Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  1917,  secondo
comma, del codice civile e dell'art. 52 del regio  decreto  16  marzo
1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), promosso dal Tribunale di  La  Spezia,  sul  reclamo
proposto da P. N., con ordinanza del 5 novembre 2008, iscritta al  n.
128 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica, 1ª serie speciale, n. 19 dell'anno 2009; 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 16 dicembre 2009  il  Giudice
relatore Luigi Mazzella; 
    Ritenuto che, con ordinanza del 5 novembre 2008, il Tribunale  di
La Spezia - Sezione fallimentare, ha sollevato, con riferimento  agli
artt. 2,  3  e  32  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice  civile,  e,
come da ordinanza di correzione dello stesso Tribunale, dell'art.  52
del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina  del  fallimento,
del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata  e  della
liquidazione coatta amministrativa), nella parte  in  cui,  nel  loro
congiunto  operare,  imporrebbero   ai   titolari   di   crediti   di
risarcimento del danno connessi a lesioni del diritto alla  salute  o
di diritti  strettamente  personali  la  partecipazione  al  concorso
fallimentare,   non   consentendo   loro    il    realizzo    diretto
sull'indennita' dovuta dall'assicuratore, in relazione  al  contratto
di assicurazione per i danni a terzi stipulato dal fallito quando era
in bonis; 
        che, riferisce il rimettente, P.N., avventrice del ristorante
gestito da una societa' fallita, aveva subito un danno per la  caduta
ad essa occorsa a causa della presenza  di  acqua  sul  pavimento  in
prossimita' dei servizi igienici e,  in  forza  di  una  sentenza  di
condanna pronunciata a suo favore, era risultata  creditrice  di  una
somma a titolo di indennizzo per il ristoro dei danni subiti; 
        che, in seguito al  fallimento  della  societa',  ella  aveva
chiesto che il curatore del fallimento, sentito il  giudice  delegato
o,  direttamente,  lo  stesso  giudice  delegato,   autorizzasse   la
Compagnia Milano Assicurazioni  a  corrisponderle  le  somme  portate
dalla citata sentenza; 
        che, tuttavia, il giudice delegato aveva dichiarato non luogo
a provvedere su detta istanza, sia perche' la P.  non  era  creditore
insinuato  al  passivo   fallimentare,   sia   perche'   l'indennita'
assicurativa costituiva cespite di spettanza della massa, sicche'  la
ricorrente avrebbe potuto soltanto insinuarsi al passivo e richiedere
la soddisfazione  nei  limiti  entro  cui  l'attivo  fosse  risultato
capiente  per  il  grado  di  prelazione  spettante  al  credito   in
questione; 
        che,   provvedendo   sul   reclamo   proposto   avverso    il
provvedimento del giudice delegato, ai sensi dell'art. 26 legge fall.
