IL TRIBUNALE Nella persona del giudice per le indagini preliminari, Antonio Liguori, pronunciando sull'istanza di revoca (o di sostituzione) della custodia cautelare in carcere imposta a F.C. nel procedimento penale indicato, richiamato che F.C., trentacinque anni, incensurato, confesso, e' sottoposto a custodia cautelare in carcere per avere indotto ad atti sessuali A.B., all'epoca dei fatti minore di' quattordici anni, tanto risultando essere accaduto a Piove di Sacco il 10 e l'11 dicembre 2008, donde il riferimento a fattispecie di cui ad artt. 81 cpv. e 609-quater, comma 1, numero 1) c.p.; Ritenuta l'insussistenza di condizioni legittimanti la revoca di misura coercitiva, residuando esigenze di prevenzione speciale [274, lettera C) cpp], sia pure di grado diverso rispetto a quello accertato nelle condizioni rilevanti al momento di adozione della cautela; Riconosciuto sussistere evolutivita' migliorativa nel quadro delle esigenze di prevenzione speciale che imposero, a suo tempo, applicazione della massima misura cautelare; Richiamato che, in sede di incidente probatorio per l'assunzione della testimonianza del minore offeso (ed anzi, prima che il giudice desse luogo all'esame), l'indagato C. ha avuto modo di rendere ampia ed esaustiva confessione; e che dichiarazioni amrnissive di sua responsabilita', C. ha riproposto, nel contraddittorio, una volta assunta la prova; Richiamato che, dinanzi al p.m., in sede di interrogatorio, l'indagato ha ancora una volta ammesso il fatto suo proprio, manifestando di avere acquisito consapevolezza del disvalore della condotta in relazione alla quale si trova attualmente sottoposto a coercizione, e, certo, principio di resipiscenza; Osservato, per quanto possa rilevare ai fini dell'apprezzamento, nel grado, delle esigenze cautelari in considerazione, che dopo avere commesso il fatto, e, pero', prima della adozione della cautela nei suoi confronti, l'indagato, incensurato, ha avuto modo di determinarsi autonomamente a cure psicofarmacologiche e a incontri psicoterapici presso uno specialista (che rende dettagliato del loro andamento); Osservato, a margine, che, nella concretezza della situazione esaminata, ne' la osservata deflessione del tono dell'umore dell'interessato, ne' il tentativo suo di togliersi la vita (una volta sottoposto a massima cautela), pongono problemi di compatibilita' delle condizioni di salute sue con la detenzione in carcere; Osservato che nella concretezza della situtazione esaminata, tenuto conto dell'accertata evolutivita' migliorativa nel quadro delle esigenze cautelari che imposero a suo tempo custodia in carcere, il giudice per le indagini preliminari di Venezia si trova dinanzi ad un quadro di riferimento di fatto che giustificherebbe una valutazione di idoneita' e di adeguatezza di misura meno afflittiva di quella in essere (arresti domiciliari); Rilevato che a tali esiti osta il disposto dell'art. 2, comma 1, lettera A) del decreto-legge n. 11 del 2009, convertito con modificazioni in legge 23 aprile 2009 n. 38 che ha avuto modo di estendere, la sua presunzione legale di adeguatezza della sola (e sola) custodia cautelare in carcere, «specialmente» prevista dall'art. 275, comma terzo c.p.p. per il delitto di associazione di tipo mafioso e per delitti qualificati da aggravante di metodo mafioso o di agevolazione mafiosa, ad un ampio catalogo di delitti, tra i quali, figura quello nominato dall'art. 609-quater, comma 1, numero 1) c.p., (in relazione al quale e' dato procedere in questa sede); Osservato, a margine, che, estendendo la presunzione legale assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere al delitto di cui 609-quater c.p., l'art. 2, comma 1, lettera A) del decreto legge n. 11 del 2009 trova applicazione anche in relazione a fatti di reato d'epoca anteriore alla sua entrata in vigore, giacche' in materia di successione nel tempo di leggi processuali opera il principio secondo