decoro della p.a.,  pregiudizio  che
puo' scaturire anche solo dalla inosservanza dei doveri contrattuali.
Si  consideri,  in   proposito,   l'ipotesi   del   cosiddetto   dolo
contrattuale che si verifica in presenza di una cosciente  violazione
degli obblighi di servizio. 
    7) Cio' ritenuto, il primo ragionevole dubbio sulla  legittimita'
costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter della legge n. 102/2009 per
come modificata dal decreto legge n. 103/2009 sorge avendo a riguardo
l'art. 2 e l'art. 24 della Costituzione. 
    In proposito si osserva che  la  disposizione  avversata  laddove
afferma «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per  il
risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti
dall'articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001,  n.  97»  preclude,  salva
l'ipotesi di cui all'art. 7 della legge n. 97/2001, ogni  tutela  del
diritto all'immagine pubblica. 
    L'unico caso in cui tale  diritto  e'  protetto  dallo  Stato  e'
quello in cui sia stata emessa sentenza irrevocabile di condanna  nei
delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel  capo  I  del
titolo II del libro II del codice penale. 
    In tutte le altre ipotesi  il  legislatore  del  2009  ha  inteso
negare la possibilita'  giuridica  al  p.m.  contabile  di  agire  in
giudizio, cosi' svuotando di contenuto un diritto  riconosciuto  alla
pubblica  amministrazione  proprio  in  virtu'  dell'art.   2   della
Costituzione. 
    D'altronde non ha  senso  affermare  l'esistenza  di  un  diritto
(all'immagine pubblica) se tale diritto, nell'ipotesi  in  cui  venga
leso, non puo' essere oggetto di protezione  da  parte  dei  soggetti
destinati a tale funzione. 
    La disposizione censurata, dunque, di fatto, tranne nei  casi  di
cui all'art. 7 della  legge  n.  97/2001  ha  prodotto  l'effetto  di
rimuovere  dall'ordinamento  giuridico  un  diritto  che  la   stessa
Costituzione riconosce e garantisce all'art. 2. 
    8) Ne' e' consentita una interpretazione che configuri,  rispetto
al diritto  all'immagine  della  p.  a.  per  condotte  illecite  non
delittuose, una tutela in altra sede giudiziaria. 
    Una tale opzione ermeneutica, infatti, sarebbe in  contrasto  con
gli artt. 25 e 103 della Costituzione. 
    In proposito e' a dire che, pur  volendo  seguire  l'insegnamento
piu' restrittivo della Consulta, l'art. 103,  2°  comma  della  Cost.
attribuisce alla Corte dei conti  una  giurisdizione  tendenzialmente
generale nella materia della contabilita' pubblica nel senso che solo
al di fuori delle ipotesi espressamente o istituzionalmente  devolute
all'organo contabile, la  disposizione  costituzionale  e'  priva  di
capacita' espansiva. 
    Ebbene e' certo che la Corte dei conti, istituzionalmente, ha una
giurisdizione esclusiva nelle controversie  che  riguardano  soggetti
legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di  servizio  per
il danno erariale causato dalla loro condotta. 
    Tra l'altro l'attribuzione «per materia» di  detta  giurisdizione
trova una sua ragione nel fatto che la responsabilita' amministrativa
presenta proprie peculiarita'  (elemento  psicologico,  prescrizione,
intrasmissibilita' agli eredi, potere riduttivo) che la diversificano
dalla responsabilita'  civile  si'  da  giustificare  l'esistenza  di
appositi giudici con specifica competenza cognitoria e decisoria. 
    Il danno all'immagine, peraltro, cosi' come piu'  volte  chiarito
dalle SS.UU. della Cassazione  deve  essere  inteso  come  «la  spesa
necessaria  al  ripristino  del  prestigio»   (Cass.   SS.UU.   sent.
5668/1997, n. 774/1999) sicche' e' certamente un  danno  a  contenuto
patrimoniale in quanto suscettibile di valutazione economica. 
    Ebbene e' indubbio che il danno all'immagine si configuri come un
danno erariale in senso  proprio  e  che  scaturisca  dalla  condotta
gravemente  illecita  (violazione  degli  obblighi  contrattuali)  di
soggetti  legati  alla  pubblica  amministrazione  da   rapporto   di
servizio;  si  colloca,  pertanto,  nella  peculiare  materia   della
responsabilita' amministrativa ed il suo risarcimento  non  puo'  che
essere rimesso alla cognizione del giudice contabile. 
