Ricorso della Regione Calabria, in persona del  Presidente  della
Giunta regionale e legale  rappresentante  pro  tempore,  On.  Agazio
Loiero, in ragione di deliberazione della Giunta regionale n. 22  del
28 gennaio 2010 e di decreto del Dirigente dell'Avvocatura  regionale
prot. n. 221 del 1° febbraio 2010  di  conferimento  dell'incarico  e
giusta procura speciale a margine del presente atto  rappresentata  e
difesa dall'Avv. Prof. Massimo Luciani, presso il cui studio in Roma,
Via Bocca di Leone, n. 78, e' elettivamente  domiciliata,  contro  il
Presidente del  Consiglio  dei  Ministri,  per  la  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 187, della legge  23
dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)»,
pubblicata in Gazzetta Ufficiale 30 dicembre 2009, n. 302, S.O.,  ove
si prevede che «A decorrere dalla data di  entrata  in  vigore  della
presente legge, lo Stato cessa di concorrere al  finanziamento  delle
comunita' montane previsto dall'articolo 34 del  decreto  legislativo
30 dicembre 1992,  n.  504,  e  dalle  altre  disposizioni  di  legge
relative alle comunita' montane.  Nelle  more  dell'attuazione  della
legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30 per cento delle risorse finanziarie
di cui al citato articolo 34 del decreto legislativo n. 504 del  1992
e alle citate disposizioni di legge relative alle  comunita'  montane
e' assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con decreto
del Ministero dell'interno. Ai fini di cui al  secondo  periodo  sono
considerati comuni montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del
territorio si trovi al di sopra dei 600 metri sopra  il  livello  del
mare». 
 
                              F a t t o 
 
    1. - L'art. 34, comma 1, del d.lgs. 30  dicembre  1992,  n.  504,
stabiliva che «A decorrere  dall'anno  1994,  lo  Stato  concorre  al
finanziamento dei bilanci delle  amministrazioni  provinciali  e  dei
comuni con l'assegnazione dei seguenti fondi: 
      a) fondo ordinario; 
      b) fondo consolidato; 
      c) fondo perequativo degli squilibri di fiscalita' locale». 
    Il comma 3 del medesimo articolo, a sua volta, stabiliva che  «Lo
Stato potra' concorrere, altresi', al finanziamento dei bilanci delle
amministrazioni provinciali, dei comuni e  delle  comunita'  montane,
anche con un fondo nazionale ordinario per gli investimenti,  la  cui
quantificazione annua e' demandata alla legge finanziaria,  ai  sensi
dell'art. 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468,
come modificata dalla legge 23 agosto 1988, n. 362», mentre il  comma
4 stabiliva che «Per  le  comunita'  montane  lo  Stato  concorre  al
finanziamento dei bilanci, ai sensi del comma 1, con  assegnazione  a
valere sui fondi di cui alle lettere a) e b)». 
    Veniva consolidato, in questo modo,  il  principio  del  concorso
dello Stato  al  finanziamento  delle  comunita'  montane,  principio
mantenutosi intatto (salve le diverse determinazioni quantitative del
finanziamento, di cui si dira') sino all'avvento della normativa  qui
impugnata. 
    2. - In effetti,  assai  di  recente,  lo  Stato  e'  intervenuto
ulteriormente  in  materia  di   comunita'   montane   e   sul   loro
finanziamento. 
    Anzitutto,  con  la legge  24  dicembre  2007,  n.   244   (legge
finanziaria 2008), che, all'art. 2, commi 17  sgg.,  ha  dettato  una
serie di previsioni per il contenimento delle spese di  funzionamento
delle comunita' montane, nonche' criteri per la composizione dei loro
organi consiliari (i commi 17  e  21  sono  stati  poi  marginalmente
modificati dall'art. 4-bis, del decreto-legge 3 giugno 2008,  n.  97,
conv. in legge 2 agosto 2008, n. 129). 
