IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa iscritta a ruolo
al n. 6393/07 vertente tra Commissario Straordinario di  Governo  per
l'emergenza rifiuti  in  Campania  e  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, in persona del Presidente pro tempore, attori, e Comune  di
Serre, in persona del Sindaco pro  tempore,  rappresentato  e  difeso
dagli avv.ti Gennaro Borriello e Raffaele Falce, convenuto e  Impresa
Agricola Guariglia Pierpaolo,  Impresa  Agricola  Romagnolo  Gaetano,
Casearia S.A.B. «La Bufalina» s.n.c., Caseificio «La  Villanella»  di
D'Aniello Celestina, Caseificio «Monte Latte Alburni»  coop  a  r.l.,
Caseificio Domenico Romagnolo, Caseficio «La Campagnola» di Del Corso
Amelio, Paolino  Antonio,  Martino  Anna,  Caputo  Giovanna,  Cibelli
Mario, Cibelli  Luigi,  Risi  Rocco,  Santorufo  Rocchina,  Santorufo
Rosalia, Giugno  Ignazio,  Funicelli  Pietro,  Guariglia  Pasqualina,
Opromolla Benito, Luongo Bruno, Luongo  Antonio,  Opromolla  Antonio,
Coldiretti,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro   tempore,
Consorzio  di  Bonifica  Destra   Sele,   in   persona   del   legale
rappresentante  pro  tempore,  Regione  Campania,  in   persona   del
Presidente pro tempore, contumaci convenuti. 
    Il giudicante, visti gli atti di causa; 
    Ritenuto che ricorrano i presupposti per sollevare  la  questione
di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 9 del d.l.  23  maggio
2008 n. 90, convertito dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 16 luglio 2008, 
    Considerato, invero, che il presente giudizio  non  possa  essere
definito indipendentemente dalla risoluzione di tale  questione,  per
le ragioni espresse dalla difesa del convenuto Comune di Serre e  per
altre che  si  ritiene  di  dover  individuare  d'ufficio,  ai  sensi
dell'art. 23, comma 2 della legge n. 87/1953; 
    Visto l'art. 134 Cost., nonche' gli artt. 1, legge cost. n.  1/48
e 23 e seguenti legge n. 87/1953; 
    Osserva: 
 
                              In fatto 
 
    Con ricorso depositato il 5 febbraio 2007,  il  Comune  di  Serre
esponeva che, con una serie di provvedimenti del Commissario delegato
per l'emergenza rifiuti nella Regione Campania, ed in particolare con
l'ordinanza commissariale n.  14  del  24  gennaio  2007,  era  stato
individuato un sito nel territorio di detto Comune -  e  precisamente
una cava dismessa in  localita'  «Valle  della  Masseria»  -  per  la
creazione di una «megadiscarica di rifiuti». Siffatta  decisione  del
Commissario, seguita da ulteriori iniziative che  avevano  confermato
l'individuazione del sito nella  predetta  localita',  avrebbe  avuto
come conseguenza - a detta del ricorrente - un sicuro pregiudizio per
il diritto alla salute dei cittadini del  Comune  di  Serre  ed  alla
stessa salubrita' dell'ambiente. 
    L'ingente quantita' di rifiuti, provenienti da tutta la  Regione,
e calcolati in circa 7.500 tonnellate  al  giorno,  avrebbe,  invero,
cagionato  continue  e  massive  immissioni  di  polveri,   fumo   ed
esalazioni maleodoranti con evidente e grave pregiudizio,  oltre  che
alla salute degli  abitanti  della  zona,  al  complesso  e  delicato
ecosistema venuto a crearsi nel territorio del Comune di Serre. 
    A tal riguardo, l'ente ricorrente deduceva - producendo  altresi'
specifica documentazione a sostegno di tali allegazioni - che fin dal
1976 era stata istituita nel suo  territorio  un'Oasi  di  protezione
della fauna, in localita' Persano,  successivamente  (e  precisamente
nel 2003) dichiarata «zona umida di  importanza  internazionale»,  ai
sensi e per gli  effetti  della  Convenzione  di  Ramsar,  ratificata
dall'Italia con d.P.R. n. 448 del 13 marzo 1976. 
    Sicche',  sarebbe  stato  del  tutto  intuibile  -   secondo   il
ricorrente - il degrado che  a  tale  situazione  ambientale  avrebbe
comportato la presenza di una  siffatta  discarica,  con  conseguente
gravissimo ed irreversibile pregiudizio  alla  flora  ed  alla  fauna
esistenti nel predetto ecosistema. 
    Di  qui  la  richiesta,  avanzata  dall'ente   territoriale,   di
emissione di un provvedimento ex art. 700  c.p.c.,  che  inibisse  al
Commissario delegato per l'emergenza rifiuti la costruzione  e  messa
in opera della discarica nel sito suindicato. 
    Alla pretesa cautelare resisteva il Commissario, eccependo: a) in
via pregiudiziale, il difetto di  giurisdizione  del  giudice  adito,
nonche' l'improponibilita'  dell'azione  per  inammissibilita'  della
futura domanda di merito;  b)  in  via  preliminare,  il  difetto  di
legittimazione  attiva  del  Comune  di   Serre;   c)   nel   merito,
l'insussistenza dei presupposti del fumus boni iuris e del  periculum
in mora, necessari per raccoglimento della pretesa cautelare avanzata
dal ricorrente. 
    Nel procedimento  intervenivano,  invocando,  a  loro  volta,  la
tutela del diritto alla salute  ed  all'ambiente  salubre:  1)  n.  5
Caseifici, produttori di mozzarella di bufala e derivati  del  latte,
con riconoscimento del marchio D.O.P.;  2)  n.  2  Aziende  Agricole,
gestrici di allevamenti bufalini ed attivita' di agriturismo;  3)  il
Consorzio di Bonifica  Destra  Sele;  4)  la  Coldiretti;  5)  n.  15
cittadini del Comune di Serre, proprietari di abitazioni poste  nella
immediate vicinanze  del  sito  individuato  per  l'ubicazione  della
programmata discarica. 
    Quindi - prodotta documentazione, sentite le parti all'udienza di
comparizione del 23  marzo  2007,  e  depositate  dalle  stesse  note
difensive autorizzate - il giudice designato, con ordinanza  in  data
28 aprile 2007,  accoglieva  il  ricorso,  ordinando  al  Commissario
Straordinario di Governo per  l'emergenza  rifiuti  in  Campania  «di
astenersi dall'installare e dal  porre  in  esercizio  l'impianto  di
discarica dei rifiuti nel Comune di Serre, in localita'  Valle  della
Masseria». 
    Avverso il  suddetto  provvedimento  proponeva  reclamo  ex  art.
669-terdecies c.p.c. il  Commissario  Straordinario  di  Governo  per
l'emergenza rifiuti, riproponendo - in buona sostanza - le questioni,
anche di natura pregiudiziale e preliminare, gia' dedotte  nel  primo
grado  del  giudizio  cautelare.  Tale  gravame   veniva,   peraltro,
disatteso dal tribunale, in composizione  collegiale,  con  ordinanza
del 1° giugno 2007. 
    Quest'ultimo provvedimento veniva, quindi, impugnato con  ricorso
per  cassazione  ai  sensi  dell'art.  111  Cost.,   con   il   quale
l'amministrazione   ricorrente   proponeva   altresi'   istanza    di
regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell'art. 41 c.p.c.,
chiedendo che la Corte adita risolvesse,  con  effetto  definitivo  e
preclusivo sul punto, la questione della  giurisdizione  del  giudice
adito con il ricorso cautelare. La Suprema  Corte,  con  sentenza  n.
27187 del 28 dicembre 2007,  dichiarava  anzitutto  improponibile  il
ricorso straordinario per cassazione ex art.  111  Cost.,  stante  la
natura interinale dei provvedimenti cautelari ex art. 700 c.p.c., ivi
compreso quello emesso in sede di reclamo. Tali  provvedimenti  sono,
invero,  inidonei  al  giudicato  anche   nel   sistema   processuale
delineatosi a seguito della novella di cui alla legge n. 80/2005, che
ha reso  facoltativo  il  giudizio  di  merito  per  i  provvedimenti
cautelari a carattere anticipatorio, come  appunto  il  provvedimento
d'urgenza ex art. 700 c.p.c. 
    Con la medesima pronuncia, poi, la Corte dichiarava inammissibile
il  regolamento  preventivo  di  giurisdizione  ex  art.  41  c.p.c.,
ritenendo non provata  l'instaurazione  del  giudizio  di  merito,  a
seguito del quale soltanto  sorge  l'interesse  concreto  ed  attuale
della parte a conoscere il giudice fornito di giurisdizione in ordine
al procedimento de quo. 
    La Corte riteneva, infine, di enunciare in materia  un  principio
di diritto nell'interesse della legge, ai sensi dell'art. 363,  terzo
comma,  c.p.c.,  affermando  che  «anche  in   materia   di   diritti
fondamentali tutelati  dalla  Costituzione,  quali  il  diritto  alla
salute (art. 32 Cost.) - allorche' la loro lesione sia  dedotta  come
conseguente   ad   atti   della   P.A.,   di   cui   sia   denunciata
l'illegittimita', in materie riservate alla  giurisdizione  esclusiva
dei giudici amministrativi, come quella della gestione del territorio
- compete a detti giudici  la  cognizione  esclusiva  delle  relative
controversie in ordine  alla  sussistenza  in  concreto  dei  diritti
vantati, al contemperamento o alla limitazione  di  tali  diritti  in
rapporto  all'interesse  generale  pubblico   all'ambiente   salubre,
nonche'  all'emissione   dei   relativi   provvedimenti   cautelari»,
prodromici alla decisione finale. 
    Intanto, con atto di citazione notificato  l'8  giugno  2007,  il
Commissario Straordinario  di  Governo  per  l'emergenza  rifiuti  in
Campania e la Presidenza del  Consiglio  dei  ministri  instauravano,
dinanzi al Tribunale di Salerno,  il  giudizio  di  merito  ai  sensi
dell'art.  669-octies  c.p.c.,  nel   quale   chiedevano   accertarsi
l'insussistenza  del  diritto  del  Comune  di  Serre   ad   ottenere
l'inibitoria dell'installazione di una discarica  di  rifiuti  solidi
urbani nella localita' «Valle della Masseria» nel  Comune  di  Serre,
con conseguente «caducazione  dei  provvedimenti  cautelari  adottati
ante causam (ordinanze del 28 aprile 2007 e del 1° giugno 2007)». 
    Alla  domanda  resisteva  il  Comune  di  Serre,  chiedendo,  per
converso, «la definitiva conferma  del  provvedimento  cautelare»,  e
dunque inibirsi l'allestimento della  discarica  in  localita'  Valle
della Masseria del Comune di Serre stante il pericolo per  la  salute
dei  cittadini  e  per  la  tutela  del  loro  diritto  a  preservare
l'ambiente salubre in cui vivono e operano. 
    Nelle more del giudizio di merito, e' stato, peraltro, emanato il
d.lgs. 23 maggio 2008, n. 90, convertito in legge 14 luglio 2008,  n.
123, il cui art. 4, comma 1, ha devoluto alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo  tutte  le  controversie  -  ivi  comprese
quelle relative a diritti costituzionalmente  tutelati  ed  anche  in
ordine alla fase cautelare -  «comunque  attinenti  alla  complessiva
azione di gestione dei  rifiuti»,  comunque  posta  in  essere  dalla
pubblica amministrazione. 