cui tempus regit actum (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale); Osservato che la vicenda cautelare affidata a sue cure si sottrae al principio secondo cui ai fini di adozione e mantenimento di misure coercitive e' richiesta una valutazione orientata (oltre che a necessaria proporzione) a principi di «adeguatezza» e «graduazione» (art.2 della legge delega 1987 n. 81, n. 59), contrariamente operando il disposto dell'art. 275, comma 3 (nuovo testo) c.p.p.; Tanto considerato, sussistendo relazione stretta tra la disposizione di legge della cui costituzionalita' si dubita e la regiudicanda, ed anzi, riconosciuto il carattere di pregiudizialita' della questione medesima rispetto alla decisione da rendere nel giudizio a quo, per le ragioni appresso indicate, il giudice per le indagini preliminari di Venezia ritiene essere non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275 comma 3 c.p.p., come modificato dall'art. 2, comma 1, lettera A) del decreto-legge n. 11 del 2009, convertito con modificazioni in legge 23 aprile 2009 n. 38, per violazione dell'art. 3 Costituzione e per violazione dell'art. 13 della Costituzione. L'art. 2, comma 1, lettera A) del decreto-legge n. 11 del 2009, convertito con modificazioni in legge 23 aprile 2009 n. 38, estende la presunzione legale assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, gia' prevista dall'art. 275 comma terzo c.p.p. per il delitto di associazione di tipo mafioso (e per delitti posti in essere con metodo o per finalita' mafiose), ad un ampio catalogo di delitti ulteriori: ai delitti, tutti, nominati dall'articolo 51, comma 3-bis c.p.p.; ai delitti, tutti, nominati dall'articolo 51, comma 3-quater c.p.p.; ai delitti nominati dagli articoli 575 c.p., 600-bis primo comma c.p., 600-ter c.p. (esclusa la fattispecie di cui al quarto comma art. cit.), 600-quinquies c.p., 609-bis c.p., 609-quater c.p., e 609-octies c.p. (eccezion fatta, per quel che concerne tali tre ultime fattispecie, il caso di configurabilita' delle speciali attenuanti da esse stesse previste). Sussistendo condizioni legittimanti l'applicazione di misure coercitive in relazione ad alcuno dei delitti suddetti, il giudice individua, in via semplificata, il dato dell'esigenza da soddisfare: giacche' dal titolo di reato in corso di accertamento deriva, in via generale e astratta, prognosi di pericolosita'. Ove tale presunzione, di carattere «relativo» non sia possibile superare [in questo senso la clausola di «salvezza» nominata dal comma 3 ultima parte dell'art. 275 c.p.p.], il giudice non potra' apprezzare il grado delle esigenze cautelari da amministrare, operando una diversa e ulteriore presunzione, questa volta di carattere «assoluto», di adeguatezza della sola (e sola) custodia cautelare, in carcere. Tale presunzione, vincola, cioe', all'adozione e al mantenimento della massima misura coercitiva, quand'anche sia incontroverso, e, comunque, provato, il dato di idoneita' di altra forma di coercizione a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ne', in forza della nominata presunzione, assume giuridica rilevanza il dato di accertata evolutivita' migliorativa nel quadro di quelle esigenze. Donde la crisi dei principi di «adeguatezza» e di «graduazione» (cfr. art. 2 della legge delega 1987 n. 81, n. 59) che, in via di principio, regolano l'esercizio del potere cautelare. Di qui, il rovesciamento della logica del «minore sacrificio necessario» soggiacente alla formulazione originaria dell'art. 275 comma 3 c.p.p.: norma-madre, questa, che ordinariamente conferisce al giudice della cautela il «beneficio della distinzione» tra fatto e fatto recante lo stesso nome; e, certo, il «beneficio della distinzione» tra esigenze di tutela rilevanti in grado diverso, orientando la discrezionalita' sua nella scelta della misura meglio rispondente al caso concreto. E' noto al giudice rimettente che nell'operare controllo di «ragionevolezza» di