    In secondo luogo, con l'art. 76, comma  6-bis,  del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112, conv. in legge 6  agosto  2008,  n.  113,  il
quale ha previsto che «Sono ridotti dell'importo  di  30  milioni  di
euro per ciascuno degli  anni  2009,  2010  e  2011  i  trasferimenti
erariali a favore delle comunita' montane. Alla riduzione si  procede
intervenendo prioritariamente sulle comunita' che si trovano  ad  una
altitudine media  inferiore  a  settecentocinquanta  metri  sopra  il
livello del mare. All'attuazione del presente comma si  provvede  con
decreto del Ministro dell'interno, da adottare  di  concerto  con  il
Ministro dell'economia e delle finanze». 
    L'art. 2, comma  187,  della legge  23  dicembre  2009,  n.  191,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», che qui,  appunto,
si censura, giunge a brevissima distanza di  tempo  dalle  previsioni
legislative ora ricordate, ma, diversamente da quanto aveva fatto  il
d.lgs. n. 112 del 2008, non  si  limita  a  ridurre,  ma  addirittura
sopprime il finanziamento statale alle comunita' montane. La radicale
diversita' di questa scelta, adottata a cosi' poca distanza di  tempo
dalla prima,  e'  gia'  di  per  se'  dimostrazione  del  difetto  di
meditazione e dell'improvvisazione  di  un  disegno  legislativo  che
invece, in quanto pretende di essere  manifestazione  della  potesta'
statale di coordinamento  della  finanza  pubblica,  dovrebbe  essere
massimamente coerente e definito. 
    3. - La legge n. 244 del 2007 e il decreto-legge n. 112 del 2008,
nelle parti che qui interessano, sono stati fatti oggetto di numerose
censure da parte di varie Regioni. Su di esse  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale si e' pronunciata con le sentt. n. 237 del 2009  e  27
del 2010, sulle quali si tornera' ampiamente piu' avanti. 
    4. - Ora, come gia' riportato in epigrafe,  con  la  disposizione
impugnata si stabilisce che «A decorrere dalla  data  di  entrata  in
vigore  della  presente  legge,  lo  Stato  cessa  di  concorrere  al
finanziamento delle comunita' montane previsto dall'articolo  34  del
decreto  legislativo  30  dicembre  1992,  n.  504,  e  dalle   altre
disposizioni di legge relative alle  comunita'  montane.  Nelle  more
dell'attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42,  il  30  per  cento
delle risorse finanziarie di cui al citato articolo  34  del  decreto
legislativo n. 504 del 1992  e  alle  citate  disposizioni  di  legge
relative alle comunita' montane e'  assegnato  ai  comuni  montani  e
ripartito tra gli stessi con decreto del Ministero  dell'interno.  Ai
fini di cui al secondo periodo  sono  considerati  comuni  montani  i
comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si  trovi  al  di
sopra dei 600 metri sopra il livello del mare». 
    Le   previsioni   normative   denunciate   in    epigrafe    sono
costituzionalmente illegittime per i seguenti motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
    1. - Violazione  dell'art.  117,  4  comma,  della  Costituzione.
Codesta ecc.ma Corte costituzionale ha piu' volte affermato  che  «la
disciplina delle comunita' montane rientra nella competenza residuale
delle Regioni» (cosi', da ultimo, la sent. n.  27  del  2010,  ma  v.
anche sentt. nn. 244 e 456 del 2005; 397 del 2006; 237 del 2009).  La
residualita' di tale competenza determina  una  serie  di  importanti
effetti sul piano dei rapporti fra le Regioni e lo Stato. 
    1.1. - E' di specifico interesse Osservare, in questa sede,  che,
come  si  legge  chiaramente  nella  sent.  n.  237  del   2009,   la
residualita' di tale competenza  fa  si'  non  solo  che  le  Regioni
possano (ovviamente) disciplinare le comunita' montane per il profilo
della loro organizzazione e della loro  attivita',  ma  altresi'  che
«rientr[i] nella potesta' legislativa delle Regioni  disporne  anche,
eventualmente,  la  soppressione».  Sopprimere,  se  del   caso,   le
comunita' montane, pertanto,  e'  prerogativa  esclusiva  (in  quanto
residuale) delle Regioni. 
