Ordinanza 
 
nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  405,  comma
1-bis, del codice di procedura penale,  aggiunto  dall'art.  3  della
legge 20 febbraio 2006, n.  46  (Modifiche  al  codice  di  procedura
penale,  in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze   di
proscioglimento), promosso dal Giudice dell'udienza  preliminare  del
Tribunale di Varese nel procedimento penale a  carico  di  V.  T.  ed
altri, con ordinanza del 13 febbraio 2008, iscritta  al  n.  181  del
registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 26, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Udito nella Camera di consiglio del 10 febbraio 2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del  13  febbraio  2008,  il  Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale di  Varese  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 405, comma 1-bis, del  codice  di  procedura
penale, aggiunto dall'art. 3 della legge  20  febbraio  2006,  n.  46
(Modifiche  al  codice   di   procedura   penale,   in   materia   di
inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella  parte  in
cui non prevede che il pubblico ministero, al termine delle  indagini
preliminari, sia tenuto a formulare  richiesta  di  archiviazione  in
ogni ipotesi nella quale il giudice per le indagini preliminari o  il
«tribunale del riesame», con provvedimenti non  impugnati,  si  siano
espressi sulla mancanza dei  gravi  indizi  di  colpevolezza  di  cui
all'art. 273 cod. proc.  pen.,  e  non  siano  stati  successivamente
acquisiti ulteriori elementi a carico della persona  sottoposta  alle
indagini; 
    che il rimettente riferisce  che,  nel  procedimento  a  quo,  la
misura cautelare gia' disposta nei confronti degli  attuali  imputati
era stata revocata dal Giudice per le indagini preliminari, ai  sensi
dell'art. 299 cod. proc. pen., per sopravvenuta mancanza di indizi di
reita', alla luce delle indagini difensive svolte; 
    che l'ordinanza di revoca della misura non  era  stata  impugnata
dal pubblico ministero,  il  quale  aveva  indi  esercitato  l'azione
penale, pur non avendo acquisito ulteriori elementi  a  carico  degli
imputati; 
    che i difensori degli imputati avevano eccepito la nullita' della
richiesta di rinvio a giudizio, assumendo che l'esercizio dell'azione
penale sarebbe avvenuto in violazione  dell'art.  405,  comma  1-bis,
cod. proc. pen. (violazione da reputare riconducibile all'ipotesi  di
cui all'art. 178, lettera b, dello stesso  codice):  cio'  in  quanto
l'ordinanza  del  giudice  di  merito  non   impugnata,   costituente
«giudicato cautelare», andrebbe assimilata alla pronuncia della Corte
di cassazione ai fini dell'operativita' del citato  art.  405,  comma
1-bis, cod. proc. pen., in forza del quale «il pubblico ministero, al
termine delle indagini, formula richiesta di archiviazione quando  la
Corte di cassazione si e' pronunciata in  ordine  alla  insussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell'articolo 273,  e  non
sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori  elementi  a  carico
della persona sottoposta alle indagini»; 
    che - ad avviso del rimettente - tale tesi  non  potrebbe  essere
condivisa, avendo la disposizione censurata  natura  eccezionale,  in
quanto  derogatoria  del  principio  di  obbligatorieta'  dell'azione
penale, sancito dall'art. 112 Cost.: circostanza che  impedirebbe  di
attribuirle, in via di interpretazione analogica  od  estensiva,  una
portata piu' ampia di quella risultante dalle espressioni usate; 
    che, recependo l'istanza subordinata dei difensori, il giudice  a
quo reputa, tuttavia, di dover sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  405,  comma  1-bis,  cod.  proc.  pen.  per
contrasto con l'art. 3 Cost.; 
    che la norma censurata, limitando alla sola pronuncia della Corte
di cassazione l'effetto preclusivo dell'esercizio dell'azione  penale
da parte del pubblico ministero, creerebbe, infatti, un'irragionevole
discriminazione tra situazioni identiche, in violazione del principio
di uguaglianza; 
    che nessuna differenza sarebbe, infatti, ravvisabile nell'ipotesi
in cui siano il giudice per le indagini preliminari  o  il  tribunale
del riesame, anziche' la Corte  di  cassazione,  ad  un  adottare  un
provvedimento in cui viene affermata  l'insussistenza  dei  requisiti
legittimanti la limitazione della liberta' dell'indagato; 
    che la disposizione impugnata mirerebbe, in effetti, ad  impedire
che la pubblica accusa formuli richieste di rinvio a giudizio  basate
su  un  quadro   indiziario   del   quale   e'   stata   riconosciuta
l'inconsistenza nella fase cautelare, e che non risulti arricchito da
alcun elemento ulteriore; 
    che, a tale fine,  non  sarebbe  peraltro  necessario  percorrere
tutti i gradi del giudizio cautelare: la pronuncia del giudice per le
indagini preliminari che - tanto in sede di rigetto di una  richiesta
di misura cautelare, quanto in sede di accoglimento  dell'istanza  di
revoca di una misura gia' adottata - accerti la  mancanza  dei  gravi
indizi  di  colpevolezza,  non  avrebbe,  infatti,  sul  piano  delle
conseguenze in tema di liberta' dell'indagato, una valenza  inferiore
rispetto al vaglio, pur qualificato, della Corte di cassazione, e non
potrebbe produrre, quindi, effetti diversi in rapporto  all'esercizio
dell'azione penale da parte del pubblico ministero; 
    che, per contro, esigendo l'intervento della Corte di cassazione,
la norma censurata  finirebbe  per  rimettere  allo  stesso  pubblico
ministero -  ossia  proprio  all'organo  le  cui   «prerogative»   si
intendono  limitare -  la  «sorte  processuale»  dell'indagato,   col
risultato di esporre ad un diverso  trattamento  anche  indagati  nel
medesimo procedimento: a fronte di  una  pronuncia  cautelare  a  se'
sfavorevole, il pubblico ministero potrebbe infatti decidere,  a  suo
arbitrio, di non adire i giudici superiori, conservando  cosi' -  pur
in  assenza  di  ulteriori  elementi  di  accusa -  la  facolta'   di
esercitare l'azione penale. 
    Considerato che, con il quesito di costituzionalita', il  giudice
rimettente mira ad ampliare l'ambito di applicazione  dell'art.  405,
comma 1-bis, del codice di procedura  penale,  aggiunto  dall'art.  3
della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura
penale,  in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze   di
proscioglimento),  il  quale  stabilisce  che,  «al   termine   delle
indagini»,  il  pubblico  ministero  debba  formulare  richiesta   di
archiviazione allorche' ricorrano due condizioni:  e,  cioe',  da  un
lato, che «la Corte di cassazione si [sia] pronunciata in ordine alla
insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza», ai  sensi  dell'art.
273 cod. proc. pen.; e, dall'altro, che «non [siano] stati acquisiti,
successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta
alle indagini»; 
    che il giudice  a  quo  reputa,  in  particolare,  eccessivamente
restrittiva la prima  delle  due  condizioni,  assumendo  che -  onde
evitare la violazione  dell'art.  3  della  Costituzione -  l'obbligo
dell'organo dell'accusa di  chiedere  l'archiviazione  debba  operare
anche quando la gravita' indiziaria, di cui all'art. 273  cod.  proc.
pen., sia stata esclusa dal giudice per le indagini preliminari o dal
tribunale del riesame con decisione non impugnata e senza che ad essa
abbia fatto seguito un arricchimento del materiale investigativo; 
    che con sentenza n. 121 del  2009,  successiva  all'ordinanza  di
rimessione, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima
nella sua interezza  la  norma  che  il  rimettente  vorrebbe  vedere
ampliata,  sul  rilievo  della   incompatibilita'   della   richiesta
«obbligata» di archiviazione, da essa prefigurata, con gli artt. 3  e
112 Cost.; 
    che, di conseguenza, la questione di  costituzionalita'  oggi  in
esame  e'  divenuta  priva  di  oggetto  e   va   quindi   dichiarata
manifestamente inammissibile; 
    che, infatti, attenendo la questione  alla  medesima  norma  gia'
rimossa  dall'ordinamento  con  efficacia  ex  tunc  dalla  ricordata
declaratoria di incostituzionalita', resta preclusa al giudice a  quo
una  nuova  valutazione  della  perdurante  rilevanza  del   quesito,
valutazione che sola potrebbe giustificare la restituzione degli atti
al rimettente (con  riferimento  a  questioni  analoghe  all'attuale,
ordinanza n. 126 del 2009). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.