Ricorso della Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta regionale e legale rappresentante pro tempore, On. Agazio Loiero, in ragione di deliberazione della Giunta regionale n. 22 del 28 gennaio 2010 e di decreto del Dirigente dell'Avvocatura regionale prot. n. 221 del 1° febbraio 2010 di conferimento dell'incarico e giusta procura speciale a margine del presente atto rappresentata e difesa dall'Avv. Prof. Massimo Luciani, presso il cui studio in Roma, Via Bocca di Leone, n. 78, e' elettivamente domiciliata, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 187, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», pubblicata in Gazzetta Ufficiale 30 dicembre 2009, n. 302, S.O., ove si prevede che «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle comunita' montane previsto dall'articolo 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunita' montane. Nelle more dell'attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30 per cento delle risorse finanziarie di cui al citato articolo 34 del decreto legislativo n. 504 del 1992 e alle citate disposizioni di legge relative alle comunita' montane e' assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con decreto del Ministero dell'interno. Ai fini di cui al secondo periodo sono considerati comuni montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si trovi al di sopra dei 600 metri sopra il livello del mare». F a t t o 1. - L'art. 34, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, stabiliva che «A decorrere dall'anno 1994, lo Stato concorre al finanziamento dei bilanci delle amministrazioni provinciali e dei comuni con l'assegnazione dei seguenti fondi: a) fondo ordinario; b) fondo consolidato; c) fondo perequativo degli squilibri di fiscalita' locale». Il comma 3 del medesimo articolo, a sua volta, stabiliva che «Lo Stato potra' concorrere, altresi', al finanziamento dei bilanci delle amministrazioni provinciali, dei comuni e delle comunita' montane, anche con un fondo nazionale ordinario per gli investimenti, la cui quantificazione annua e' demandata alla legge finanziaria, ai sensi dell'art. 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468, come modificata dalla legge 23 agosto 1988, n. 362», mentre il comma 4 stabiliva che «Per le comunita' montane lo Stato concorre al finanziamento dei bilanci, ai sensi del comma 1, con assegnazione a valere sui fondi di cui alle lettere a) e b)». Veniva consolidato, in questo modo, il principio del concorso dello Stato al finanziamento delle comunita' montane, principio mantenutosi intatto (salve le diverse determinazioni quantitative del finanziamento, di cui si dira') sino all'avvento della normativa qui impugnata. 2. - In effetti, assai di recente, lo Stato e' intervenuto ulteriormente in materia di comunita' montane e sul loro finanziamento. Anzitutto, con la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), che, all'art. 2, commi 17 sgg., ha dettato una serie di previsioni per il contenimento delle spese di funzionamento delle comunita' montane, nonche' criteri per la composizione dei loro organi consiliari (i commi 17 e 21 sono stati poi marginalmente modificati dall'art. 4-bis, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97, conv. in legge 2 agosto 2008, n. 129). In secondo luogo, con l'art. 76, comma 6-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008, n. 113, il quale ha previsto che «Sono ridotti dell'importo di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 i trasferimenti erariali a favore delle comunita' montane. Alla riduzione si procede intervenendo prioritariamente sulle comunita' che si trovano ad una altitudine media inferiore a settecentocinquanta metri sopra il livello del mare. All'attuazione del presente comma si provvede con decreto del Ministro dell'interno, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze». L'art. 2, comma 187, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», che qui, appunto, si censura, giunge a brevissima distanza di tempo dalle previsioni legislative ora ricordate, ma, diversamente da quanto aveva fatto il d.lgs. n. 112 del 2008, non si limita a ridurre, ma addirittura sopprime il finanziamento statale alle comunita' montane. La radicale diversita' di questa scelta, adottata a cosi' poca distanza di tempo dalla prima, e' gia' di per se' dimostrazione del difetto di meditazione e dell'improvvisazione di un disegno legislativo che invece, in quanto pretende di essere manifestazione della potesta' statale di coordinamento della finanza pubblica, dovrebbe essere massimamente coerente e definito. 