    Al comma 2, l'art. 4 del d.lgs. n. 90/2008 ha, di  poi,  previsto
che  «le  misure  cautelari,  adottate  da  un'autorita'  giudiziaria
diversa quella di cui al comma 1, cessano di avere  effetto  ove  non
riconfermate entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore  del
presente decreto dall'autorita' giudiziaria competente ai  sensi  del
presente articolo». 
    L'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 90/2008 ha,  quindi,  provveduto
all'individuazione di una serie di siti da destinare a discarica,  al
fine di consentire lo smaltimento dei rifiuti urbani  prodotti  nella
regione Campania, autorizzandone  espressamente  la  «realizzazione»,
col solo limite del «rispetto della normativa comunitaria tecnica  di
settore». E tra questi siti e' ricompreso anche  quello  ubicato  nel
Comune  di  Serre,  localita'  «Valle  della  Masseria»,  costituente
oggetto  del  provvedimento  cautelare  del  28   aprile   2007,   in
discussione nel presente giudizio. 
    Con ordinanza del 2 luglio 2008 del TAR del Lazio, confermata dal
Consiglio  di  Stato  con  ordinanza  del   13   gennaio   2009,   il
provvedimento cautelare reso da questo giudicante in data  28  aprile
2007 non veniva, quindi, confermato, ai sensi dell'art. 4 del  d.lgs.
n. 90/2008. 
    Orbene, le suindicate disposizioni degli artt. 4, comma  2  e  9,
comma 1, nella parte in  cui  individua  come  sito  da  destinare  a
discarica quello ubicato nel Comune di Serre, localita' «Valle  della
Masseria», presentano - ad  avviso  del  giudicante  -  diversi,  non
infondati, profili di incostituzionalita', che si  passa  ad  esporre
analiticamente, non  prima  di  avere  evidenziato  compiutamente  la
rilevanza della questione che si intende sollevare per il giudizio in
corso, ai sensi dell'art. 1 della legge cost. n. 1/1948  e  23  della
legge n. 87/1953. 
 
                             In diritto 
 
    Ai fini  della  corretta  individuazione  della  rilevanza  della
questione di costituzionalita', per il  giudizio  in  corso,  appare,
peraltro,  necessario  soffermarsi  preliminarmente  sulle  questioni
pregiudiziali e preliminari  proposte  dall'Avvocatura  dello  Stato,
nell'interesse delle amministrazioni attrici nel presente giudizio di
merito. Invero,  questo  giudicante  non  ignora  l'indirizzo,  ormai
consolidato della Corte adita con il rilievo di  incostituzionalita',
secondo cui in presenza di contestazioni su  determinati  presupposti
processuali (giurisdizione,  competenza,  ecc.),  o  in  presenza  di
questioni preliminari di merito, il rimettente  deve  evidenziare  di
non essere, almeno ictu  oculi,  sfornito  di  giurisdizione  e/o  di
competenza, e di essere  in  grado  di  superare,  senza  particolari
problemi,  le  questioni  preliminari  rispetto  alla  questione   di
legittimita' costituzionale (ex plurimis, Corte cost. 22 marzo  2005,
n. 196, che ha censurato, con la declaratoria  di  irrilevanza  della
questione, l'apodittica affermazione della propria  giurisdizione  da
parte del giudice remittente, Corte cost. 25 maggio 2004, n. 214, con
riferimento all'evidente mancanza di  giurisdizione  del  remittente,
Corte cost. 25 gennaio 2005, n. 82 e Corte cost. 14 dicembre 2005, n.
26, con riferimento alla palese incompetenza del remittente). 
    Orbene,  nel  caso  di  specie  -  come  dianzi   evidenziato   -
l'Avvocatura  dello  Stato,  nell'interesse   delle   amministrazioni
attrici,  ha  eccepito:  a)  in  via  pregiudiziale,  il  difetto  di
giurisdizione   del   giudice   adito,   nonche'   l'improponibilita'
dell'azione per inammissibilita' della domanda di merito; b)  in  via
preliminare, il difetto di legittimazione attiva del Comune di Serre. 
    Si passa, pertanto, ad esaminare specificamente ed analiticamente
le questioni suindicate, al fine di evidenziare - una volta  superate
le stesse - l'indispensabilita' della questione di  costituzionalita'
per la definizione del presente giudizio. 
Le questioni pregiudiziali e preliminari. 
    1. - La questione di giurisdizione. 
    Per quanto concerne la giurisdizione del  giudice  ordinario,  va
anzitutto rilevato che sulla questione di giurisdizione non  puo'  in
alcun modo influire l'art. 4, comma l della  legge  n.  123/2008  (di
conversione  del   d.lgs.   n.   90/2008),   laddove   devolve   alla
giurisdizione esclusiva del giudice  amministrativo  le  controversie
relative alla complessiva azione di gestione dei rifiuti.  Per  vero,
trattandosi di legge  entrata  in  vigore  dopo  l'instaurazione  del
presente giudizio, essa e' del tutto irrilevante ai fini del  riparto
di giurisdizione, stante il disposto dell'art. 5 c.p.c. 
    Ma  neppure  puo'  dispiegare  efficacia  vincolante  alcuna   la
sentenza delle Sezioni Unite n. 27187/07,  trattandosi  di  pronuncia
emessa ai sensi dell'art. 363, terzo comma,  c.p.c.  che,  in  quanto
tale, - ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 363 c.p.c. - non  incide
sul provvedimento del giudice  del  merito  e,  di  conseguenza,  non
produce effetti nei confronti  del  rapporto  giuridico  controverso.
Siffatta pronuncia, invero, non puo' rivestire che il  valore  di  un
precedente, certamente autorevole e tale,  dunque,  da  dover  essere
tenuto in debita considerazione, ma al contempo suscettibile, proprio
per la sua efficacia non vincolante, di essere posto a confronto  con
gli altri precedenti - tutti di segno contrario, come di qui  a  poco
si vedra'  -  provenienti  dalla  medesima  Corte  regolatrice  della
giurisdizione. 
    E, d'altro canto, una diversa lettura della norma  dell'art.  363
c.p.c., che intendesse, cioe', esaltando  la  funzione  nomofilattica
della Suprema Corte, affermarne - come sembra adombrare  l'Avvocatura
dello Stato - una sua efficacia pressoche' vincolante per il  giudice
di merito, si presterebbe a palesi censure di incostituzionalita'. Il
principio di indipendenza funzionale interna  del  giudice,  espresso
dall'art. 101 Cost., esclude, infatti, che un  giudice  possa  essere
vincolato da un precedente di altri giudici, al di fuori  della  sola
ipotesi del principio di diritto enunciato dalla Cassazione  in  caso
di annullamento di una sentenza  di  merito  con  rinvio  (artt.  384
c.p.c. e 627 c.p.p.), che si inquadra,  peraltro,  nella  logica  dei
diversi gradi di giudizio all'interno dello stesso processo, posta  a
fondamento di ogni sistema  processuale  e  preordinata  ai  fini  di
giustizia e all'esigenza dell'esattezza delle decisioni (Corte  cost.
16 giugno 1971, n. 142). 
    Esclusa,  pertanto,  qualsiasi  efficacia  vincolante,  in  punto
giurisdizione, sia dello ius superveniens, sia della decisione  della
Cass. n. 27187/07, va osservato che - secondo un principio del  tutto
pacifico  in  giurisprudenza  -  il   criterio   di   riparto   della
giurisdizione tra  giudice  ordinario  e  giudice  amministrativo  si
individua   nel   cd.   petitum   sostanziale,   che    si    risolve
nell'irrilevanza delle formule giuridiche  utilizzate  dall'attore  e
delle richieste rivolte al giudice adito, ed  in  una  valorizzazione
della causa petendi,  cioe'  della  situazione  giuridica  soggettiva
dedotta in giudizio e della quali si chieda  tutela.  Sicche',  nelle
ipotesi in cui l'attore deduca in giudizio  una  posizione  giuridica
avente il rango di diritto soggettivo assoluto, la giurisdizione  non
puo' che spettare al giudice ordinario, restando del tutto  privi  di
rilevanza, poiche' disapplicabili dal  giudice  ordinario,  eventuali
provvedimenti   illegittimi   posti    in    essere    dell'autorita'
amministrativa (Cass., 8 maggio 2007,  n.  10375;  Cass.,  16  maggio
2008, n. 12378; Cass., 28 novembre 2008, n. 28346). 
    In tale prospettiva, si e' ritenuto invero che,  laddove  vengano
fatti valere in giudizio diritti assoluti di liberta' garantiti dalla
Costituzione ai cittadini  nessun  potere  discrezionale  della  p.a.
possa configurarsi, non essendo gli stessi in alcun modo comprimibili
o degradabili ad interessi legittimi ad opera  dei  pubblici  poteri,
neppure   per   ragioni   di   interesse   pubblico   (disponibilita'
finanziarie,  gestione  delle  risorse,   bilanciamento   con   altri
interessi di rilevanza pubblicistica).  L'inevitabile  corollario  di
tali affermazioni e' che, in ordine alla lesione di siffatti  diritti
assoluti,  proprio  in  quanto  non  e'   configurabile   un   potere
restrittivo o compressivo della p.a.,  non  puo'  che  sussistere  la
giurisdizione del  giudice  ordinario  (cfr.,  in  tal  senso,  -  ex
plurimis - Cass. S.U., 24 giugno 2005, n. 13548, relativa al  diritto
alla   salute,   sotto   il   profilo   del   trattamento   sanitario
indispensabile a preservarne «il nucleo irriducibile»; Cass. S.U., 18
novembre 1997, n. 11432, relativa al diritto di  liberta'  religiosa;
Cass. S.U., 10 maggio 2001, n. 192, relativa al diritto  di  liberta'
sindacale, secondo cui la giurisdizione del  g.o.  sussiste  finanche
nel  caso  in  cui  il   petitum   consista   nell'annullamento   del
provvedimento impugnato; Corte cost., 3  giugno  1987,  n.  215,  con
riferimento al diritto all'istruzione per  i  soggetti  portatori  di
handicap). 
    Orbene, e' del tutto  evidente  che  un  posto  di  primo  piano,
nell'ambito dei diritti incomprimibili da parte della p.a., non  puo'
non essere occupato dal diritto alla salute (e dal correlato  diritto
all'ambiente   salubre),   garantito   -   quale   bene    essenziale
dell'individuo - dall'art. 32 Cost., a fronte del quale,  dunque,  la
p.a. e' del tutto priva del potere di affievolimento  della  relativa
posizione  soggettiva,  ancorche'  agisca  per  motivi  di  interesse
pubblico. Con la conseguenza che la domanda di risarcimento del danno
proposta nei confronti della p.a., e l'eventuale pretesa cautelare ad
essa connessa, sono devolute alla cognizione del  giudice  ordinario,
vertendosi  in  materia  di  diritti  soggettivi   costituzionalmente
garantiti, che non tollerano interferenze esterne (v.,  ex  plurimis,
Cass. S.U., 19 aprile 2007, n. 9322; Cass. S.U., 8 novembre 2006,  n.
23735; Cass. S.U., 13 giugno 2006, n. 13659;  Cass.  S.U.,  21  marzo
2006, n. 6218; Cass. S.U., 8 marzo 2006, n. 4908;  Cass.,  27  luglio
2000, n. 9893; Cass. S.U., 17 novembre 1992, n. 12307; Cass. S.U., 21
dicembre 1090, n. 12133). 