(r.d. n. 267 del 1942), il rimettente, in punto di rilevanza, afferma
che la richiesta formulata andrebbe  correttamente  qualificata  come
autorizzazione  alla  «ricognizione  di  diritti  di  terzi»  di  cui
all'art. 35 legge fall.  (nel  testo  applicabile  al  fallimento  in
questione, di competenza del tribunale); 
        che, prosegue il rimettente, in base al diritto  vivente,  in
presenza di  assicurazione  contro  i  danni  stipulata  dall'impresa
fallita,  alla   curatela   spetterebbe   l'incasso   dell'indennita'
assicurativa  e  il   danneggiato,   quale   creditore   dell'impresa
sottoposta a procedura concorsuale, potrebbe soltanto far  valere  il
diritto nel concorso, insinuandosi al passivo in forza  dell'art.  52
legge fall. e ricevere soddisfazione nei limiti in cui il  privilegio
speciale ad esso attribuito dalla legge trovi capienza; 
        che, secondo il  rimettente,  cio'  significherebbe  che,  in
grande parte dei casi, il privilegio speciale  in  questione  sarebbe
destinato a soccombere rispetto a molti privilegi mobiliari  generali
cui e' riconosciuto un grado superiore, tant'e' vero che, anche nello
specifico caso sottoposto al suo esame, ove  la  curatela  incassasse
l'indennita'  assicurativa,   quest'ultima   finirebbe   per   venire
assorbita dai creditori gia' ammessi e muniti di  privilegio  poziore
rispetto alla ricorrente; 
        che, invece, ove  fosse  prevista,  per  il  danneggiato,  la
possibilita' di chiedere, in costanza  di  fallimento,  il  pagamento
diretto  all'assicuratore,  sarebbe  evidente  che,  salva  l'ipotesi
dell'azione giudiziale di  cognizione  (che  potrebbe  a  quel  punto
essere   direttamente   rivolta   contro   l'assicuratore),   sarebbe
ammissibile  una  richiesta  di  mera  autorizzazione   agli   organi
fallimentari di tale pagamento diretto; 
        che,  d'altra  parte,  ove  non  sussistesse   la   normativa
sospettata di illegittimita', tale pagamento  potrebbe  avere  corso,
proprio sul rilievo del trattarsi di diritti di  natura  strettamente
personale che il  curatore,  verificati  i  relativi  presupposti  ed
autorizzato dagli organi competenti, potrebbe  riconoscere  ai  sensi
dell'art.  35  legge  fall.  come  spettanti  al  danneggiato   senza
interferenza del concorso fallimentare; 
        che, in punto  di  non  manifesta  infondatezza,  secondo  il
rimettente  sarebbe  irrazionale  e   manifestamente   ingiusto   che
l'indennita' assicurativa, che  la  curatela  potrebbe  incassare  in
dipendenza del danno alla persona cagionato dall'impresa a terzi,  in
base  alla  normativa  come  sopra  delineata,  venisse  in  concreto
destinata alla soddisfazione di creditori  diversi  dal  danneggiato,
perche'  un  simile  sistema  distrarrebbe  la  predetta  indennita',
derivante all'impresa da un evento  dannoso  per  la  persona  umana,
dalla soddisfazione di chi di tale evento dannoso e' la vittima; 
        che, da questo punto di vista, evidente sarebbe il  contrasto
della normativa censurata con l'art. 3 Cost.  e  con  la  tutela  del
diritto alla salute (art. 32 Cost.) e dei diritti  inviolabili  della
persona (art. 2 Cost.), in quanto subordinerebbe il ristoro dei danni
alla salute  stessa  (c.d.  danno  biologico)  e  ad  altre  utilita'
strettamente personali (vedi danno morale) alla previa  soddisfazione
di altri diritti di terzi di natura patrimoniale; 
        che, del resto, prosegue il  rimettente,  la  supremazia  del
diritto alla salute sul concorso fallimentare sarebbe  implicitamente
confermata da quella costante giurisprudenza  secondo  cui  le  somme
dovute a titolo di risarcimento del danno alla  persona  del  fallito
non rientrano nella massa attiva del fallimento; 
        che, secondo il Tribunale rimettente,  il  sistema  normativo
sopra delineato deriverebbe dall'art. 52 legge fall. (r.d. n. 267 del
1942),  che  impone  per  ogni  credito  l'accertamento  nelle  forme
concorsuali dell'insinuazione, e dall'art. 1917, secondo comma,  cod.