interventi normativi derogatori dei suddetti principi, la Corte costituzionale ha riconosciuto che «[..] spetta al legislatore individuare il punto di equilibrio tra le diverse esigenze della minore restrizione possibile della liberta' personale e della effettiva garanzia degli interessi di rilievo costituzionale tutelati attraverso la previsione degli strumenti cautelari nel processo penale», con cio' giustificando l'introduzione di «presunzioni» del tipo considerato nel sistema delle misure cautelari (cfr. Corte costituzionale, ordinanza n. 450 del 1995). Non puo' tuttavia il rimettente prescindere dal considerare che, ritenendo costituzionalmente ragionevoli scelte legislative volte alla riduzione dell'ordinario ambito di discrezionalita' del giudice della cautela, la Corte costituzionale ha affermato quanto sopra scrutinando interventi normativi circoscritti e bene delimitati; e, certo, specialmente qualificati da riconosciuta necessita' di fronteggiare l'avvenuta rottura delle condizioni di sicurezza indispensabili alla primaria esplicitazione della convivenza civile e dell'ordine democratico; laddove, risultando essere incompatibili i tempi del processo rispetto a indifferibili e urgenti esigenze di tutela, si e' trattato di sostenere l'iniziativa di contrasto di forme di «criminalita' organizzata di tipo mafioso» (cfr., da ultimo, ordinanza n. 450 del 1995, cit.); o, comunque, iniziative di contrasto di forme di delinquenza che, denotando assai complessa struttura, durevoli vincoli di appartenenza, radicamento e progettualita', andavano esprimendo analogo coefficiente di pericolosita' per la tenuta di quegli stessi valori di fondo (cfr. sentenza n. 1 del 1980 e sentenza n. 15 del 1982). In tal modo, e solo in tal modo, nello svolgere la delicata opera sua, di raccordo tra valori costituzionali di essenziale riferimento, il giudice delle leggi ha potuto recuperare alla dimensione propria della «ragionevolezza» interventi normativi derogatori dell'ordine di principi fondamentali in materia cautelare. Si vuole significare che, proprio guardando ai precedenti di giurisprudenza costituzionale in materia, e' possibile concludere nel senso che, ad orientare percorso motivazionale e decisioni «conservative» della Corte (sentenza n. 1 del 1980, sentenza n. 15 del 1982, ordinanza n. 450 del 1995) sono le specialissime finalita' degli interventi normativi scrutinati, il loro carattere perfettamente delimitato e circoscritto; e, certo, il riconosciuto carattere straordinario dell'«emergenza» da fronteggiare. Sono proprio i precedenti di giurisprudenza costituzionale, cui si e' fatto cenno, a permettere di porre che mai il giudice delle leggi ha preventivamente autorizzato il legislatore a commutare la regola («adeguatezza» e «graduazione») in eccezione. Mai la Corte costituzionale ha preventivamente autorizzato il legislatore ad abrogare, in forza di generalizzazioni normative tanto ampie, la stessa possibilita' di trattamento individualizzante rispetto al differente grado delle esigenze cautelari da tutelare. Ne' a stabilire, in via generale e astratta, l'irrilevanza di qualsivoglia forma di evolutivita' migliorativa nel quadro di quelle esigenze. Sono i precedenti di giurisprudenza costituzionale, cui si e' fatto cenno, a permettere di porre che l'estensione della presunzione legale assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere (gia' prevista per delitti di criminalita' organizzata di tipo mafioso) all'eterogeneo, troppo ampio e mutevole catalogo di delitti di cui si e' detto, avviene, oggi, in forza dell'art. 2, comma 1, lettera A) del decreto-legge n. 11 del 2009, secondo logiche tutte diverse e affatto incompatibili con quelle rintracciabili in sentenza n. 1 del 1980, sentenza n. 15 del 1982, e, da ultimo, in ordinanza n. 450 del 1995. Tanto accade, per quel che in questa sede interessa, anche in relazione a forme di devianza individuale, nella