IL GIUDICE DI PACE Avv. M. Rigel Langella, alla udienza del 5 novembre 2009 ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo penale nei confronti di: Panfil Dimitru, nato in Moldavia, il 15 febbraio 1989, imputato del reato art. 10-bis della legge 15 luglio 2009, n. 94, elett.te dom.to in Velletri, via A. Mammucari n. 137/A, contumace. Premesso: che l'imputato e' stato presentato a giudizio all'udienza del 1° ottobre 2009 per il reato previsto e punito dall'art. 10-bis della legge 15 luglio 2009, n. 94, disposizione che introduce due nuove figure di reato, la prima di natura istantanea (ingresso illegale), la seconda di natura permanente (soggiorno illegale); l'art. 1, comma 16 della legge 15 luglio 2009, n. 94 ha introdotto, nel testo del d.lgs. n. 286/90, l'art. 10-bis, il quale prevede la nuova fattispecie criminosa dell'«ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato», sanzionando con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68», e la nuova figura di reato si attaglia alla condotta dell'imputato dall'entrata in vigore della legge alla data in cui e' stato fermato a seguito di controllo di polizia; che tale reato, introdotto per la prima volta nell'ordinamento italiano dopo l'entrata in vigore della Costituzione, appare in palese contrasto con alcuni fondamentali principi accolti dalla Carta costituzionale, e non puo' dirsi palesemente infondata la questione di costituzionalita' della norma che lo prevede sotto vari profili, di seguito illustrati; Il GdP, a seguito delle dedotte eccezioni di illegittimita' costituzionale sollevate dalla difesa dell'imputato, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., ritiene di non poter pronunciare sentenza in quanto l'introduzione della nuova figura di reato introdotta dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica» contiene molteplici elementi che rendono non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del TU in relazione ad alcuni principi costituzionali basilari come di seguito specificato. Indubbiamente e' compito del legislatore, come ribadito dalla nota sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 2004: regolare la materia dell'immigrazione in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati, ma come rilevato da piu' parti in relazione alle norme in oggetto, il legislatore deve comunque attenersi ai rispetto dei principi fondamentali del sistema penale. I rilievi sollevati sia in relazione ai valori fondamentali della persona umana sotto il profilo giuridico (penale-costituzionale) appaiono non manifestamente infondati. In sintesi l'art. 10-bis, nella parte in cui prevede il soggiorno illegale dello straniero nel territorio italiano come reato, appare contrastante con i principi e norme costituzionali seguenti. Violazione art. 3, quale principio di ragionevolezza che deve presiedere a ogni normativa; art. 97, comma 1 quale principio del buon andamento della P.A. esteso anche alla giurisdizione, in relazione all'art. 62-bis d.P.R. n. 275/2000 e art. 16, comma 1 d.P.R. n. 286/1998. La competenza del Giudice di pace e lo speciale rito della «presentazione immediata» (articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274). Il reato e' stato affidato alla competenza del giudice di pace ed il suo accertamento allo speciale rito introdotto dall'art. 1, comma 17, della novella nel d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Piu' esattamente il comma 3 del nuovo art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 stabilisce che al procedimento penale per il reato in esame si applichino le disposizioni di cui agli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis del d.lgs. sopra indicato. La norma comporta: la violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge sia come necessita' di diverso trattamento per situazioni differenti sia come necessita' di pari trattamento per situazioni simili. In particolare, si rileva la violazione degli artt. 102 e 112 Cost. in relazione all'applicazione estensiva dell'art. 20 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, con l'introduzione delle disposizioni