    Appare, pertanto, contraddetto da tale - piu' che  consolidato  -
indirizzo, l'assunto delle Sezioni Unite n. 27187/07, secondo cui  la
giurisdizione del  giudice  amministrativo  sussisterebbe  «anche  in
materia di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, quali il
diritto alla salute (art. 32 Cost.) - allorche' la loro  lesione  sia
dedotta come effetto di un  comportamento  materiale  espressione  di
poteri autoritativi». Basti por mente, invero,  a  quanto  le  stesse
Sezioni Unite rilevano  testualmente  nella  menzionata  sentenza  n.
23735/06: «il carattere di assolutezza del diritto alla salute  e  la
sua elaborazione sul versante dei rapporti intersoggettivi ha trovato
riscontro   sia   nell'affermazione   che   esso    e'    sovrastante
all'amministrazione di guisa che questa non ha nessun potere, neppure
per motivi di interesse pubblico specialmente rilevante, non solo  di
affievolirlo, ma neanche di pregiudicarlo nel  fatto  indirettamente,
perche',  incidendo  in  un   diritto   fondamentale,   la   pubblica
amministrazione agisce  nel  fatto,  dal  momento  che,  non  essendo
giuridicamente configurabile un suo potere in materia,  essa  per  il
diritto non  provvede,  ma  esplica  comunque  e  soltanto  attivita'
materiale illecita». 
    E certamente vale ad evidenziare ulteriormente la sussistenza  di
un indirizzo, pressoche' unanime, delle Sezioni Unite in  tal  senso,
il rilievo che - pure in epoca successiva alla menzionata sentenza n.
27187/07 - la Cassazione ha ribadito che il diritto alla  salute  non
e'  suscettibile  di  essere  affievolito  dall'esercizio  di  poteri
discrezionali da parte  della  pubblica  amministrazione,  in  quanto
diritto incomprimibile, con  conseguente  giurisdizione  del  giudice
ordinario, allorquando ne venga dedotta in giudizio la lesione  (cfr.
la recentissima Cass. S.U., n. 6 febbraio 2009, n. 2867). 
    Ne' appare convincente il riferimento, operato da Cass.  S.U.  n.
27187/07 alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che,
in materia di discariche, sarebbe ancorata alla previsione  dell'art.
34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (come modificato dall'art. 7 della
legge 21 luglio 2000, n. 205), vertendosi in ipotesi di gestione  del
territorio. Va rilevato, infatti,  che  il  menzionato  art.  34  del
d.lgs. n. 80/1998 e' stato dichiarato costituzionalmente  illegittimo
nella parte in cui prevede la devoluzione al giudice  amministrativo,
in via di giurisdizione esclusiva,  anche  dei  meri  «comportamenti»
della p.a., e non soltanto dei provvedimenti amministrativi emessi in
materia urbanistica ed edilizia, estendendo  tale  giurisdizione  (in
violazione degli artt. 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113 Cost.)  anche
a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non  esercita,
pertanto, alcun pubblico potere (Corte cost. 28 aprile 2004, n. 204). 
    Siffatta forma di giurisdizione esclusiva - come ha insegnato  la
stessa Suprema Corte in altre pronunce  -  sussiste,  dunque,  quando
venga sottoposto al giudice il nesso tra atti e  provvedimenti  della
p.a., dei quali  si  censura  l'illegittimita',  e  la  gestione  del
territorio, ossia quando il privato si duole dell'esercizio, da parte
dell'amministrazione,  dei  poteri  autoritativi,  in  conformita'  a
quanto affermato da Corte cost.  n.  204/2004.  Per  converso,  nelle
controversie nelle quali - come nel presente giudizio - non  vi  sono
provvedimenti della p.a., o di soggetti ad essa equiparati, che siano
stati impugnati  o  dei  quali  si  chieda  l'annullamento,  ma  solo
comportamenti  dell'amministrazione,   che   non   possono   incidere
negativamente sulle posizioni soggettive dei privati, atteso il  loro
rango di diritti costituzionalmente garantiti, la  giurisdizione  non
puo' che appartenere al  giudice  ordinario,  secondo  il  menzionato
principio del cd. petitum sostanziale (Cass. S.U., 8  novembre  2006,
n. 23735; Cass. S.U., 21 marzo 2006, n. 6218; Cass. S.U., 22  ottobre
2007, n. 22057). 
    Da quanto suesposto consegue, pertanto - con riferimento al  caso
concreto - che, avendo il  Comune  di  Serre  agito  per  la  tutela,
dapprima in via cautelare, poi nel giudizio di  merito,  del  diritto
alla salute ed all'ambiente salubre, senza censurare  in  alcun  modo
singoli atti o provvedimenti amministrativi, e  sul  presupposto  che
tali atti debbano considerarsi,  in  subiecta  materia,  tamquam  non
essent, deve ritenersi che l'eccezione di  difetto  di  giurisdizione
del giudice ordinario, in ordine  al  presente  giudizio,  non  possa
considerarsi palesemente fondata. 
    2. - L'improponibilita' della domanda di merito. 
    L'Avvocatura  dello  Stato  ha  sollevato,  poi,  l'eccezione  di
improponibilita' della domanda di merito, a suo  dire  inammissibile,
avendo tale domanda ad oggetto  -  secondo  quanto  dichiarato  dallo
stesso  Comune  ricorrente  in  sede  cautelare  -  l'inibizione   ad
installare  la  discarica  nella  zona  in  premessa,   indicata   ed
individuata con ordinanza n. 14 del 24 gennaio 2007  dal  Commissario
di Governo per l'emergenza rifiuti in Campania, ed oggi dall'art.  9,
comma 1 del d.lgs. n. 90/2008  (convertito  in  legge  n.  123/2008),
nonche'  il  risarcimento  dei  danni   patiti   e   patiendi   dalla
collettivita'» (p. 10 del ricorso cautelare). 
    Ebbene,  a  parere   dell'Avvocatura,   la   pretesa   inibitoria
costituirebbe una domanda di merito  improponibile,  atteso  che  nel
nostro ordinamento l'inibitoria non configura un'azione di  carattere
generale, essendo consentita  nelle  sole  ipotesi  tipiche  previste
dalla legge (es. artt. 844 c.c., art.  1170  c.c.,  art.  1469-sexies
c.c., art. 1561. dir. aut., ecc.). 
    L'assunto non puo' essere condiviso. 
    Invero, in tema di pericolo per la salute ex art. 32 Cost. -  non
attagliandosi ai diritti personali, come quello in considerazione, il
disposto dell'art. 844 c.c., relativo ai rapporti inerenti al diritto
di proprieta' sugli immobili - la tutela per la denunciata lesione di
tale diritto si esplica nelle forme ripristinatorie ed inibitorie  di
cui agli artt. 700 c.p.c. e  2058  c.c.,  ferma  restando  la  tutela
risarcitoria nelle forme di cui agli artt. 2043 e  2058  c.c.,  ossia
per equivalente o in forma specifica. 
    In altri termini, la tutela sia preventiva, in caso  di  pericolo
per il diritto alla salute,  che  sanzionatoria  e  riparatoria,  ben
possono essere  esercitate  attraverso  l'inibitoria,  ex  artt.  700
c.p.c. (in sede cautelare) e 2058  c.c.  (nel  giudizio  di  merito),
costituente  una  modalita'  di  tutela  in   forma   specifica   che
particolarmente si attaglia alla lesione del diritto in parola  (cfr.
Cass. 19 luglio 1985, n. 4263, Cass.  11  settembre  1989,  n.  3921,
Cass. 27 luglio 2000, n. 9893, Cass. 8 novembre 2006, n.  23735).  In
particolare, si e' affermato che «la tutela giudiziaria  del  diritto
alla salute in confronto della pubblica amministrazione  puo'  essere
preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie, se  prima  ancora  che
l'opera pubblica venga messa  in  esercizio  nei  modi  previsti  sia
possibile accertare, considerando la  situazione  che  si  avra'  una
volta iniziato l'esercizio, che nella medesima situazione  e'  insito
un pericolo di compromissione per la salute di chi agisce in giudizio
(Cass., 27 luglio 2000, n. 9893). 
    Ebbene,  non  v'e'  chi  non  veda  che  l'installazione  di  una
mega-discarica in un sito che - come meglio si dira' in  prosieguo  -
e' antropizzato, esistendo in loco numerose abitazioni,  e  si  trova
nelle  immediate  vicinanze  di  un'oasi  naturale,  costituisce  una
situazione  nella  quale  e'  immanente  il  pericolo  di  una  grave
compromissione del diritto alla salute ed all'ambiente salubre. 
      
    Ne discende che, nel caso di  specie,  non  sussiste  la  dedotta
improponibilita' della domanda, spiegata  dal  Comune  di  Serre  nel
presente giudizio di merito, ai sensi degli artt. 2043 e 2058 c.c. 
    3. - La legittimazione attiva del ricorrente. 
    La difesa delle amministrazioni attrice ha eccepito, inoltre,  il
difetto di legittimazione  attiva  del  Comune  di  Serre  sotto  tre
specifici profili: a)  la  posizione  fatta  valere  dal  Comune  per
effetto  del  menzionato  esercizio  dei  poteri  pubblicistici   del
Commissario, avrebbe consistenza di interesse  legittimo,  come  tale
invocabile solo dai singoli cittadini portatori,  e  non  di  diritto
soggettivo alla salute dell'intera  collettivita',  deducibile  anche
dall'ente territoriale;  b)  gli  eventuali  effetti  pregiudizievoli
della discarica si produrrebbero soltanto in danno dei  singoli,  con
conseguente carenza di potere  sostitutivo,  al  riguardo,  da  parte
dell'ente territoriale, ex art. 81 c.p.c.; c) il potere  del  Sindaco
di adottare provvedimenti a tutela della salute dei cittadini sarebbe
stato temporaneamente trasferito, dalla normativa emergenziale di cui
al  d.lgs.  n.  263/2006,  convertito  in  legge  n.   290/2006,   al
Commissario governativo. 
    Cio' posto, per quanto attiene al profilo sub a),  non  puo'  che
rinviarsi a quanto si e' gia'  rilevato  in  ordine  alla  natura  di
diritto incomprimibile propria  del  diritto  alla  salute,  che  non
degrada mai ad interesse legittimo. Quanto ai profili sub  b)  e  c),
deve anzitutto osservarsi che, in questa sede,  non  viene  in  alcun
modo in considerazione il potere di ordinanza del Sindaco in  materia
di diritto  alla  salute  o  alla  sicurezza  dei  cittadini,  bensi'
l'esercizio da  parte  del  Comune,  quale  ente  esponenziale  della
collettivita' locale, di un'azione volta a tutelare il  diritto  alla
salute ed all'ambiente della collettivita'  di  riferimento.  Ebbene,
non puo' negarsi  che  debba  essere  riconosciuto  al  Comune,  «che
rappresenta la propria comunita', ne cura gli interessi e ne promuove
lo sviluppo» (art. 3, comma 2, del  d.lgs.  n.  267/2000),  l'accesso
alla tutela  giurisdizionale  allorche'  venga  dedotta,  come  nella
specie, la lesione - ad opera  di  altra  autorita'  -  di  interessi
riconducibili nella sfera della fruizione della comunita' locale, che
nell'ente territoriale  in  questione  trova  la  prima  e  immediata
occasione di aggregazione ed omogeneizzazione (Cons.  St.,  18  marzo
2003, n. 1407). 
    Pertanto, deve ritenersi - ad avviso  del  giudicante  -  che  al
Comune vada riconosciuta, in quanto ente esponenziale della comunita'
territoriale, la legittimazione a  far  valere,  dinanzi  al  giudice
ordinario, il diritto  alla  salute  ed  all'incolumita'  fisica  dei
cittadini, ex art.  32  Cost.  (cfr.,  in  termini,  Cass.  S.U.,  17
novembre 1992, n. 12307, che ha riconosciuto  la  legittimazione  del
Comune proprio con riferimento all'istallazione, da parte di un altro
ente pubblico, di una discarica di rifiuti; Cass.  S.U.,  17  gennaio
1991, n. 400; Cass. S.U., 12 febbraio 1988, n. 1491). 