3. - La legge n. 244 del 2007 e il decreto-legge n. 112 del 2008, nelle parti che qui interessano, sono stati fatti oggetto di numerose censure da parte di varie Regioni. Su di esse codesta ecc.ma Corte costituzionale si e' pronunciata con le sentt. n. 237 del 2009 e 27 del 2010, sulle quali si tornera' ampiamente piu' avanti. 4. - Ora, come gia' riportato in epigrafe, con la disposizione impugnata si stabilisce che «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle comunita' montane previsto dall'articolo 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunita' montane. Nelle more dell'attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30 per cento delle risorse finanziarie di cui al citato articolo 34 del decreto legislativo n. 504 del 1992 e alle citate disposizioni di legge relative alle comunita' montane e' assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con decreto del Ministero dell'interno. Ai fini di cui al secondo periodo sono considerati comuni montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si trovi al di sopra dei 600 metri sopra il livello del mare». Le previsioni normative denunciate in epigrafe sono costituzionalmente illegittime per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Violazione dell'art. 117, 4 comma, della Costituzione. Codesta ecc.ma Corte costituzionale ha piu' volte affermato che «la disciplina delle comunita' montane rientra nella competenza residuale delle Regioni» (cosi', da ultimo, la sent. n. 27 del 2010, ma v. anche sentt. nn. 244 e 456 del 2005; 397 del 2006; 237 del 2009). La residualita' di tale competenza determina una serie di importanti effetti sul piano dei rapporti fra le Regioni e lo Stato. 1.1. - E' di specifico interesse Osservare, in questa sede, che, come si legge chiaramente nella sent. n. 237 del 2009, la residualita' di tale competenza fa si' non solo che le Regioni possano (ovviamente) disciplinare le comunita' montane per il profilo della loro organizzazione e della loro attivita', ma altresi' che «rientr[i] nella potesta' legislativa delle Regioni disporne anche, eventualmente, la soppressione». Sopprimere, se del caso, le comunita' montane, pertanto, e' prerogativa esclusiva (in quanto residuale) delle Regioni. Quali sono, a questo punto, gli effetti dell'eliminazione del contributo statale al finanziamento delle comunita' montane? Appare evidente che tale eliminazione si risolve, in buona sostanza, nell'indiretta soppressione, in tutto o in parte, delle comunita' montane stesse. Non e' prevista, invero, nessuna compensazione che possa equilibrare questa cancellazione di risorse e consentire alle Regioni - nell'esercizio della loro competenza residuale - di scegliere se mantenere o meno in vita le comunita' montane e quali competenze affidare loro. In mancanza di entrate, infatti, le Regioni sono costrette a scegliere fra: a) la soppressione dell'istituto stesso della comunita' montana; b) la soppressione di alcune comunita' montane esistenti nella Regione; c) la drastica riduzione delle competenze degli enti, onde ridurre costi di gestione. Va da se' che le ultime due alternative sono del tutto aleatorie ed eventuali, in quanto presuppongono comunque che la Regione riesca a reperire, nel proprio bilancio, le somme necessarie a far fronte all'improvviso disimpegno statale, cio' che e' di per se' alquanto opinabile, considerata la scarsita' delle risorse a disposizione e la loro necessaria destinazione ad altri impieghi. Anche qualora le risorse fossero rinvenibili, tuttavia, le competenze regionali resterebbero comunque lese, perche' - come si e' detto - l'eliminazione del finanziamento statale, quanto meno, costringerebbe la Regione a disporre con legge la riduzione del numero o delle competenze delle comunita' montane. Cio' significa che lo Stato, con le previsioni normative impugnate, ha comunque compresso lo spazio decisionale disponibile per la legge regionale, costringendo la Regione all'adozione di scelte che altrimenti non avrebbe assunto. Cosa, questa, particolarmente inaccettabile nelle materie di competenza residuale, nelle quali, per definizione, le competenze regionali trovano la loro massima espansione, non avendo da confrontarsi con le concorrenti competenze dello Stato. 1.2. - La fondatezza della censura e' dimostrata da cio' che la normativa impugnata travolge tutti i fondi di finanziamento delle comunita' montane, determinando una situazione non sostenibile almeno in tutte quelle Regioni che, per la condizione economico-finanziaria in cui si trovano, non sono in grado di far fronte alla sottrazione di risorse cosi' determinatasi. Per quanto, in particolare, riguarda la Regione Calabria, e' ben noto che la Regione stessa e' tenuta ad attuare il piano di rientro dal disavanzo in materia sanitaria e l'Accordo stipulato ai sensi dell'art. 1, comma 180, legge n. 311 del 2004. Essa, poiche' la sanita' e' di gran lunga la materia nella quale maggiore e' lo sforzo economico-finanziario regionale, non e' dunque in grado di sottrarre preziose risorse alle necessita' cosi' determinatesi, sicche' la cancellazione dei finanziamenti statali alle comunita' montane ridonda in immediato pregiudizio delle sue attribuzioni costituzionali. 1.3. - Come si vede, nel paragrafo che precede e' stata data - si confida - la dimostrazione dell'insostenibilita' del pregiudizio determinato dalla legge statale, cosi' come richiesto dalla sent. n. 27 del 2010. A ben vedere, peraltro, tale dimostrazione non era, qui, nemmen necessaria, a causa dell'assoluta peculiarita' della fattispecie che ne occupa. La disciplina censurata, infatti, confessoriamente persegue proprio l'obiettivo della soppressione delle comunita' montane. Lo si desume agevolmente dal fatto che una (pur modesta) quota di finanziamenti statali e' devoluta ai Comuni montani (definiti, oltretutto, in modo arbitrario in base a quelle caratteristiche altimetriche che la Corte ha gia' dichiarato incongrue con la sent. n. 27 del 2010). In questo modo, infatti, si riconosce che: a) nei Comuni montani vi sono esigenze diverse da quelle tipiche dei Comuni non montani; b) il soddisfacimento di tali esigenze necessita di uno specifico sostegno finanziario (per compensare i maggiori costi determinati dalla particolare situazione oro-topografica di tali Comuni, la cui peculiarita' e' stata di recente ribadita anche dalla sent. n. 246 del 2009). Si riconosce anche, pero', che lo Stato ritiene che dette esigenze debbano essere soddisfatte direttamente dai Comuni e non dalle comunita' montane: solo cosi', infatti, si spiega che un finanziamento continui ad essere assicurato ai Comuni montani, mentre alle comunita' montane si sottrae qualunque risorsa. E' evidente, dunque, che lo Stato ha effettuato una precisa opzione di merito, preferendo i Comuni alle comunita' montane e con cio' solo invadendo l'ambito competenziale attributo dalla Costituzione alle Regioni, alle quali sole e' riservato il compimento di simili scelte, in una materia che ad esse e' affidata in via residuale. Si badi: non si va qui sostenendo che le comunita' montane godrebbero di una sorta di garanzia d'istituto, intesa come garanzia di esistenza di questo tipo di ente nel nostro ordinamento. Questo e' stato negato dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale e la Regione non sollecita alcun ripensamento in proposito. Quel che si lamenta, invece, e' che la sorte delle comunita' montane sia decisa da chi non ha competenza in materia (lo Stato), sottraendo la scelta a chi di quella competenza e' il legittimo titolare (le Regioni). Nulla di diverso da questo. E sul punto, si badi, la sent. n. 237 del 2009 si e' limitata a rigettare la prospettazione a tenor della quale gli enti in questione «non potrebbero essere soppressi ne' dalla legge statale, ne' dalla legge regionale», ma nulla ha espressamente detto su quale di tali leggi potrebbe determinare un simile effetto (e ha presupposto implicitamente, semmai, che cio' spetti alla legge regionale, in forza della residualita' della materia). 1.4. - Vero - come e' vero - quanto precede, non si potrebbe opporre che la cit. sent. n. 27 del 2010 ha affermato che, atteso che «la disciplina delle comunita' montane rientra nella competenza residuale delle Regioni», sono «le Regioni che, in base all'art. 119 Cost., devono provvedere al loro finanziamento insieme ai Comuni di cui costituiscono la "proiezione"», sicche' «la progressiva riduzione del finanziamento statale relativo alle suddette comunita' montane non contrasta con la giurisprudenza di questa Corte in materia di autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali», in quanto (come gia' si leggeva nella sent. n. 237 del 2009) essa e' «effettivamente espressione di principi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica». A simile, eventuale, obiezione sarebbe agevole replicare, anzitutto, che la sentenza in commento si e' occupata specificamente della fattispecie della «progressiva riduzione» del finanziamento statale, non certo della sua eliminazione, cio' che, come si dira' nei successivi motivi del presente ricorso, ha un rilievo determinante. In secondo luogo, che non puo' logicamente appartenere al novero dei «principi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica» la cancellazione integrale di un finanziamento statale. In questo caso, infatti, la legge impugnata non regola affatto la proporzione fra l'intervento statale e quello regionale, ma - semplicemente - cancella il primo, senza «coordinare» alcunche' e - anzi - determina la conseguenza che lo Stato, cosi', si sottrae a qualunque coordinamento, mettendosi totalmente al di fuori del circuito della spesa (e quindi della finanza) pubblica. Del resto, la stessa sent. n. 237 del 2009 ha chiarito che «e' ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l'orientamento secondo il quale norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 289 e n. 120 del 2008, n. 139 del 2009)». Qui, non vi e' alcun «transitorio contenimento complessivo» della spesa, ma piuttosto la pura e semplice cancellazione definitiva di un finanziamento, mentre lo strumento per perseguire l'obiettivo della riduzione della spesa non e' a disposizione delle Regioni, ma e' scelto direttamente dallo Stato (che ha cancellato la propria partecipazione al sostegno delle comunita' montane). 2. - Violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, in combinato disposto tra di loro. I parametri costituzionali su indicati sono violati per due distinti, ma connessi, profili. 2.1. - Anzitutto, va detto che il quarto comma dell'art. 119 della Costituzione dispone che le risorse finanziarie assegnate agli enti territoriali «consentono ai Comuni, alle Province, alle Citta' metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite». Come e' noto, si tratta di una previsione di salvaguardia, che mira ad impedire che il processo di federalizzazione del nostro ordinamento determini la compromissione del pubblico interesse, ostacolando l'assolvimento delle funzioni di competenza degli enti territoriali per ragioni puramente economico-finanziarie. Il riconoscimento delle autonomie, in altre parole, non puo' giustificare il disimpegno dello Stato dal dovere di assicurare la sufficienza delle fonti di finanziamento delle funzioni pubbliche degli enti territoriali. Per tale profilo, il quadro disegnato dal nuovo art. 119 cost. e' radicalmente diverso da quello definito dal testo originario, nella cui vigenza si era statuito che «l'attribuzione alle regioni dei mezzi necessari per il perseguimento delle loro finalita' non e' definita dal precetto costituzionale in termini quantitativi (sentenza n. 304 del 1983)» (cosi' l'ord. n. 164 del 1988). Pur tuttavia, anche nel vecchio regime si affermava che la Costituzione deve garantire alle Regioni «il diritto a disporre di risorse finanziarie che risultino complessivamente non inadeguate rispetto ai compiti loro attribuiti» (sent. n. 507 del 2000). Doveva e deve esistere, dunque, una logica proporzione tra funzioni e risorse, che nella specie e' venuta meno in quanto, pur riconoscendo l'importanza delle funzioni, lo Stato ha cancellato le risorse, prevedendo poi - si' - un'erogazione alternativa in favore dei Comuni montani, ma in tal modo violando lo spazio di autonomia riservato alle Regioni. Ebbene, come si e' gia' detto, con la normativa qui censurata lo Stato, inopinatamente ed ex abrupto, ha interamente cancellato il proprio concorso al finanziamento delle comunita' montane. Tali enti, pero', costituiscono una «proiezione dei comuni» che ne fanno parte (sentt. nn. 244 del 2005; 237 del 2009; 27 del 2010), sicche' la totale eliminazione del loro finanziamento da parte dello Stato impedisce l'assolvimento delle funzioni spettanti alla «proiezione» dell'ente locale. La compromissione dell'autonomia comunale ridonda, peraltro, in lesione delle attribuzioni regionali, poiche' e' la Regione che e' titolare della competenza legislativa residuale in materia di comunita' montane, competenza che viene svuotata di qualunque contenuto una volta che le comunita' montane sono poste nella condizione di non poter piu' funzionare per difetto delle fonti di finanziamento. Ne' varrebbe obiettare che un finanziamento continua ad essere erogato in favore dei Comuni montani: il vizio lamentato, in questo modo, addirittura si aggrava, perche', come si e' gia' osservato, lo Stato finisce per scegliere esso stesso quale ente sub-regionale deve esercitare le funzioni di pubblico interesse che sono finanziate, sottraendo alla Regione il potere di liberamente legiferare in materia (inutile rammentare che, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., lo Stato ha competenza esclusiva solo quanto agli organi di governo e alle funzioni fondamentali degli enti locali, mentre l'art. 118, comma 2, distingue precisamente l'ambito competenziale della legge statale e di quella regionale quanto alle funzioni amministrative dei Comuni). 2.2. - Il secondo profilo di violazione riguarda il combinato disposto degli artt. 117, comma 3, e 119, comma 2, della Costituzione. Il comma 2 dell'art. 119 della Costituzione stabilisce che «I Comuni, le Province, le Citta' metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio». E' noto che da tale previsione costituzionale codesta ecc.ma Corte, con la sent. n. 37 del 2004, ha desunto il principio di «certezza delle entrate» e che, in ogni caso, allo Stato non e' consentito «sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di autonomia gia' riconosciuti dalle leggi statali in vigore, alle Regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119» (sent. n. 423 del 2004). Nell'occasione scrutinata dalla cit. sent. n. 37 del 2004, invero, ci si pronuncio' su una questione principale di legittimita' costituzionale, promossa da una Regione che contestava le modalita' di attribuzione agli enti locali delle somme derivanti dall'addizionale comunale all'imposta sul reddito delle persone fisiche, istituita dall'art. 1 del d.lgs. 28 settembre 1998, n. 360 (ma v., poi, art. 12 della legge 13 maggio 1999, n. 133, e art. 25 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, allora impugnato). La Regione ricorrente sosteneva che la normativa censurata (della quale non e' qui necessario illustrare il contenuto) aveva violato il «principio di certezza delle risorse finanziarie sotteso all'art. 119, secondo comma, della Costituzione». La questione fu dichiarata non fondata, ma, statuendo che il pregiudizio lamentato dalla Regione non era «sufficiente a determinare una sostanziale alterazione in pejus dell'autonomia finanziaria di cui gli enti locali gia' fruivano» e che non era «compromessa in maniera significativa la certezza delle entrate», la sentenza in commento aveva pienamente accolto la prospettazione regionale, ravvisando l'esistenza del principio - appunto - di certezza (peraltro gia' implicitamente riconosciuto anche dalla cit. sent. n. 507 del 2000: v. par 7 del Considerato in diritto, ad finem). Il principio di certezza delle entrate, del resto, non e' altro che una forma di manifestazione dei generalissimi principi di certezza e di affidamento, consolidati nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale (v., da ultimo, sent. n. 236 del 2009). E' evidente, infine, che il principio di certezza delle entrate e' in stretta connessione con le norme costituzionali relative al riparto di competenze tra Stato e Regioni e in particolare con l'art. 117, quarto comma, della Costituzione, esso pure violato in quanto - come gia' osservato - la cancellazione del finanziamento statale delle comunita' montane compromette il libero esercizio della potesta' legislativa regionale (residuale) in materia. 3. - Violazione degli artt. 3 e 117, quarto comma, della Costituzione, per il profilo dell'irragionevolezza e della contraddittorieta' dell'intervento legislativo. Come e' noto, alle comunita' montane fanno riferimento numerose leggi dello Stato. In particolare, la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), all'art. 2, commi 17 sgg., ha dettato una serie di previsioni per il contenimento delle spese di funzionamento delle comunita' montane, sollecitando le Regioni ad agire sul numero delle stesse, sul numero dei componenti dei loro organi, sulle indennita' a questi spettanti (v. art. 2, comma 18). Ha dettato, altresi', criteri per la composizione degli organi consiliari delle comunita' montane, stabilendo, all'art. 2, comma 20, lett. d), che «nelle rimanenti comunita' montane, gli organi consiliari sono composti in modo da garantire la presenza delle minoranze, fermo restando che ciascun comune non puo' indicare piu' di un membro. A tal fine la base elettiva e' costituita dall'assemblea di tutti i consiglieri dei comuni, che elegge i componenti dell'organo consiliare con voto limitato. Gli organi esecutivi sono composti al massimo da un terzo dei componenti l'organo consiliare» (che tale previsione sia stata puntualmente dichiarata illegittima dalla sent. n. 237 del 2009, ovviamente, non toglie che il legislatore statale avesse, con essa, manifestato una chiara volonta'). Si evince, da questo, che lo stesso legislatore statale (solo due anni addietro!) aveva riconosciuto l'importanza delle comunita' montane e - pur agendo per il contenimento delle loro spese - tanto le aveva ritenute importanti che aveva dettato una disciplina per la loro composizione. Ancor piu' di recente (solo un anno addietro!), il legislatore statale (pur riducendolo) ha confermato l'impegno finanziario dello Stato a sostegno delle comunita' montane, sempre presupponendo - evidentemente - il pregio delle funzioni da esse svolte. Infine, si deve osservare che la scelta di finanziare i singoli Comuni e non le comunita' montane e' addirittura pregiudizievole per la spesa pubblica e per l'efficacia dell'azione amministrativa (ed e' quindi irragionevole anche in riferimento ai principi di cui all'art. 97 della Costituzione), perche' disperde in mille rivoli le gia' scarse risorse e non consente le economie di scala che solo l'azione di un ente sovra comunale puo' consentire. E' del tutto irragionevole, dunque, che ora lo stesso Stato, al di fuori di qualunque quadro programmatorio, sopprima nella sostanza le comunita' montane (e comunque interferisca con le attribuzioni regionali in materia), sconvolgendo l'assetto organizzativo attuale e svuotando di contenuto l'ambito di discrezionale determinazione riservato alla legge regionale (ed e' per tale profilo che il vizio di irragionevolezza viene in considerazione, potendo quindi essere ben dedotto in questa sede di sindacato di costituzionalita' in via principale). 4. - Violazione del principio di leale collaborazione. E' noto che (sia pure nei limiti indicati dalla cit. sent. n. 237 del 2009) lo Stato puo' costruire i propri finanziamenti come incentivi all'adozione da parte delle Regioni di provvedimenti contenitivi della spesa (sentt. nn. 36 del 2005; 98 del 2007; 216 del 2008). Quando cio' accade, pero', la Regione ha la possibilita' di scegliere, optando o meno per l'adozione dei provvedimenti in questione. La disciplina di che trattasi, invece, ha eliminato qualsivoglia forma di possibile dialogo tra la Regione e lo Stato, sopprimendo il finanziamento statale a prescindere da qualunque coinvolgimento della Regione e determinando un fatto compiuto al quale la Regione stessa non puo' rimediare. Dalla normativa impugnata, invero, non viene alcuno «stimolo» o «incentivo» alla riduzione della spesa, ma soltanto una diretta e inaccettabile cancellazione di qualunque dialogo con la Regione, un unilaterale recesso da un pregresso impegno di finanziamento. E' noto, altresi', che nelle materie di competenza regionale residuale lo Stato puo' operare finanziamenti a condizione che le Regioni «siano pienamente coinvolte nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi» (sent. Corte cost. n. 222 del 2005, ma anche sent. n. 94 del 2008). A piu' forte ragione esse avrebbero dovuto essere coinvolte nella fattispecie - speculare - dell'eliminazione di finanziamenti esistenti. Il che, pero', non e' avvenuto, non essendo stata la Regione Calabria (cosi' come le altre Regioni) neppure consultata sulle scelte assunte dallo Stato. Non si puo' obiettare che il principio di leale collaborazione non si applica all'attivita' legislativa (da ultimo, sent. n. 16 del 2010). Va osservato, infatti, che, se questo e' vero in generale, in alcuni casi particolari (tipico quello delle leggi provvedimento) codesta ecc.ma Corte costituzionale si e' pronunciata nel merito di questioni prospettate invocando anche nell'attivita' legislativa il rispetto del principio di leale collaborazione (v., in particolare, le sentt. nn. 203 del 2008 e 341 del 2009), con cio' solo implicando la sua applicabilita' anche in quel dominio. Nella specie, poiche' la legge impugnata produce i medesimi effetti diretti che produrrebbe un provvedimento amministrativo, se non si vuole che il principio di leale collaborazione (che oggi ha anche una testuale emersione costituzionale all'art. 120 Cost.) sia irrimediabilmente frustrato, si deve ritenere che esso avrebbe dovuto essere rispettato anche nella fase di produzione legislativa delle previsioni impugnate. Cio', pero', non e' avvenuto. 5. - Violazione dell'art. 136, in combinato disposto con l'art. 117, quarto comma, della Costituzione. Le previsioni normative impugnate, nella sostanza, mettono nel nulla le statuizioni rese da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la cit. sent. n. 237 del 2009, nella quale erano stati chiariti i limiti del potere statale di intervenire sulla riduzione delle spese delle comunita' montane. In particolare, in quella sede erano state dichiarate illegittime alcune norme di legge statale che avevano disposto la soppressione automatica delle comunita' montane nel caso in cui la Regione non avesse adottato i provvedimenti di riordino della materia indicati dalla stessa normativa statale. Qui il medesimo effetto e' determinato in forza della cancellazione del finanziamento, ottenendo un risultato la cui legittimita' la Corte aveva gia' escluso. Ne' si potrebbe obiettare che la sent. n. 27 del 2010 avrebbe consentito il «disimpegno» finanziario dello Stato. Per le ragioni precedentemente esposte, infatti, la fattispecie dedotta nel presente giudizio e' diversa e dalla pronuncia ora ricordata non si puo' dedurre alcun argomento contrario alle questioni di legittimita' costituzionale prospettate nel presente ricorso, mentre restano fermi i principi stabiliti dalla sent. n. 237 del 2009, che la normativa impugnata ha frontalmente violato.