materia concernente la tutela penale della liberta' sessuale, che, bene al di la' di note difficolta' di accertamento, pone il giudice dinanzi a modalita' di aggressione del piu' diverso significato e a condotte del piu' diverso ordine di gravita', sovente epifenomeno di patologia della persona, che, in non trascurabili occasioni, possono essere contenute e gestite sul piano cautelare con misure diverse da quelle della custodia in carcere. Alla avvenuta estensione della «presunzione legale assoluta» di adeguatezza della custodia in carcere all'eterogeneo, troppo ampio, mutevole (e, del resto, gia' ampliato) catalogo di delitti di cui si e' detto, e' in verita' soggiacente un modello semplificante di tutela cautelare (e, forse, del diritto penale), di carattere prevalentemente sillogistico. E, certo, una concezione extravalutativa della cognizione giudiziaria, che, nel mortificare l'insopprimibile «bisogno di differenza» nel trattamento di fatto e fatto (conforme al medesimo tipo di reato), oblitera lo stesso senso della distinzione tra legis-latio e iuris-dictio. Il rimettente vuole richiamare che, presa cognizione di un fatto di reato tassativamente denotato dalla legge come tale, asseverato in base a prove (e, in sede cautelare, in base a indizi) l'enunciato che predica della sua realizzazione da parte di una persona, il giudice deve guardare ai fini della decisione da rendere «in vivo» alla specifica gravita' del fatto medesimo, al contesto ambientale in cui si e' verificato, alle sue cause oggettive, alle motivazioni e al grado colpevolezza dell'agente; e, in sintesi, alle circostanze specifiche che connotano quell'agire colpevole. La legge non potrebbe selezionare, infatti, per limite intrinseco alla sua forma, i connotati che accrescono o attenuano la gravita' dei fatti da essa tassativamente denotati. Di quei fatti, la norma potra' orientare (ed anzi, e' auspicabile che cio' sia) i criteri di valutazione; ma non sopprimere la necessita' di apprezzamento, da parte del giudice, delle caratteristiche peculiari a quel fatto. Non e' ragionevole, in estrema e ultima sintesi, opporre (come accade, nella fattispecie) «denotazione» e «connotazione». O, se si vuole, «legalita'» ed «equita'», come se a questa fosse soggiacente un modello di giudizio suppletivo o alternativo rispetto a quella : l'una e l'altra costituendo, diversamente, aspetti non dissociabili della giurisdizione, anche nel momento di esercizio del potere di coercizione personale. Il giudizio di «legalita'», anche in sede cautelare, implica accertamento dei requisiti di fattispecie, essenziali e comuni, che permettono al giudice di porre che quel fatto (singolare) e' conforme al tipo di quelli qualificati dalla legge come reato. Ma e' ragionevole revocare il beneficio della distinzione tra fatto e fatto, sol perche', entrambi, devono essere detti conformi al medesimo tipo di reato? E' ragionevole precludere, in forma di presunzione legale positiva «assoluta» (di adeguatezza della massima misura cautelare), la possibilita' di comprensione, da parte del giudice, delle caratteristiche accidentali e singolari del caso concreto, ove queste non siano selezionate dalla norma, neppure sul piano della previsione di specifiche «circostanze» del reato? Ed ancora: la comprensione delle caratteristiche accidentali e singolari che diversamente connotano la «violenza sessuale» di «A» dalla «violenza sessuale» di «B» (ancorche' estranea alla questione della verita' e della certezza da cui dipende la legalita' del giudizio), formano o non formano un aspetto essenziale e ineludibile della cognizione giudiziaria? Concludendo: il giudice rimettente ritiene che, anche in sede cautelare, la necessita' di conservazione di margini di discrezionalita' nell'esercizio della giurisdizione, attiene all'insopprimibile «bisogno di differenza» nel trattamento del fatto di reato (e del suo autore), «in vivo». Non e' ragionevole