Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  5,  comma  3,
decreto  legislativo  del  26  maggio  1997,  n.  153   (Integrazione
dell'attuazione della direttiva 91/308/CEE in materia di  riciclaggio
dei capitali di provenienza  illecita),  promosso  dal  Tribunale  di
Catania nel procedimento penale a carico  di  Y.  I.  ed  altri,  con
ordinanza del 17  luglio  2008,  iscritta  al  n.  226  del  registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 37, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 27 gennaio  2010  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il  Tribunale
di Catania, in composizione monocratica, ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 5,  comma  3,  del  decreto
legislativo 26 maggio  1997,  n.  153  (Integrazione  dell'attuazione
della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali  di
provenienza illecita), in riferimento agli articoli 25, 76 e 77 della
Costituzione, nella parte in cui «commina pene  superiori  ai  limiti
edittali indicati nella  legge  delega  n.  52/1996  e  individua  la
fattispecie  di  reato  del  trasferimento  di  fondi  fissandone  la
relativa disciplina sanzionatoria»; 
        che il giudice a quo riferisce di essere chiamato a  trattare
un processo promosso  nei  confronti  di  tre  persone  imputate  del
delitto previsto e punito dagli articoli 110 del codice penale  e  5,
commi 2 e 3, del d.lgs. n. 153 del 1997 perche', in concorso tra loro
e nelle qualita' di cui all'imputazione,  esercitavano  attivita'  di
«money transfer» (incasso  e  trasferimento  di  denaro  su  circuito
internazionale), senza la prevista  iscrizione  nell'apposito  elenco
degli agenti in  attivita'  finanziaria  istituito  presso  l'Ufficio
Italiano Cambi; 
        che, ad avviso del rimettente,  la  previsione,  operata  dal
legislatore delegato, della fattispecie delittuosa di cui all'art. 5,
comma 3, del d.lgs. n.  153  del  1997,  in  riferimento  all'abusiva
attivita' di «money transfer», non e'  attuativa  di  alcun  criterio
direttivo contenuto nell'art. 15 della legge delega  del  6  febbraio
1996, n. 52 (Disposizioni per  l'adempimento  di  obblighi  derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee.   Legge
comunitaria 1994), perche' detta legge, con il citato art. 15,  comma
1, lettera c), ha richiamato,  per  l'individuazione  della  condotta
incriminata e per le sanzioni da applicare, il decreto-legge 3 maggio
1991, n. 143 (Provvedimenti urgenti per limitare l'uso del contante e
dei titoli al portatore  nelle  transazioni  e  prevenire  l'uso  del
sistema  finanziario  a  scopo  di  riciclaggio),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 5  luglio  1991,  n.  197,  il  quale  non
contiene disposizioni che puniscono come delitto condotte consistenti
nell'esercizio   professionale   di   attivita'   finanziarie   senza
iscrizione nell'elenco istituito presso l'autorita' di controllo; 
        che, inoltre, la norma censurata si pone in contrasto  con  i
criteri direttivi stabiliti dalla legge delega, perche' introduce una
fattispecie di reato e una pena non previste dalla normativa  di  cui
al d.l. n. 143 del 1991, alle cui disposizioni i decreti  legislativi
attuativi dovevano attenersi e che,  all'atto  dell'emanazione  della
stessa legge delega, contemplava soltanto  ipotesi  di  reato  aventi
natura contravvenzionale; 
        che, secondo il giudice a quo, e' violato  anche  il  dettato
dell'art. 25 Cost., in quanto «il principio di legalita'  nell'ambito
del diritto penale implica che le fattispecie di reato siano previste
dalla  legge»,  mentre  l'individuazione   della   condotta   oggetto
dell'imputazione e' avvenuta in  seguito  alla  introduzione  di  una
norma regolamentare (nella specie, il  decreto  ministeriale  del  13
dicembre 2001, n. 485), in  insanabile  contrasto  con  il  principio
della riserva di legge in  materia  penale  previsto  dal  menzionato
precetto costituzionale; 
        che,  in  conclusione,  la  questione  appare  rilevante  nel
giudizio a quo e  non  manifestamente  infondata  in  riferimento  ai
parametri di cui agli artt. 25, 76 e 77 Cost.; 
        che,  nel  giudizio  di   legittimita'   costituzionale,   e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione sia dichiarata manifestamente inammissibile, in  quanto  il
giudice a quo sarebbe incorso  in  errore  nell'individuazione  della
«norma interposta», perche' tra i  principii  stabiliti  dalla  legge
delega n. 52 del 1996 dev'essere considerato non soltanto il disposto
dell'art. 15  (che  detta  i  criteri  direttivi  specifici  ai  fini
dell'integrazione  dell'attuazione  della  direttiva  91/308/CE),  ma
anche quello dell'art. 3, comma 1, lettera c), che  -  ricalcando  le
formulazioni di solito utilizzate nelle «leggi comunitarie» - abilita
il legislatore delegato a prevedere, ove  necessario  per  assicurare
l'Osservanza delle disposizioni contenute  nei  decreti  legislativi,
sanzioni amministrative e penali per le  infrazioni  alle  norme  dei
decreti stessi ed individua, altresi',  i  criteri  di  scelta  delle
sanzioni in collegamento con la natura degli interessi lesi e con  il
tipo di aggressione ad essi recata, tra l'altro  stabilendo  che  «In
ogni caso, in deroga ai limiti sopraindicati, per le infrazioni  alle
disposizioni dei decreti legislativi saranno previste sanzioni penali
o amministrative identiche  a  quelle  eventualmente  gia'  comminate
dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee  e  di  pari
offensivita' rispetto alle infrazioni medesime»; 
        che, sulla base di tale principio, l'eccesso di  delega  deve
ritenersi escluso nel caso in esame, «se  nell'ordinamento  giuridico
sia possibile rintracciare almeno una norma  che  abbia  il  medesimo
regime sanzionatorio di quella censurata» e si presenti in termini di
sostanziale omogeneita' con la stessa; 
        che, in effetti, tale norma s'identifica  nell'art.  132  del
decreto legislativo 1° settembre 1993,  n.  385  (Testo  unico  delle
leggi in  materia  bancaria  e  creditizia),  il  quale  prevede  una
fattispecie coincidente, sia per  la  cornice  edittale  sia  per  la
struttura, con la norma censurata; 
        che la sostanziale omogeneita' delle due ipotesi di reato non
puo' essere posta in dubbio, in quanto  entrambe  si  riferiscono  ad
attivita'  assimilabili,  proprio  in  ragione   della   «particolare
suscettibilita' di utilizzazione a fini di riciclaggio per  il  fatto
di  realizzare  l'accumulazione  o  il   trasferimento   di   ingenti
disponibilita' economiche o finanziarie o risultare comunque  esposte
ad infiltrazioni da parte della criminalita' organizzata»  (art.  15,
comma 1, lettera c, della legge n. 52 del 1996). 
    Considerato  che  il   rimettente   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 5,  comma  3,  del  decreto  legislativo  26
maggio 1997, n. 153  (Integrazione  dell'attuazione  della  direttiva
91/308/CEE in materia di  riciclaggio  dei  capitali  di  provenienza
illecita),  in  riferimento  agli  articoli  25,  76   e   77   della
Costituzione, «nella parte in cui commina pene  superiori  ai  limiti
edittali indicati nella  legge  delega  n.  52/1996  e  individua  la
fattispecie  di  reato  del  trasferimento  di  fondi  fissandone  la
relativa disciplina sanzionatoria»; 
        che, ad avviso del giudice a quo,  l'art.  5,  comma  3,  del
d.lgs. n. 153 del 1997 si pone in contrasto con i  criteri  direttivi
contenuti nell'art. 15, comma 1, lettera c), della legge delega del 6
febbraio 1996, n. 52  (Disposizioni  per  l'adempimento  di  obblighi
derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee. Legge
comunitaria 1994); 
        che, infatti, il detto  art.  15,  per  la  previsione  della
condotta incriminata e per le sanzioni da applicare,  fa  riferimento
al decreto-legge 3 maggio 1991, n.  143  (Provvedimenti  urgenti  per
limitare  l'uso  del  contante  e  dei  titoli  al  portatore   nelle
transazioni e prevenire l'uso del  sistema  finanziario  a  scopo  di
riciclaggio), il quale disciplina fattispecie di reato differenti,  e
aventi soltanto natura contravvenzionale, rispetto  alla  fattispecie
introdotta   dalla   norma    censurata,    relativa    all'esercizio
professionale di attivita' finanziarie senza  iscrizione  nell'elenco
istituito presso l'autorita' di controllo; 
        che  il  rimettente  valuta,  tuttavia,  la  sussistenza  del
rilevato vizio di eccesso di  delega  esclusivamente  alla  luce  dei
criteri specifici dettati dall'art. 15 della legge n. 52 del 1996  ai
fini dell'integrazione dell'attuazione  della  direttiva  91/308/CEE,
senza tenere conto dei  criteri  generali  stabiliti  dalla  medesima
legge anche in tema di disciplina  delle  sanzioni:  criteri,  questi
ultimi, la cui applicabilita' non e' esclusa dai primi; 
        che, secondo un approccio tipico delle  «leggi  comunitarie»,
la legge n. 52 del 1996 ha delegato il Governo ad emanare  i  decreti
legislativi recanti le norme necessarie per  dare  attuazione  ad  un
complesso di direttive comunitarie,  indicate  nell'allegato  A  alla
medesima legge (art. 1),  fra  le  quali  e'  compresa  la  direttiva
91/308/CEE in tema di prevenzione dell'uso del sistema finanziario  a
scopo di riciclaggio dei proventi di attivita' illecite; 
        che la medesima legge n. 52 del 1996 reca, altresi', all'art.
3, un insieme di criteri  e  principii  direttivi  «generali»,  cioe'
valevoli per tutti i decreti legislativi da emanare, salvi i principi
specifici dettati dai successivi articoli in relazione  alle  singole
materie, ed  in  aggiunta  a  quelli  contenuti  nelle  direttive  da
attuare; 
        che,   inoltre,   con   particolare   riguardo    all'assetto
sanzionatorio, la lettera c)  del  citato  art.  3  -  ripetendo  una
formula corrente  nelle  «leggi  comunitarie»  -  stabilisce  che  il
legislatore delegato puo' introdurre sanzioni amministrative e penali
per le infrazioni alle  disposizioni  dei  decreti  legislativi,  ove
necessario al fine  di  assicurarne  l'osservanza,  entro  il  limite
dell'ammenda fino a lire duecento milioni e dell'arresto fino  a  tre
anni, quanto alle sanzioni penali, e sempre che le infrazioni  ledano
o espongano a pericolo «interessi generali  dell'ordinamento  interno
del tipo di quelli tutelati dagli  artt.  34  e  35  della  legge  24
novembre 1981, n. 689»; 
        che la medesima disposizione, tuttavia, aggiunge che «In ogni
caso, in deroga ai limiti sopra  indicati,  per  le  infrazioni  alle
disposizioni dei decreti legislativi saranno previste sanzioni penali
o amministrative identiche  a  quelle  eventualmente  gia'  comminate
dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee  e  di  pari
offensivita' rispetto alle infrazioni medesime»; 
        che - come emerge  chiaramente  dalla  relazione  integrativa
allo schema del d.lgs. n. 153 del  1997  -  proprio  sulla  base  del
criterio generale di delega  ora  indicato,  e  non  gia'  di  quelli
specifici di cui all'art. 15 della  medesima  legge,  il  legislatore
delegato ha inteso emanare la norma incriminatrice di cui si discute:
e cio' sul rilievo che la fattispecie di  abusivismo  contemplata  da
tale norma risulterebbe omogenea e di pari offensivita'  rispetto  al
delitto di  abusiva  attivita'  finanziaria  previsto  dall'art.  132
decreto legislativo del 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico  delle
leggi in materia  bancaria  e  creditizia),  nonche'  al  delitto  di
abusivo esercizio dell'attivita' di mediazione  creditizia,  previsto
dall'art. 16, comma 7, della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni
in materia di usura), reati al cui trattamento sanzionatorio e' stato
quindi allineato quello dell'ipotesi criminosa di cui si discute; 
        che, pertanto, come eccepito dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il rimettente ha individuato in modo errato la norma di delega
alla cui  stregua  va  apprezzata  la  sussistenza  della  violazione
dedotta con riferimento agli artt.  76  e  77  Cost.,  svolgendo  per
conseguenza argomentazioni inconferenti ai fini di tale  valutazione,
il che rende  la  questione  sollevata  manifestamente  inammissibile
(sentenza n. 382 del 2004; ordinanza n. 72 del 2003); 
        che i rilievi fin qui  svolti  sono  stati  gia'  esposti  da
questa Corte nelle ordinanze n. 73 del 2009 e n. 194 del  2008,  che,
sulla base di essi, hanno dichiarato  la  manifesta  inammissibilita'
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale,   sollevate   nei
confronti della medesima norma, qui denunciata  in  riferimento  agli
artt. 76 e 77 Cost.; 
        che i detti rilievi non sono stati  in  alcun  modo  superati
dall'ordinanza di rimessione indicata in epigrafe; 
        che, inoltre, le censure  sollevate  dal  giudice  a  quo  in
riferimento alla violazione del parametro di cui  all'art.  25  Cost.
risultano generiche e, comunque, affermando  che  il  precetto  della
norma  incriminatrice  sarebbe  stato  individuato  con  il   decreto
ministeriale del 13 dicembre 2001, n.  485  (Regolamento  emanato  ai
sensi dell'articolo 3 del  d.lgs.  25  settembre  1999,  n.  374,  in
materia  di  agenzia  in  attivita'   finanziaria),   trascurano   di
considerare che gia' l'art. 106, comma 1, del d.lgs. n. 385 del  1993
(nel testo originario) prevedeva che l'esercizio delle  attivita'  di
prestazione di servizi  di  pagamento,  nel  cui  novero  rientra  il
trasferimento di fondi, fosse  riservato  a  intermediari  finanziari
iscritti in apposito elenco, mentre i servizi di incasso, pagamento e
trasferimento  di  fondi  erano  espressamente  menzionati   tra   le
attivita' di intermediazione  finanziaria  nell'ambito  dello  stesso
d.l. n. 143 del 1991 (art. 4, comma 2); 
        che, pertanto, contrariamente a quanto assume il  rimettente,
l'individuazione della condotta contestata non  e'  avvenuta  con  il
citato decreto ministeriale, il quale si e' limitato  a  disciplinare
l'elenco previsto dall'art. 3 del decreto  legislativo  25  settembre
1999, n. 374 (Estensione delle disposizioni in materia di riciclaggio
dei  capitali  di  provenienza  illecita  ed  attivita'   finanziarie
particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di  riciclaggio,
a norma dell'art. 15 della legge 6 febbraio 1996, n. 52). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.