    E, d'altra parte, seppure fosse da ritenersi -  in  via  di  mera
ipotesi  -  in  discussione  il  potere  di  ordinanza  del  Sindaco,
provvisoriamente trasferito al  Commissario,  va  rilevato  che  tale
potere  di  ordinanza   deve   comunque   conformarsi   ai   principi
dell'ordinamento ed ai precetti costituzionali  (v.  Corte  cost.,  2
luglio 1956, n. 8; Corte cost., 23 maggio 1961, n. 26; Cons. St.,  1°
giugno 1994, n. 467), come, in subiecia materia, prevede anche l'art.
1 del d.lgs. n. 263/2006. Sicche' il menzionato potere  di  ordinanza
del Commissario Straordinario non potrebbe, in ogni caso,  precludere
al Comune la tutela di diritti costituzionali propri e dei cittadini. 
    Un discorso piu' articolato va fatto per l'altro diritto azionato
dal Comune di Serre, ossia quello all'ambiente, in  ordine  al  quale
l'ente ha richiamato (nel ricorso cautelare)  il  diritto  collettivo
all'ambiente salubre, ancorandolo, peraltro,  al  disposto  dell'art.
18,  terzo  comma,  della  legge  n.  349/1986,  che   prevedeva   la
legittimazione anche degli enti territoriali, sui  quali  incidano  i
beni oggetto del fatto lesivo, all'azione  per  il  risarcimento  del
danno ambientale. 
    Va osservato, infatti, che la menzionata  disposizione  e'  stata
abrogata dall'art. 318 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152  (cd.  codice
dell'ambiente), che ha  lasciato  in  vigore  solo  il  quinto  comma
dell'art. 18, legge n. 349/1986 (relativo al  diritto  di  intervento
delle associazioni ambientaliste nei giudizi per il risarcimento  del
danno ambientale). Lo stesso d.lgs. n. 152/2006 ha previsto,  quindi,
la legittimazione esclusiva del Ministro dell'ambiente a  far  valere
in giudizio il danno ambientale (art. 311), attribuendo  al  medesimo
anche penetranti poteri di intervento e di tutela dell'ambiente,  sia
in via preventiva e  ripristinatoria  (artt.  304-310),  che  in  via
sanzionatoria e riparatoria (artt. 311-316). Per il  che,  e'  venuta
meno la legittimazione degli enti territoriali (Regioni,  Province  e
Comuni) a promuovere l'azione risarcitoria - e, quindi,  la  connessa
tutela  preventiva  cautelare  -  per  il  risarcimento   del   danno
ambientale, essendo stata conferita agli stessi una mera funzione  di
collaborazione con lo Stato (v. art. 299, comma 2). 
    Tuttavia, ai  fine  di  chiarire  l'effettiva  portata  di  detta
legittimazione  esclusiva  del  Ministro  dell'ambiente,  deve  farsi
riferimento alla nozione di danno ambientale enunciata dall'art. 300,
comma 1, del d.lgs. n. 152/2006, a tenore del quale tale  pregiudizio
si concreta in «qualsiasi deterioramento significativo o  misurabile,
diretto  o  indiretto,  di  una  risorsa  naturale  o   dell'utilita'
assicurata  da  quest'ultima».   A   titolo   esemplificativo,   tale
pregiudizio puo'  concernere,  ai  sensi  del  comma  2  della  norma
summenzionata, il deterioramento alle specie e agli habitat  naturali
- protetti dalla normativa  nazionale  e  comunitaria  -  alle  acque
interne, a quelle costiere e al terreno. Si  tratta,  dunque,  com'e'
del tutto evidente,  di  un  danno  all'ambiente,  inteso  come  bene
comune, dell'intera collettivita', nelle sue componenti  fisiche,  in
relazione al  quale  puo'  -  forse  -  comprendersi  il  perche'  il
legislatore abbia inteso accentrane la tutela in capo allo Stato.  E,
non puo' revocarsi in  dubbio,  pertanto,  che  il  Comune  di  Serre
sarebbe sfornito di legittimazione attiva a far  valere  un  siffatto
pregiudizio,  ove  questo  fosse  stato  dedotto   sub   specie   del
deterioramento delle risorse naturali, o  delle  utilita'  assicurate
dalle  stesse.  Ma  l'ente  -  al  di  la'  dell'improprio   richiamo
all'abrogato art. 18, terzo comma della legge n. 349/1986 -  ha  piu'
volte ribadito e sottolineato nel ricorso cautelare la sua intenzione
di far valere i diritti, costituzionalmente garantiti, alla salute ed
all'ambiente salubre. 
    Orbene, va rilevato  in  proposito  che  quella  del  pregiudizio
all'ambiente e' nozione complessa, che ricomprende nel suo ambito una
triplice dimensione, e che  non  puo',  pertanto,  considerarsi  come
pertinente esclusivamente allo Stato, e precisamente una  dimensione:
a) personale, quale lesione  del  fondamentale  diritto  all'ambiente
salubre, facente capo a ciascun individuo; b) sociale, quale  lesione
del diritto all'ambiente nelle articolazioni sociali nelle  quali  si
sviluppa la  personalita'  umana;  c)  pubblica,  quale  lesione  del
diritto-dovere pubblico (funzione)  sui  bene  ambientali,  spettante
alle istituzioni centrali e periferiche (cosi' Cass. pen.  10  giugno
2002, n. 22539), ed oggi  esclusivamente  allo  Stato  ai  sensi  del
d.lgs. n. 152/2006. 
    Stando cosi' le cose, e' chiaro che, se il Comune di Serre - come
detto - sarebbe sfornito di legittimazione attiva  a  far  valere  il
danno ambientale nella  dimensione  sub  c),  -  in  verita'  neppure
dedotto nel presente  procedimento  -  all'opposta  conclusione  deve
pervenirsi per le altre due dimensioni del pregiudizio  all'ambiente.
Ed, invero, e' del tutto evidente che compete ai Comuni, come  -  del
resto - a ciascun cittadino, la legittimazione ad agire  in  giudizio
per far valere, anche in  via  cautelare  e  d'urgenza  ex  art.  700
c.p.c., il danno  non  solo  alla  salute  dei  cittadini,  ma  anche
all'ambiente salubre (v. Cass. S.U.,  21  dicembre  1990,  n.  12133,
Cass. S.U.,  17  gennaio  1991,  n.  400),  attesa  il  riflesso  che
quest'ultimo  puo'  avere  sul  primo,  costituendo   l'ambiente   la
dimensione spaziale della vita e delle attivita' personali e  sociali
dei singoli cittadini. 
    Ma vi e' di piu'. 
    Non puo' revocarsi in dubbio, a parere  del  giudicante,  che  un
evento pericoloso per la salute dell'intera  comunita'  territoriale,
come l'installazione di una discarica, per le possibili ripercussioni
sul territorio  e  per  le  potenziali  devastazioni  ambientali  che
possono scaturirne, - e la cui ricorrenza in concreto va considerata,
come meglio si dira' piu'  avanti,  con  specifico  riferimento  alle
peculiarita' geo-morfologiche del Comune di Serre - possa configurare
una lesione allo stesso diritto costituzionale dell'ente territoriale
esponenziale alla propria identita' culturale, politica ed economica,
alla cui tutela il Comune e' sicuramente legittimato (Cass. 15 aprile
1998, n. 3807). 
    Deve,  pertanto,  concludersi  per  la  sussistenza  della  piena
legittimazione del Comune di Serre nel presente giudizio  di  merito,
peraltro proposto dalle amministrazioni resistenti in sede cautelare,
a tutela del  diritto  alla  salute  ed  all'ambiente  salubre  della
collettivita' dei cittadini. 
La rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    Sgombrato il campo dalle questioni  pregiudiziali  e  preliminari
proposte  dal  Commissario  straordinario  e  dalla  Presidenza   del
Consiglio, ritiene il giudicante che la rilevanza della questione  di
costituzionalita' che si intende sollevare sia del tutto  palese.  Al
fine di evidenziare tale presupposto, si procede ad un esame separato
delle due norme degli artt. 4, comma 2 e 9, comma  1  del  d.lgs.  n.
90/2008, convertito in legge n. 123/2008. 
    Con la prima  norma  il  legislatore  -  fermo  restando  che  la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e' prevista per le
controversie instaurate dopo l'entrata in  vigore  della  legge,  non
essendo stata introdotta alcuna disposizione transitoria che la renda
applicabile ai giudizi in corso - ha previsto come detto,  una  forma
di conferma dei  provvedimenti  cautelari  resi  da  altra  autorita'
giudiziaria, da parte del giudice amministrativo, e segnatamente  dal
TAR del Lazio, pena  la  perdita  di  efficacia  («cessano  di  avere
effetto») delle misure cautelari gia' emesse. 
    Orbene, e' di tutta evidenza la rilevanza che la  diposizione  in
parola  e,  di  conseguenza,  la  verifica  della  sua   legittimita'
costituzionale, rivestono nel presente giudizio. 
    Invero, benche'  il  giudizio  di  merito,  instaurato  ai  sensi
dell'art. 669-octies dopo l'adozione di un  provvedimento  cautelare,
non si atteggi come un vero e proprio giudizio di convalida (come  in
passato  era  previsto  per  i  sequestri)  della  misura  cautelare,
tuttavia e'  innegabile  che  esso  investa  anche  il  provvedimento
cautelare, le cui vicende sono strettamente connesse al  giudizio  di
merito. Se, infatti, il giudice del merito dichiara - ed a  tal  fine
non e'  necessario  che  la  sentenza  sia  passata  in  giudicato  -
l'insussistenza  del  diritto  provvisoriamente   tutelato   con   il
provvedimento cautelare, questo deve essere dichiarato inefficace, ai
sensi dell'art. 669-novies, terzo comma c.p.c.,  ed  il  giudice  del
processo di merito,  e'  tenuto  altresi'  a  dare  «le  disposizioni
necessarie per ripristinare la situazione precedente». 
    Ma lo stretto  raccordo  tra  cautela  e  merito  sussiste  anche
laddove la sentenza che definisce  il  giudizio  accolga  la  domanda
proposta dal ricorrente in sede cautelare, ancorche' tale ipotesi non
sia normativamente prevista. 
    Un consistente indirizzo - sia dottrinale che giurisprudenziale -
e', invero, nel senso che la misura cautelare,  nell'ipotesi  in  cui
venga affermata la sussistenza del diritto azionato, sopravvive e non
viene assorbita dalla decisione di merito  favorevole  al  ricorrente
cautelare, sia per l'esigenza di tenere conto  dell'eventualita'  che
l'efficacia esecutiva della sentenza  di  merito  venga  sospesa  nel
corso del giudizio di appello, sia per non lasciare la parte priva di
tutela cautelare nelle more della formazione del giudicato, nei  casi
in cui la  cautela  risulti  strumentale  ad  una  sentenza  di  mero
accertamento o costitutiva (App. Torino, 29  maggio  2002,  in  Giur.
it., 2003, 1838). La conclusione, tuttavia, non muta laddove  volesse
accedersi al diverso indirizzo (Cass.,  4  giugno  2008,  n.  14765),
secondo cui anche in caso di accoglimento della domanda di merito  il
provvedimento cautelare deve essere dichiarato inefficace dal giudice
del merito, ai sensi dell'art. 669-novies c.p.c., giacche' in  questa
ipotesi si finisce con l'assimilare l'inesistenza  del  diritto  alla
declaratoria della sua esistenza,  ai  fini  dell'incidenza  di  tale
pronuncia sul cautelare gia' concesso. 
