Sentenza 
 
    Nei giudizi di legittimita' costituzionale degli  artt.  1  e  3,
comma 2, della delibera legislativa della Regione Siciliana approvata
dall'Assemblea regionale nella seduta del 25 novembre  2008  (disegno
di legge n. 133, recante «Norme sulla  proroga  delle  autorizzazioni
all'esercizio di cava e sull'aggiornamento del  piano  regionale  dei
materiali da cava e del piano  regionale  dei  materiali  lapidei  di
pregio»), e della legge della Regione Campania 6 novembre 2008, n. 14
(Norma  urgente  in   materia   di   prosecuzione   delle   attivita'
estrattive), promossi dal Commissario  dello  Stato  per  la  Regione
Siciliana e dal Presidente del Consiglio  dei  ministri  con  ricorsi
notificati rispettivamente il 1° dicembre 2008 ed il 7 gennaio  2009,
depositati in cancelleria il 9 dicembre 2008 ed il 15 gennaio 2009 ed
iscritti al n. 94 del registro ricorsi 2008 ed al n. 3  del  registro
ricorsi 2009. 
    Visti gli atti di costituzione della Regione  Siciliana  e  della
Regione Campania; 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  2  dicembre  2009  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    Uditi gli avvocati dello Stato Maria Gabriella Mangia e Pierluigi
Di Palma per il Commissario dello Stato per la  Regione  Siciliana  e
per il Presidente del Consiglio dei ministri, e gli avvocati Beatrice
Fiandaca per la Regione Siciliana e Francesco Vetro  per  la  Regione
Campania. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato il 1° dicembre 2008 e depositato il 9
dicembre 2008, il Commissario dello Stato per la  Regione  Siciliana,
ha impugnato gli artt. 1 e 3, comma  2,  della  delibera  legislativa
della Regione  Siciliana  approvata  dall'Assemblea  regionale  nella
seduta del 25 novembre 2008 (disegno di legge n. 133, recante  «Norme
sulla  proroga  delle  autorizzazioni   all'esercizio   di   cava   e
sull'aggiornamento del piano regionale dei materiali da  cava  e  del
piano regionale dei  materiali  lapidei  di  pregio»),  deducendo  il
contrasto, quanto all'art. 1, con gli artt. 9, 11, 97 e 117, primo  e
secondo comma, lettere e) ed  s),  della  Costituzione,  nonche'  con
l'art. 14 dello statuto speciale, e, quanto all'art. 3, comma 2,  con
l'art. 97 della Costituzione. 
    L'organo ricorrente, dopo aver riprodotto il  testo  dell'art.  1
della delibera legislativa impugnata, rileva  che  tale  disposizione
stabilisce che, in caso di mancato  completamento  del  programma  di
coltivazione autorizzato, le  autorizzazioni  all'esercizio  di  cava
gia' rilasciate siano tutte indistintamente  «prorogate  di  diritto»
senza alcuna condizione, per termini di  durata  variabili,  sino  al
completamento del programma medesimo, a prescindere dalla  estensione
delle aree interessate e dell'eventuale regime vincolistico esistente
sulle aree medesime. Posto  che  tale  disposizione  costituisce  una
sostanziale deroga alla normativa di attuazione  della  direttiva  27
giugno 1985 85/337/CEE, e successive  modificazioni,  concernente  la
valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici  e
privati - normativa di attuazione dettata dal  legislatore  siciliano
con l'art. 91 della legge regionale 3 maggio 2001, n. 6 - si verrebbe
a delineare un contrasto con la direttiva  medesima.  Rammentati  gli
obiettivi   di   tutela   ambientale   perseguiti   dalla   direttiva
comunitaria, il ricorrente ha sottolineato come la stessa stabilisca,
per i progetti riguardanti le cave, l'assoggettamento obbligatorio  a
valutazione di impatto ambientale (VIA) per  i  progetti  relativi  a
«cave e attivita' minerarie a cielo aperto con  superficie  del  sito
superiore a 25 ettari», nonche' la sottoposizione a verifica, al fine
di procedere  o  meno  a  VIA,  per  i  progetti  riguardanti  «cave,
attivita' minerarie a cielo aperto e torbiere», diverse da quelle  di
cui al precedente punto. Per quest'ultima ipotesi, la  giurisprudenza
della Corte di giustizia delle Comunita' europee ha chiarito che  non
e' consentito agli Stati membri «dispensare a  priori  e  globalmente
dalle procedure di  VIA  determinate  classi  di  progetti,  elencati
nell'allegato II della Direttiva 85/337/CEE,  ovvero  sottrarre  alla
suddetta procedura  uno  specifico  progetto  in  forza  di  un  atto
legislativo nazionale o sulla  base  di  un  esame  in  concreto  del
progetto»; mentre la giurisprudenza nazionale ha affermato  l'obbligo
di assoggettare a VIA  i  progetti  -  previsti  nell'allegato  della
citata direttiva - che «siano capaci di provocare  impatti  rilevanti
sull'ambiente». Infine, la stessa Corte di giustizia ha chiarito  che
gli Stati membri - in ordine ai progetti di cui all'allegato II  alla
direttiva - possono fissare criteri o soglie, che pero' «non hanno lo
scopo di sottrarre anticipatamente all'obbligo di valutazione  talune
classi complete di progetti [...] ma mirano unicamente  ad  agevolare
la valutazione delle caratteristiche complete di un progetto al  fine
di stabilire se sia soggetto al detto obbligo». 
    La disposizione censurata, pertanto, sottrarrebbe «di fatto ed  a
priori» le autorizzazioni scadute  o  prossime  alla  scadenza  dalle
procedure cui sarebbero soggette per  il  rinnovo,  «con  conseguente
valutazione degli interessi pubblici coinvolti e verifica  preventiva
delle situazioni vincolistiche e di assetto territoriale dei  luoghi,
eventualmente sopravvenute nel periodo di vigenza  del  provvedimento
autorizzatorio originario». Infatti, dai  chiarimenti  forniti  dalla
amministrazione regionale,  e'  emerso  che  avrebbero  diritto  alla
proroga per la prosecuzione della attivita'  estrattiva  nel  periodo
2008-2010, 68 attivita' di cave, pari al 12% di quelle in  esercizio,
di cui alcune di grandi dimensioni e ricadenti in aree protette (siti
di importanza comunitaria e zone di protezione  speciale),  ed  altre
mai sottoposte a VIA o a verifica, in quanto antecedenti alla entrata
in vigore della disciplina relativa. 
