IL GIUDICE DI PACE Nel processo penale a carico di Njimi Rachid, nato in Marocco il 25 novembre 1974, residente in Treia, C. da Piangiano n. 12, libero contumace, imputato del reato di cui all'art. 10-bis del d.P.R. n. 286/1998, in relazione alla legge 15 luglio 2009, n. 94, perche' straniero si tratteneva nel territorio dello Stato italiano in violazione delle disposizioni sopra dette. In Fabriano il giorno 9 novembre 2009. Ha emesso la seguente ordinanza. Premesso in fatto L'imputato veniva tratto a giudizio per i fatti di cui alla rubrica. Veniva escusso quale teste il Maresciallo Orru il quale riferiva le circostanze nelle quali aveva sorpreso l'imputato in territorio di Serra San Quirico sprovvisto di titolo autorizzativo alla permanenza in Italia. Riferiva altresi' che nell'anno 2007 il Rachid era stato raggiunto da provvedimento questorile e successivamente da decreto di espulsione dal territorio dello Stato e che successivamente detti provvedimenti erano stati annullati dall'autorita' giudiziaria a seguito di ricorso proposto dall'odierno imputato. Il p.m. ha concluso chiedendo la condanna dell'imputato alla pena di € 5.000,00 di ammenda mentre il difensore istava per l'assoluzione dell'imputato con ampia formula e sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis in quanto in contrasto con gli artt. 2, 3,10, 27 e 117 della Carta costituzionale riportandosi a quanto gia' sul punto argomentato nell'ordinanza di rimessione del giudice monocratico di Pesaro, e nelle eccezioni sollevate dalla Procura della Repubblica di Bologna e di Agrigento che produceva. Osserva poiche' non risulta agli atti alcun provvedimento di espulsione a carico del prevenuto ed anzi dalla deposizione testimoniale del m.llo Orru e' emerso che detto provvedimento, seppure in passato emesso, e' stato annullato, deve ritenersi che la condotta dell'imputato, il quale si tratteneva nel territorio italiano privo di titoli autorizzativi, configuri il reato di cui all'art. 10-bis introdotto con la legge n. 94/2009. La questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa, seppure non organicamente argomentata in quanto, espressa con riferimento a quelle analoghe gia' sollevate ed in parte gia' inviate per il vaglio alla Corte costituzionale, non si appalesa manifestamente infondata ed appare degna di approfondimento. Recita l'art. 10-bis del decreto legislativo n. 286/1998, introdotto dalla legge n. 94/ 2009, entrata in vigore in data 8 agosto 2009: «Salvo che il fatto non costituisca piu' grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonche' dl quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, e' punito con l'ammenda da € 5.000,00 a 10.000 euro». Si tratta di una disposizione che introduce due nuove fattispecie contravvenzionali, la prima di natura istantanea (ingresso illegale nel territorio dello Stato), la seconda permanente (soggiorno illegale nel territorio dello Stato). La condotta dell'odierno imputato, cosi' come contestata nel capo di imputazione configura la seconda ipotesi di cui all'art. 10-bis integrandone tutti gli elementi: il trattenersi illegalmente nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del testo unico, precisamente dell'art. 5 che prevede la necessita' del permesso di soggiorno o di altro titolo legalmente rilasciato. Ritiene questo giudice che la norma si ponga in contrasto con alcuni principi fondamentali sanciti dalla nostra Carta costituzionale di talche' non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma medesima sotto diversi profili: Contrasto con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo dell'irragionevolezza della scelta di far discendere una sanzione di tipo penale della condotta di chi si introduce o si intrattiene clandestinamente nel territorio nazionale. Nel corso dei lavori preparatori e successivamente alla promulgazione della legge sono state sollevate osservazioni critiche nei confronti della legge ed in particolare delle nuove figure di reato di cui al predetto art. 10-bis ritenuto contrario ai principi della Carta costituzionale ed altresi' in contrasto con l'orientamento gia' espresso dal giudice delle leggi. Nell'appello sottoscritto da un nutrito gruppo di giuristi italiani in data 30 giugno 2009 si sottolinea l'irragionevolezza e la carenza di fondamento giustificativo della nuova figura di reato. Ne' tale giustificazione puo' essere ricercata nella valutazione di pericolosita' sociale delle condotte penalmente perseguite che si risolvono in un «modo di essere», in una condizione della persona: quella di migrante