revocare «tout court» il beneficio della distinzione tra fatto e fatto sub iudice, solo perche' entrambi risultano fare parte delta medesima classe di quelli suscettibili d'essere sussunti alla medesima norma incriminatrice. Non e' ragionevole sopprimere (in forma di presunzione legale assoluta) la possibilita' di accertamento nel grado della esigenze cautelare (ove sia dato procedere per alcuno dei delitti appartenenti all'eterogeneo, vasto e mutevole catalogo di cui si e' detto); e, con essa, l'insopprimibile «bisogno di differenza» nella determinazione della misura da imporre (quando anche risulti essere incontroverso, e, comunque, provato, il dato di una sicura evolutivita' migliorativa nel quadro di quelle esigenze). Non suoni declamatorio il richiamo al fatto che, dalla pronuncia della sentenza n. 64 del 1970, costante e' l'affermazione della Corte costituzionale, secondo cui, in ossequio al favor libertatis che ispira l'art. 13 Costituzione, la discrezionalita' legislativa deve orientare se stessa nel senso di scelte che implichino minore sacrificio necessario, la' dove e' certo che «adeguatezza» e «graduazione» (art. 2 della legge delega 1987 n. 81, n. 59) costituiscono attuazione di tale principio. Ne deriva che, ove la compressione di «adeguatezza» e «graduazione» (nella novellazione di norme regolative l'esercizio del potere di coercizione personale) non trovasse adeguata ragione giustificatrice nel corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti, essa stessa costituirebbe lesione dell'art. 3 Costituzione, sub specie di «irragionevolezza», quale uso distorto della discrezionalita' legislativa. Giacche' e' vero (cfr. Corte costituzionale, sentenza 12 luglio 1995 n. 313) che «[...] ove uno o piu' valori coinvolti dalla norma appaiano sviliti al punto da risultare ad esclusivo vantaggio degli altri, sara' la stessa discrezionalita' a non potersi dire correttamente esercitata, perche' carente di alcuno dei termini sui quali la stessa poteva e doveva fondarsi». E cio' che il giudice per le indagini preliminari di Venezia ritiene leso dalla nominata presunzione legale «assoluta» di adeguatezza della custodia in carcere, e' proprio il canone costituzionale di ragionevolezza. Inteso, innanzitutto, come insopprimibile «bisogno di differenza» nel trattamento cautelare di fatti diversi, sia pure conformi al medesimo tipo di reato. Necessita' di distinguere, cui si associa, sul piano della stessa epistemologia del giudizio (cautelare), l'altrettanto inderogabile necessita' di comprensione equitativa del fatto legalmente denotato: e, percio', la necessita' di apprezzamento, nel grado, delle esigenze cautelari da soddisfare. La' dove e' iniquo parificare ingiustamente, in forma di presunzione legale «assoluta», situazioni uguali quanto a requisiti di fattispecie denotati dalla legge, ma diverse quanto a specifici connotati di fatto, singolari e irripetibili: cio' realizzando un «eccesso di mezzi» rispetto al fine della prevenzione di nuovi delitti; e, cioe', un inaccettabile surplus di afflizione preventiva rispetto a quella necessaria; e, per l'effetto, sacrificio massimo, non indispensabile. Donde lo «svilimento» (nel senso specificato dalla Corte costituzionale con sentenza 12 luglio 1995 n. 313) di uno dei valori costituzionali coinvolti; l'eccesso di potere legislativo conseguente; indi, la violazione, da parte dell'art. 2, comma 1 lettera A) del decreto legge n. 11 del 2009, convertito con modificazioni in legge 23 aprile 2009 n. 38, dei parametri costituiti dall'art. 13 Costituzione e dall'art. 3 Costituzione. E' necessario, per le ragioni sopra esposte, promuovere giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1 lettera A) del decreto-legge n. 11 del 2009, convertito con modificazioni in legge 23 aprile 2009 n. 38, con conseguente sospensione del procedimento (299 c.p.p.) e immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, adita.