    Il ricorrente, dopo  aver  rammentato  i  principi  affermati  da
questa Corte nella sentenza n. 273 del 1998 in  tema  di  unitarieta'
dei criteri di apprezzamento dell'impatto  ambientale,  ha  osservato
che  disposizioni  che  determinassero  modifiche,  non   a   livello
nazionale, dei livelli  di  sicurezza,  determinerebbero  alterazioni
sotto il profilo  della  concorrenza,  penalizzando  le  imprese  che
operino in Regioni la cui disciplina  fosse  piu'  rigorosa.  Il  che
porrebbe la delibera legislativa in contrasto con l'art. 117, secondo
comma, lettera e), della Costituzione. 
    La proroga del termine di  una  autorizzazione,  determinando  la
vanificazione dei controlli alla scadenza  -  indispensabili  per  la
verifica degli eventuali mutamenti subiti dalle situazioni di fatto e
di diritto - comporterebbe,  dunque,  una  modifica  sostanziale  del
relativo regime,  che,  per  la  direttiva  comunitaria,  cosi'  come
interpretata dalla giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  delle
Comunita' europee, equivale a  nuova  autorizzazione,  da  sottoporre
alle procedure previste per la medesima (VIA o  verifica  di  VIA,  a
seconda dei casi). 
    Sarebbe, dunque, violato l'art. 9 Cost.,  perche'  la  disciplina
censurata  non  assicurerebbe   la   dovuta   tutela   dell'ambiente,
vanificando  sostanzialmente  la  possibilita'   di   verificare   la
eventuale compromissione del territorio in dipendenza della attivita'
estrattiva ed eccedendo dai limiti  della  competenza  statutaria  in
materia di  cave  e  torbiere,  attraverso  la  introduzione  di  una
implicita deroga alla procedura di VIA  e  di  verifica  di  VIA,  in
dissonanza con quanto prescritto dagli artt. 23 e  32  del  d.lgs.  3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). 
    Sarebbe violato anche l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),
della Costituzione, in quanto, malgrado la Regione Siciliana goda  di
competenza esclusiva sotto il profilo urbanistico, della  tutela  del
paesaggio e delle cave e miniere, senza che  risulti  statutariamente
prevista la tutela dell'ambiente, la disciplina censurata, investendo
non solo la complessiva tutela dell'ambiente, ma  anche  il  rispetto
della normativa comunitaria e la tutela del  principio  della  libera
concorrenza, si porrebbe in contrasto con l'indicato parametro  nella
parte in cui riserva allo  Stato  la  individuazione  degli  standard
minimi ed uniformi di tutela. 
    La normativa censurata  violerebbe  anche  l'art.  97  Cost.,  in
quanto la stessa impedisce agli organi amministrativi di procedere ad
una ponderazione dei diversi interessi  coinvolti,  privilegiando  la
tutela di quelli economici dell'imprenditore, il quale  potrebbe  non
aver completato il programma di coltivazione  delle  cave  anche  per
negligenza e disinteresse. 
    Anche l'art. 3, comma 2, della delibera legislativa impugnata  si
porrebbe  in  contrasto  con  l'art.  97  Cost.  La  disposizione  in
questione, infatti, comporterebbe il venir meno della sanzione  della
esclusione per  un  periodo  di  dieci  anni  dalla  possibilita'  di
ottenere l'autorizzazione alla attivita' di estrazione per  coloro  i
quali  abbiano  svolto  attivita'  di  escavazioni  non  autorizzate,
qualora  cio'  sia  avvenuto  per  uno  «sconfinamento   accidentale»
rispetto al progetto  autorizzato,  salvi  i  casi  di  recidiva.  La
estrema  genericita'  della  fattispecie   esimente   la   renderebbe
applicabile, a prescindere dal danno ambientale  arrecato,  anche  in
casi di sconfinamento colposo ed ampio  dal  giacimento  autorizzato,
per di piu' ingenerando dubbi e disparita' applicative. 
    2. - La Regione Siciliana si e'  costituita  depositando  memoria
nella quale ha chiesto dichiararsi inammissibile o comunque infondato
il ricorso. Nel premettere  la  assoluta  inconferenza  del  richiamo
all'art. 11 Cost., indicato nelle conclusioni del ricorso, la Regione
osserva che l'art. 1 della delibera legislativa  impugnata  «si  pone
come norma eccezionale, di efficacia temporale limitata, al  fine  di
scongiurare il fermo delle attivita' estrattive  che  si  verrebbe  a
determinare con lo scadere, a  breve  termine,  delle  autorizzazioni
gia' rilasciate». Come infatti emerge dai dati forniti al Commissario
dello Stato, la proroga prevista  potrebbe  avere,  al  massimo,  una
durata oscillante tra uno e tre anni e consentirebbe la  prosecuzione
dei programmi di coltivazione gia' autorizzati e non completati entro
il termine di validita' della autorizzazione originaria.  Sempre  dai
dati forniti, emerge, poi, che  circa  il  10%  delle  cave  sono  in
esaurimento e che soltanto due di esse sembra superino la  soglia  di
estensione prevista (20 ettari) dalla normativa per l'assoggettamento
alla VIA obbligatoria, mentre per le altre vi e' solo la possibilita'
di essere sottoposte a verifica.  Infine,  la  proroga  riguarderebbe
solo i casi in cui sia stato estratto il 60%  del  volume  assentito,
riducendosi  cosi'  ulteriormente  la  portata  della   proroga.   La
disposizione, poi, che disciplina l'abbandono in sicurezza delle cave
dismesse (art.  1,  comma  1,  secondo  periodo),  non  violerebbe  i
parametri  indicati,  mirando  ad  assicurare   la   stabilita'   del
territorio e la sicurezza delle  persone,  in  via  parallela  e  non
sostitutiva  del  recupero  ambientale  delle  cave  dismesse,   gia'
dettagliatamente disciplinate dalla normativa regionale. 
    Ugualmente infondata sarebbe  anche  -  ad  avviso  della  difesa
regionale - la censura riguardante l'art. 3, comma 2, della  delibera
legislativa impugnata, giacche' il legislatore regionale, nell'ambito
della  propria  discrezionalita',  avrebbe  inteso  mitigare   -   in
applicazione del principio di proporzionalita'  -  la  portata  della
sanzione prevista per il caso  di  esercizio  non  autorizzato  della
attivita' di escavazione, limitandone l'applicazione ai soli casi  di
recidiva. 
    3. - Con ricorso notificato il 7 gennaio 2009 e depositato il  15
gennaio 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dalla Avvocatura generale dello  Stato,  ha  sollecitato  la
declaratoria  di  illegittimita'   costituzionale,   in   riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera s),  della  Costituzione,  della
legge della Regione Campania 6 novembre 2008, n. 14,  pubblicata  nel
Bollettino Ufficiale della  Regione  n.  45  del  10  novembre  2008,
recante «Norma urgente in materia  di  prosecuzione  delle  attivita'
estrattive». 
    La legge, che consta di soli due articoli, prevede,  all'art.  1,
comma  1,  che,  nelle  more  della  completa  attuazione  del  Piano
regionale  delle  attivita'  estrattive,  gli  esercizi  di  cava,  a
qualunque titolo  autorizzati  ai  sensi  della  legge  regionale  13
dicembre 1985, n. 54, e successive modificazioni ed  integrazioni,  e
per i quali sia gia'  intervenuta  o  intervenga  la  scadenza  delle
autorizzazioni fino al 30 giugno 2010, possano proseguire l'attivita'
sino a tale data, a condizione di non  aver  completato  il  progetto
estrattivo. A tal fine, la legge prevede - come sottolinea il ricorso
- che i titolari presentino, entro novanta giorni dalla pubblicazione
della legge medesima, una istanza al competente ufficio regionale che
emette una nuova autorizzazione  alla  prosecuzione  della  attivita'
estrattiva ed alla ricomposizione ambientale finale, sulla base di un
accertamento volto a verificare soltanto il deposito cauzionale ed il
versamento dei contributi dovuti ai sensi della  legge  regionale  30
gennaio 2008, n. 1. 
    Il successivo comma 3 dello stesso  articolo  dispone  -  per  le
autorizzazioni scadute, il cui progetto  estrattivo  sia  stato  gia'
esaurito - che la nuova autorizzazione possa  prevedere  soltanto  la
c.d. «ricomposizione ambientale»,  da  effettuarsi  entro  lo  stesso
termine del 30 giugno 2010: «ricomposizione ambientale»,  puntualizza
il ricorso, che si risolve comunque in  una  ulteriore  attivita'  di
estrazione dei materiali al fine di rimodellare i  profili  di  scavo
per renderli idonei a successivi interventi di restauro ambientale. 
    Con tali disposizioni, dunque, la legge  regionale  permetterebbe
che le autorizzazioni scadute o in scadenza, prima della data del  30
giugno 2010, vengano rinnovate "di diritto", senza alcuna condizione,
verifica o procedura di natura ambientale, sottraendo, pertanto, tali
progetti  alle  procedure  relative  alla  valutazione   di   impatto
ambientale (VIA), in contrasto con le disposizioni degli artt. da  20
a 28 e degli Allegati III, lettera s), e IV, par. 8, lettera i),  del
d.lgs. n. 152 del 2006, e successive modificazioni  ed  integrazioni.
Puntualizza al riguardo il ricorso che la normativa  statale  vigente
ammette quel tipo di rinnovo solo per quei progetti  che  siano  gia'
stati sottoposti alla procedura di VIA o alla procedura  di  verifica
di assoggettabilita' a VIA entro  gli  ultimi  cinque  anni  (termine
stabilito a pena di decadenza dall'art. 26, comma 6, del d.  lgs.  n.
152 del 2006, come modificato dal d. lgs. n. 4 del 2008),  mentre  lo
esclude per quei progetti che, in precedenza,  non  siano  mai  stati
sottoposti a procedura di VIA o di verifica  di  assoggettabilita'  a
VIA. Poiche', quindi, il limite temporale di  una  autorizzazione  ne
costituisce  essenza  fondamentale,  presupponendosi  che  alla   sua
scadenza l'amministrazione possa effettuare le verifiche in ordine al
permanere dei presupposti di  fatto  e  di  diritto  ed  adottare  le
conseguenti determinazioni, in termini prescrittivi  o  interdittivi,
ne  deriva  che  qualsiasi  mutamento  in  ordine  al  termine  della
autorizzazione costituisce una  evidente  modifica  della  "sostanza"
della autorizzazione medesima, che deve  essere  considerata  -  alla
stregua della giurisprudenza della Corte di giustizia europea -  come
una vera e propria nuova autorizzazione, con la conseguenza di  dover
essere assoggettata alle procedure  in  materia  di  VIA,  «stabilite
dalla direttiva 85/337/CEE All. I, p. 22, ed All. II,  p.  13,  primo
trattino».  Conclusioni,  queste,   cui   e'   pervenuta   anche   la
giurisprudenza  del   Consiglio   di   Stato.   Quanto,   poi,   alla
individuazione  del  momento  a  partire  dal  quale   le   attivita'
estrattive devono ritenersi assoggettate alla procedura  in  tema  di
VIA, tale momento coincide con il 3 luglio 1988, data di  entrata  in
applicazione della citata direttiva comunitaria in materia di VIA. 
    In conclusione, la normativa regionale censurata mancherebbe - ad
avviso del ricorrente - «della necessaria previsione che la  verifica
ovvero  la  procedura  VIA,  non  effettuata   in   sede   di   prima
autorizzazione, debba obbligatoriamente precedere  il  rinnovo  della
prima autorizzazione successiva all'entrata in vigore della normativa
VIA», derivandone, di  conseguenza,  il  contrasto  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    4. - La Regione Campania si  e'  costituita  depositando  memoria
nella quale  chiede  respingersi  il  ricorso  in  quanto  infondato.
Osserva, infatti, la Regione  che  la  legittimita'  della  normativa
impugnata e' garantita dal comma  2  dell'art.  1,  nel  quale  viene
richiamata  espressamente  la  necessita'  della   osservanza   della
normativa vigente, con  la  conseguenza  che  la  prosecuzione  della
attivita' estrattiva  non  potrebbe  avvenire  in  contrasto  con  la
normativa comunitaria e nazionale in tema di VIA. Si conclude  dunque
nel senso che la proroga («resa necessaria a cagione della non ancora
completata attuazione del Piano regionale delle attivita' estrattive»
e «limitata nel tempo»), da assentire con apposito provvedimento, non
potrebbe derogare alle disposizioni in tema di VIA dovendosi porre in
linea con le disposizioni di tutela ambientale, come  emergerebbe  da
quanto stabilito nei commi 4 e 5 del medesimo art. 1. 
    5.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  Regione  Campania   ha
depositato una memoria con la quale, insistendo per  il  rigetto  del
ricorso, ha precisato le ragioni e gli argomenti esposti nell'atto di
costituzione. 