irregolare. La Corte costituzionale nell'ambito del pronunciamento n. 78 del 2007 ha escluso che possa dedursi la pericolosita' sociale di un soggetto sulla sola scorta di un dato «estrinseco e formale» quale il difetto di titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato. Per tale ragione appare non individuabile il bene giuridico che il legislatore intende tutelare con tale sistema sanzionatorio. Inoltre la norma appare lesiva della fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si puo' essere puniti solo per fatti materiali e cioe' per cio' che si fa e non per cio' che si e'. Va altresi' ricordato che la Corte costituzionale con il pronunciamento n. 5/2004, pur riconoscendo al legislatore il potere di «regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati» nell'ambito della propria sfera di discrezionalita', tuttavia afferma che tale potere trova limite insuperabile nel rispetto dei principi fondamentali del sistema penale stabiliti dalla Costituzione ed ispirati a criteri di ragionevolezza e di razionalita'. La finalita' perseguita dal legislatore appare con tutta evidenza essere l'allontanamento dello straniero irregolare. L'espulsione e' infatti prevista come sanzione sostitutiva irrogabile dal giudice ai sensi del decreto legislativo n. 286/87, che, all'uopo modificato comprende ora tra i suoi presupposti la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 10-bis. Inoltre, l'effettiva espulsione dello straniero in via amministrativa costituisce causa di non procedibilita' per il reato di cui all'art. 10-bis. Se e' vero, come, per quanto sopra evidenziato, e' vero, che la previsione della norma e' strumentale all'allontanamento dello straniero, essa appare vieppiu' irragionevole anche perche' del tutto inutile nella vigenza di una normativa atta a raggiungere il medesimo scopo. L'art. 13, comma 4, decreto legislativo 286/98 prevede infatti l'espulsione coattiva dello straniero irregolare. I presupposti sono i medesimi poiche' anche l'espulsione disposta dal giudice di pace come sanzione sostitutiva all'ammenda e' condizionata alla non ricorrenza dei motivi ostativi previsti dall'art. 14, comma 1, del richiamato decreto legislativo. Pertanto, essendo l'ambito di applicazione delta nuova figura contravvenzionale identico a quello della preesistente normativa sull'espulsione per esser identici i soggetti destinatari e la ratio che ad entrambe le norme sottende, l'adozione dello strumento penale si appalesa del tutto privo di qualsivoglia giustificazione. E' di tutta evidenza che la norma e' destinata a restare priva di effetti concreti nei confronti della stragrande maggioranza degli immigrati irregolari. Non e' infatti pensabile che essi possano essere in grado di fare fronte al pagamento della pesantissima sanzione prevista (di gran lunga la piu' alta nel minimo edittale, prevista per le contravvenzioni di competenza del giudice di pace). Non puo' pertanto seriamente pensarsi ad un effetto deterrente della pena. In realta' appare verosimile che la ratio della norma consista nella volonta' di predisporre strumenti tali da rendere difficile la vita all'immigrato irregolare emarginandolo ulteriormente e frapponendo ostacoli a qualsiasi attivita' di solidarieta' ed accoglienza nei suoi confronti. L'irragionevolezza, oltre all'inutilita', come sopra rilevata, della nuova fattispecie penale, emerge anche sotto un altro profilo sempre relativamente al sistema sanzionatorio adottato. L'attribuzione della competenza al giudice di pace penale ha come conseguenza, non essendo il decreto legislativo 274/2000 modificato su questo punto, l'impossibilita' per il condannato di usufruire della sospensione condizionale della pena. ll decreto legislativo 274/2000 e' stato invece modificato con l'introduzione dell'art.62-bis che consente al giudice di applicare la sanzione sostitutiva dell'espulsione in luogo dell'ammenda prevista dall'art. 10-bis. Orbene, appare evidente che questo rappresenta l'unica ipotesi nella quale una sanzione sostitutiva e' piu' afflittiva di quella sostituita. A ben vedere la sanzione sostitutiva appare l'unica che possa avere effetti concreti per quanto sopra si e' detto riguardo l'inesigibilita' in concreto dell'ammenda. Il che rivela con chiarezza la vera ratio della norma: l'allontanamento dello straniero dallo Stato. E ne conferma l'irragionevolezza nella vigenza di una normativa che gia' prevede la possibilita' di espulsione in via amministrativa e la sanzione penale per la violazione dell'ordine questorile di allontanamento. Contrasto