    Quali sono, a questo punto,  gli  effetti  dell'eliminazione  del
contributo statale al finanziamento delle comunita'  montane?  Appare
evidente  che  tale  eliminazione  si  risolve,  in  buona  sostanza,
nell'indiretta soppressione, in tutto o  in  parte,  delle  comunita'
montane stesse. Non e' prevista, invero,  nessuna  compensazione  che
possa equilibrare questa cancellazione di risorse e  consentire  alle
Regioni  -  nell'esercizio  della  loro  competenza  residuale  -  di
scegliere se mantenere o meno in vita le comunita'  montane  e  quali
competenze affidare loro. In mancanza di entrate, infatti, le Regioni
sono costrette a scegliere  fra:  a)  la  soppressione  dell'istituto
stesso  della  comunita'  montana;  b)  la  soppressione  di   alcune
comunita' montane esistenti nella Regione; c) la  drastica  riduzione
delle competenze degli enti, onde ridurre costi di gestione. 
    Va da se' che le ultime due alternative sono del tutto  aleatorie
ed eventuali, in quanto presuppongono comunque che la Regione  riesca
a reperire, nel proprio bilancio, le somme necessarie  a  far  fronte
all'improvviso disimpegno statale, cio' che e' di  per  se'  alquanto
opinabile, considerata la scarsita' delle risorse a disposizione e la
loro necessaria destinazione ad  altri  impieghi.  Anche  qualora  le
risorse  fossero  rinvenibili,  tuttavia,  le  competenze   regionali
resterebbero  comunque   lese,   perche' -   come   si   e'   detto -
l'eliminazione del finanziamento statale, quanto meno, costringerebbe
la Regione a disporre con legge  la  riduzione  del  numero  o  delle
competenze delle comunita' montane. Cio' significa che lo Stato,  con
le previsioni normative impugnate, ha comunque  compresso  lo  spazio
decisionale disponibile  per  la  legge  regionale,  costringendo  la
Regione all'adozione di scelte che altrimenti  non  avrebbe  assunto.
Cosa,  questa,  particolarmente  inaccettabile   nelle   materie   di
competenza residuale, nelle quali,  per  definizione,  le  competenze
regionali  trovano  la  loro  massima  espansione,  non   avendo   da
confrontarsi con le concorrenti competenze dello Stato. 
    1.2. - La fondatezza della censura e' dimostrata da cio'  che  la
normativa impugnata travolge tutti i  fondi  di  finanziamento  delle
comunita' montane, determinando una situazione non sostenibile almeno
in tutte quelle Regioni che, per la condizione  economico-finanziaria
in cui si trovano, non sono in grado di far fronte  alla  sottrazione
di risorse cosi' determinatasi. 
    Per quanto, in particolare, riguarda la Regione Calabria, e'  ben
noto che la Regione stessa e' tenuta ad attuare il piano  di  rientro
dal disavanzo in materia sanitaria e  l'Accordo  stipulato  ai  sensi
dell'art. 1, comma 180, legge n.  311  del  2004.  Essa,  poiche'  la
sanita' e' di gran lunga la materia nella quale maggiore e' lo sforzo
economico-finanziario regionale, non e' dunque in grado di  sottrarre
preziose risorse alle  necessita'  cosi'  determinatesi,  sicche'  la
cancellazione  dei  finanziamenti  statali  alle  comunita'   montane
ridonda   in   immediato   pregiudizio   delle    sue    attribuzioni
costituzionali. 
    1.3. - Come si vede, nel paragrafo che precede e' stata data - si
confida -  la  dimostrazione  dell'insostenibilita'  del  pregiudizio
determinato dalla legge statale, cosi' come richiesto dalla sent.  n.
27 del 2010. A ben vedere, peraltro, tale dimostrazione non era, qui,
nemmen  necessaria,  a   causa   dell'assoluta   peculiarita'   della
fattispecie che ne occupa. 
    La  disciplina  censurata,  infatti,  confessoriamente   persegue
proprio l'obiettivo della soppressione delle comunita' montane. 