civ., che non consente  il  pagamento  diretto  dall'assicuratore  al
danneggiato se non nei casi ivi previsti, casi  che,  pero',  non  si
possono realizzare, secondo il sistema vigente, una volta  instaurata
la procedura  fallimentare,  perche'  l'assicuratore  non  puo'  piu'
decidere di pagare il danneggiato, dovendo conferire  le  somme  alla
massa fallimentare; 
        che, per converso, anche il curatore non potrebbe  richiedere
all'assicuratore di pagare direttamente al danneggiato  perche'  egli
deve invece acquisire le somme e ripartirle secondo le regole interne
alla procedura fallimentare; 
        che,  con  atto  depositato  in  data  3  giugno   2009,   e'
intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o,  in
subordine, infondata; 
        che, secondo  l'Avvocatura,  la  questione  proposta  sarebbe
inammissibile, per difetto di adeguata motivazione  sulla  rilevanza,
dato che  il  Tribunale  muoverebbe  dal  presupposto,  asseritamente
consolidato in diritto vivente, secondo  cui  la  sopravvenienza  del
fallimento  impedirebbe  all'assicuratore  di   pagare   l'indennizzo
direttamente al danneggiato; 
        che, in realta', secondo l'Avvocatura, il giudice a  quo  non
avrebbe approfondito in alcun modo questo presupposto e  non  avrebbe
esplorato la possibilita'  di  un'interpretazione  alternativa,  alla
stregua  della  quale  le  facolta'  di  pagamento  diretto  previste
dall'art. 1917, secondo comma,  cod.  civ.  possano  sopravvivere  al
fallimento dell'assicurato; 
        che, invero,  la  tesi  del  venir  meno  delle  facolta'  di
pagamento diretto contemplate dall'art.  1917,  secondo  comma,  cod.
civ. al sopravvenuto fallimento potrebbe considerarsi consolidata  in
un vero  e  proprio  diritto  vivente,  tale  da  rendere  del  tutto
implausibile, in un nuovo caso,  l'adozione  di  una  interpretazione
diversa; 
        che, invero, l'ordine all'assicuratore di pagare direttamente
al terzo danneggiato potrebbe essere configurato non  come  una  mera
forma di adempimento dell'obbligazione dell'assicuratore, bensi' come
una vera delegazione di debito (art. 1268 cod. civ.); e, allo  stesso
modo, il pagamento diretto  spontaneamente  deciso  dall'assicuratore
potrebbe essere qualificato come espromissione (art. 1272 cod. civ.); 
        che, nel  merito,  la  questione  sollevata  dovrebbe  essere
ritenuta manifestamente infondata, dato che, secondo l'Avvocatura, se
il problema nasce dal venir meno delle facolta' di pagamento  diretto
di cui all'art. 1917, secondo comma, cod. civ., quest'ultimo  avrebbe
dovuto essere censurato in modo coerente con questa premessa, non per
il fatto di non prevedere l'azione diretta in  caso  di  sopravvenuto
fallimento, bensi' per il fatto di non prevedere,  in  tal  caso,  la
sopravvivenza delle facolta' di pagamento diretto di cui  al  secondo
comma; 
        che, per altro verso, in materia  di  infortuni  sul  lavoro,
sussisterebbe gia' un autonomo sistema di assicurazione  obbligatoria
dei lavoratori presso gli istituti pubblici a  cio'  preposti,  retto
dai suoi autonomi principi, del  tutto  idonei  a  somministrare  una
adeguata tutela; 
        che  non  vi  sarebbe,  per   altro   verso,   disuguaglianza
costituzionalmente  apprezzabile  neppure  in  relazione   all'azione
diretta  per  le  retribuzioni  non  pagate  concessa  ai  dipendenti
dell'appaltatore di lavori o di  manodopera  poi  fallito,  verso  il
committente di questo, dato  che  in  quel  caso  il  lavoratore  non
dispone di garanzie sostanziali per il pagamento delle retribuzioni a
fronte dell'insolvenza del datore di lavoro; 
        che,  in  questo   complesso   quadro,   rientrerebbe   nella
discrezionalita' del legislatore decidere se introdurre a favore  dei
soli lavoratori dipendenti la deroga al principio della par  condicio