    In particolare, la  Regione  ha  evidenziato  che  la  disciplina
«transitoria» in questione si e' «resa necessaria, nelle  more  della
attuazione del Piano regionale delle attivita' estrattive, al fine di
evitare un ingiusto pregiudizio alle imprese del settore,  le  quali,
in  mancanza  dello  strumento  di  programmazione,  non   potrebbero
acquisire  nuove  autorizzazioni  e  si   vedrebbero   costrette   ad
interrompere l'attivita'». Subordinando «la possibilita'  di  proroga
delle  autorizzazioni»  a  «stringenti  condizioni»,   la   normativa
impugnata non determinerebbe - come sostenuto dall'Avvocatura  -  una
proroga ope  legis,  ma  lascerebbe  quest'ultima  «soggetta  ad  una
valutazione  dell'Amministrazione  a  seguito  di  apposita   istanza
presentata  dall'interessato».   Nel   consentire   la   proroga   di
autorizzazioni  gia'  «sottoposte  ab  origine  ad  una  verifica  di
compatibilita'», l'amministrazione «non potrebbe, in sede di rilascio
di  una  -  a  tutti  gli  effetti  -  nuova   (seppur   provvisoria)
autorizzazione omettere di considerare» gli elementi  che  la  stessa
legge impugnata  espressamente  richiama  e,  tra  questi,  anche  la
«normativa vigente»: sarebbero, percio',  «prive  di  fondamento»  le
censure  mosse  «in   ordine   all'automatismo   della   proroga   ed
all'elusione della scadenza del termine di autorizzazione». 
    L'intervento normativo  in  materia  rientrerebbe,  peraltro,  «a
pieno   titolo   nell'ambito   delle   competenze   legislative    ed
amministrative di spettanza regionale», al pari di  «quello  previsto
dall'art. 5 della l.r. 13  dicembre  1985,  n.  54,  come  sostituito
dall'articolo 4 della l.r. n. 17 del 13 aprile  1995  in  materia  di
autorizzazione alla coltivazione di cave», nonche' dall'art. 9  della
stessa legge, come modificato dall'art. 8 della l.r. n. 17 del  1995,
in materia di ricomposizione ambientale. 
    «Ulteriormente        infondato»        risulterebbe,        poi,
nell'«interpretazione  costituzionalmente  conforme»,   «il   preteso
contrasto con la disciplina in materia  ambientale  nazionale»,  «per
contro nemmeno indicata nella normativa in esame», non essendo questo
«l'oggetto della normazione». Limitandosi a «dettare  una  disciplina
transitoria» su «materie di competenza regionale», la legge impugnata
nulla, infatti, avrebbe previsto «in difformita' alla  disciplina  di
competenza statale con riguardo ai profili ambientali  dell'attivita'
d'impresa relativa alla coltivazione delle cave», come  «nel  secondo
comma dell'art. 1 si ha cura di specificare». 
    «Nessuna deroga» sarebbe, in particolare, prevista alla VIA, «nei
limiti in cui questa si renda necessaria o sia imposta dalla relativa
disciplina  statale»,  considerato  che  «oggetto  della  norma  sono
autorizzazioni scadute, che nella gran  parte  dei  casi  hanno  gia'
superato la valutazione di impatto ambientale»: nelle ipotesi «in cui
il progetto di  sfruttamento  della  cava  (ed  anche  di  ripristino
ambientale) sia  gia'  stato  sottoposto  a  valutazione  di  impatto
ambientale», la proroga «non entrera' in contrasto con  la  normativa
in materia di VIA». Ove, invece, «si renda  necessario,  il  rilascio
dell'autorizzazione (tenendo conto dei termini e  della  possibilita'
di proroga prevista dall'art. 26, comma 6, del d.lgs n. 152 del 2006)
non potra' prescindere dall'acquisizione della VIA  che,  oltretutto,
ai sensi dell'art. 7, comma 4 (All.ti III e IV) del d.lgs. n. 152 del
2006, e' nella gran parte dei casi una VIA regionale». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Commissario dello  Stato  per  la  Regione  Siciliana  ha
impugnato gli articoli 1 e 3, comma  2,  della  delibera  legislativa
della Regione Siciliana, approvata dalla  Assemblea  regionale  nella
seduta del 25 novembre  2008,  recante  «Norme  sulla  proroga  delle
autorizzazioni all'esercizio di cava e sull'aggiornamento  del  piano
regionale dei materiali da cava e del piano regionale  dei  materiali
lapidei di pregio», prospettando il contrasto, quanto all'art. 1, con
gli articoli 9, 11, 97 e 117, primo e secondo comma,  lettere  e)  ed
s), della Costituzione, nonche' con l'art.  14  dello  statuto  della
Regione Siciliana, e, quanto all'art. 3, comma 2, con l'art. 97 della
medesima Carta. 
    Sottolinea al riguardo il ricorrente che l'art. 1 della  delibera
legislativa impugnata prevede che, ove non sia  stato  completato  il
programma  di  coltivazione  autorizzato,  le   autorizzazioni   gia'
rilasciate siano tutte indistintamente «prorogate di  diritto»  senza
alcuna condizione e con termini di durata  variabili,  a  prescindere
dalla estensione  delle  aree  interessate  e  dall'eventuale  regime
vincolistico degli ambiti territoriali in  cui  le  stesse  ricadano.
Tale  disciplina  -  soggiunge  il  ricorrente  -  introduce,   nella
sostanza, una previsione derogatoria rispetto alla normativa  dettata
dal  legislatore  regionale  siciliano  con  l'art.  91  della  legge
regionale  3  maggio  2001,  n.  6  (Disposizioni  programmatiche   e
finanziarie per l'anno 2001), volta a dare attuazione alla  direttiva
27 giugno 1985 85/337/CEE, e successive modificazioni, concernente la
valutazione di  impatto  ambientale  (VIA)  di  determinati  progetti
pubblici  e  privati,  con  correlativa  violazione  della  direttiva
medesima. La disposizione  censurata,  infatti,  nello  stabilire  un
meccanismo di «proroga di diritto», vanificherebbe la possibilita' di
sottoporre le autorizzazioni scadute o prossime  alla  scadenza  alle
verifiche inerenti alle procedure di rinnovo, impedendo, quindi, alla
amministrazione,  di  procedere  alla  «valutazione  degli  interessi
pubblici coinvolti» e  di  operare  una  «verifica  preventiva  delle
situazioni  vincolistiche  e  di  assetto  territoriale  dei  luoghi,
eventualmente sopravvenute nel periodo di vigenza  del  provvedimento
autorizzatorio originario». I progetti di cave, le cui autorizzazioni
sarebbero «prorogate di diritto», potrebbero, infatti, «essere  stati
approvati, nel rispetto della  normativa  all'epoca  vigente  e  alle
preesistenti  situazioni  di  ordine  ambientale,  senza   preventiva
procedura di VIA o di verifica di impatto  ambientale,  nonche'  alla
valutazione di compatibilita' paesaggistica  prevista  dall'art.  146
del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, come sostituito dall'art.  16  del
d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157». 