di cui all'art. 20-bis e 20-ter, con la richiesta di citazione contestuale per l'udienza da parte della PG qualora: «ricorrono gravi e comprovate ragioni di urgenza che non consentono di attendere la fissazione dell'udienza ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, ovvero se l'imputato si trova a qualsiasi titolo sottoposto a misure di limitazione o privazione della liberta' personale, la polizia giudiziaria formula altresi' richiesta di citazione contestuale per l'udienza». Dette disposizioni delineano in sostanza un nuovo rito, il giudizio a presentazione immediata (art. 20-bis), prevedendone una variante per i casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure restrittive della liberta', il cd. giudizio a citazione contestuale (art. 20-ter). Tale procedura unica nell'ordinamento, configura una sorta di tertium genus tra reati procedibili a querela e reati procedibili d'ufficio, rispetto all'originaria formulazione della norma procedurale avanti il GdP (art. 20 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274), prevista solo per reati non perseguibili d'ufficio e lasciata all'impulso di parte in alternativa alla proposizione di querela. L'art. 20-ter, mutuando parzialmente le modalita' del giudizio immediato ex art. 453 c.p.p., con la previsione normativa del termine di presentazione dell'imputato elevato a gg. 15, introduce un «rito dedicato» per una singola fattispecie. Il vulnus rappresentato dal delegare a una autorita' amministrativa (quindi dipendente dall'Esecutivo, alla quale rimane comunque in capo anche la possibilita' di espulsione in via amministrativa: ordine del Questore di allontanamento dal territorio nazionale, di cui alla previgente normativa della cd. L. Bossi/Fini non abrogata), l'inizio dell'azione penale obbligatoria, peraltro per un reato contravvenzionale che piu' che far riferimento alla notitia criminis fa riferimento a uno status, sembra riportare a epoca non solo antecedente la Costituzione (il Codice Rocco, delineava comunque un'architettura giuridica coordinata), ma forse antecedente la Rivoluzione francese (principio della divisione dei poteri) o addirittura la Magna Charta Libertatum (principio dell'imputazione: habeas corpus ad subjiciendum). E' storicamente accertato che nel XIV secolo (a.D. 1305) ripugnava alla cultura giuridica europea la sovrapposizione di differenti giurisdizioni in capo a un'unica persona/reo. Il punto di diritto, attuale, e' che il legislatore non ha abrogato il sistema di cui agli art. 13 e ss. del d.P.R. n. 286/1998, per il dovuto contrasto al fenomeno dell'immigrazione clandestina. Oggi, nei confronti del medesimo straniero, una volta che l'Autorita' di P.S. - che riveste anche la qualita' di p.g. - accerti la condizione di soggiorno illegale, si aprono contestualmente ed automaticamente due distinti procedimenti: uno amministrativo, destinato a sfociare nel provvedimento prefettizio di espulsione (art. 13 d.P.R. n. 286/1998) da eseguirsi a cura del Questore e autonomo rispetto a quello penale (art. 13 d.P.R. n. 286/1998), al quale si e' dato corso anche nel caso di specie, essendo esclusa l'autorizzazione dell'AG per l'esecuzione dell'espulsione amministrativa in costanza di procedimento penale; l'altro penale, nelle forme del richiamato art. 20-bis e ter d.P.R. n. 275/2000. La previsione esplicita della prevalenza dell'espulsione amministrativa, rispetto al processo penale comunque instaurato, emerge anche dall'introduzione del «non luogo a procedere» in qualsiasi fase del giudizio (art. 10, comma 5 d.P.R. n. 236/1998), a modifica dell'istituto generale, che limita tale declaratoria alla fase antecedente l'inizio dell'azione penale, fa emergere una evidente duplicazione di procedimenti. La duplicazione in sede penale della procedura esistente in via amministrativa, pertanto, oltre all'indicato principio della ragionevolezza ex art. 3 Cost., lede il principio di cui all'art. 97 Cost., del buon andamento della pubblica amministrazione, esteso anche alla giurisdizione, con un inutile dispiego di carenti risorse strutturali e umane, a scapito peraltro dei