con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della disparita' di trattamento di medesime condotte. L'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/98, prevede l'allontanamento dello straniero inottemperante all'ordine di allontanamento del questore solo quando il trattenimento nel territorio dello Stato superi il tempo stabilito e non si adducano «giustificati motivi». La nuova fattispecie di reato non consente all'imputato di giustificare la propria permanenza ne' concede al medesimo un tempo per sottrarsi al processo allontanandosi, ad esempio, volontariamente dal territorio dello Stato una volta che, per qualsiasi motivo venga meno il permesso di soggiorno. Ne' gli sara' possibile usufruire di un periodo di tempo per regolarizzare la propria posizione presentando la relativa domanda in forza della nuova normativa entrata in vigore dopo l'art. 10-bis. Oltre all'irrazionale disparita' di trattamento tra le due fattispecie criminose, come rilevato, tese entrambe a sanzionare la medesima condotta (ingresso o trattenimento clandestino) va stigmatizzato il loro insanabile contrasto. I presupposti richiesti per l'emanazione del provvedimento del questore sono: esistenza di un provvedimento prefettizio di espulsione; impossibilita' di eseguire l'espulsione coattivamente; impossibilita' di trattenere lo straniero nei CPT per la decorrenza del termine massimo. Prima dell'introduzione della nuova figura di reato di cui all'art. 10-bis, la sanzione penale conseguiva alla mancata esecuzione dell'ordine di allontanamento del questore a meno che lo straniero non adducesse giustificati motivi. Ora, in presenza della previsione del nuovo reato, lo straniero viene immediatamente sanzionato, senza che possa addurre giustificati motivi per la sua condotta ed a prescindere dalla sussistenza di quei presupposti sopra richiamati. La sperequazione e' evidente. Lo straniero che, nonostante sia stato raggiunto da un decreto di espulsione e da un ordine di allontanamento del questore, continui a trattenersi nel territorio dello Stato senza permesso di soggiorno puo' sfuggire alla sanzione penale di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 286/98, adducendo «giustificati motivi» e non puo' essere perseguito per il reato di cui all'art. 10-bis, mentre quello che sia divenuto irregolare, in quanto si trova, per i piu' svariati, e a quanto pare irrilevanti, motivi, con il permesso di soggiorno scaduto anche da pochi giorni e' immediatamente sanzionabile e sostanzialmente privato di ogni possibilita' di difesa non essendo ammesso a motivare la propria condotta. Va ricordato che il Presidente della Repubblica nella lettera inviata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti delle Camere in data 15 luglio 2009, immediatamente dopo la promulgazione della legge n. 94/2009 ha evidenziato, come motivo di preoccupazione: «... la circostanza che la nuova ipotesi di trattenimento indebito non preveda l'esimente della permanenza determinata da "giustificato motivo"». La Corte costituzionale con le sentenze n. 57/2004 e 22/2007) in relazione alla previsione di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 286/98, ha sottolineato il rilievo che l'esimente puo' avere ai fini della «tenuta costituzionale di disposizioni del genere di quella ora introdotta». Essa e' stata considerata atta ad evitare: «che la sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione - l'osservanza appaia concretamente inesigibile», per motivi riconducibili «a situazioni ostative di particolar pregnanza, che incidano sulla stessa possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempiere all'intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa». Contrasto con l'art. 3 e l'art. 25, secondo comma della Costituzione. A ben vedere, come sopra accennato, e come da qualcuno opportunamente rilevato (v. eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dalla Procura di Torino), cio' che la fattispecie di nuova introduzione intende sanzionare penalmente e', solo apparentemente una condotta, mentre il vero oggetto dell'incriminazione e' la semplice condizione personale, di per se' non suscettibile di concreta rilevanza penalistica in quanto non di per se' lesiva di un bene giuridicamente tutelato o tutelabile. La nuova fattispecie di reato si risolve pertanto in una criminalizzazione ingiustificata e, per quanto si e' detto, inutile sotto il profilo della deterrenza e dell'afflizione, del migrante economico cosi' da apparire in contrasto con l'art. 3 della Carta che vieta ogni discriminazione fondata, tra l'altro, su condizioni personali e sociali, sia con la fondamentale garanzia costituzionale di cui all'art. 25 della Costituzione secondo la quale si puo' essere puniti soltanto per fatti materiali. La gia' ricordata sentenza n. 78 del 2007, oltre ad affermare il principio secondo il quale lo status di clandestino non costituisce di per se' presupposto per una diagnosi di pericolosita' sociale, precisa che in tale condizione non puo' ravvisarsi la giustificazione per escludere il soggetto, tra l'altro, dal percorso rieducativo cui tende la concessione di eventuali misure alternative alla detenzione. Detto pronunciamento risulta vanificato sul piano applicativo dal tenore della nuova norma proprio perche' il solo «essere clandestino» comporta una presunzione di pericolosita', peraltro non superabile con prova contraria che non appare ammessa, non essendo rilevanti, come sopra evidenziato, eventuali «giustificati motivi» dello status di clandestinita'. L'orientamento della Corte costituzionale espresso nella citata sentenza conferma una posizione gia' in passato ripetutamente assunta dal giudice delle leggi: in occasione della declaratoria di illegittimita' costituzionale: dell'art. 708 c.p. proprio nella parte in cui venivano in rilievo le condizioni personali del condannato per mendicita', di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale e a cauzione di buona condotta (sent. 110/1968); dell'art. 707 c.p. limitatamente alla parte in cui faceva riferimento alle medesime condizioni personali (sent. 14/71) ed infine con la censura di incostituzionalita' delle residue previsioni di cui all'art. 708 c.p. sent. 370/96). Qui la Corte stigmatizza «l'irragionevolezza della limitazione delle condizioni soggettive punibili ad una sola categoria di persone» che attribuisce rilevanza a circostanze di per se' neutre (come il possesso di denaro o di oggetti di valore) solo in quanto riferibili ad un soggetto che fosse pregiudicato per alcune categorie di reati. Contrasto con l'art. 2 della Carta che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale. Il rilievo e' contenuto altresi' nella questione di legittimita' costituzionale sollevata in relazione al nuovo art. 10-bis introdotto con la legge 15 luglio 2009, n. 94, sollevata dalla Procura di Torino ed e' pienamente condivisibile. Si osserva infatti che in occasione della declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 670 c.p., la Corte costituzionale con sentenza 519/95 ebbe ad affermare testualmente: «Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le societa' piu' avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, si' che ... non si puo' non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a nascondere la miseria e a considerare le persone in condizioni di poverta' come pericolose e colpevoli...» Ma la coscienza sociale ha compiuto un ripensamento a fronte di comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente per un'ordinata convivenza e la societa' civile - consapevole dell'insufficienza dell'azione dello Stato - ha attivato autonome risposte, come testimoniano le organizzazioni di volontariato che hanno tratto la loro ragion d'essere, e la loro regola, dal valore costituzionale della solidarieta'». Il ragionamento perfettamente si attaglia anche alla situazione dei migranti economici, che sono i nuovi poveri e le cui condizioni soggettive non possono di per se' costituire, in un paese civile, presupposto per l'attivazione dello strumento penale. Contrasto con l'art. 10 della Carta costituzionale in quanto viola i principi affermati in materia di immigrazione nel diritto internazionale generalmente riconosciuto e con l'art. 117 con riferimento agli obblighi internazionali assunti dall'Italia in materia di trattamento dei migranti. La regolamentazione dei fenomeni di immigrazione di massa e' un'esigenza legittima non negata dalle convenzioni internazionali ed affermata nelle legislazioni nazionali. Tuttavia nelle convenzioni internazionali, la condizione dello straniero, anche di quello non «regolare» viene approcciata con comprensione e senso di solidarieta' nella consapevolezza che queste persone lasciano il proprio paese poiche' oppressi dalla poverta' e dal bisogno. Louise Arbour, alto commissario ONU per i diritti umani, il 18 giugno 2008, dopo l'approvazione da parte del Parlamento Europeo della direttiva sui respingimenti e sulle espulsioni ha affermato: «e' il momento di concedere gli stessi benefici anche a coloro che vivono sotto la minaccia di un'estrema poverta', della fame, delle malattie, soprattutto quelle epidemiche, pericoli dai quali hanno diritto di tentare di fuggire». Le convenzioni OIL e ONU riconoscono come persone e soggetti di diritti tutti i migranti, sia regolari che non regolari (art. 24 ONU). L'art. 1 della conv. OIL dichiara che «ogni membro per cui la presente convenzione sia in vigore s'impegna a rispettare i diritti fondamentali dell'uomo di tutti i lavoratori migranti». Tra questi deve comprendersi il diritto al lavoro ed alla possibilita' di assicurare a se' ed alla propria famiglia un'esistenza conforme alla dignita' umana, solennemente proclamato dall'art. 23 della Dichiarazione Universale. L'art. 19 della convenzione ONU, oltre all'enunciazione del principio di legalita' della legge penale, al 2° comma, formulando come un suggerimento a legislatori e giudici nei processi penali contro stranieri migranti, regolari e non regolari, recita testualmente: «Si dovrebbe tenere conto di considerazioni umanitarie relative alla condizione di un lavoratore emigrante, in particolare rispetto al suo diritto di residenza o lavoro, nell'emanare una sentenza per un reato commesso da un lavoratore emigrante o da un membro della sua famiglia». Dal tenore delle convenzioni internazionali emerge una figura di migrante, anche se non regolare, come persona dotata di piena dignita' umana e degna del massimo rispetto nella sua ricerca di condizioni di vita piu' umane. Cio' non esclude che gli stranieri debbano assoggettarsi alla normativa dello Stato che li accoglie, la quale stabilisce e disciplina i criteri in base ai quali la permanenza del migrante puo' essere regolarizzata. La norma di cui all'art. 117 della Carta pone «l'obbligo per il legislatore ordinario di rispettare le norme poste dai trattati e dalle convenzioni internazionali, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con gli obblighi internazionali» di cui all'art. 117 primo comma, viola per cio' stesso tale parametro costituzionale. Ne consegue che spetta al giudice interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, ove cio' sia possibile ed ove non lo sia e ove il giudice dubiti della compatibilita' della norma interna con la disposizione convenzionale egli dovra' doverosamente proporre questione di legittimita' costituzionale (sent. Corte costituzionale n. 349/2007). Correttamente, a parere di questo giudice, la Procura di Agrigento, nel sollevare la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 10-bis ha rilevato la sua incompatibilita' con i parametri di cui al citato art. 117 della Costituzione ponendo in rilievo quanto si legge nel Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalita' organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti. In particolare l'art. 6 del Protocollo prevede che «ogni Stato Parte adotta le misure legislative... per conferire il carattere di reato ai sensi del suo diritto interno...» ad alcune condotte (traffico di migranti, fabbricazione di falsi documenti di viaggio, fatto di permettere ad una persona che non e' cittadina o residente permanente di rimanere nello Stato interessato senza soddisfare i requisiti necessari per permanere legalmente nello Stato, etc.), mentre l'art. 5 stabilisce che «i migranti non diventano assoggettati all'azione penale fondata sul presente Protocollo per il fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all'art. 6» e l'art. 16 obbliga gli Stati contraenti a prendere «misure adeguate, comprese quelle di carattere legislativo se necessario, per preservare e tutelare i diritti delle persone che sono state oggetto delle condotte di cui all'art. 6» nonche' a fornire «un'assistenza adeguata ai migranti la cui vita o incolumita' e' in pericolo dal fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all'art. 6». Appare evidente che la norma di cui all'art. 10-bis, comportando l'incriminazione di persone che si trovano in una condizione rispetto alla quale si e' assunto l'impegno di assisterle e proteggerle, rappresenti un'aperta violazione delle disposizioni sopra enunciate specie laddove non ammette che l'accertata «clandestinita'» possa in alcun modo essere «giustificata» da situazioni particolari anche indipendenti dalla volonta' dell'irregolare. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, che appaiono rilevanti e non manifestamente infondate, e' da ritenersi che l'art. 10-bis introdotto con la legge 15 luglio 2009 n. 94, nella parte in cui prevede come reato il soggiorno illegale nel territorio dello Stato appare in contrasto con la Carta costituzionale in relazione agli artt. 2, 3, 10, 25 e 117 della Carta Costituzionale.