    Lo si desume agevolmente dal fatto che una (pur modesta) quota di
finanziamenti  statali  e'  devoluta  ai  Comuni  montani  (definiti,
oltretutto, in modo  arbitrario  in  base  a  quelle  caratteristiche
altimetriche che la Corte ha gia' dichiarato incongrue con  la  sent.
n. 27 del 2010). In questo modo, infatti, si riconosce  che:  a)  nei
Comuni montani vi sono esigenze diverse da quelle tipiche dei  Comuni
non montani; b) il soddisfacimento di tali esigenze necessita di  uno
specifico sostegno  finanziario  (per  compensare  i  maggiori  costi
determinati dalla  particolare  situazione  oro-topografica  di  tali
Comuni, la cui peculiarita' e' stata di recente ribadita anche  dalla
sent. n. 246 del 2009). Si  riconosce  anche,  pero',  che  lo  Stato
ritiene che dette esigenze debbano  essere  soddisfatte  direttamente
dai Comuni e non dalle comunita' montane:  solo  cosi',  infatti,  si
spiega che un finanziamento continui ad essere assicurato  ai  Comuni
montani, mentre alle comunita' montane si sottrae qualunque risorsa. 
    E' evidente, dunque, che  lo  Stato  ha  effettuato  una  precisa
opzione di merito, preferendo i Comuni alle comunita' montane  e  con
cio'  solo   invadendo   l'ambito   competenziale   attributo   dalla
Costituzione alle Regioni, alle quali sole e' riservato il compimento
di simili scelte, in una materia che  ad  esse  e'  affidata  in  via
residuale. 
    Si badi: non si  va  qui  sostenendo  che  le  comunita'  montane
godrebbero di una sorta di garanzia d'istituto, intesa come  garanzia
di esistenza di questo tipo di ente nel nostro ordinamento. Questo e'
stato  negato  dalla   giurisprudenza   di   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale e la  Regione  non  sollecita  alcun  ripensamento  in
proposito. Quel che  si  lamenta,  invece,  e'  che  la  sorte  delle
comunita' montane sia decisa da chi non ha competenza in materia  (lo
Stato), sottraendo la  scelta  a  chi  di  quella  competenza  e'  il
legittimo titolare (le Regioni). Nulla di diverso da  questo.  E  sul
punto, si badi, la sent. n. 237 del 2009 si e' limitata  a  rigettare
la prospettazione a tenor della quale  gli  enti  in  questione  «non
potrebbero essere soppressi ne' dalla legge statale, ne' dalla  legge
regionale», ma nulla ha espressamente detto su quale  di  tali  leggi
potrebbe  determinare   un   simile   effetto   (e   ha   presupposto
implicitamente, semmai, che cio'  spetti  alla  legge  regionale,  in
forza della residualita' della materia). 
    1.4. - Vero - come e' vero -  quanto  precede,  non  si  potrebbe
opporre che la cit. sent. n. 27 del 2010 ha affermato che, atteso che
«la disciplina  delle  comunita'  montane  rientra  nella  competenza
residuale delle Regioni», sono «le Regioni che, in base all'art.  119
Cost., devono provvedere al loro finanziamento insieme ai  Comuni  di
cui costituiscono la "proiezione"», sicche' «la progressiva riduzione
del finanziamento statale relativo alle  suddette  comunita'  montane
non contrasta con la giurisprudenza di questa  Corte  in  materia  di
autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali»,  in  quanto
(come  gia'  si  leggeva  nella  sent.  n.  237  del  2009)  essa  e'
«effettivamente espressione di principi  fondamentali  della  materia
del coordinamento della finanza pubblica». 
    A  simile,  eventuale,  obiezione  sarebbe   agevole   replicare,
anzitutto, che la sentenza in commento si e' occupata  specificamente
della fattispecie della  «progressiva  riduzione»  del  finanziamento
statale, non certo della sua eliminazione, cio' che,  come  si  dira'
nei  successivi  motivi  del  presente   ricorso,   ha   un   rilievo
determinante. In secondo luogo, che non puo' logicamente  appartenere
al novero dei «principi fondamentali della materia del  coordinamento
della  finanza   pubblica»   la   cancellazione   integrale   di   un
finanziamento statale. In questo caso, infatti,  la  legge  impugnata
non regola affatto la proporzione fra l'intervento statale  e  quello
regionale, ma - semplicemente - cancella il primo, senza «coordinare»
alcunche' e - anzi - determina la conseguenza che lo Stato, cosi', si
sottrae a qualunque coordinamento, mettendosi totalmente al di  fuori
del circuito della spesa (e quindi della finanza) pubblica. 
    Del resto, la stessa sent. n. 237 del 2009 ha  chiarito  che  «e'
ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l'orientamento
secondo il quale norme statali che fissano limiti  alla  spesa  delle
Regioni  e  degli   enti   locali   possono   qualificarsi   principi
fondamentali di coordinamento della finanza  pubblica  alla  seguente
duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi
di riequilibrio della medesima, intesi nel senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il  perseguimento  dei  suddetti  obiettivi
(sentenze n. 289 e n. 120 del 2008, n. 139 del 2009)». Qui, non vi e'
alcun  «transitorio  contenimento  complessivo»   della   spesa,   ma
piuttosto  la  pura  e  semplice  cancellazione  definitiva   di   un
finanziamento, mentre lo strumento per perseguire  l'obiettivo  della
riduzione della spesa non e' a  disposizione  delle  Regioni,  ma  e'
scelto  direttamente  dallo  Stato  (che  ha  cancellato  la  propria
partecipazione al sostegno delle comunita' montane). 
    2. -  Violazione  degli  artt.  117, terzo  comma,  e  119  della
Costituzione,  in  combinato  disposto  tra  di  loro.  I   parametri
costituzionali  su  indicati  sono  violati  per  due  distinti,   ma
connessi, profili. 
    2.1. - Anzitutto, va detto che  il  quarto  comma  dell'art.  119
della Costituzione dispone che le risorse finanziarie assegnate  agli
enti territoriali «consentono ai Comuni, alle Province,  alle  Citta'
metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le  funzioni
pubbliche loro attribuite». Come e' noto, si tratta di una previsione
di  salvaguardia,  che  mira  ad  impedire   che   il   processo   di
federalizzazione del nostro ordinamento determini  la  compromissione
del pubblico interesse, ostacolando l'assolvimento delle funzioni  di
competenza   degli   enti   territoriali   per   ragioni    puramente
economico-finanziarie. Il riconoscimento delle  autonomie,  in  altre
parole, non puo' giustificare il disimpegno dello Stato dal dovere di
assicurare la sufficienza delle fonti di finanziamento delle funzioni
pubbliche degli  enti  territoriali.  Per  tale  profilo,  il  quadro
disegnato dal nuovo art. 119 cost. e' radicalmente diverso da  quello
definito dal testo originario, nella cui vigenza si era statuito  che
«l'attribuzione alle regioni dei mezzi necessari per il perseguimento
delle loro finalita' non e' definita dal precetto  costituzionale  in
termini quantitativi (sentenza n. 304 del 1983)» (cosi' l'ord. n. 164
del 1988). Pur tuttavia, anche nel vecchio regime si affermava che la
Costituzione deve garantire alle Regioni «il diritto  a  disporre  di
risorse finanziarie che  risultino  complessivamente  non  inadeguate
rispetto ai compiti loro attribuiti» (sent. n. 507 del 2000).  Doveva
e deve esistere,  dunque,  una  logica  proporzione  tra  funzioni  e
risorse, che nella specie e' venuta meno in quanto, pur  riconoscendo
l'importanza delle funzioni,  lo  Stato  ha  cancellato  le  risorse,
prevedendo poi - si' - un'erogazione alternativa in favore dei Comuni
montani, ma in tal modo violando lo  spazio  di  autonomia  riservato
alle Regioni. 
    Ebbene, come si e' gia' detto, con la normativa qui censurata  lo
Stato, inopinatamente ed ex abrupto,  ha  interamente  cancellato  il
proprio concorso al finanziamento delle comunita' montane. Tali enti,
pero', costituiscono una «proiezione dei comuni» che ne  fanno  parte
(sentt. nn. 244 del 2005; 237 del 2009;  27  del  2010),  sicche'  la
totale eliminazione del  loro  finanziamento  da  parte  dello  Stato
impedisce l'assolvimento delle funzioni spettanti  alla  «proiezione»
dell'ente locale. La compromissione dell'autonomia comunale  ridonda,
peraltro, in lesione delle  attribuzioni  regionali,  poiche'  e'  la
Regione che e' titolare della  competenza  legislativa  residuale  in
materia di  comunita'  montane,  competenza  che  viene  svuotata  di
qualunque contenuto una volta che le  comunita'  montane  sono  poste
nella condizione di non poter piu' funzionare per difetto delle fonti
di finanziamento. 
    Ne' varrebbe obiettare che un finanziamento  continua  ad  essere
erogato in favore dei Comuni montani: il vizio lamentato,  in  questo
modo, addirittura si aggrava, perche', come si e' gia' osservato,  lo
Stato finisce per scegliere esso stesso quale ente sub-regionale deve
esercitare le funzioni di pubblico  interesse  che  sono  finanziate,
sottraendo alla  Regione  il  potere  di  liberamente  legiferare  in
materia (inutile rammentare che, ai sensi  dell'art.  117,  comma  2,
lett. p), Cost., lo Stato ha competenza esclusiva  solo  quanto  agli
organi di governo e alle funzioni  fondamentali  degli  enti  locali,
mentre  l'art.  118,  comma  2,   distingue   precisamente   l'ambito
competenziale della legge statale e di quella regionale  quanto  alle
funzioni amministrative dei Comuni). 
    2.2. - Il secondo profilo di  violazione  riguarda  il  combinato
disposto  degli  artt.  117,  comma  3,  e  119,   comma   2,   della
Costituzione. 
    Il comma 2 dell'art. 119 della  Costituzione  stabilisce  che  «I
Comuni, le Province, le  Citta'  metropolitane  e  le  Regioni  hanno
risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri,
in armonia con la Costituzione e secondo i principi di  coordinamento
della finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario.  Dispongono  di
compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile  al  loro
territorio». E' noto che da tale  previsione  costituzionale  codesta
ecc.ma Corte, con la sent. n. 37 del 2004, ha desunto il principio di
«certezza delle entrate» e che, in  ogni  caso,  allo  Stato  non  e'
consentito «sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di
autonomia gia' riconosciuti  dalle  leggi  statali  in  vigore,  alle
Regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare  un  sistema
finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo  art.
119» (sent. n. 423 del 2004). 
    Nell'occasione scrutinata  dalla  cit.  sent.  n.  37  del  2004,
invero, ci si pronuncio' su una questione principale di  legittimita'
costituzionale, promossa da una Regione che contestava  le  modalita'
di   attribuzione   agli   enti   locali   delle   somme    derivanti
dall'addizionale  comunale  all'imposta  sul  reddito  delle  persone
fisiche, istituita dall'art. 1 del d.lgs. 28 settembre 1998,  n.  360
(ma v., poi, art. 12 della legge 13 maggio 1999, n. 133,  e  art.  25
della legge 28 dicembre 2001, n. 448, allora impugnato).  La  Regione
ricorrente sosteneva che la normativa censurata (della quale  non  e'
qui necessario illustrare il contenuto) aveva violato  il  «principio
di certezza delle risorse finanziarie sotteso all'art.  119,  secondo
comma, della Costituzione». La questione fu dichiarata  non  fondata,
ma, statuendo che il pregiudizio  lamentato  dalla  Regione  non  era
«sufficiente a  determinare  una  sostanziale  alterazione  in  pejus
dell'autonomia finanziaria di cui gli enti locali  gia'  fruivano»  e
che non era «compromessa in maniera significativa la  certezza  delle
entrate»,  la  sentenza  in  commento  aveva  pienamente  accolto  la
prospettazione  regionale,  ravvisando  l'esistenza  del  principio -
appunto - di  certezza  (peraltro  gia'  implicitamente  riconosciuto
anche dalla cit. sent. n. 507 del 2000: v. par 7 del  Considerato  in
diritto, ad finem). Il  principio  di  certezza  delle  entrate,  del
resto, non e' altro che una forma di manifestazione dei generalissimi
principi  di   certezza   e   di   affidamento,   consolidati   nella
giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale (v., da ultimo,
sent. n. 236 del 2009). 
    E' evidente, infine, che il principio di certezza  delle  entrate
e' in stretta connessione con le  norme  costituzionali  relative  al
riparto di competenze tra Stato e Regioni e in particolare con l'art.
117, quarto comma, della Costituzione, esso pure violato in  quanto -
come gia' osservato -  la  cancellazione  del  finanziamento  statale
delle  comunita'  montane  compromette  il  libero  esercizio   della
potesta' legislativa regionale (residuale) in materia. 
      
    3.  -  Violazione  degli  artt.  3  e  117, quarto  comma,  della
Costituzione,  per   il   profilo   dell'irragionevolezza   e   della
contraddittorieta' dell'intervento legislativo. Come  e'  noto,  alle
comunita' montane fanno riferimento numerose leggi  dello  Stato.  In
particolare, la legge 24 dicembre 2007,  n.  244  (legge  finanziaria
2008), all'art. 2, commi 17 sgg., ha dettato una serie di  previsioni
per il contenimento delle  spese  di  funzionamento  delle  comunita'
montane, sollecitando le Regioni ad agire sul  numero  delle  stesse,
sul numero dei componenti dei loro organi, sulle indennita' a  questi
spettanti (v. art. 2, comma 18). Ha dettato, altresi', criteri per la
composizione  degli  organi  consiliari  delle   comunita'   montane,
stabilendo, all'art. 2, comma 20,  lett.  d),  che  «nelle  rimanenti
comunita' montane, gli organi consiliari sono  composti  in  modo  da
garantire la presenza delle minoranze,  fermo  restando  che  ciascun
comune non puo' indicare piu' di  un  membro.  A  tal  fine  la  base
elettiva e' costituita dall'assemblea  di  tutti  i  consiglieri  dei
comuni, che elegge  i  componenti  dell'organo  consiliare  con  voto
limitato. Gli organi esecutivi sono composti al massimo da  un  terzo
dei componenti l'organo consiliare» (che tale  previsione  sia  stata
puntualmente dichiarata illegittima dalla  sent.  n.  237  del  2009,
ovviamente, non toglie che il legislatore statale avesse,  con  essa,
manifestato una chiara volonta'). Si evince, da questo, che lo stesso
legislatore statale (solo  due  anni  addietro!)  aveva  riconosciuto
l'importanza  delle  comunita'  montane  e -  pur   agendo   per   il
contenimento delle loro spese - tanto le  aveva  ritenute  importanti
che aveva dettato una disciplina per la loro composizione. 
    Ancor piu' di recente (solo un anno  addietro!),  il  legislatore
statale (pur riducendolo) ha confermato l'impegno  finanziario  dello
Stato a sostegno  delle  comunita'  montane,  sempre  presupponendo -
evidentemente - il pregio delle funzioni da esse svolte. 
    Infine, si deve osservare che la scelta di finanziare  i  singoli
Comuni e non le comunita' montane e' addirittura pregiudizievole  per
la spesa pubblica e per l'efficacia dell'azione amministrativa (ed e'
quindi irragionevole anche in riferimento ai principi di cui all'art.
97 della Costituzione), perche' disperde  in  mille  rivoli  le  gia'
scarse risorse e non consente le economie di scala che solo  l'azione
di un ente sovra comunale puo' consentire. 
    E' del tutto irragionevole, dunque, che ora lo stesso  Stato,  al
di fuori di qualunque quadro programmatorio, sopprima nella  sostanza
le comunita' montane (e comunque  interferisca  con  le  attribuzioni
regionali in materia), sconvolgendo l'assetto organizzativo attuale e
svuotando  di  contenuto  l'ambito  di  discrezionale  determinazione
riservato alla legge regionale (ed e' per tale profilo che  il  vizio
di irragionevolezza viene in considerazione,  potendo  quindi  essere
ben dedotto in questa sede di sindacato di costituzionalita'  in  via
principale). 
    4. - Violazione del principio di leale  collaborazione.  E'  noto
che (sia pure nei limiti indicati dalla cit. sent. n. 237  del  2009)
lo  Stato  puo'  costruire  i  propri  finanziamenti  come  incentivi
all'adozione da parte  delle  Regioni  di  provvedimenti  contenitivi
della spesa (sentt. nn. 36 del 2005; 98  del  2007;  216  del  2008).
Quando  cio'  accade,  pero',  la  Regione  ha  la  possibilita'   di
scegliere,  optando  o  meno  per  l'adozione  dei  provvedimenti  in
questione. La  disciplina  di  che  trattasi,  invece,  ha  eliminato
qualsivoglia forma di possibile dialogo tra la Regione  e  lo  Stato,
sopprimendo il  finanziamento  statale  a  prescindere  da  qualunque
coinvolgimento della Regione e  determinando  un  fatto  compiuto  al
quale  la  Regione  stessa  non  puo'  rimediare.   Dalla   normativa
impugnata, invero, non viene  alcuno  «stimolo»  o  «incentivo»  alla
riduzione della  spesa,  ma  soltanto  una  diretta  e  inaccettabile
cancellazione di qualunque dialogo con  la  Regione,  un  unilaterale
recesso da un pregresso impegno di finanziamento. 
    E' noto, altresi', che  nelle  materie  di  competenza  regionale
residuale lo Stato puo' operare finanziamenti  a  condizione  che  le
Regioni  «siano  pienamente  coinvolte   nei   processi   decisionali
concernenti il riparto dei fondi» (sent. Corte cost. n. 222 del 2005,
ma anche sent. n. 94 del 2008). A piu' forte ragione  esse  avrebbero
dovuto   essere    coinvolte    nella    fattispecie -    speculare -
dell'eliminazione di finanziamenti esistenti. Il che, pero',  non  e'
avvenuto, non essendo stata la Regione Calabria (cosi' come le  altre
Regioni) neppure consultata sulle scelte assunte dallo Stato. 
    Non si puo' obiettare che il principio  di  leale  collaborazione
non si applica all'attivita' legislativa (da ultimo, sent. n. 16  del
2010). Va osservato, infatti, che, se questo e' vero in generale,  in
alcuni casi particolari (tipico  quello  delle  leggi  provvedimento)
codesta ecc.ma Corte costituzionale si e' pronunciata nel  merito  di
questioni prospettate invocando anche nell'attivita'  legislativa  il
rispetto del principio di leale collaborazione (v.,  in  particolare,
le sentt. nn. 203 del 2008 e 341 del 2009), con cio' solo  implicando
la sua applicabilita' anche in quel dominio. 
    Nella specie, poiche'  la  legge  impugnata  produce  i  medesimi
effetti diretti che produrrebbe un provvedimento  amministrativo,  se
non si vuole che il principio di leale collaborazione  (che  oggi  ha
anche una testuale emersione costituzionale all'art. 120  Cost.)  sia
irrimediabilmente frustrato, si deve ritenere che esso avrebbe dovuto
essere rispettato anche nella fase di  produzione  legislativa  delle
previsioni impugnate. Cio', pero', non e' avvenuto. 
    5. - Violazione dell'art. 136, in combinato disposto  con  l'art.
117, quarto  comma,  della  Costituzione.  Le  previsioni   normative
impugnate, nella sostanza, mettono nel nulla le statuizioni  rese  da
codesta ecc.ma Corte costituzionale con la  cit.  sent.  n.  237  del
2009, nella quale erano stati chiariti i limiti del potere statale di
intervenire sulla riduzione delle spese delle comunita' montane. 
    In particolare, in quella sede erano state dichiarate illegittime
alcune norme di legge statale che avevano  disposto  la  soppressione
automatica delle comunita' montane nel caso in  cui  la  Regione  non
avesse adottato i provvedimenti di riordino  della  materia  indicati
dalla  stessa  normativa  statale.  Qui  il   medesimo   effetto   e'
determinato in forza della cancellazione del finanziamento, ottenendo
un risultato la cui legittimita' la Corte aveva gia' escluso. Ne'  si
potrebbe obiettare che la sent. n. 27 del 2010 avrebbe consentito  il
«disimpegno» finanziario dello Stato. Per le ragioni  precedentemente
esposte, infatti, la fattispecie dedotta  nel  presente  giudizio  e'
diversa e dalla pronuncia ora ricordata non  si  puo'  dedurre  alcun
argomento contrario alle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
prospettate nel presente ricorso, mentre  restano  fermi  i  principi
stabiliti dalla sent. n. 237 del 2009, che la normativa impugnata  ha
frontalmente violato.