processi ordinari. Violazione art. 3 della Costituzione, inteso come principio di uguaglianza davanti alla legge: inteso come necessita' di diverso trattamento per situazioni diverse e necessita' di uguale trattamento per situazioni uguali; art. 27 principio di personalita' della responsabilita' penale in relazione all'art. 10-bis d.P.R. n. 286/1998. Appare violata l'esigenza che l'accusa a una determinata persona sia per un fatto specifico (e non con sanzioni comminate a un'intera categoria tout court), senza avere riguardo all'accertamento della capacita' o meno a stare in giudizio, alla presenza di giustificato motivo o meno, etc. Nel caso de quo l'imputato non risulta avere precedenti penali e dagli atti non si evince una particolare pericolosita' sociale, ma solo uno stato di indigenza (mancanza di fissa dimora) di cui ai rapporto CC, che fa ritenere sussistere una obbiettiva difficolta' a ottemperare alla introdotta modifica del sistema penale (possibilita' di sostenere le spese di viaggio fuori dai confini dello Stato), anche in relazione all'interpretazione orientata della stessa Consulta: in questo caso l'Osservanza del precetto appare concretamente «inesigibile» per i piu' svariati motivi, ma comunque riconducibili «a situazioni ostative di particolare pregnanza»; che incidano sulla stessa possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempiere all'intimazione, «escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa», come la «condizione di assoluta impossidenza dello straniero» (cf. sentenza n. 5 del 2004). Pertanto, assume rilievo in questa sede, non la costituzionalita' della incriminazione della condotta illecita del migrante, ma quello della assenza, nella fattispecie propria del reato contravvenzionale, e per la sola ipotesi di illecito trattenimento, della previsione della causa di giustificazione «senza giustificato motivo», che invece e' prevista dalla fattispecie di delitto di cui all'art. 14, comma 5-ter d.lgs. n. 286. Tale differenza di trattamento non e' giustificata dalla maggiore gravita' del fatto punito a titolo di contravvenzione (come invece avviene nella nuova ipotesi di reato di trattenimento ulteriore, prevista dal comma 5-quater, anch'essa introdotta con la legge 15 luglio 2000, n. 94). Non appare quindi comprensibile la ragione del diverso trattamento delle due fattispecie, e entrambe omissive e tali da realizzare in concreto una stessa condotta di illecito trattenimento. Su tale scelta del legislatore, di non attribuire rilevanza nella nuova fattispecie ad eventuali motivi che possano giustificare il trattenimento illegale, appare non manifestamente infondata la questione sollevata, proprio a sensi di quanto la stessa Corte costituzionale ha statuito nelle sentenze n. 5 del 2004 e nella successiva n. 22 del 2007. Per cui appare, di conseguenza, non manifestamente infondata anche la violazione del principio di uguaglianza e del principio di personalita' della responsabilita' penale (artt. 3 e 27 Cost.) in quanto il reato equipara ope legis la condizione di soggiorno illegale del clandestino a una posizione soggettiva di presunta pericolosita' sociale che, invece, deve essere obbiettivamente e in concreto accertata in relazione a determinati fatti, circostanze e persone. Violazione art. 24 e 111 Costituzione, in relazione all'art. 10-bis, commi 1, 4 e 5 d.P.R. n. 286/1998. Da piu' parti, altri giudici di merito e insigni giuristi, hanno gia' sollevato il problema, non secondario, della violazione del diritto di difesa, cosi' come sollevato nel presente giudizio (art. 24, anche in relazione all'art. 111); la violazione del principio di ragionevolezza della legge, del principio per cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, e cosi' via. A fronte di tutte queste obiezioni, in parte giuridiche e in parte sociologiche, appare, in particolare, all'odierno Giudicante non manifestamente infondata la violazione del diritto di difesa e ad un giusto processo, che non significa solo «celere» e tale da colpire il crimine in maniera possibilmente esemplare ma non colpisca indiscriminatamente una mera condizione