    Risulterebbe pertanto violato l'art.  9  della  Costituzione,  in
quanto attraverso la previsione oggetto di impugnativa  non  verrebbe
assicurata  la  dovuta  tutela  dell'ambiente,  dal  momento  che  la
disciplina  censurata  esclude  sostanzialmente  la  possibilita'  di
verificare l'eventuale compromissione del territorio derivante  dalla
prosecuzione di diritto della  attivita'  estrattiva,  consentendosi,
addirittura,  «l'attivita'   all'interno   di   giacimenti   minerari
dismessi,  nel  dichiarato  intento  di  assicurare  l'abbandono   in
sicurezza, ancorche' gia' non rilasciati in «sicurezza»,  sulla  base
di una richiesta del  privato  corredata  da  perizia  asseverata  da
tecnico abilitato». La delibera legislativa impugnata si porrebbe poi
in contrasto anche con l'art. 11 della Costituzione,  per  violazione
delle  direttive  comunitarie  in  tema  di  valutazione  di  impatto
ambientale, posto che l'intera gamma delle autorizzazioni  scadute  o
prossime alla scadenza viene sottratta al controllo sulla sussistenza
o sul permanere dei relativi presupposti di fatto e di diritto, anche
in tema ambientale e di rispetto del regime vincolistico. 
    L'art. 1 della medesima  delibera  legislativa  violerebbe  anche
l'art. 97 della Costituzione, in  quanto,  attraverso  il  denunciato
meccanismo  di  proroga  di  diritto,  si  impedirebbe  «agli  organi
amministrativi competenti di svolgere una adeguata istruttoria  e  di
procedere  alla  ponderazione  dei  diversi  interessi   coesistenti,
privilegiando invece  la  tutela  di  quelli  economici  del  privato
imprenditore, che peraltro potrebbe non avere completato il programma
di  coltivazione  delle  cave  anche   per   propria   negligenza   e
disinteresse». 
    In  considerazione,  poi,  della   sostanziale   elusione   delle
direttive  comunitarie  e  della  disciplina  statale  in   tema   di
valutazione di impatto  ambientale  che  deriverebbe  dal  meccanismo
normativo oggetto di impugnativa, si profilerebbe un contrasto  anche
con  l'art.  117,  primo  e  secondo   comma,   lettera   s),   della
Costituzione, considerato  che  il  legislatore  regionale  siciliano
«nell'esercizio della propria  competenza  legislativa  esclusiva  e'
sottoposto al rispetto degli standard minimi ed  uniformi  di  tutela
posti in essere dalla legislazione nazionale ex art.  117,  comma  2,
lettera s), della Costituzione, oltre che al rispetto della normativa
comunitaria di riferimento, secondo quanto  previsto  dall'art.  117,
comma  1,  della   Costituzione».   Inoltre,   verrebbe   ad   essere
correlativamente coinvolto anche l'art. 117, secondo  comma,  lettera
e), della stessa Carta, in quanto la disposizione censurata, al  pari
di  quelle  che  «realizzano  effetti  innovativi  sui   livelli   di
sicurezza, che  dovrebbero  essere  identici  nell'intero  territorio
nazionale, potrebbe nei fatti realizzare alterazioni sotto il profilo
della concorrenza in danno  di  quelle  imprese  che  si  trovano  ad
operare in regioni  la  cui  disciplina  piu'  gravosa  costringe  ad
affrontare oneri maggiori». 
    Risulterebbe infine violato anche l'art. 14 dello  statuto  della
Regione  Siciliana,  il  quale  prevede  la  competenza   legislativa
esclusiva in materia di miniere, cave, torbiere e saline,  in  quanto
verrebbe ad essere in concreto introdotta una «implicita deroga  alla
procedura di VIA e di verifica VIA, in palese dissonanza  con  quanto
prescritto dagli artt. 23 e 32 del decreto legislativo n. 152/2006». 
    Il Commissario dello Stato  per  la  Regione  Siciliana  impugna,
inoltre, l'art. 3, comma 2, della medesima delibera  legislativa,  il
quale stabilisce il venir meno della sanzione della esclusione per un
periodo di dieci anni dalla possibilita' di ottenere l'autorizzazione
all'attivita' estrattiva per coloro che abbiano svolto  attivita'  di
escavazione non  autorizzate,  qualora  cio'  sia  avvenuto  per  uno
«sconfinamento accidentale» rispetto al programma autorizzato,  salvo
i  casi  di  recidiva.  A  parere  del  ricorrente,   infatti,   tale
disposizione  si  porrebbe  in  contrasto   con   l'art.   97   della
Costituzione, in quanto  la  estrema  genericita'  della  fattispecie
esimente  la  renderebbe  applicabile,  a   prescindere   dal   danno
ambientale arrecato, anche in casi di sconfinamento colposo ed  ampio
del  giacimento  autorizzato,  per  di  piu'  ingenerando   dubbi   e
disparita' applicative. 
    2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha  sollecitato  la
declaratoria  di  illegittimita'   costituzionale,   in   riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera s),  della  Costituzione,  della
legge della Regione Campania 6 novembre 2008, n. 14,  pubblicata  nel
Bollettino Ufficiale della  Regione  n.  45  del  10  novembre  2008,
recante «Norma urgente in materia  di  prosecuzione  delle  attivita'
estrattive». Il provvedimento legislativo di  che  trattasi,  che  si
compone di due soli articoli, prevede (art. 1, comma  1)  che  «Nelle
more della completa attuazione del Piano  regionale  delle  attivita'
estrattive  (PRAE),  gli  esercizi  di  cava   a   qualunque   titolo
regolarmente autorizzati ai sensi della legge regionale  13  dicembre
1985, n. 54, e successive modifiche, e per i quali sia intervenuto  o
interviene il termine di scadenza delle autorizzazioni prima  del  30
giugno 2010, possono proseguire l'attivita' fino al 30 giugno 2010, a
condizione di non aver completato il progetto estrattivo». Entro tale
scadenza deve essere completata anche la  ricomposizione  ambientale.
Stabilisce, poi, il comma 3 del medesimo  art.  1,  che  «I  titolari
delle autorizzazioni gia' scadute ai sensi del comma 1, entro  e  non
oltre  novanta  giorni  dalla  pubblicazione  della  presente  legge,
presentano istanza  al  competente  ufficio  regionale  delegato  che
emette il nuovo provvedimento di autorizzazione alla  prosecuzione  e
ricomposizione  ambientale,  previa  verifica  di   regolarita'   del
deposito  cauzionale  ed  accertamento  del  versamento  di  tutti  i
contributi richiamati dall'art. 19 della legge regionale  30  gennaio
2008, n. 1. Per le autorizzazioni scadute, che hanno gia' esaurito il
progetto estrattivo, la nuova autorizzazione puo' prevedere  solo  la
ricomposizione ambientale da effettuarsi  entro  il  termine  del  30
giugno 2010». 
