Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  40,  comma
6, del decreto legislativo, 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), nel testo sostituito dall'art. 27,
comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla  normativa
in materia di  immigrazione  e  di  asilo),  promosso  dal  Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia nel  procedimento  vertente
tra D.C.A.I. e il Comune di Milano  ed  altra  con  ordinanza  del  9
febbraio 2009, iscritta al n.  188  del  registro  ordinanze  2009  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27 - 1ª serie
speciale - dell'anno 2009; 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 27 gennaio  2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 
    Ritenuto  che  il  Tribunale  amministrativo  regionale  per   la
Lombardia, con ordinanza  del  9  febbraio  2009,  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 40, comma  6,  del  decreto  legislativo  25
luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), nel testo sostituito dall'art. 27, comma 1,  della  legge
30 luglio 2002,  n.  189  (Modifica  alla  normativa  in  materia  di
immigrazione e di asilo); 
        che,  nel  giudizio  principale,  D.C.A.I.  ha  impugnato  il
provvedimento del Comune di Milano, di rigetto  dell'istanza  per  la
concessione dei contributi integrativi per il pagamento dei canoni di
locazione, previsti dall'art. 11 della legge 9 dicembre 1998, n.  431
(Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti  ad
uso abitativo), nonche' il bando dello stesso comune  e  la  delibera
della Regione Lombardia, recanti i criteri per l'erogazione di  detti
contributi; 
        che il citato art. 40, comma 6,  stabilisce:  «Gli  stranieri
titolari  di  carta  di  soggiorno  e  gli   stranieri   regolarmente
soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno  biennale  e
che esercitano una regolare attivita'  di  lavoro  subordinato  o  di
lavoro autonomo hanno diritto di accedere, in condizioni  di  parita'
con i cittadini  italiani,  agli  alloggi  di  edilizia  residenziale
pubblica e  ai  servizi  di  intermediazione  delle  agenzie  sociali
eventualmente predisposte da ogni regione o  dagli  enti  locali  per
agevolare l'accesso alle locazioni abitative e al  credito  agevolato
in materia di edilizia, recupero, acquisto e  locazione  della  prima
casa di abitazione»; 
        che l'istanza della ricorrente e' stata rigettata, in  quanto
ella non e' titolare di un permesso di soggiorno della durata di anni
due,  requisito  al  quale  gli  atti  amministrativi  impugnati  nel
giudizio principale subordinano la concessione della  provvidenza  in
esame, in virtu' di una direttiva  che,  ad  avviso  del  rimettente,
avrebbe  dato  corretta  applicazione  alla  norma   censurata,   che
riguarderebbe anche i contributi previsti dall'art. 11 della legge n.
431 del 1998; 
        che, secondo il TAR, tale requisito  sarebbe  ragionevolmente
preordinato allo scopo di evitare che ai  lavoratori  extracomunitari
sia attribuita la gran parte dei  fondi  disponibili,  come  potrebbe
accadere, in difetto di «un criterio di accesso che tenga conto della
permanenza in Italia  e  del  livello  di  non  precarieta'  di  tale
residenza», dato che, di  regola,  essi  versano  in  una  condizione
economicamente piu' disagiata rispetto ai cittadini italiani; 
        che siffatta esigenza sarebbe ragionevolmente tutelata  dalla
previsione che i contributi  possono  essere  erogati  ai  lavoratori
extracomunitari titolari di «carta di soggiorno» (recte: permesso  di
soggiorno per soggiornanti di lungo periodo); diversamente, la regola
che richiede il possesso di un permesso di soggiorno della durata  di
anni due non  la  soddisferebbe  «in  modo  razionale  e  conforme  a
parametri di uguaglianza»,  poiche'  «non  tiene  conto  del  periodo
complessivo di permanenza nel nostro Paese e [del] le ragioni, spesso
contingenti, che  inducono  il  questore  a  rilasciare  un  permesso