sfavorevole, di bisogno e disagiata che il legislatore costituente voleva, invece, tutelata, in forza dei principi estesi di solidarieta' sociale (artt. 2, 3 e 4 Cost.). Non appare conforme all'art. 111 Cost. il processo che non sia basato sul contraddittorio, che non garantisca l'adeguata predisposizione del diritto di difesa (anche in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, recepita nell'ordinamento italiano con legge n. 848/1955). Tale diritto appare leso modo particolare nella possibilita' di eseguire l'espulsione in pendenza del processo, come stabilito dall'art. 10-bis, comma 4 («Ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non e' richiesto il rilascio del nulla osta di cui all'art. 13, comma 3, da parte dell'autorita' giudiziaria competente all'accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l'avvenuta esecuzione dell'espulsione ovvero del respingimento di cui all'art. 10, comma 2, all'autorita' giudiziaria competente all'accertamento del reato). E, soprattutto, perche' voler iniziare comunque, a tali condizioni un'azione penale che deve concludersi, in caso di espulsione con un non luogo a procedere, in qualunque fase del giudizio (cf. art. 10-bis, comma 4)? Tanto che la Corte di cassazione nella relazione n. III/09/09 fa riferimento a un «singolare» profilo sanzionatorio; «ambigua formulazione normativa», «problemi sul versante processuale»; «perplessita'» (in relazione alla mancata previsione di qualsivoglia giustificato motivo), «evidente irragionevolezza della disparita' di trattamento determinata sul punto dal legislatore», tale da richiedere un necessario intervento correttivo in senso costituzionalmente orientato: «provocare l'intervento del Giudice delle leggi» (sub paragrafo n. 26). Non secondaria la disparita' di trattamento che si rinviene nella non concedibilita' dell'ammissione all'oblazione ai sensi dell'art. 162 cp (art. 10-bis, comma 1) o della sospensione condizionale della pena ovvero di una riduzione di pena conseguente all'adozione di un rito alternativo (per l'espresso divieto di applicazione dei predetti istituti al rito davanti al giudice di pace ex artt. 2 e 60 d.lgs. n. 74/2000), originariamente previsto a scopo deflattivo e comunque conciliativo (qui precluso), il cui sistema organico risulta stravolto dalla novella. Infine con la previsione di una sanzione sostituiva (l'espulsione) piu' grave di quella principale (l'ammenda). Il fatto che l'azione penale si possa concludere prima dello svolgimento del processo, durante o anche alla fine, purche' sia intervenuta l'esecuzione della pena voluta dal legislatore (espulsione dello straniero) appare obbiettivamente in contrasto con un efficace diritto di difesa e i principi del giusto processo. Violazione art. 10 Costituzione, sui diritti degli stranieri e gli obblighi internazionali assunti dall'Italia in materia di trattamento dei migranti. Ne' appare palesemente infondata la paventata illegittimita' costituzionale della norma in relazione all'art. 10 Cost. con riguardo ai principi affermati in materia di immigrazione dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali (In primo luogo la Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, la Convenzione OIL sui lavoratori migranti n. 143/1975, ratificata con legge 158/1981). La norma contrasta con i trattati internazionali e gli art. 10 Cost. sui diritti degli stranieri e gli obblighi internazionali assunti dall'Italia in materia di trattamento dei migranti Tutto quanto sopra premesso, rilevato che le questioni di costituzionalita' sollevate e sopra enunciate, sia pur succintamente, appaiono serie e comunque non manifestamente infondate. Rilevato, altresi', che appaiono peraltro rilevanti ai fini della prosecuzione e definizione del processo, in quanto in caso di accoglimento della Corte, la conseguente declaratoria di illegittimita' della norma, comporterebbero l'assoluzione dell'imputato dal reato di cui all'art. 10-bis d.P.R. n. 286/1998 e successive modifiche e, di conseguenza, il giudizio non puo' essere definito a prescindere dalla risoluzione delle suddette questioni.