    Ad  avviso  del  ricorrente,  la  disposizione   legislativa   in
questione si  porrebbe  in  contrasto  con  l'indicato  parametro  di
costituzionalita', in quanto la stessa difetterebbe della  necessaria
previsione che la verifica  inerente  alla  procedura  relativa  alla
valutazione di impatto ambientale, «non effettuata in sede  di  prima
autorizzazione, debba obbligatoriamente precedere  il  rinnovo  della
prima autorizzazione successiva all'entrata in vigore della normativa
VIA».  Non  senza  sottolineare   come   anche   la   «ricomposizione
ambientale» non possa sottrarsi alle stesse esigenze, risolvendosi la
stessa  «comunque  in  una  ulteriore  attivita'  di  estrazione   di
materiali al fine di rimodellare i profili  di  escavo  per  renderli
idonei a successivi interventi di restauro ambientale». 
    3. - Coinvolgendo temi e problematiche  consimili  e  presentando
aspetti di connessione che ne consigliano la trattazione congiunta, i
giudizi vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza. 
    4. - Le questioni sono entrambe fondate. Va  premesso  che,  alla
stregua della giurisprudenza di questa Corte, la materia nella  quale
devono essere collocate le discipline relative  alla  valutazione  di
impatto   ambientale   riguarda   la   tutela   dell'ambiente    (non
espressamente prevista dallo statuto regionale) e  rientra,  percio',
nell'ambito della previsione di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera  s),  della  Costituzione,  «trattandosi  di  procedure   che
valutano   in   concreto   e   preventivamente   la   "sostenibilita'
ambientale"» (da ultimo, le sentenze  n.  225  e  n.  234  del  2009,
nonche' la sentenza n. 1 del 2010, anche a proposito di  concorso  di
competenze  sullo  stesso  bene  tra  Stato  e  Regioni).  L'asserita
violazione di tale parametro deve, peraltro, essere esaminata innanzi
tutto rispetto alla coesistente presunta  violazione  dell'art.  117,
primo comma, della Costituzione (ex multis, la sentenza  n.  368  del
2008), prospettata, nella specie, in riferimento al dedotto contrasto
con le direttive comunitarie in  materia  di  VIA,  a  partire  dalla
direttiva 85/337/CEE  e  successive  modificazioni  ed  integrazioni.
Occorrera', dunque, preliminarmente  verificare  se  i  provvedimenti
legislativi oggetto di impugnativa si pongano o meno in linea con  il
precetto costituzionale che assegna alla legislazione esclusiva dello
Stato la materia della tutela dell'ambiente. 
    Va altresi' ricordato, al riguardo,  che  la  disciplina  statale
relativa alla tutela dell'ambiente «viene a funzionare come un limite
alla disciplina che le Regioni e  le  Province  autonome  dettano  in
altre materie di loro competenza», salva la facolta' di queste ultime
di adottare norme di tutela ambientale piu' elevata nell'esercizio di
competenze, previste dalla Costituzione, che  concorrano  con  quella
dell'ambiente (sentenza n. 104 del 2008, con rinvio alla sentenza  n.
378 del 2007). 
    5. - A proposito del ricorso proposto dal Commissario dello Stato
per la Regione Siciliana, puo' subito osservarsi come il nucleo delle
censure dedotte ruoti attorno  ad  un  rilievo  senz'altro  corretto.
Attraverso la previsione, infatti, di un  meccanismo  legale  che  si
limita, nella sostanza, ad introdurre una «proroga di diritto» per le
autorizzazioni  all'esercizio  di  cave  rilasciate   dal   Distretto
minerario,  la  delibera  legislativa  impugnata  si  sostituisce  al
provvedimento  amministrativo  di  rinnovo,  eludendo,  quindi,   non
soltanto l'osservanza della relativa  procedura  gia'  normativamente
prevista, ma anche - e soprattutto - le garanzie sostanziali che quel
procedimento  mira  ad  assicurare,  nel  rispetto  degli  ambiti  di
competenza legislativa stabiliti dalla Costituzione  (sul  punto,  la
sentenza n. 271 del 2008).  Garanzie  che,  nella  specie,  riposano,
appunto, sulla necessita' di verificare se l'attivita'  estrattiva  a
suo tempo assentita risulti ancora aderente allo stato di fatto e  di
diritto esistente al momento della  «proroga»  o  del  «rinnovo»  del
provvedimento di autorizzazione. 
    E' ben  vero  che  la  Regione  Siciliana,  nella  relazione  che
accompagna l'originario disegno di legge,  insistentemente  evoca  la
non vulnerazione delle direttive CEE in tema di VIA, facendo leva sul
rilievo che «i progetti in corso di esecuzione sono  sottoposti  alla
disciplina della direttiva  soltanto  ove  essi  siano  modificati  o
ampliati», mentre tale questione non si porrebbe affatto «per le mere
proroghe di progetti in precedenza autorizzati». Il che consente alla
stessa Regione di affermare che anche  la  disciplina  dettata  nella
legge regionale 5 luglio 2004,  n.  10  (Interventi  urgenti  per  il
settore lapideo e disposizioni per il riequilibrio del  prezzo  della
benzina nelle isole minori), ove per i rinnovi  delle  autorizzazioni
parimenti si  derogava  alla  disciplina  della  VIA,  introdotta  in
Sicilia con la legge regionale 3  maggio  2001,  n.  6  (Disposizioni
programmatiche e finanziarie per l'anno 2001), non potesse  reputarsi
«elusiva delle direttive comunitarie in  materia  di  valutazione  di
impatto ambientale». L'assunto - ancorche' non ripreso nella  memoria
di costituzione della Regione - e' pero' contrastato dal  Commissario
ricorrente, in base alla stessa pronuncia della  Corte  di  giustizia
richiamata  (secondo  una  interpretazione  opposta)  dalla   Regione
resistente: vale a dire la  sentenza  7  gennaio  2004,  procedimento
C-201/02. Ebbene, la cennata decisione della Corte (punti  44-47)  si
presta, obiettivamente,  a  letture  «differenziate,»  posto  che  le
relative  affermazioni  si  concentrano  sul  «distinguo»  tra  «mera
modifica» di una autorizzazione esistente  e  «nuova  autorizzazione»
che non puo' essere  sottratta  alla  VIA.  Ma  sembra  indubbio  che
risulterebbe  sicuramente   «contrario   all'effetto   utile»   della
direttiva 85/337/CEE - tenuto conto del tempo  trascorso  da  essa  e
dalla relativa attuazione in campo nazionale e regionale - un sistema
che «prorogasse» automaticamente autorizzazioni rilasciate in assenza
di procedure di VIA (o, comunque, eventualmente, in assenza di  VIA),
in ipotesi piu' volte gia' «rinnovate».  In  via  astratta  -  e  per
assurdo - le  leggi  regionali  potrebbero  mantenere  inalterato  lo
status quo, sostanzialmente sine die, superando qualsiasi esigenza di
«rimodulare»  i  provvedimenti  autorizzatori   in   funzione   delle
modifiche subite, nel tempo,  dal  territorio  e  dall'ambiente:  con
correlativa e sicura violazione non  soltanto  dell'art.  117,  primo
comma, della Costituzione, avuto  riguardo  al  bene  protetto  dalla
direttiva comunitaria, ma anche dell'art. 117, secondo comma, lettera
s),  della  Costituzione,  coinvolgendo  (attraverso  la   contestata
previsione  «derogatoria»)  materia   riservata   alla   legislazione
statale. 