    Orbene, poiche' nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale
precostituito per legge, non  e'  possibile  configurare  l'esercizio
dell'azione per il  risarcimento  di  tale  danno  innanzi  ad  altra
autorita' giudiziaria. 
    Cosicche' non e' problema di difetto di giurisdizione del giudice
contabile a favore di altro giudice ma  di  carenza  di  qualsivoglia
tutela di interessi o diritti giuridicamente a proteggersi in ragione
di quanto sopra esposto. 
    Di  qui  l'ulteriore  profilo  d'incostituzionalita'  in  ragione
dell'art. 24 della Costituzione secondo il quale tutti possono  agire
in giudizio a tutela dei propri diretti ed interessi legittimi. 
    Ebbene, la p.a., attraverso il  p.m.  contabile,  unico  titolare
dell'azione risarcitoria per danno  erariale,  a  causa  della  norma
contenuta nel piu' volte citato art. 17, comma 30-ter, non puo' agire
in giudizio a tutela del suo diritto all'immagine. 
    9) Altro profilo di incostituzionalita'  si  ravvisa  in  ragione
dell'art.  3  della  Cost.  in  considerazione   di   una   paventata
irragionevolezza della disposizione avversata. 
    Sebbene il controllo di legittimita' della  Corte  costituzionale
su una legge esclude ogni  valutazione  di  natura  politica  e  ogni
sindacato sull'uso del potere  discrezionale  del  Parlamento,  detto
potere, con particolare  riferimento  al  principio  di  uguaglianza,
trova comunque un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte
a giustificare la disparita' di trattamento tra i soggetti. 
    Or, ad avviso del collegio la  disposizione  contenuta  nell'art.
17, comma 30-ter, 2°e 3°  periodo,  determina  una  irragionevole  ed
illogica disparita' di trattamento nella tutela dell'immagine tra  le
persone giuridiche private e le persone giuridiche pubbliche  laddove
solo per queste ultime subordina la possibilita' giuridica  di  agire
ad una sentenza penale irrevocabile di condanna (e  solo  per  alcuni
tipi di reato), lasciando impunite tutte le altre condotte. 
    Ancorche'  la  tutela  dell'immagine  trovi  per  tutti  (persone
fisiche,  persone  giuridiche  private   e   pubbliche)   una   fonte
costituzionale nell'art. 2 e per tutti l'eventuale lesione determini,
ai sensi dell'art. 2059 del c.c., il diritto al  risarcimento  di  un
danno non patrimoniale inteso  tuttavia  come  danno-conseguenza  (in
questi termini e' ormai il diritto vivente), con una scelta del tutto
«incoerente»,   la   disposizione   in   esame    ha    drasticamente
ridimensionato solo la tutela dell'immagine pubblica. 
    Indubbiamente  il  legislatore  e'  libero  di  stabilire   quali
comportamenti possano  costituire  titolo  di  responsabilita'  senza
limiti  o  condizionamenti   che   non   siano   quelli   della   non
irragionevolezza e  non  arbitrarieta';  ed,  invero,  proprio  nella
materia della responsabilita' amministrativa,  diversamente  che  nel
settore della responsabilita' civile, ha dettato una  disciplina  che
non  e'  caratterizzata  dal  ristoro  patrimoniale  integrale  delle
situazioni  lese;  si  pensi  per  esempio  alla  limitazione   della
responsabilita'  ai  soli  casi  di  colpa  grave  o  alla  riduzione
dell'addebito. 
    Tuttavia  tale  differenziazione  legislativa  era   giustificata
dall'intento di predisporre nei confronti degli amministratori e  dei
dipendenti pubblici un assetto  normativo  in  cui  il  timore  della
responsabilita'  non  determinasse  rallentamenti  ed  inerzie  nello
svolgimento dell'attivita' amministrativa. 
    Non cosi' nel caso all'esame ove non e'  dato  comprendere  quale
sia  stato  l'interesse  che  il  legislatore  ha  voluto  perseguire
precludendo la risarcibilita' del danno all'immagine;  non  solo,  la
incoerenza e la irragionevolezza appare indubbia ove si consideri  la
peculiare connotazione dell'immagine pubblica. 
    Si e' gia' detto che il  disdoro  arrecato  alle  amministrazioni
pubbliche dalla condotta illecita, illegale, imparziale, inopportuna,
degli amministratori (dipendenti pubblici)  rompe  il  sentimento  di
appartenenza e di  partecipazione  alla  vita  pubblica;  ebbene,  in
presenza di condotte di tal genere lo Stato comunita' finisce per non
identificarsi  piu'  nello  Stato   apparato   con   le   conseguenze
drammatiche che tutti conosciamo. 
    La tutela del «prestigio pubblico», pertanto non  e'  fine  a  se
stessa  ma  riguarda  l'intera  collettivita',   sicche'   l'immagine
pubblica e' un valore  -  interesse  collettivo  -  cui  deve  essere
garantita, se non una protezione rafforzata, quanto  meno  la  stessa
riservata alle persone giuridiche private. 
    10)  La  disposizione  in  esame  appare  altresi'  irragionevole
perche'  detta  una  disciplina  differenziata  tra  alcune  condotte
delittuose, in presenza delle quali accorda la tutela del  danno  non
patrimoniale,  e  le  altre  condotte  illecite  che,   sebbene   non
delittuose, possono comunque causare il danno di cui si discute. 
    Tale differenziazione legislativa appare  incoerente  soprattutto
in ragione della nuova configurazione dottrinale e  giurisprudenziale
del danno all'immagine, quale danno-conseguenza. 
    In seguito alla ricostruzione del danno non patrimoniale  operata
dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 26972/2008,
la risarcibilita' del danno  all'immagine  e'  ammessa  non  gia'  in
presenza del solo pregiudizio costituzionale  ma  allorche'  da  tale
pregiudizio ne sia conseguito effettivamente un danno. 
    Nel danno-conseguenza il baricentro del diritto  risarcitorio  si
sposta dalla ingiustizia della lesione  al  contenuto  del  danno  di
talche' la ragione della tutela risarcitoria risiede nel ristoro  del
danno medesimo. 
    Ebbene, la disposizione contenuta  nell'art.  17,  comma  30-ter,
invece, laddove  consente  la  tutela  del  danno  all'immagine  solo
nell'ipotesi prevista dall'art. 7 della legge  n.  97/2001  e  quindi
solo nel caso in cui sia stata pronunciata sentenza irrevocabile  per
alcune (poche) condotte delittuose, pone una disciplina differenziata
del danno all'immagine enfatizzando un  elemento  (la  condotta)  che
rappresenta oramai solo un presupposto della risarcibilita'. 
    In altri termini, il Collegio e' dell'idea che,  in  presenza  di
una lesione al prestigio della p.a., la  risarcibilita'  deve  essere
garantita a prescindere dalle modalita'  della  lesione  poiche',  in
base al diritto vivente, cio' che rileva e'  la  conseguenza  dannosa
che scaturisce. 
    In questi termini la disposizione appare anche contraddittoria al
sistema. 
    11) Tra l'altro, la incoerenza e' ancora  piu'  evidente  ove  si
consideri che detta disposizione subordina il diritto di  azione  del
pubblico ministero contabile per la lesione  del  prestigio  pubblico
solo ai casi in cui sia stata emessa  sentenza  irrevocabile  per  le
ipotesi di reato previste e punite nel capo I, titolo II, del secondo
libro del codice penale, precludendo cosi' il risarcimento del  danno
all'immagine in tutte le altre ipotesi delittuose, tra le quali ve ne
sono certamente di piu'  gravi  (si  pensi  al  concorso  esterno  in
delitti di mafia o i casi di truffa ai danni dello Stato ecc.). 
    Tuttavia tale aspetto, sebbene interessante, non viene sviluppato
in quanto irrilevante ai  fini  del  presente  giudizio  poiche'  nei
confronti degli odierni convenuti non  e'  stata  pronunciata  alcuna
sentenza penale irrevocabile sicche' una  eventuale  pronuncia  della
Corte costituzionale additiva in questi  termini  sarebbe  inutiliter
data. 
    Per lo stesso motivo  appare  irrilevante  la  censura  formulata
all'odierna udienza in ordine alla disparita' di trattamento  che  si
realizza tra i dipendenti pubblici e gli  amministratori  in  ragione
del combinato disposto dell'art. 17, comma 30-ter e  l'art.  7  della
legge n. 97/2001 cui la prima disposizione rimanda. 
    E' indubbio che legge  97/2001  e'  destinata  solo  ai  pubblici
dipendenti; si consideri in proposito l'intitolazione che reca «Norme
sul rapporto tra procedimento penale e procedimento  disciplinare  ed
effetti del giudicato  penale  nei  confronti  dei  dipendenti  delle
amministrazioni pubbliche». 
    In effetti da una lettura  congiunta  delle  disposizioni  teste'
richiamate  potrebbe  affermarsi  che  la  tutela  dell'immagine  sia
consentita  esclusivamente  nel  caso  di  sentenze  irrevocabili  di
condanna emesse nei confronti dei soli dipendenti  pubblici,  mentre,
al contrario gli amministratori rimarrebbero sempre  esenti  da  tale
responsabilita'. 