    Ne' va  tralasciata  l'ipotesi  di  parziale  accoglimento  della
domanda di merito, nella quale la sentenza dovra' del pari contenere,
ai sensi dell'art. 669-novies, terzo comma c.p.c., la declaratoria di
inefficacia   della   misura,   con   i   conseguenti   provvedimenti
ripristinatori, attesa la parziale declaratoria  di  inesistenza  del
diritto azionato. 
    Come risulta evidente da quanto suesposto, dunque, ai fini  della
decisione  del  presente  giudizio  e'  decisivo  stabilire   se   il
provvedimento ex art. 700 c.p.c., emesso da questo giudicante in data
28 aprile 2007, sia stato caducato per effetto della mancata conferma
da parte del giudice amministrativo, nel qual caso andrebbero emessi,
in questa sede di merito - ed a prescindere dall'esito del giudizio -
i provvedimenti di cui all'art. 669-novies c.p.c., oppure se - stante
l'illegittimita' costituzionale, per i motivi che  si  esporranno  in
prosieguo, della  norma  che  prevede  siffatta,  anomala,  forma  di
conferma - il  provvedimento  in  parola  debba  considerarsi  ancora
operante. 
    Tanto piu' che entrambe le parti hanno  espressamente  richiesto,
nel presente giudizio, emettersi opposte pronunce  sul  provvedimento
cautelare del 28 aprile 2007, avendone il Commissario Straordinario e
la  Presidenza  del  Consiglio  chiesto  la  caducazione,  ai   sensi
dell'art. 669-novies, terzo comma c.p.c., mentre il Comune  di  Serre
ne ha chiesto la definitiva conferma. 
    Del  tutto  evidente,  poi,  ad  avviso  del  giudicante,  e'  la
rilevanza nel presente giudizio della questione di  costituzionalita'
dell'art. 9, comma 1 del  d.lgs.  n.  90/2008,  nella  parte  in  cui
consente espressamente la «realizzazione»  di  una  discarica  -  tra
altri siti individuati dalla medesima norma  -  in  localita'  «Valle
della Masseria» del Comune di Serre. 
    Si tratta, invero, della localita' nella quale il Comune di Serre
ha chiesto - dapprima in sede cautelare, poi nel presente giudizio di
merito -  inibirsi  l'installazione  e  la  messa  in  opera  di  una
discarica, attivita' certamente ricomprese - come ha  rilevato  anche
il Consiglio di Stato  nell'ordinanza  del  13  gennaio  2009  -  nel
concetto di  «realizzazione»  espresso  dalla  suindicata  norma  del
d.lgs. n. 90/2008. E, per converso, il Commissario Straordinario e la
Presidenza del Consiglio hanno chiesto accertarsi  l'inesistenza  del
diritto del Comune  di  Serre  di  impedire  l'installazione  di  una
discarica nella medesima localita' «Valle della Masseria» del  Comune
di Serre. 
    Ed e' chiaro che, vertendosi in  ipotesi  di  tutela  preventiva,
mediante inibitoria dell'attivita' di installazione e messa in  opera
della discarica, a tutela del diritto  alla  salute  ed  all'ambiente
salubre - pienamente ammissibile nel nostro ordinamento, per i motivi
suesposti  -  la  mera  previsione  legislativa   dell'autorizzazione
all'allestimento  del  sito  da  destinare  a  discarica,  in  quella
specifica localita', rileva ai  fini  della  decisione  del  presente
giudizio. Invero, laddove dovesse affermarsi - da parte  della  Corte
adita con la presente istanza - l'illegittimita' costituzionale della
disposizione in parola, per le ragioni che si passa  ad  esporre,  e'
del tutto evidente che il giudicante non dovrebbe tenere conto alcuno
dell'autorizzazione legislativa alla  realizzazione  della  discarica
nella suddetta localita'. 
La  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale. 
    Esposte, dunque, le  ragioni  di  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita' degli artt. 4, comma 2 e 9, comma 1 del  d.lgs.  n.
90/2008, si passa - a questo punto - ad evidenziare i  motivi  per  i
quali, ad avviso del giudicante, le  suindicate  disposizioni  devono
considerarsi affette da incostituzionalita' sotto diversi profili.  A
tal fine, le due disposizioni vanno considerate  separatamente,  onde
procedere, per ciascuna di esse,  alla  corretta  individuazione  dei
parametri costituzionali che si ritengono violati. 
Art. 4, comma 2  del  d.lgs.  n.  90/2008,  convertito  in  legge  n.
123/2008. 
    1) Violazione degli artt. 100, 101, 102, 103, 104 e 113 Cost. 
    La norma dell'art. 4, comma 2 del d.lgs. n.  90/2008,  appare  in
contrasto con l'art. 101 Cost. Tale  disposizione  costituzionale,  a
tenore della quale «i giudici sono  soggetti  soltanto  alla  legge»,
enuncia,  invero,   il   fondamentale   principio   dell'indipendenza
funzionale  dei  giudici,  sia  nei  confronti  di   organi   esterni
all'ordine giudiziario, ed in tal senso la previsione  e'  rinforzata
dal  successivo  art.  104  Cost.,  secondo  cui   «la   magistratura
costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro  potere»,
sia all'interno dell'ordine giudiziario, ossia  nei  confronti  degli
altri giudici. 
    In tale  ultima  accezione,  sembra  evidente  che  il  principio
espresso dalle suddette disposizioni costituzionali si traduca in  un
divieto per il  legislatore  di  consentire  che  l'attivita'  di  un
giudice possa risultare lesa  dall'attivita'  di  un  altro  giudice,
beninteso al di fuori dell'ipotesi - dianzi menzionata - dei  diversi
gradi di giudizio all'interno del medesimo processo. 
    E, tuttavia, e' del tutto evidente che la cognizione nei suddetti
gradi  del  giudizio  non  puo'  che  essere   affidata   a   giudici
appartenenti allo stesso plesso  giurisdizionale  cui  appartiene  il
giudice di prime cure. 
    Va, per vero, tenuto conto al riguardo della previsione dell'art.
102 Cost., che enuncia il principio della  tendenziale  unita'  della
giurisdizione,  stabilendo  che  la  funzione  giurisdizionale  debba
essere esercitata, di regola, dalla magistratura ordinaria, ossia dai
magistrati  istituiti  e  regolati   dalle   norme   sull'ordinamento
giudiziario. La disposizione in parola distingue, invero,  nettamente
i giudici  ordinari,  cui  sono  riservate  la  maggior  parte  delle
disposizioni costituzionali in materia di giustizia (artt. 104,  105,
106 e 107 Cost.), dai giudici speciali, per i  quali  la  regolazione
dello status giuridico loro  spettante  e'  demandata  dall'art.  108
Cost. alla legge. 
    Orbene, appare del tutto evidente che una disposizione  di  legge
che  demandi  ad  un  organo  appartenente  ad  un   diverso   plesso
giurisdizionale (giudice amministrativo) - cui sono affidate, in  via
di eccezione  rispetto  alla  regola  dell'esercizio  della  funzione
giurisdizionale  da  parte  dei  giudici  ordinari,   determinate   e
specifiche  attribuzioni  il   cui   ambito   e'   costituzionalmente
delimitato (artt. 100-103 Cost.) - il  riesame  di  un  provvedimento
emesso dal giudice ordinario, si traduca in una palese violazione del
disposto degli artt. 101, 102 e 104 Cost. 
    L'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008, inoltre, - ad avviso del
giudicante collide con il disposto degli artt. 100, 103 e 113  Cost.,
nella parte in cui - sul presupposto che la funzione  giurisdizionale
debba essere esercitata,  di  regola,  dalla  magistratura  ordinaria
(art. 102 Cost.) individuano l'ambito di giurisdizione del  Consiglio
di  Stato  e  degli  «altri  organi  di  giustizia   amministrativa»,
istituiti in ogni regione ex art. 125 Cost. Per vero, le attribuzioni
del  plesso  dei   giudici   speciali   costituenti   la   «giustizia
amministrativa», secondo le norme costituzionali di riferimento, sono
limitate alla «consulenza giuridico-amministrativa» ed  alla  «tutela
della giustizia nell'amministrazione» (art. 100  Cost.),  che  l'art.
103 Cost. specifica ed individua nella «tutela  nei  confronti  della
pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in  particolari
materie previste dalla legge, anche di diritti soggettivi». 
    Ora, e' di tutta evidenza che tale ultima forma di  giurisdizione
che  da'  luogo  alla  cd.  giurisdizione  esclusiva  -   stante   il
chiarissimo tenore letterale della norma, che non puo' dare luogo  ad
equivoci, e' limitata alla  «tutela»  di  diritti  ed  interessi  dei
cittadini  nei  confronti  della  pubblica   amministrazione.   Essa,
pertanto, non puo' certo essere estesa  -  come  ha  fatto  la  norma
censurata di incostituzionalita' - al riesame di provvedimenti emessi
da giudici appartenenti ad un diverso plesso giurisdizionale (giudici
ordinari), e che, tra  l'altro,  hanno  percorso  tutti  i  gradi  di
giudizio che la legge prevede per  siffatti  provvedimenti  (fino  al
giudizio di cassazione). 
    2) Violazione degli artt. 3 e 111, settimo comma, Cost. 
    E', inoltre, evidente  che  l'art.  4,  comma  2  del  d.lgs.  n.
90/2008, nel rimettere la  «conferma»  dei  provvedimenti  cautelari,
emessi da qualsiasi altra autorita' giudiziaria diversa dal  TAR  del
Lazio, a  tale  ultimo  organo  giurisdizionale,  viola  il  disposto
dell'art. 111, settimo comma della Costituzione, che - nella parte in
cui ammette il ricorso per cassazione per  «violazione  di  legge»  -
implicitamente riserva alla Corte di cassazione la funzione di organo
di vertice delle giurisdizioni. Il che, del  resto,  e'  reso  palese
altresi' dalla sottoposizione anche delle decisioni del Consiglio  di
Stato e della Corte dei conti, a loro volta organi di  vertice  delle
rispettive  magistrature,  al  riesame  della  Cassazione,  sia  pure
limitatamente ai motivi inerenti alla giurisdizione. 
    Siffatta posizione di vertice della Corte di cassazione  e',  per
vero, diretta a garantire l'espletamento, da  parte  della  medesima,
della   funzione   di   nomofilachia   e   di   unificazione    della
giurisprudenza, che - recependo a livello costituzionale  indicazioni
gia' desumibili dall'ordinamento  giudiziario  -  il  costituente  ha
inteso attribuire ad un organo supremo unico. 
    E non e' superfluo aggiungere che tale compito, attribuito  dalla
Costituzione alla Corte suprema, e'  strumentale  alla  tutela  della
certezza  del  diritto,  e,  di  conseguenza,  dell'uguaglianza   dei
cittadini dinanzi alla legge (art. 3 Cost.). 
    Orbene,  l'avere  il  legislatore  ordinario  indiscriminatamente
attribuito al TAR del Lazio, con l'art. 4,  comma  2  del  d.lgs.  n.