    D'altra parte, la circostanza che l'ordinamento  regionale  abbia
previsto un termine  di  durata  delle  autorizzazioni  all'esercizio
delle attivita' estrattive «per un periodo massimo di quindici  anni,
in relazione alla qualita' e all'entita' del materiale da  estrarre»,
stabilendo, al tempo stesso, la possibilita' di rinnovo «previa nuova
istruttoria da parte del distretto minerario»  (art.  2  della  legge
regionale 1 marzo 1995, n. 19,  recante  «Modifiche  ed  integrazioni
alla legge regionale 9 dicembre 1980, n. 127, in ordine ai giacimenti
di materiale da cava»), rende  evidente  che  lo  stesso  legislatore
regionale abbia postulato - come e' naturale sia in ogni rapporto  di
durata - l'esigenza di un controllo  ad  tempus  circa  il  permanere
delle condizioni, soggettive  ed  oggettive,  di  legittimazione,  in
rapporto al (possibile) mutamento del quadro fattuale e normativo nel
frattempo intervenuto. 
    In sostanza, eludere in via  legislativa  la  prevista  procedura
amministrativa di rinnovo  equivarrebbe  a  rinunciare  al  controllo
amministrativo dei requisiti che, medio tempore,  potrebbero  essersi
modificati  o  essere  venuti  meno,  con  esclusione,  peraltro,  di
qualsiasi sindacato in sede giurisdizionale comune. 
    Per altro verso, va  poi  notato  come  la  delibera  legislativa
contestata  si  collochi,  a  sua  volta,  quale  eccezionale  deroga
rispetto  ad  altra  legge  regionale,  anch'essa   «eccezionalmente»
derogatoria rispetto alla disciplina «a regime». Con la  gia'  citata
legge  regionale  n.  10  del  2004,  infatti,  sempre  «al  fine  di
consentire il superamento del grave stato di crisi del settore  e  il
mantenimento dei livelli occupazionali  delle  imprese  operanti  nel
settore dei materiali  lapidei  di  pregio»,  e'  stata  prevista  la
possibilita', per i titolari delle  autorizzazioni,  di  ottenere  il
«rinnovo» delle  autorizzazioni  stesse  al  fine  di  completare  il
programma di coltivazione precedentemente assentito, anche in  deroga
«all'articolo 91 della legge regionale 3 maggio 2001, n. 6»  (vale  a
dire,  proprio  alla  disciplina  regionale  dettata   in   tema   di
valutazione  di  impatto  ambientale).  In  sostanza,  la  previsione
oggetto di censura finisce per consentire di sfuggire - attraverso il
meccanismo della proroga ex lege - anche al controllo che la legge n.
10 del 2004 aveva previsto in sede di rinnovo delle autorizzazioni. 
    Va d'altra parte rammentato, a tal  proposito,  che,  proprio  in
tema di autorizzazioni «postume», la giurisprudenza  della  Corte  di
giustizia europea appare ispirata a criteri particolarmente  rigorosi
(sentenza 3 luglio 2008, procedimento C-215/06),  essendosi  ribadito
che, «a livello di processo decisionale e' necessario che l'autorita'
competente  tenga  conto   il   prima   possibile   delle   eventuali
ripercussioni  sull'ambiente  di  tutti   i   processi   tecnici   di
programmazione  e  di  decisione,  dato  che   l'obiettivo   consiste
nell'evitare fin dall'inizio  inquinamenti  ed  altre  perturbazioni,
piuttosto che nel combatterne successivamente gli  effetti».  Il  che
suona difficilmente compatibile con un sistema che non  prevedeva  (o
poteva  non  prevedere)  l'obbligo  della  VIA,  ne'  all'atto  della
adozione del provvedimento autorizzatorio,  ne'  alla  sua  scadenza,
posto che in luogo di una «nuova» autorizzazione (o di  un  «rinnovo»
della precedente), si sostituisce ex lege la perdurante validita' del
vecchio  titolo,  senza  possibilita'  di  verificare  se,  a   causa
dell'esercizio della relativa (e legittima) attivita', possa  essersi
cagionato o meno un danno per l'ambiente. 
    Quanto, poi, al  limitato  «impatto»  concreto  che  la  delibera
legislativa presenterebbe, atteso il breve periodo di efficacia della
normativa  e  la  circoscritta   portata   delle   aziende   che   ne
beneficerebbero, il dato si presenta del  tutto  inconferente,  posto
che tali profili inciderebbero  eventualmente  soltanto  sul  quantum
della   eccedenza   nell'esercizio   della   competenza   legislativa
esercitata,  ma  non  certo  sull'an.  Per  altro  verso,  neppure  i
segnalati profili di «eccezionalita'»  possono  venire  in  discorso,
giacche' gli stessi non hanno nulla a che vedere con  quegli  aspetti
di sicurezza e contingibilita' che possono legittimare l'introduzione
di previsioni derogatorie in tema di tutela ambientale (ad es.,  art.
6, comma 4, lettera c, del d.lgs.  3  aprile  2006,  n.  152  recante
«Norme  in  materia  ambientale»,  e  successive  modificazioni,  che
esclude dal campo di applicazione del decreto «i piani di  protezione
civile in caso di pericolo per l'incolumita' pubblica»). 
    La riscontrata violazione, ad opera  della  delibera  legislativa
impugnata,  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   s),   della
Costituzione,  assorbe  gli  ulteriori  profili   di   illegittimita'
costituzionale denunciati dal ricorrente. 
    Le  ragioni  enunciate   a   sostegno   della   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della delibera  legislativa
in esame valgono  anche  in  riferimento  alla  disposizione  dettata
dall'art. 3, comma 2, della medesima delibera legislativa, in  quanto
norma  priva  di  reale  autonomia  nel  contesto  del  provvedimento
impugnato. 
    6. - Rilievi nella  sostanza  non  dissimili  possono  formularsi
anche in ordine al ricorso proposto dal Presidente del Consiglio  dei
ministri in riferimento alla legge della Regione Campania 6  novembre
2008, n. 14, recante «Norma urgente in materia di prosecuzione  delle
attivita' estrattive», trattandosi, anche  in  questo  caso,  di  una
disciplina di eccezionale prorogatio destinata a surrogare,  ex  lege
ed  in  forma  automatica,  i  controlli  tipici   dei   procedimenti
amministrativi di  rinnovo  delle  autorizzazioni  alla  coltivazione
delle cave. 