annuale, anziche' biennale»; 
        che, infatti, l'art. 5, comma 3-bis, del d.lgs.  n.  286  del
1998 prevede che il permesso di soggiorno per lavoro subordinato  non
possa avere durata superiore ad  un  anno,  qualora  l'istante  abbia
stipulato un contratto di lavoro  a  tempo  determinato,  mentre  «la
frequente volatilita' degli impieghi  soprattutto  per  i  lavoratori
extracomunitari fa si' che spesso essi perdano un lavoro piu' stabile
e, dopo un periodo di disoccupazione, debbano accettare un  lavoro  a
tempo determinato anche dopo anni di permanenza in Italia»; nel  caso
in esame, la ricorrente avrebbe ridotto il  suo  impegno  lavorativo,
per accudire il nipote in tenera eta', che vive con lei e, per questa
ragione, il rinnovo  del  permesso  di  soggiorno  le  sarebbe  stato
concesso soltanto per un anno; 
        che, dunque, la norma censurata impedirebbe di valorizzare la
circostanza che la ricorrente e' titolare di  permesso  di  soggiorno
fin dal novembre 1998 e, secondo il giudice a  quo,  «l'adozione  del
mero  criterio  della  durata  del  permesso   di   soggiorno   senza
riferimenti alla complessiva regolare presenza in  Italia  appare  un
criterio irragionevole  che  si  presta  ad  ingiuste  disparita'  di
trattamento in violazione dell'art. 3 Cost.»; 
        che,  infatti,  potrebbe  accadere  che  ad   un   lavoratore
extracomunitario appena giunto in Italia sia rilasciato  un  permesso
della durata di anni due mentre,  «vista  la  validita'  dell'offerta
lavorativa», «la stessa decisione potrebbe  non  essere  assunta  nei
confronti di altro extracomunitario presente sul nostro territorio da
dieci anni», con la conseguenza che, in  tale  ipotesi,  soltanto  il
primo, non anche il secondo, potrebbe ottenere i contributi in esame; 
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
giudizio, chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile  o
infondata; 
        che,  secondo  la  difesa  erariale,  la  questione   sarebbe
inammissibile, in primo luogo, poiche' il rimettente non ha  indicato
la nazionalita' della ricorrente nel giudizio principale, circostanza
rilevante, dato che, se ella fosse cittadina di uno Stato dell'Unione
europea, la norma  censurata  non  sarebbe  applicabile;  in  secondo
luogo, in quanto il TAR chiede un intervento additivo, senza indicare
una soluzione costituzionalmente obbligata, auspicando l'introduzione
di «altre ed ulteriori fattispecie agevolative»; 
        che, nel merito, la norma censurata non violerebbe  l'art.  3
Cost., poiche', nell'osservanza della giurisprudenza di questa Corte,
garantirebbe la concessione dei contributi  in  esame  ai  lavoratori
extracomunitari titolari  almeno  del  permesso  di  soggiorno  della
durata di due anni, i quali, appunto per questo, vantano un titolo di
legittimazione comprovante «il carattere non episodico e di non breve
durata» della loro permanenza in Italia (sentenza n. 306  del  2008),
cosi' da scongiurare il rischio, paventato dallo  stesso  rimettente,
che ad essi sia attribuita la maggior parte delle somme  disponibili,
in danno dei cittadini italiani; 
        che, peraltro, la ragionevolezza della norma in esame sarebbe
confortata dagli argomenti svolti  da  questa  Corte  per  dichiarare
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
avente ad oggetto l'art. 3, comma 41-bis, della legge  della  Regione
Lombardia 5 gennaio 2000, n. 1 (Riordino del sistema delle  autonomie
in  Lombardia.  Attuazione  del  d.lgs.  31  marzo  1998,  n.   112 -
Conferimento di funzioni e compiti amministrativi  dallo  Stato  alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge  15
marzo 1997, n. 59), sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.,  nella
parte in cui tale  disposizione  prevede,  tra  i  requisiti  per  la
presentazione delle domande di assegnazione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica, che «i richiedenti devono avere la residenza o
svolgere attivita' lavorativa in Regione Lombardia da  almeno  cinque