    Tuttavia anche questo profilo appare  verosimilmente  irrilevante
poiche' nel caso in esame non e' stata  pronunciata  alcuna  sentenza
penale sicche' gli amministratori ed i dipendenti  si  trovano  nella
medesima situazione di impunita'. 
    12) Ancora il Collegio ritiene che l'art. 17,  comma  30-ter  sia
intrinsecamente irragionevole poiche'  gli  obiettivi  raggiunti  con
tale disposizione sono in contrasto con i principi costituzionali cui
deve essere improntata l'azione amministrativa. 
    L'art. 97 della Cost., infatti, nel  dichiarare  che  i  pubblici
uffici sono organizzati secondo disposizioni di  legge  in  modo  che
siano   assicurati    il    buon    andamento    e    l'imparzialita'
dell'amministrazione, s'indirizza immediatamente e programmaticamente
al legislatore dettando  i  principi  fondamentali  cui  deve  essere
ispirata   la   legislazione   e   precettivamente   alla    pubblica
amministrazione. 
    La disposizione costituzionale  in  esame,  dunque,  da  un  lato
individua quali sono gli obiettivi che il legislatore deve perseguire
con la legge e dall'altra specifica il contenuto proprio  del  dovere
di tutti i funzionari amministrativi,  ed  in  genere  di  tutti  gli
agenti  dell'amministrazione,  di   comportarsi   correttamente.   La
disposizione  costituzionale   contenuta   nell'art.   97,   pertanto
determina un vero e proprio diritto della p.a. ad agire, attraverso i
propri funzionari, secondo i predetti parametri. 
    Il buon andamento e l'imparzialita', sebbene non costituiscano il
fondamento  costituzionale  della  tutela   dell'immagine   pubblica,
configurano senz'altro i criteri cui deve essere improntata  l'azione
amministrativa affinche' il prestigio pubblico non venga leso. 
    E'  evidente,  pertanto,  la  stretta  relazione  tra  l'immagine
pubblica e l'agire corretto al punto che  una  ridotta  tutela  della
prima   inevitabilmente   indebolisce    il    diritto    sostanziale
dell'amministrazione ad agire, attraverso  i  propri  funzionari,  in
modo corretto, imparziale, efficace ed efficiente. 
    Cio'  considerato,  il  Collegio  ritiene  che  la   disposizione
censurata  persegue  obiettivi  in   contrasto   con   il   contenuto
programmatico  dell'art.  97  Cost.  laddove,  invece  di  introdurre
strumenti   a   presidio   del   buon   andamento   della    pubblica
amministrazione, incoerentemente introduce una  disciplina  volta  ad
escludere la possibilita' giuridica del p.m. contabile di  perseguire
ipotesi di danno all'immagine causato da una condotta  amministrativa
scorretta; non solo, si pone anche  in  contrasto  con  il  contenuto
precettivo della disposizione costituzionale poiche'  indebolisce  il
diritto della p.a. all'azione amministrativa corretta. 
    13) Le censure di incostituzionalita' formulate  con  riferimento
all'art. 3 e  97  della  Cost.,  tra  l'altro,  non  sono  superabili
attraverso una diversa opzione ermeneutica poiche' la  chiara  ed  in
equivoca volonta' del legislatore non consente a  questo  giudice  di
procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata. 
    14) La norma in esame, infine, contiene, a giudizio del Collegio,
un ulteriore profilo di irragionevolezza intrinseca. 
    Tale disposizione,  infatti,  e'  stata  introdotta  in  sede  di
conversione del c.d. decreto  anticrisi,  un  intervento  legislativo
volto a razionalizzare  e  recuperare  le  risorse  erariali  per  il
rilancio dell'economia, e, nello specifico, e' inserita in  un  testo
(l'art. 17 della legge n. 102/2009) come modificata dal decreto legge
n. 103/2009) che ha tra gli scopi quello specifico di  perseguire  il
contenimento della spesa pubblica. 
    Cio'  nonostante  la  sua  applicazione   provoca   in   concreto
l'obiettivo contrario e cioe' quello di imporre alle  amministrazioni
pubbliche le spese effettivamente sostenute a ristoro del  detrimento
del proprio prestigio. 
    Alla  luce  di  quanto  sin  qui  argomentato  la  questione   di
legittimita'  costituzionale   sollevata   all'odierna   udienza   e'
rilevante e non manifestamente infondata.