    Per  la  Regione  Campania  si  riscontrano,   peraltro,   talune
peculiarita'. Anzitutto, la disciplina regionale di  settore  (quella
fondamentale, antecedente alla disciplina  nazionale  sulla  VIA:  si
veda, in particolare, la legge regionale 13  dicembre  1985,  n.  54,
recante «Coltivazione di cave e torbiere», e successive modificazioni
ed integrazioni) prevede  una  durata  massima  delle  autorizzazioni
estrattive di venti anni, suscettibile di una «proroga dei  termini»,
ma non di una specifica procedura di rinnovo. 
    In secondo luogo, la normativa stessa fa rinvio, come  condizione
per il rilascio delle autorizzazioni, al rispetto delle  prescrizioni
previste dal PRAE (Piano  regionale  attivita'  estrattive),  le  cui
«vicissitudini», a seguito di impugnative di vario genere, sono state
ben  scolpite   nella   relazione   illustrativa   della   iniziativa
legislativa de qua.  Va  anche  rammentato,  a  tal  proposito,  come
l'unica fonte che in qualche modo richiami l'obbligo di conformazione
delle autorizzazioni alla VIA e' contenuta nell'art. 79  della  legge
finanziaria regionale del 2008 (legge regionale 30 gennaio  2008,  n.
1), a norma del  quale  si  prevede  che  il  Piano  regionale  delle
attivita' estrattive sancisca che  la  istanza  di  autorizzazione  o
concessione debba «essere  corredata  dalla  documentazione  relativa
alla Valutazione di Impatto Ambientale,  ai  sensi  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 12 aprile 1996  e  successive  modifiche,
nonche' dalla documentazione relativa alla Valutazione  di  Incidenza
(Direttiva Habitat - Art. 6 Direttiva 92/42/CEE e art. 5 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 357/1997)». 
    Da ultimo, va rilevato che la normativa regionale non soltanto ha
espressamente  subordinato  il  rilascio  delle   autorizzazioni   al
rispetto del PRAE, ma ha addirittura espressamente precluso - con  la
legge finanziaria regionale del 2002 - la possibilita' di «ogni  tipo
di  rinnovo  o  nuova  autorizzazione»  fino  alla  approvazione  del
suddetto  Piano,  stabilendo,  peraltro,  con  la  successiva   legge
finanziaria del 2005,  una  «proroga»  (con  formulazione  del  tutto
analoga a quella che compare  nella  odierna  disciplina  oggetto  di
censura) sino al 30 giugno 2006. 
    In sostanza, da un lato,  nessun  elemento  normativo  garantisce
(ma,  anzi,  tutto  sembra  deporre  per   il   contrario)   che   le
autorizzazioni in  corso  di  «esercizio»  (originario  o  prorogato)
fossero state - ab origine o in sede  di  proroga  -  assoggettate  a
valutazione di impatto ambientale; dall'altro, il  perdurante  regime
normativo di mantenimento dello status  quo  cristallizza,  ex  lege,
l'elusione dell'obbligo e, con esso, attraverso il  meccanismo  della
legge-provvedimento, il mancato rispetto della normativa  dettata  in
materia riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. 
    D'altra parte, la tesi «interpretativa»  proposta  dalla  Regione
nella propria memoria deve ritenersi impraticabile, tanto  sul  piano
testuale che su quello logico-sistematico. Per un verso, infatti,  la
norma, nel sancire l'obbligo che la  «prosecuzione  della  attivita'»
debba avvenire in conformita' agli obiettivi del PRAE e nel «rispetto
delle norme  vigenti»,  appare  essere  testualmente  indirizzata  ai
soggetti autorizzati, piuttosto che all'organo deputato  al  rilascio
del provvedimento di autorizzazione alla prosecuzione della attivita'
stessa. Tant'e' che quest'ultimo e' chiamato a verificare  (soltanto)
la  regolarita'  del  deposito  cauzionale  e  dei  contributi,  come
requisito condizionante il provvedimento di proroga. 
    Da un punto di vista logico, poi, non e' dato comprendere in base
a quale elemento normativo o di «sistema» sia possibile dedurre  che,
mentre si impone esclusivamente la conformazione della  attivita'  da
proseguire agli «obiettivi» del PRAE  (e  non,  quindi,  a  tutte  le
relative previsioni, tra le quali - come si e' detto -  anche  quella
concernente la VIA), si dovrebbe ritenere compreso l'accertamento  di
compatibilita' della prosecuzione  della  attivita'  estrattiva  alla
valutazione di impatto ambientale  (non  prescritta  dalla  normativa
regionale all'atto  della  originaria  concessione),  in  virtu'  del
generico richiamo al «rispetto delle norme vigenti». 
    Per altro verso, non pare neppure conducente la  tesi,  sostenuta
dalla Regione Campania nella memoria da ultimo depositata, secondo la
quale  la  norma   censurata   sarebbe   legittima   giacche'   nulla
prevederebbe «in difformita' alla disciplina  di  competenza  statale
con riguardo ai profili ambientali dell'attivita' d'impresa  relativa
alla coltivazione delle cave», in sostanza  reputandosi  applicabile,
in parte qua, la disciplina dettata in materia di VIA dal d. lgs.  n.
152  del  2006.  L'argomento  non  risulta   persuasivo   in   quanto
l'assoggettamento a quella disciplina non  soltanto  dovrebbe  essere
espresso, ma anche - e soprattutto - lo stesso  dovrebbe  fungere  da
presupposto condizionante  il  provvedimento  di  «proroga»,  proprio
perche' quest'ultima - secondo quanto deduce la stessa memoria  -  si
atteggia quale «nuovo esercizio della funzione amministrativa in  cui
l'Amministrazione  e'  chiamata  a  verificare  la  sussistenza   dei
requisiti  necessari...».  D'altra  parte,  ove   fosse   valida   la
prospettazione della resistente, risulterebbe del tutto superfluo  il
richiamo alla disciplina statale della VIA che,  come  si  e'  detto,
entra invece espressamente a far  parte  del  Piano  regionale  delle
attivita' estrattive,  alla  cui  approvazione  ed  al  cui  rispetto
l'intero  sistema  delle  autorizzazioni  e'  stato   -   altrettanto
espressamente - subordinato. 
    Le ragioni  che  sostengono  la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 1  coinvolgono  anche  le
previsioni dettate nei commi 4 e 5 dello stesso articolo 1, in quanto
connesse al censurato «automatismo» della proroga. 
    7. - In conclusione, tutte le disposizioni legislative  impugnate
devono essere dichiarate costituzionalmente illegittime.