anni  per  il  periodo  immediatamente  precedente   alla   data   di
presentazione della domanda» (ordinanza n. 32 del 2008); 
        che, inoltre, il citato art. 40, comma 6,  non  realizzerebbe
una  ingiustificata  disparita'   di   trattamento   tra   lavoratori
extracomunitari, in quanto la durata del permesso  di  soggiorno  non
dipende da scelte discrezionali della pubblica amministrazione, ma e'
condizionata dalla durata  del  rapporto  di  lavoro  subordinato,  e
sarebbe diversa la  situazione  di  coloro  che  hanno  stipulato  un
contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ovvero a tempo
determinato; 
        che, infine, la norma censurata  dovrebbe  essere  coordinata
con l'art. 11, comma 13, del decreto-legge 25 giugno  2008,  n.  112,
convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008,  n.  133,  il
quale ha previsto che «i requisiti minimi necessari  per  beneficiare
dei contributi» in esame  «devono  prevedere  per  gli  immigrati  il
possesso del certificato storico di residenza da  almeno  dieci  anni
nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella  medesima
regione»; 
        che, secondo l'interveniente, detta disposizione  inciderebbe
sul   profilo   di   irragionevolezza   conseguente   dalla   mancata
valorizzazione  da  parte  della  norma  censurata  del  periodo   di
complessiva durata della presenza regolare  in  Italia,  lacuna  che,
secondo il rimettente,  avrebbe  permesso  di  erogare  i  contributi
integrativi per il pagamento dei canoni di locazione ad un lavoratore
extracomunitario appena giunto in Italia, ma in possesso di  permesso
di  soggiorno  biennale,  e  di  negarne  la  corresponsione  ad   un
lavoratore extracomunitario presente nel territorio dello Stato da un
maggior numero di anni, ma titolare di un permesso  di  soggiorno  di
durata annuale. 
    Considerato che il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la
Lombardia dubita, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della
legittimita'  costituzionale  dell'art.  40,  comma  6,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), nel testo modificato dall'art. 27, comma  1,  della
legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in  materia  di
immigrazione e di asilo); 
        che, ad avviso del rimettente, detta  norma,  stabilendo  che
«gli stranieri  titolari  di  carta  di  soggiorno  e  gli  stranieri
regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno
biennale  e  che  esercitano  una  regolare   attivita'   di   lavoro
subordinato o di  lavoro  autonomo  hanno  diritto  di  accedere,  in
condizioni di parita' con  i  cittadini  italiani,  agli  alloggi  di
edilizia residenziale pubblica e ai servizi di intermediazione  delle
agenzie sociali eventualmente predisposte da  ogni  regione  o  dagli
enti  locali  per  agevolare  l'accesso  alle  locazioni  abitative»,
subordinerebbe la  concessione  dei  contributi  integrativi  per  il
pagamento dei canoni di locazione, previsti dall'art. 11 della  legge
9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni  e  del  rilascio
degli immobili adibiti ad uso abitativo), al possesso  da  parte  del
lavoratore extracomunitario di un permesso di soggiorno della  durata
di anni due; 
        che, secondo il giudice a quo, la norma censurata  violerebbe
l'art. 3 Cost., in quanto «non soddisfa in modo razionale e  conforme
a  parametri  di  uguaglianza»  l'esigenza  di   garantire   che   la
provvidenza in favore dei lavoratori extracomunitari sia  subordinata
ad una residenza non precaria in Italia,  e  per  un  tempo  congruo,
poiche' non tiene conto del periodo  complessivo  di  permanenza  nel
nostro Paese e delle ragioni, spesso contingenti, che indurrebbero il
questore a rilasciare un permesso della durata di un  anno,  anziche'
di due anni; 
        che, a suo avviso, l'adozione del criterio della  durata  del
permesso  di  soggiorno,  svincolato  da   ogni   riferimento   «alla
complessiva regolare presenza»  del  lavoratore  extracomunitario  in
Italia, sarebbe irragionevole e realizzerebbe una ingiusta disparita'
di trattamento, poiche' attribuisce rilevanza «ad un dato estrinseco,
che non necessariamente e' significativo rispetto alla  ratio  legis»
del citato art. 40, comma  6,  potendo  accadere  che  un  lavoratore
extracomunitario, appena giunto in Italia,  ottenga  un  permesso  di
soggiorno della durata di due anni, in considerazione  della  stipula
di  contratto  di  lavoro  subordinato   di   durata   indeterminata,
diversamente da un altro lavoratore  extracomunitario,  che  pure  si
trovi in Italia da «dieci anni»; 
        che l'eccezione della difesa  erariale,  di  inammissibilita'
della questione, per difetto di motivazione sulla rilevanza, a  causa
della mancata indicazione della  nazionalita'  della  ricorrente  nel
giudizio principale, e' infondata, poiche' l'ordinanza di  rimessione
indica che la parte e' titolare di permesso di soggiorno della durata
di un anno, ai sensi del d.lgs. n. 286 del 1998, e che, nella specie,
e'   applicabile   la    disciplina    concernente    i    lavoratori
extracomunitari, dimostrando cosi' di avere accertato  e  considerato
(implicitamente, ma chiaramente) che la ricorrente non  e'  cittadina
di uno Stato dell'Unione europea; 
        che, anteriormente alla data dell'ordinanza di rimessione, e'
entrato in vigore l'art. 11, comma 13, del  decreto-legge  25  giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica e la perequazione tributaria), convertito con  modificazioni
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il quale stabilisce: «ai fini  del
riparto  del  Fondo  nazionale  per  il  sostegno  all'accesso   alle
abitazioni in  locazione,  di  cui  all'articolo  11  della  legge  9
dicembre 1998, n. 431, i requisiti minimi necessari  per  beneficiare
dei contributi integrativi come definiti ai sensi  del  comma  4  del
medesimo articolo devono prevedere per gli immigrati il possesso  del
certificato storico di residenza da almeno dieci anni nel  territorio
nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione»; 
        che, sebbene detta norma sia anteriore rispetto all'ordinanza
di rimessione e possa  influire  su  uno  dei  profili  del  percorso
argomentativo svolto per motivare la non manifesta infondatezza della
questione, il TAR ha del tutto  omesso  di  accertare  (ed  indicare)
anzitutto se essa sia o meno  applicabile  nel  giudizio  principale,
quindi di valutarne gli eventuali effetti; 
        che tale lacuna argomentativa si risolve  in  un  difetto  di
motivazione   sulla   rilevanza,   che    comporta    la    manifesta
inammissibilita'   della   questione,   indipendentemente   da   ogni
considerazione in ordine alla mancata  esplicitazione  da  parte  del
rimettente  delle  ragioni  che  -  alla  luce  della  lettera  della
disposizione, e tenendo conto che il diritto  sociale  all'abitazione
e' riconducibile «fra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art.
2 della Costituzione» (sentenze n. 209 del 2009 e n. 404 del 1988)  -
renderebbero  inevitabile  riferire  la  norma  censurata  anche   ai
contributi  in   esame,   impedendone   comunque   un'interpretazione
costituzionalmente orientata; 
        che,  sotto   un   ulteriore   profilo,   la   questione   e'
manifestamente  inammissibile  anche   in   quanto   l'ordinanza   di
rimessione censura il citato art. 40, comma 6, «nella  parte  in  cui
non tiene conto del periodo complessivo di permanenza» del lavoratore
extracomunitario  nel  nostro   Paese,   prospettando,   quindi,   la
necessita' di una disciplina  modulata  avendo  riguardo  anche  alla
pregressa presenza in Italia, che peraltro neppure precisa, e, in tal
modo, ha lasciato indeterminato il contenuto del richiesto intervento
additivo, non indicando una  soluzione  costituzionalmente  obbligata
(ordinanza n. 70 del 2009); 
        che   la   questione   deve,   quindi,   essere    dichiarata
manifestamente inammissibile; 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.