90/2008, il riesame di tutti  i  provvedimenti  emessi  da  qualsiasi
altra autorita' giudiziaria, quand'anche abbiano - come  quello  reso
da questo giudicante in data 28 aprile  2007  -  superato  il  vaglio
anche della Corte suprema di Cassazione, si  traduce  in  una  palese
violazione  del  principio   costituzionale   che   individua   nella
Cassazione l'organo di vertice dell'intero sistema giurisdizionale, a
garanzia dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. 
    3) Violazione degli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost. 
    L'anomala forma di riesame dei provvedimenti cautelare  di  altre
autorita' giudiziarie, demandato dall'art. 4, comma 2 del  d.lgs.  n.
90/2008 al TAR del Lazio,  si  traduce,  infine,  in  un  vulnus  del
diritto di difesa, nonche' dei principi di uguaglianza e  di  parita'
delle parti nel processo, previsti dagli arti. 3, 24 e 1111,  secondo
comma Cost. La censura che si  intende  muovere,  al  riguardo,  puo'
essere articolata in due diversi profili. 
    Sotto un primo  profilo,  invero,  la  violazione  dei  parametri
costituzionali suindicati si concreta in una  chiara  violazione  del
principio della parita' delle parti del processo (art.  111,  secondo
comma, Cost.), inteso come principio della parita' delle opportunita'
e degli oneri difensivi (artt. 3 e 24, Cost.),  piu'  volte  ribadito
anche dalla Corte di Strasburgo (principe de l'egalite'  des  armes).
Siffatto principio  se  non  si  sostanzia,  invero,  in  un'assoluta
identita' di diritti e di doveri delle parti, e' tuttavia a  presidio
di un giusto equilibrio tra  le  stesse  sul  piano  processuale  (ex
plurimis, C. Edu, 28 settembre 2001, F.R. c/o Svizzera, § 34; C. Edu,
24 aprile 2003, Yvon c/o Francia, § 31). 
    Ebbene, non v'e' chi non veda che si pone  in  diretto  contrasto
con i parametri costituzionali suindicati un  meccanismo  processuale
che impone ad una sola delle parti, per di piu' a  quella  che  abbia
gia' esperito con successo la  tutela  cautelare  in  tutti  i  gradi
previsti dalla legge per il giudizio dinanzi  al  giudice  ordinario,
l'onere di richiedere - perfino dopo che il provvedimento ha superato
il vaglio della Corte suprema - la conferma dello stesso da parte  di
un giudice appartenente ad un diverso plesso giurisdizionale. 
    Tale anomala conferma, poi, appare del tutto in contrasto con  il
principio  di  intrinseca  ragionevolezza  della  legge,  piu'  volte
enunciato  dalla   Corte   adita   con   la   presente   istanza   di
incostituzionalita' (Corte cost., n. 39/2006; Corte cost.,  5  luglio
2006, n. 341; Corte cost., 4 giugno 2007, n.  220;  Corte  cost.,  22
maggio 2007, n. 237). Per vero, piu' volte la Corte ha avuto modo  di
ribadire  che  il  limite  invalicabile  della  discrezionalita'  del
legislatore  e'  segnato  dalla  ragionevolezza  di  una  determinata
previsione normativa,  nel  senso  che  questa  non  deve  essere  in
contrasto  -  pena   l'incostituzionalita'   della   previsione   per
violazione dell'art. 3 Cost. - con il «principio di razionalita', che
implica  l'esigenza  di  conformita'  dell'ordinamento  a  valori  di
giustizia e di equita'» (Corte cost., 18 novembre 1991, n. 421). 
    Ora, non puo'  revocarsi  in  dubbio  -  a  sommesso  avviso  del
giudicante - che la previsione dell'art. 4, comma  2  del  d.lgs.  n.
90/2008 sia del tutto in  contrasto  con  il  suddetto  principio  di
ragionevolezza, se solo si consideri che la previsione  di  legge  in
parola non si e' limitata a prevedere  una  competenza  specifica  di
un'autorita'  giurisdizionale,  per  esigenze   di   specializzazione
derivanti dalla straordinarieta' di  una  determinata  situazione  di
emergenza,  ma   pur   sempre   nell'ambito   del   medesimo   ordine
giurisdizionale (giudice amministrativo). 
    Il che e' accaduto, ad esempio, per l'art.  3,  comma  2-bis  del
d.lgs. n. 245/2005 (convertito in legge n. 21/2006), con il quale  e'
stata prevista la competenza esclusiva del TAR del Lazio  (anche  per
l'emissione delle misure cautelari), in ordine alla legittimita'  dei
provvedimenti amministrativi emessi dal Commissario Straordinario per
l'emergenza rifiuti, ma su un presupposto  specifico,  ossia  che  si
tratti  di  provvedimenti  emessi  «nelle  situazioni  di   emergenza
dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1,  della  legge  24  febbraio
1992, n. 225». Ed e' proprio sotto il profilo della  straordinarieta'
della  situazione  nella  quale  vengono   emessi   i   provvedimenti
commissariali,  che  la  norma  in  questione  e'  stata   dichiarata
costituzionalmente legittima (da Corte cost. 22 maggio 2007, n. 237). 
    In relazione  ai  provvedimenti  di  tal  fatta,  poi,  il  comma
2-quater della stessa norma ha altresi' previsto che l'efficacia  dei
provvedimenti cautelari emessi dagli altri  TAR  «permane  fino  alla
loro  modifica  o  revoca  da  parte  del  Tribunale   amministrativo
regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata  puo'
proporre ricorso). 
    Si tratta, com'e' del tutto evidente, di una  previsione  che  si
limita ad individuare un foro speciale competente per la  valutazione
di legittimita' di determinati provvedimenti,  emessi  dall'autorita'
amministrativa sul presupposto di  una  situazione  straordinaria  di
emergenza. E la conferma o  la  revoca  delle  misure  cautelari,  in
materia, e' limitata a quelle  emesse  da  autorita'  giurisdizionali
appartenenti allo stesso ordine giurisdizionale. 
    Ben oltre e' andato, invece, il legislatore con l'art. 4, comma 2
del d.lgs. n. 90/2008, atteso che  tale  previsione:  a)  non  si  e'
limitata a prevedere una competenza speciale, ma  ha  introdotto  una
nuova forma di giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo
(individuandolo, mediante  il  richiamo  all'art.  3  del  d.lgs.  n.
245/2005, nel TAR Lazio), per le sole cause instaurate dopo l'entrata
in vigore di tale normativa (non contendo  la  legge  di  conversione
alcuna  disposizione  transitoria,  che  la  renda   retroattivamente
applicabile anche ai giudizi in corso); b) ha, pero', sottoposto,  in
modo del tutto incongruo, alla  conferma  del  TAR  anche  le  misure
cautelari gia' emesse, e perfino quelle rese  dal  giudice  ordinario
appartenente  ad  un  diverso  plesso  giurisdizionale,   stante   la
genericita'  della  previsione,  che  fa  riferimento   alle   misure
cautelari «adottate da un'autorita' giudiziaria diversa da quella  di
cui al comma 1» (TAR del Lazio);  c)  non  contiene  -  a  differenza
dell'art. 3 d.lgs. n. 245/2005 - alcuna previsione  che  limiti  tale
forma di  improprio  riesame  ai  provvedimenti  giurisdizionali  che
incidano   su   atti   amministrativi   adottati   nella   situazione
emergenziale. 
    In  altri  termini,  a  differenza  dell'art.  3  del  d.lgs.  n.
245/2005, il riesame da parte del  TAR  Lazio  e'  stato  esteso  dal
legislatore a tutti i provvedimenti cautelari, anche  se  emessi  dal
giudice ordinario, ed ancorche' - come quello  oggetto  del  presente
giudizio - non incidano in alcun modo su atti emanati dal Commissario
nella situazione  emergenziale,  si'  che  possa,  in  qualche  modo,
giustificarsi una «concentrazione» del riesame degli stessi presso un
giudice specializzato, ma  siano  stati  resi  a  tutela  diretta  ed
immediata di diritti costituzionalmente  garantiti.  Per  il  che  il
giudicante  non   ha   neppure   dovuto   attivare   il   potere   di
disapplicazione  concesso   dalla   legge   al   giudice   ordinario,
determinando la collisione  con  le  previsioni  costituzionali,  una
carenza assoluta di potere dell'autorita'  amministrativa  che  -  in
subiecta materia - pone,  in  buona  sostanza,  in  essere  dei  meri
comportamenti materiali. 
    Ebbene, a parere del giudicante si pone in stridente il contrasto
con il principio di  ragionevolezza  una  normativa  che  sottrae  al
giudice del merito - che  resta,  per  i  giudizi  in  corso,  quello
ordinario - qualsiasi potere di intervento (modifica o revoca ex art.
669-decies c.p.c.) di  un  provvedimento  cautelare  da  lui  emesso,
demandandolo ad un  giudice  che  appartiene  ad  un  diverso  ordine
giurisdizionale, senza  neppure  circoscrivere  temporalmente  o  per
categorie di provvedimenti siffatta anomala forma di conferma. 
    Per di piu', ad accrescere  l'irragionevolezza  della  previsione
normativa in esame, contribuisce altresi' la considerazione che  tale
impropria  forma  di  controllo  non  e'  stata  limitata   ai   soli
provvedimenti cautelari emessi in prime cure,  che  non  siano  stati
oggetto di gravame, ma e' stata estesa a tutti i provvedimenti, anche
a quelli - come il provvedimento  oggetto  del  presente  giudizio  -
contro i  quali  sono  stati  esperiti  tutti  i  rimedi  processuali
previsti. Inoltre, il riesame non e'  costruito  come  una  forma  di
impugnazione, tanto vero che interessato a  provocarlo  e'  la  parte
vittoriosa nella fase  cautelare;  sicche'  l'onere  di  evitarne  la
caducazione, mediante tale ulteriore  specie  di  controllo,  cede  a
carico della parte  che  ha  gia'  ricevuto  tutte  le  verifiche  di
fondatezza che  l'ordinamento  predispone  per  il  giudizio  dinanzi
all'autorita' giudiziaria ordinaria. 
    Ma non basta. 
    L'irragionevolezza  della  disciplina  in  parola,  e  la  palese
violazione degli artt. 3 e 111, comma 2 Cost. che  essa  integra,  si
evince anche dal fatto che il rimedio in questione e concesso solo in
caso di misura cautelare adottata, laddove  in  caso  di  diniego  di
tutela cautelare  non  e'  previsto  riesame  alcuno  della  decisone
negativa da parte  del  TAR.  Il  che  si  traduce  in  un'innegabile
privilegio processuale per le amministrazioni che si  occupano  della
gestione dei rifiuti, evidentemente controinteressate all'adozione di
provvedimenti che inibiscano  la  realizzazione  di  discariche;  con
buona pace del principio di parita' tra le parti in causa. 
      
    Da ultimo va ancora considerato,  sotto  un  profilo  diverso  da
quello della  parita'  tra  le  parti  nel  giudizio,  che  la  norma
dell'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008  e'  altresi'  lesiva  del
principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi  alla  legge,  laddove
impone, per i soli provvedimenti cautelari  adottati  in  materia  di
gestione dei rifiuti, e -  come  detto  -  senza  alcuna  limitazione
temporale o per  categorie  di  provvedimenti,  l'esperimento  di  un
ulteriore - anomalo - grado di giudizio, mentre tutte le altre misure
cautelari sono soggette ai soli rimedi previsti  dalla  legge  per  i
procedimenti dinanzi al giudice ordinario. 