(che  e'  in  se'  un'attuazione  del   principio   di   uguaglianza)
patrocinata dall'ordinanza di rinvio; 
        che,  infine,  non  vi  sarebbe  violazione   dei   parametri
costituzionali invocati in relazione  alla  maggiore  complessita'  e
durata  procedurale  del  fallimento  rispetto  all'azione  ordinaria
diretta, dato che, come la stessa ordinanza  rileva,  i  crediti  del
tipo in esame sono assistiti, nell'ambito del concorso, da privilegio
generale, il che gia' li differenzia da molti altri crediti; 
    Considerato  che  il  Tribunale  di  La   Spezia,   dubita,   con
riferimento  agli  artt.  2,  3  e  32  della   Costituzione,   della
legittimita' costituzionale dell'art. 1917, secondo comma, del codice
civile e dell'art. 52  del  regio  decreto  16  marzo  1942,  n.  267
(Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), nella parte in  cui,  nel  loro  congiunto  operare,
imporrebbero  ai  titolari  di  crediti  di  risarcimento  del  danno
connessi a lesioni del diritto alla salute o di diritti  strettamente
personali la partecipazione al concorso fallimentare, non consentendo
loro il realizzo diretto sull'indennita' dovuta dall'assicuratore, in
relazione al contratto di assicurazione per i danni a terzi stipulato
dal fallito quando era in bonis; 
        che  il  Tribunale  rimettente,   nella   motivazione   sulla
rilevanza  della  questione,  qualifica  la   richiesta   di   essere
autorizzato a soddisfarsi sull'indennizzo a carico della Compagnia di
assicurazione, avanzata dal titolare del credito al risarcimento  del
danno vantato  contro  la  societa'  fallita,  come  una  istanza  di
ricognizione dei diritti di terzi, ai sensi dell'art. 35 r.d. n.  267
del 1942; 
        che la predetta norma non e' invocabile nel caso  di  specie,
perche' essa e' riferita ai diritti  dei  terzi  sul  patrimonio  del
fallito e non, come  sembra  presupporre  il  rimettente,  a  crediti
intercorrenti tra terzi (nel caso di specie, presunto diritto  di  un
creditore del fallito verso un debitore dello stesso); 
        che,  invero,  un  simile  atto  autorizzativo  costituirebbe
rinuncia a un credito da  parte  della  curatela,  tipologia  neppure
contemplata   nell'elencazione   di   atti   eccedenti    l'ordinaria
amministrazione consentiti dall'art. 35 della legge fallimentare; 
        che, a prescindere dall'erronea invocazione dell'art. 35 r.d.
n.  267  del  1942,  il  rimettente  sollecita  in   buona   sostanza
l'introduzione nell'ordinamento di un'ipotesi  di  azione  diretta  -
quella per il pagamento dell'indennita'  dovuta  dall'assicuratore  -
non  contemplata  dal  legislatore,  in  una  materia,  quale  quella
fallimentare,  in  cui  gia'  sono  in  gioco   contrapposti   valori
costituzionali da bilanciare; 
        che inoltre, con la recente sentenza n. 131 del 2009,  questa
Corte,   nell'affrontare   un'analoga   questione   di   legittimita'
costituzionale riguardante proprio l'art. 1917  cod.  civ.,  ha  gia'
sottolineato il  carattere  eccezionale  delle  norme  che  prevedono
ipotesi tipizzate di azioni dirette, precisando che tali  norme  sono
tutte ispirate da  rationes  specifiche  e  derogatorie  di  principi
generali; 
        che, per tale carattere  eccezionale  e  per  la  conseguente
discrezionalita' delle scelte normative  coinvolte,  nonche'  per  la
descritta  necessita'  di  effettuare  un  bilanciamento  tra  valori
contrapposti, deve  escludersi  che  questa  Corte  possa  introdurre
nell'ordinamento, con una sentenza additiva, un'ulteriore ipotesi  di
azione diretta non prevista dal legislatore (v. sentenze n. 240 e  n.
325 del 2008, ordinanze n. 185 e n. 233 del 2007 e n. 186 del 2008); 
        che, dunque, per i motivi sopra precisati,  la  questione  si
presenta inammissibile; 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale;