LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello iscritto al n. 31778 del registro di segreteria, proposto da Renata Lascala, rappresentata e difesa dall'avv. Fedele Scrivano e domiciliata in Roma, presso lo studio dell'avv. Baldo Bemardini, al n. 76/C della via A. Bongiorno, nei confronti dell'I.N.P.D.A.P. in persona del suo legale rappresentante e avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Calabria n. 204 del 10 gennaio 2007, depositata il 23 marzo 2007. Visti gli atti e documenti tutti di causa; Uditi, alla pubblica udienza del 29 settembre 2009, il relatore cons. Josef Hermann Rössler e l'avv. Filippo Mangiapane per l'I.N.P.D.A.P.; F a t t o Alla signora Lascala, coniuge superstite del signor Ugo Caruso pensionato dal 1° dicembre 1991, venne liquidata a decorrere la 1° febbraio 2003 pensione di riversibilita' nella misura del 60% di quella diretta, con indennita' integrativa speciale nella stessa misura. La predetta propose ricorso alla Sezione calabrese di questa Corte, rivendicando il diritto alla liquidazione dell'indennita' citata in misura intera, come assegno accessorio da corrispondersi separatamente dalla pensione base: cio' in base all'art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 nell'interpretazione fornita dalle Sezioni riunite con la pronuncia di massima n. 8/QM del 17 aprile 2002. Con l'impugnata sentenza il ricorso e' stato respinto, in applicazione dell'art. 1, comma 774, della legge 29 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per l'anno 2007), che ha fornito una interpretazione autentica della normativa opposta a quella delle Sezioni riunite. Con l'atto in esame l'appellante ha allegato l'illegittimita' costituzionale dei commi 774, 775 e 776 della citata legge finanziaria, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 36 e 38 Cost.; con successiva memoria datata 7 settembre 2009 ha segnalato l'illegittimita' costituzionale delle medesime norme per contrasto con gli artt. 111 e 117 Cost. Con memoria di costituzione depositata il 18 settembre 2009 l'I.N.P.D.A.P. , e per essa l'avv. Mangiapane, ha sostenuto l'irrilevanza e la manifesta infondatezza della questione in virtu' delle sentenze costituzionali n. 446 del 2 luglio 2002 e n. 74 del 28 marzo 2008. D i r i t t o 1. - L'art. 15 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nel comma 3 stabilisce: «In attesa dell'armonizzazione delle basi contributive e pensionabili previste dalle diverse gestioni obbligatorie dei settori pubblico e privato, con decorrenza dal l° gennaio 1995, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni iscritti alle forme di previdenza, esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria, nonche' per le altre categorie di dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza, la pensione spettante viene determinata sulla base degli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi compresa l'indennita' integrativa speciale, ovvero l'indennita' di contingenza, ovvero l'assegno per il costo della vita spettante». E aggiunge il comma 4 che «la pensione di cui al comma 3 e' reversibile, con riferimento alle categorie di superstiti aventi diritto, in base all'aliquota in vigore nel regime dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti». Cio' comporta che l'indennita' integrativa speciale debba contribuire a determinare la base pensionabile nella stessa misura della retribuzione (60%, in virtu' dell'art. 22 della legge n. 903 del 1965). Dopo questa disposizione dettata in via generale, lo stesso articolo, nel comma 5, precisa tuttavia che «le disposizioni relative alla corresponsione della indennita' integrativa speciale sui trattamenti di pensione previste dall'art. 2 della legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni ed integrazioni, sono applicabili limitatamente alle pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e alle pensioni di reversibilita' ad esse riferite». Per tali pensioni, cioe', l'indennita' integrativa speciale non deve essere conglobata nella base pensionabile nella misura percentuale cui e' soggetta la retribuzione, me deve essere «corrisposta in misura intera», come recita l'art. 2 della legge n. 324 del 1959. La successiva legge 8 agosto 1995, n. 335, ha disposto, nel comma 41 dell'art. 1: «La disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell'ambito del regime dell'assicurazione generale obbligatoria e' estesa a tutte le forme esclusive o sostitutive di detto regime ... Sono fatti salvi i trattamenti previdenziali piu' favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge con riassorbimento sui futuri miglioramenti». Una giurisprudenza minoritaria ha interpretato questa disposizione, in quanto contenuta in una legge di riforma organica del sistema pensionistico come abrogativa dell'art. 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994, che la giurisprudenza prevalente, al contrario, ha ritenuto ancora vigente, dato il suo carattere di norma transitoria e, come tale, non confliggente con la disciplina generale. La cennata prevalente giurisprudenza ha inoltre ha ritenuto il sistema di cui alla legge n. 324 del 1959 (indennita' integrativa speciale in misura intera) applicabile alle pensioni dirette liquidate entro il 31 dicembre 1994, pur se le corrispondenti pensioni di riversibilita' siano liquidate dopo tale data. In tale situazione, e' stata deferita questione di massima alle Sezioni riunite, le quali, con sentenza n. 8/QM del 17 aprile 2002, hanno abbracciato la tesi maggioritaria, dichiarando che «in ipotesi di decessi di pensionato, titolare di trattamento di riposo, liquidato prima del 31 dicembre 1994, il consequenziale trattamento di reversibilita' deve essere in ogni caso liquidato secondo le norme di cui all'art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, indipendentemente dalla data della morte del dante causa. L'art. 1 comma 41 della legge 8 agosto 1995, n. 335 non ha effetto abrogativo dell'art. 15, comma 5 della legge 23 novembre 1994, n. 724». 2. - In questo quadro normativo e giurisprudenziale sono intervenute le disposizioni recate dall'art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007): «774. L'estensione della disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell'ambito del regime dell'assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive e sostitutive di detto regime prevista dall'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che per le pensioni di reversibilita' sorte a decorrere dall'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995. n. 335. indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l'indennita' integrativa speciale gia' in godimento da parte del dante causa, parte integrante del complessivo trattamento pensionistico percepito, e' attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilita'. 775. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici piu' favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge, gia' definiti in sede di contenzioso, con riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici. 776. E' abrogato l'articolo 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724». Tali norme, presentandosi espressamente come interpretazione autentica, e quindi con efficacia retroattiva, dell'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha impedito al giudice pensionistico di continuare a conformare le proprie decisioni alla opposta interpretazione che della medesima norma hanno dato le Sezioni riunite nella citata sentenza n 8/QM/2002. Le disposizioni dei commi 774-776 sono state, peraltro, investite del sospetto di incostituzionalita' in riferimento all'art. 3 Cost., per il fatto che sembravano porsi nello stesso tempo come interpretative e innovative, e disponevano comunque una retroattivita' che sembrava ingiustificatamente lesiva dei diritti degli interessati. Ma la Corte costituzionale, con sentenza n. 74 del 28 marzo 2008, ha dichiarato manifestamente infondata la questione, ritenendo la ragionevolezza delle norme in questione, che non potevano non tener conto «anche delle esigenze di bilancio». La giurisprudenza prevalente della Corte dei conti ha di conseguenza ritenuto superata e percio' ha disatteso la pronuncia di massima delle Sezioni riunite, proprio in applicazione all'art. 1, commi 774-776, della legge n. 296 del 2006. Questo stesso giudice d'appello ha finito di recente col pronunciare in tal senso sentenze in camera di consiglio in forma semplificata, a sensi dell'art. 9, comma 3, della legge 21 luglio 2000, n. 205. Cio' ha potuto fare, non avendo le pronunce di massima delle Sezioni riunite, pur rivestite di particolare autorevolezza, efficacia vincolante al di fuori del giudizio specifico in ordine al quale le Sezioni hanno pronunciato. 3. - Il fatto nuovo e' costituito dal frattanto intervenuto art. 42 della legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha aggiunto all'art. 1, comma 7, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, un periodo a norma del quale «se la sezione giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni riunire, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio». Disposizione che impone certamente a questo giudice una maggiore cautela, nel senso che, prima di considerare la pronuncia delle Sezioni riunite n. 8/QM/2002 effettivamente travolta dalla normativa, che si autodefinisce interpretativa, contenuta nell'art. 1, commi 774-776, della legge finanziaria 2007, val la pena di accertare con maggior rigore se detta normativa resista alle censure di illegittimita' costituzionale rivoltele dall'appellante: accertamento eventualmente da rimettere al giudice delle leggi. Qualora tale giudice dovesse dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni in parola, la cennata pronuncia di massima rivivrebbe, dotata della novella efficacia attribuitale dall'art. 42 della legge n. 69 del 2009, e questo giudice non potrebbe che conformarsi ad essa o rimettere la decisione alle stesse Sezioni riunite. Cio' comporta la sicura rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale che dovessero essere ritenute non manifestamente infondate e dovessero essere conseguentemente sollevate da questo giudice davanti alla Corte costituzionale. Alcune delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dall'appellante appaiono al Collegio manifestamente infondate, in quanto non appare pertinente il richiamo del parametro costituzionale alla cui stregua esse sono sollevate. Trattasi della questione di preteso contratte con gli artt. 2 e 3 Cost. a causa dell'asserita irragionevolezza del disposto dei commi 774-776 della legge citata: questione gia' sottoposta in tali termini alla Corte costituzionale, che la ha dichiarata infondata con la citata sentenza n. 74 del 2008. Ma lo stesso e' a dirsi delle questioni sollevate in riferimento all'art. 24 Cost. (motivato dall'appellante col rilievo che il comma 775, riconoscendo i soli diritti di coloro che hanno adito l'Autorita' giudiziaria, pregiudicherebbe la possibilita' per gli altri di «esercitare con successo l'azione diretta alla riliquidazione della reversibilita'») e agli artt. 36 e 38 Cost. (motivate dall'appellante col rilievo che le norme incriminate violerebbero diritti quesiti dei pensionati). I parametri costituzionali invocati, infatti, ad avviso di questo giudice non sono idonei a far sospettare una qualche illegittimita' costituzionale delle norme in parola, posto che ne' l'art. 24 Cost. intende garantire a chichessia l'esercizio con successo di qualsivoglia azione giudiziaria, ne' gli artt. 36 e 38 Cost. espressamente tutelano i diritti quesiti di lavoratori e di pensionati. 4. - Con memoria aggiuntiva, l'appellante ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dei predetti commi 774 e 776 in relazione all'art. 117 Cost., perche' non rispetterebbero «i vincoli internazionali gravanti sullo Stato in forza della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), e piu' specificamente il principio di preminenza del diritto evincibile dal Preambolo CEDU e l'art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU in tema di diritto di proprieta'», e in relazione all'art. 111 Cost. «in tema di equo processo in quanto con la disciplina de qua si assiste ad una palese ingerenza del potere legislativo sul funzionamento del potere giudiziario, vietato dalla CEDU». Aggiunge l'appellante che «piu' puntualmente merita menzione la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 14 febbraio 2006, emessa nella causa vertente fra Lecarpentier ed altri contro lo Stato francese. Secondo la decisione richiamata, nel pieno rispetto del principio dello Stato di diritto, costituisce una violazione dell'art. 6 CEDU e dell'art. 1 del I Protocollo CEDU il comportamento di uno Stato che, con l'emanazione di una legge (anche civile) avente effetto retroattivo, interferisce nell'esercizio di diritti maturati in ragione di una norma in vigore o in forza di mi orientamento giurisprudenziale consolidato». La questione, della quale si e' gia' sopra ritenuta la rilevanza, appare a questo giudice anche non manifestamente infondata. In un momento, infatti, nel quale - superato nella giurisprudenza pensionistica un primo periodo di divergenze d'opinione - si era raggiunta una pressoche' totale uniformita' nel senso di cui alla sentenza delle Sezioni riunite n. 8/QM/2002, di tal che il principio di diritto da queste enunciato poteva considerarsi ormai diritto vivente, il legislatore, intervenendo con commi 774-776 della legge 29 dicembre 2006, n. 296, ha introdotto una normativa diversa ed opposta. Nessun dubbio sulla piena legittimazione del Potere legislativo a dettare una tale normativa, da valere con effetto dalla sua entrata in vigore; il dubbio nasce dalla circostanza che, qualificando expressis verbis: la nuova normativa come interpretativa («774. L'estensione della disciplina ... si interpreta nel senso che ...»), esso legislatore ha inteso attribuire alla stessa effetto retroattivo. Effetto confermato dal successivo comma 775, che fa salvi «i trattamenti pensionistici piu' favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore» solo se «gia' definiti in sede di contenzioso», escludendone percio' quelli in corso di giudizio, ai quali dovrebbe essere applicata retroattivamente la nuova normativa. La retroattivita' in se' non sarebbe anticostituzionale, posto che l'irretroattivita' della legge e' garantita dalla Costituzione solo in campo penale (art. 25 Cost.). Nella specie, puo' diventarlo indirettamente, per via del contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., il quale dispone che la potesta' legislativa sia esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, fra i quali indubbiamente figura quella di rispettare l'art. 6, par. l, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDE), sottoscritta dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Il citato art. 6 garantisce ad ogni persona un «processo equo», e la Corte europea dei diritti dell'uomo, sedente a Strasburgo - cui spetta la competenza a interpretare la Convenzione - ha dichiarato clic nel contenuto di tale articolo rientra il divieto per lo Stato contraente, che sia parte in un giudizio, di legiferare nella materia oggetto di giudizio in corso ingerendosi cosi' nell'amministrazione della giustizia; ha specificato la Corte di cassazione, Sezione lavoro, in ordinanza n. 22260 del 4 settembre 2008 (richiamando la sentenza della Corte di Strasburgo del 21 giugno 2007, in causa n. 12106/03 fra Scanner de l'Ouest e altri contro Stato francese) che per configurare tale ingerenza, e quindi il contrasto fra la nuova normativa e l'art. 6 della Convenzione, non e' necessario che tale normativa sia «esclusivamente diretta ad influire sulla soluzione delle controversie in corso», ne' che tale scopo sia stato comunque enunciato, essendo, invece, sufficiente a ritenere fondato il conflitto che nel procedimento in corso essa pretenda di essere applicata. In altre parole, basta che lo Stato, che sia parte nel giudizio, possa conseguire, dall'applicazione della nuova normativa, la positiva definizione della controversia in suo favore. Che e' quanto accade nel giudizio in esame, in esso applicazione dei commi 774-776 dell'art. 1 della legge finanziaria 2007 e quindi, contro il diritto vivente sancito dalla sentenza delle Sezioni riunite n. 8/QM/2002, «l'estensione della disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell'ambito del regime dell'assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive e sostitutive di detto regime prevista dall'art. 1, somma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che per le pensioni di reversibilita' sorte a decorrere dall'entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l'indennita' integrativa speciale gia' in godimento da parte del dante causa, parte integrante del complessivo trattamento pensionistico percepito, e' attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilita'». Ne' si potrebbe ritenere che nei giudizi pensionistici come quello in esame parte in giudizio sia l'ente previdenziale e non lo Stato legislatore, che come tale e' al di' sopra delle parti, giacche' una siffatta interpretazione del decisum della Corte di Strasburgo vanificherebbe sempre tale decisum, in quanto nell'atto di legiferare lo Stato (il Potere legislativo) sarebbe sempre da considerare diverso dallo Stato che amministra sia come persona (Potere esecutivo) che come apparato pluripersonale (cfr. art. 114 Cost.), e percio' la fattispecie stigmatizzata dalla Corte europea non avrebbe mai la possibilita' di venire ad esistenza. Sembra conforme a ragionevolezza ritenere che invece una tale fattispecie si verifichi ogni volta che vengano in questione pubbliche risorse, e la nuova normativa abbia l'effetto di salvaguardare tali risorse in danno della privata controparte. Si aggiunga che, corrispondendo sostanzialmente l'«equo processo» di cui all'art. 6 della CEDU al «giusto processo» di cui all'art. 111 Cost., la questione di illegittimita' costituzionale e' posta anche in riferimento a tale articolo. Non puo' considerarsi in effetti «giusto» un processo nel corso del quale una delle parti e' arbitra di «cambiare le carte in tavola» e i parametri normativi del giudizio, travolgendo le aspettative della controparte, che tale giudizio ha promosso sulla base di norme e di orientamenti giurisprudenziali diversi. Per effetto di un siffatto potere di modificare, in corso di guidizio, la normativa in esso applicabile, lo Stato - considerato unitamente nei suoi Poteri - cessa di essere giudice terzo e imparziale. Ritiene in conclusione questo Collegio che non sia palesemente infondata la questione di legittimita' costituzionale dei commi 774-77 dell'art. 1 della legge finanziaria 2007 i quali, nell'imporre una interpretazione del sistema che non puo' che portare a una decisione di siffatte vertenze favorevole all'erario pubblico e sfavorevole al pensionato pretendendo che tale interpretazione abbia efficacia nei procedimenti giudiziari in corso, sembrano violare l'art. 111 Cost., che postula il giusto processo, nonche' l'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e di converso l'art. 117 Cost., a norma del quale l'attivita' legislativa trova un limite nella necessita' del rispetto degli obblighi internazionali. 5. - Una lettura della normativa in questione in senso costituzionalmente orientato - cioe' nel senso di ritenere, in una visione sistematica dell'ordinamento comprensiva della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che il carattere naturalmente retroattivo della norma interpretativa trovi un limite nel rispetto del richiamato art. 6 della CEDU, e quindi diventi cedevole e non valga nel caso in esame - e' resa impossibile dal chiaro e inequivoco dettato del comma 775. Per altro verso, mentre la stessa Corte costituzionale, con una giurisprudenza inaugurata con la famosa sentenza n. 170 del 5 giugno 1984, discutibile e in dottrina discussa ma ormai da oltre un ventennio costantemente applicata, ha dichiarato che il giudice puo' e deve disapplicare il diritto interno in presenza di contrastanti norme comunitarie europee (oggi rectius norme dell'Unione europea), in virtu' di principi fatti discendere dall'art. 11 Cost., lo stesso non puo' dirsi di norme interne contrastanti con norme internazionali, come sono quelle, di derivazione pattizia, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Norme queste ultime, che - sebbene si sia tentato di inserirle nell'ordinamento dell'Unione europea con un espresso richiamo (vedasi trattato di Lisbona firmato il 13 novembre 2007) - non sono state tuttavia ancora «comunitarizzate» e rimangono pertanto mere norme internazionali, privo di efficacia diretta nell'ordinamento italiano. Da quanto teste' considerato, si deve dedurre che il solo modo per impedire l'applicazione delle norme dei commi 774-76 della legge 29 dicembre 2006, n. 296, ove ritenute incostituzionali, e' quello di sollevare formalmente davanti al giudice delle leggi la questione della loro compatibilita' con gli artt. 111 e 117 della Costituzione.