    Esaurita la disamina delle censure di incostituzionalita' che  si
intendono muovere alla norma suindicata, deve altresi' precisarsi che
alla menzionata disposizione dell'art. 4, comma 2 d.lgs. n.  90/2008,
ad  avviso  del  giudicante,  non  puo',   in   alcun   modo,   darsi
un'interpretazione che la ponga in  linea  con  le  menzionate  norme
della Costituzione. Non si ignora, infatti, il costante  orientamento
della Corte (da ultimo, Corte cost., 21 giugno 2006,  n.  299;  Corte
cost., 6 febbraio 2007, n. 85), secondo cui sul  giudice  incombe  un
preciso dovere: quello di interpretare le norme di  legge  alla  luce
della Costituzione. Invero, le leggi - stando  al  suddetto  costante
insegnamento -  «non  si  dichiarano  costituzionalmente  illegittime
perche'  e'  possibile  darne  interpretazioni  incostituzionali,  ma
perche' e' impossibile darne interpretazioni  costituzionali»  (Corte
cost. n. 85/2007). 
    Senonche', a parere di chi scrive, alla norma  censurata  non  e'
possibile attribuire altro significato, se non quello che  collide  -
come si e' cercato  di  dimostrare  -  con  le  norme  costituzionali
suindicate. 
    Ed invero,  non  e'  certo  possibile  interpretare  il  comma  2
dell'art. 4 del d.lgs. n. 90/2008 come  limitato  alla  conferma  dei
soli provvedimenti emessi da TAR diversi dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, con sede in Roma. 
    La norma, infatti, - ben diversamente da quanto ha operato l'art.
3 del d.lgs. n. 245/2005, che si  riferisce  testualmente  alle  sole
misure emesse da altri TAR, diversi  da  quello  previsto  come  solo
competente  -   prevede,   in   maniera   del   tutto   generica   ed
onnicomprensiva, la necessita' di conferma da parte del TAR Lazio  di
tutte le  misure  cautelari  «adottate  da  un'autorita'  giudiziaria
diversa da quella di cui al comma 1». Il che equivale a  dire  -  dal
momento che il comma 1 prevede una giurisdizione esclusiva, oltre che
una competenza - tutte le misure adottate, non solo da TAR diversi da
quello competente (TAR Lazio), ma anche da autorita'  giurisdizionali
diverse da quella che ha giurisdizione esclusiva  in  materia,  ossia
dal giudice ordinario. 
    Ed in tal senso si sono, infatti, orientati il TAR  Lazio  ed  il
Consiglio  di  Stato  nella  presente  vicenda  processuale,   avendo
entrambi gli organi giurisdizionali provveduto nel merito,  denegando
la conferma del provvedimento cautelare reso da questo giudicante  in
data 28 aprile 2007, senza declinare la giurisdizione  per  il  fatto
che si trattava di un provvedimento emesso da un giudice appartenente
ad un diverso ordine giurisdizionale. 
    Sicche',  anche   il   limitato   «diritto   vivente»   formatosi
dall'entrata    in    vigore    della    normativa    censurata    di
incostituzionalita'  (non  consta,  infatti,  l'emissione  di   altri
provvedimenti da parte del giudice amministrativo), si e' espresso in
modo difforme dai suesposti principi costituzionali. 
Art. 9 del d.lgs. n. 90/2008, convertito in legge n. 123/2008. 
    1) Violazione degli artt. 2, 32, 117, primo comma, Cost. 
    L'art. 9 del d.lgs. n. 90/2008 (convertito in legge n. 123/2008),
poi, ha  provveduto  all'individuazione  di  una  serie  di  siti  da
destinare a discarica, al  fine  di  consentire  lo  smaltimento  dei
rifiuti  urbani  prodotti  nella  regione  Campania,   autorizzandone
espressamente la «realizzazione», col solo limite del «rispetto della
normativa comunitaria tecnica di  settore».  E  tra  questi  siti  e'
ricompreso anche quello ubicato nel Comune di Serre, localita' «Valle
della Masseria», costituente oggetto del provvedimento cautelare  del
28 aprile 2007, in discussione nel presente giudizio. 
    Orbene, a norma dell'art. 117, primo comma,  Cost.,  la  potesta'
legislativa dello Stato (che nella specie interessa) deve  espletarsi
«nel rispetto della Costituzione». 
    E non puo' revocarsi in dubbio che nel catalogo dei diritti della
persona costituzionalmente  garantiti  (art.  2,  Cost.),  e  percio'
intangibili da parte del legislatore, un posto  di  primo  piano  sia
occupato - come si e' gia' argomentato - dal diritto alla salute,  la
cui lesione - per effetto del combinato disposto degli artt.  2043  e
ss. c.c. e 2 e ss. Cost. - va incontro alla sanzione risarcitoria  ex
art. 2059 c.c., anche per equivalente, mediante  l'azione  inibitoria
preventiva proposta nel caso concreto, quale danno non  patrimoniale,
per il fatto in se' della  lesione,  indipendentemente  da  possibili
ricadute  sul  patrimonio,  ed  anche  a  prescindere  da  previsioni
specifiche  di  legge  ordinaria,  in  quanto   lesione   di   valori
costituzionalmente  protetti  e  garantiti  da  norme  costituzionali
cogenti (nella specie, dall'art. 32 Cost.) (cfr., ex plurimis,  Corte
cost. 11 luglio 2003, n. 233; Cass. 20 febbraio 2004, n. 3399;  Cass.
27 luglio 2006, n. 17144; e, da ultimo, Cass. S.U., 11 novembre 2008,
n. 26972). 
    Ebbene, e' di tutta evidenza che l'installazione e l'esercizio di
una discarica concreta, di per se', un'attivita' altamente pericolosa
per il diritto alla salute dei cittadini, per i mezzi adoperati e per
l'inquinamento che puo' derivarne (v. Cass.  1°  settembre  1995,  n.
9211). 
    Ed, in  tal  senso,  va  rilevato  che  studi  condotti  -  anche
all'estero - sull'impatto della prossimita' a discariche sulla salute
umana (allegati anche agli  atti  di  causa)  hanno  evidenziato  una
maggiore  incidenza  del  rischio   di   patologie   cardiovascolari,
urogenitali ed al sistema  nervoso,  nonche'  dei  tumori,  derivanti
dalla vicinanza a discariche, siano esse autorizzate o meno  (v.,  in
particolare,  lo  Studio  Pilota  sull'impatto  sulla  salute  umana,
relativo al trattamento  dei  rifiuti  in  Campania  per  il  periodo
1996-2002, e il Notiziario  dell'Istituto  Superiore  di  Sanita'  n.
6/05). 
    Nel caso concreto, poi, il pericolo  di  una  negativa  incidenza
della localizzazione, per legge, di una  megadiscarica  in  localita'
«Valle della Masseria» del Comune di Serre sul  diritto  alla  salute
dei cittadini, e' tanto piu' reale e concreto, in quanto  -  come  si
desume dalle attestazioni del Comune di Serre del 30 gennaio 2007  in
atti - in prossimita' della prevista  discarica  insistono  circa  80
abitazioni  private,  con  altrettanti  nuclei  familiari  residenti.
Inoltre, a distanza di circa 700 m. dalla discarica sono in corso  di
ultimazione i lavori  di  realizzazione  di  insediamenti  produttivi
relativi  ai  settori  «artigianale»  ed  «agroalimentare»,  a  basso
impatto ambientale, ed a circa 100 m dalla progettata discarica e' in
atto la realizzazione di  un  campo  da  golf  a  36  buche,  per  un
investimento complessivo di circa 50.000.000,00 di euro. 
    Si ritiene, pertanto, che la  non  manifesta  infondatezza  della
questione di costituzionalita' della norma censurata, con riferimento
agli artt. 2 e 32 Cost., non richieda ulteriori evidenziazioni. 
    2) Violazione degli artt. 2, 9, 32, 114, 117, primo comma e  118,
Cost. 
    Ad identica conclusione deve  pervenirsi,  peraltro,  per  quanto
concerne il diritto  all'ambiente  salubre,  tutelato  dal  combinato
disposto degli artt. 2, 9 e 32 Cost. 
    A tal riguardo,  giova  invero  rilevare  che,  con  decreto  del
Presidente della Giunta Regionale  della  Campania  n.  4060  del  10
novembre 1976, e' stata istituita - in localita' Persano  del  Comune
di Serre - un'Oasi di protezione e di raduno per la fauna migratoria,
denominata «Oasi di Penano»; e tale oasi - come risulta dagli atti di
causa, e' esattamente a ridosso del sito individuato  come  discarica
dall'art. 9, comma 1 del d.lgs. n. 90/2008. 
    Con successivo decreto del Ministro dei beni  culturali  (decreto
Ronchey), in data 29 novembre 1993, l'area  in  questione  e'  stata,
inoltre, dichiarata «di notevole interesse pubblico», ai sensi  della
legge 29 giugno 1939, n. 1497 e del d.P.R. 24 luglio  1977,  n.  616.
Del tutto significativa -  ai  fini  che  ci  occupano  -  appare  la
motivazione del suddetto  provvedimento:  «considerato  che  la  zona
suddetta dominata dalla  presenza  del  Sete  e  dalla  straordinaria
quinta scenografica dei Monti Alburni, presenta  una  sua  suggestiva
bellezza  dovuta  alla  presenza  di  ambienti   diversi:   il   lago
colonizzato   per   circa   1/3    dalla    vegetazione    acquatica,
prevalentemente  canneti  che  trattengono  e  compattano  i  detriti
fluviali fino alla comparsa dei primi salici, e lo spettacolare bosco
idrofilo composto da pioppi, salici ed ontani che circonda  la  parte
alta dell'invaso e prosegue a tratti per alcuni chilometri di  fiume,
fondendosi con esso durante la piena». 
    Si  tratta,  davvero,  di  un   riconoscimento   dell'eccezionale
rilevanza paesaggistica della zona in questione, che si  commenta  da
se', e non richiede ulteriori sottolineature ed evidenziazioni. 
    Con decreto del Ministro dell'ambiente del 5 maggio 2003,  l'Oasi
del Sele-Serre-Persano» e' stata, poi, addirittura  dichiarata  «zona
umida di importanza internazionale», ai sensi e per gli effetti della
Convenzione  di  Ramsar  del  2   febbraio   1971.   E,   del   pari,
particolarmente significativa anche la motivazione del  provvedimento
in  parola:  «considerato  l'eccezionale  valore  naturalistico   del
biotopo, costituito da ambienti  altamente  significativi  sotto  gli
aspetti    floristico-vegetazionali»;     «considerato,     altresi',
l'importante ruolo che la zona umida riveste nel  suo  complesso  per
l'avifauna  acquatica,  soprattutto  quale   habitat   di   sosta   e
alimentazione per durante il periodo delle  migrazioni  per  numerose
specie di uccelli acquatici»; e ancora, «considerato che la  restante
componente faunistica e' rappresentata da specie  di  elevato  valore
scientifico e naturalistico, sia per la loro localizzazione, che  per
la rarita' oggettiva». 
    Non  mancano,  infine,  i  riconoscimenti  dell'area  a   livello
comunitario, ottenuti con il decreto del  Ministro  dell'ambiente  in
data 25 marzo 2005, con il quale il medio  corso  del  fiume  Sele  e
l'Oasi di  Persano  sono  stati  inseriti  nell'elenco  dei  siti  di
importanza comunitaria per la regione biogeografia  mediterranea,  ai
sensi della direttiva n. 92/43 CEE, e nell'elenco delle  zone  (ZPS),
ai sensi della direttiva n. 79/409 CEE. 
    Ebbene,  non  puo'  revocarsi  in  dubbio  che   l'individuazione
legislativa di tale sito, di eccezionale valore ambientale, come sede
di una discarica si ponga in netto contrasto con gli artt. 2, 9 e  32
Cost. Come ha, infatti,  incisivamente  rilevato  la  medesima  Corte
investita  della  questione  di  costituzionalita',  «l'ambiente   e'
protetto come elemento determinativo della qualita'  della  vita.  La
sua protezione  non  persegue  astratte  finalita'  naturalistiche  o
estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel  quale
l'uomo vive ed agisce e che e' necessario alla collettivita',  e  per
essa ai cittadini, secondo  valori  largamente  sentiti;  e'  imposta
anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32  Cost.),  per  cui
esso assurge a valore primario e assoluto» (Corte cost. n. 641/1987). 
    Come  si  evince  in  modo  del  tutto  palese  dalla   pronuncia
suesposta, la locuzione costituzionale  dell'art.  9  Cost.,  che  fa
riferimento alla tutela del «paesaggio», non  va  intesa  -  come  la
dottrina meno recente suggeriva  -  in  senso  «statico»,  ossia  con
riferimento esclusivo alle bellezze naturali di  cui  alla  legge  n.
1497/1939, bensi' in senso «dinamico», come interazione continua  tra
forze naturali e la vita dell'uomo. In altri  termini,  il  paesaggio
come forma e immagine dell'ambiente,  comprensiva,  cioe',  di  «ogni
elemento  naturale  e  umano  attinente  alla  forma  esteriore   del
territorio» (Corte cost. n. 39/1986). 
    In  tale  prospettiva,  dunque,  il   riferimento   alla   tutela
paesaggistica si evolve - attraverso la considerazione dell'art. 9 in
combinato disposto con gli artt. 2 e 32, Cost. nella riconsiderazione
globale ed assidua del territorio e dell'ambiente, cosi' come  creati
dalla comunita' umana che  vi  si  e'  insediata,  con  una  continua
interazione della natura e dell'uomo. 
    Dal complessivo quadro costituzionale di riferimento  si  desume,
pertanto, che la localizzazione, prevista dall'art. 9 del  d.lgs.  n.
90/2008,  di  una  discarica  in  una  localita'   come   quella   in
discussione, la quale presenta caratteristiche tali da dare vita, per
un verso,  ad  un  biotopo  «di  eccezionale  valore  naturalistico»,
riconosciuto a  livello  comunitario  ed  internazionale,  per  altro
verso, ad un'area connotata  da  insediamenti  industriali  «a  basso
impatto ambientale» (v. attestazione 30 gennaio 2007  del  Comune  di
Serre),  con  produzione  agroalimentare  e  casearia  insignita  del
marchio D.O.P.,  e  nota  e  rinomata  in  tutta  Italia  e  finanche
all'estero, viene ad incidere su un unicum che sottende  un'identita'
storie culturale ed economica di eccezionale valore. 
    Tale identita', costituzionalmente protetta, ai sensi degli artt.
2,  9,  comma  2,  32  (ambiente   salubre   come   interesse   della
collettivita'), 114 e 118, Cost., sicuramente messa in pericolo dalla
previsione  normativa  di  una  megadiscarica,   con   le   intuibili
immissioni acustiche (traffico veicolare continuo), di polveri  e  di
miasmi conseguenti al trattamento dei rifiuti, e con  la  prevedibile
comparsa di animali infesti  e  nocivi  (ratti,  scarafaggi,  insetti
vari) (v. la valutazione di incidenza ambientale  «VIA»  redatta  dal
prof. Sauli, del 14 marzo 2007, spec. pp. 172 e ss.). 
    E' di certo altamente significativo quanto rileva, in  proposito,
la  stessa  VIA  del  prof.  Sauli,  effettuata  su   richiesta   del
Commissario per l'emergenza rifiuti: «uno sversamento  incontrollato,
sia pure accidentale e di scarsa entita', dei liquami di percolamento
della discarica che dovesse  riversarsi  nel  corso  del  fiume  Sele
sarebbe la causa di un vero disastro ambientale» (p.  173).  E  -  si
badi - a detta dello stesso redattore  della  VIA,  i  fiumi  Sele  e
Tanagro e l'Oasi di Persano «distano poche  centinaia  di  metri  dal
sito della discarica» (p. 176). 
    Ora, e' di tutta evidenza che nella possibilita' -  immanente  in
un'opera del genere - di possibili ed estesi contagi di  infezioni  e
patologie varie in danno dei cittadini del Comune  di  Serre,  e  nel
rischio di una devastazione  ambientale  dell'ecosistema  che  si  e'
creato - mediante l'attivita'  di  generazioni  di  cittadini  -  nei
dintorni del paese, e' certamente insito il pericolo di  una  lesione
del suddetto diritto  di  identita'  storico-culturale-economica  del
Comune convenuto (v. Cass. 15 aprile 1998, n. 3807), che, di per se',
merita adeguata tutela, a fronte  di  una  normativa  -  come  quella
censurata - che lo ponga in serio e concreto pericolo. 
    Il tutto in violazione del  menzionato  disposto  dell'art.  117,
primo comma, Cost., che - come si  e'  gia'  evidenziato  impone  che
l'attivita'  legislativa  dello  Stato  (e   delle   Regioni)   venga
esercitato nel rispetto dei principi e  delle  norme  costituzionali.
Ne'  ad  escludere  il  paventato  vulnus  dei  suindicati   principi
costituzionali puo' valere - ad  avviso  del  remittente  -  la  mera
previsione, contenuta nel comma 1 dell'art. 9 del d.lgs. n.  90/2008,
secondo cui la realizzazione della  discarica  dovra'  avvenire  «nel
pieno rispetto della normativa comunitaria tecnica di settore». 
    Va  difatti,  per  intanto,  osservato  che  la   previsione   fa
riferimento alla mera normativa «tecnica», da applicarsi  nella  fase
esecutiva di installazione della discarica. E, di certo, non  vale  a
preservare da pregiudizi al diritto alla salute dei cittadini il mero
rispetto di disposizioni  tecniche  di  settore,  laddove  la  stessa
realizzazione, in se' e per se',  sia  lesiva  di  tale  fondamentale
diritto delle persone. 
    Per altro verso, poi, le norme  comunitarie  non  potrebbero,  in
ogni caso, consentire il pregiudizio di beni  fondamentali  garantiti
dalle norme della nostra Costituzione,  e  segnatamente  dei  diritti
inalienabili  della  persona  umana,  come   ha   ormai   chiaramente
evidenziato la Corte adita  da  questo  remittente  (Corte  cost.  n.
170/1984; Corte cost. n.102/2008). 
    Ad ogni buon conto - sia pure per mera  completezza,  trattandosi
di questione che puo' comportare una disapplicazione della  norma  in
questione nel presente di giudizio di merito, ma che non da' luogo  a
questione  di  costituzionalita'  (Corte  cost.  n.  102/2008)  -  la
realizzazione  di  una  discarica  nella  zona  in  questione  appare
addirittura in contrasto con specifiche norme comunitarie. Ed invero,
il disposto dell'art. 1.1., comma 1, dell'allegato  1  al  d.lgs.  13
gennaio 2003,  n.  36,  di  attuazione  della  direttiva  1999/31/CE,
dispone che i siti  idonei  alla  realizzazione  di  un  impianto  di
discarica  per  i  rifiuti  non  devono  ricadere  -  senza  che  sia
applicabile neppure la clausola di salvaguardia prevista dal comma  2
dello stesso articolo per le  mere  aree  protette  -  nei  territori
sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 146 del d.lgs. n. 490/99,  che
alla lett. i) fa riferimento proprio alle zone  umide  di  importanza
internazionale  (come  quella  di  Persano,   a   ridosso   dell'area
individuata  per   la   realizzazione   della   discarica),   incluse
nell'elenco di cui al d.P.R. n. 448/1976. 
    3) Violazione degli artt. 3, 9 e 32, Cost. 
    Dagli atti di  causa  -  e,  del  resto,  sul  punto  non  vi  e'
controversia tra le parti - si evince, inoltre,  che  nel  Comune  di
Serre - e precisamente in localita' Macchia  Soprana  -  e'  gia'  in
funzione un'altra discarica, che recepisce i rifiuti solidi di  tutta
la  Regione.  A  tale  discarica  dovrebbe  affiancarsene   un'altra,
sovraccaricando, quindi, una zona - gia' fortemente penalizzata -  di
un'ulteriore  installazione  pregiudizievole  per  la  salute   degli
abitanti e per l'ambiente; per  di  piu'  in  un'area  -  come  sopra
evidenziato di particolare pregio sul piano paesaggistico. 
    Ebbene, si e' gia' rilevato come la stessa Corte adita da  questo
remittente  abbia  piu'  volte  evidenziato   la   necessita'   della
ragionevolezza di una determinata previsione normativa, nel senso che
questa non debba essere in contrasto -  onde  evitare  la  violazione
dell'art. 3 Cost. - con il «principio di razionalita'»,  inteso  come
esigenza di conformita' dell'ordinamento a «valori di giustizia e  di
equita'» (per tutte, v. Corte cost., 18 novembre 1991, n. 421). 
    E non puo' certo dubitarsi del fatto che la previsione in  esame,
nel prevedere una doppia discarica di rifiuti nella stessa zona,  con
gli intuibili, gravi, pregiudizi che ne conseguirebbero, si ponga  in
chiaro contrasto con le menzionate esigenze di  ragionevolezza  e  di
equita', oltre che di eguaglianza sostanziale tra i cittadini, che si
pongono come limite  insormontabile  alle  scelte  discrezionali  del
legislatore. 
    Tanto piu' che la localizzazione di  una  nuova  discarica  nella
medesima zona appare in palese  contrasto  con  le  valutazioni  gia'
operate dal  legislatore,  nella  medesima  materia,  e  precisamente
nell'art. 5 del d.lgs. n. 263/2006 (nel testo introdotto dalla  legge
di conversione, legge n. 290/2006). Da tale norma si desume, infatti,
che, nella localizzazione delle discariche, dovra' tenersi conto «del
carico e degli impatti ambientali gravanti sulle  aree  su  cui  gia'
insistono discariche»,  e  che,  nel  disporre  l'apertura  di  nuovi
impianti, si dovra' valutare «prioritariamente»  la  possibilita'  di
localizzare le discariche in siti diversi. 
    Ne'  a  giustificare  -  sul  piano  della  ragionevolezza  della
previsione normativa - una collocazione della discarica in parola  in
un'area  di  siffatto  valore  ambientale,  ed  in   prossimita'   di
abitazioni e di aziende agroalimentari, potrebbe valere la situazione
di emergenza del settore rifiuti, che  imporrebbe  scelte  drastiche.
Per vero, anche in situazioni di emergenza che richiedono  l'apertura
di una discarica, l'ubicazione  della  stessa  non  puo'  mai  essere
disposta in deroga alle prescrizioni poste a  specifica  garanzia  di
quegli  stessi  interessi  pubblici  (salute  pubblica  ed   ambiente
salubre), prioritari e non disponibili, cui  gli  interventi  urgenti
per lo smaltimento dei rifiuti dovrebbero ovviare (v. Cons.  St.,  12
ottobre1999, n. 5). 
    Per tutte le ragioni suesposte, dunque, ritiene il giudicante che
la previsione di' cui all'art. 9, comma  1  del  d.lgs.  n.  90/2008,
convertito  in  legge  n.  123/2008,  nel  determinare  -  del  tutto
irragionevolmente - una  sovraesposizione  del  diritto  alla  salute
degli abitanti del Comune di Serre, rispetto a quello  dei  cittadini
di altre localita', integri una  violazione  del  combinato  disposto
degli artt. 3, 9 e 32, Cost.