Ricorso della Regione Toscana,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore, autorizzato con delibera della Giunta Regionale n.  197  del
23 febbraio 2010, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al
presente atto, dall'Avv.  Lucia  Bora  dell'Avvocatura  regionale  ed
elettivamente domiciliato presso  lo  studio  dell'Avv.  Giovanni  P.
Mosca  in  Roma,  Corso  d'Italia,  102,  contro  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  pro  tempore  per   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 186, lett. a) ed e),
comma 191, nonche' comma 240 della legge  23  dicembre  2009  n.  191
(legge finanziaria 2010), per  contrasto  con  gli  artt.  114,  117,
secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118 e 119  della  Costituzione,
nonche' per violazione del principio di leale collaborazione. 
    Sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 302, S.O. n. 243  del
30 dicembre 2009 e' stata pubblicata la legge  n.  191/2009,  recante
Disposizioni per la formazione del  bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 2010). 
    Il comma 186, lett. a) dell'art. 2 prevede  - in  relazione  alla
riduzione del contributo ordinario base spettante agli enti locali  a
valere sul fondo di cui all'art. 34, comma  1,  lett.  a)  d.lgs.  n.
504/1992, riduzione disposta ai sensi del precedente comma 183  dello
stesso art. 2 - la soppressione da parte  dei  comuni  del  difensore
civico. 
    Il comma 186, lett. e) dell'art. 2 prevede - sempre in  relazione
alla sopra richiamata riduzione del contributo ordinario -  l'obbligo
per i Comuni di sopprimere i consorzi di  funzioni,  con  conseguente
successione ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici  ed  a
ogni altro effetto. 
    Il comma 191 dell'art. 2, prevede per  gli  immobili  militari  -
cosi' come individuati dal  Ministero  della  difesa  ai  fini  della
valorizzazione ed alienazione degli stessi con lo scopo di costituire
un fondo di investimento immobiliare (cfr. comma 189) - i quali siano
oggetto di appositi accordi di  programma  di  valorizzazione  con  i
Comuni nel cui ambito sono ubicati (cfr. comma 190), che la  delibera
del consiglio comunale di  approvazione  del  protocollo  d'intesa  e
dell'accordo di programma costituisca  autorizzazione  alle  varianti
allo strumento urbanistico generale, per le quali si prescinde  dalla
verifica di conformita' agli atti di pianificazione sovraordinata  di
competenza delle province e delle regioni, salva l'ipotesi in cui  la
variante comporti variazioni volumetriche superiori al 30% dei volumi
esistenti. 
    Infine, il comma 240  dell'art.  2,  stabilisce  che  le  risorse
assegnate per  interventi  di  risanamento  ambientale  di  cui  alla
delibera del CIPE del  6  novembre  2009  siano  destinati  ai  piani
straordinari diretti a rimuovere le situazioni a piu' elevato rischio
idrogeologico: secondo quanto disposto dalla norma  in  esame,  dette
situazioni sono individuate dalla direzione generale  competente  del
Ministero dell'ambiente e della tutela del  territorio  e  del  mare,
sentite le autorita' di bacino di cui all'art. 63 d.lgs. n. 152/06  e
ss.mm., nonche' sentito il Dipartimento della Protezione civile della
Presidenza del Consiglio. 
    Le suddette norme sono incostituzionali per i seguenti motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 186, lett. a)  ed
e), legge n. 191/2009 nella parte in  cui  si  impone  ai  comuni  la
soppressione della figura del difensore  civico  e  dei  consorzi  di
funzioni tra enti locali; per violazione  degli  articoli  114,  117,
secondo, terzo, quarto, sesto comma e 119 Cost. 
    La norma in esame si inserisce in un gruppo di norme della  legge
finanziaria che dichiarano di perseguire finalita'  di  coordinamento
per il contenimento  della  spesa  pubblica  degli  enti  locali.  In
particolare, con il comma 183 e' innanzitutto stabilita la  riduzione
del contributo ordinario spettante a detti enti, ai  sensi  dell'art.
34, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 504/1992. 
    A tal fine, tra le altre cose, e' previsto l'obbligo per i Comuni
di sopprimere la figura del Difensore civico, nonche' i  consorzi  di
funzioni tra gli enti locali (art. 2, comma 186, lett. a) ed e). 
    Tali  ultime  disposizioni  incidono  in  maniera  lesiva   sulle
prerogative sia  regionali  che  degli  enti  locali  in  materia  di
organizzazione e funzionamento degli stessi enti locali. 
    La Corte costituzionale a riguardo ha gia' avuto modo di chiarire
che l'art. 117, comma 2, lett. p) Cost., nella parte in  cui  assegna
alla competenza esclusiva statale la materia relativa a «legislazione
elettorale, organi di governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,
Province  e  Citta'  metropolitane»  deve  essere  letto  in  maniera
tassativa,  rientrando  la  restante  disciplina   nella   competenza
residuale delle Regioni (in tal senso: Corte cost. sent.  n.  237/09;
sent.  n.  244/2005;  456/2005  ed  infine  la  recente  sentenza  n.
27/2010). 
    Le norme in esame,  invece,  non  disciplinano  ne'  le  funzioni
fondamentali ne' gli organi di governo dei comuni. 
    Con riguardo all'art. 2, comma 186 lett. a), si rileva,  infatti,
che il difensore civico non rientra tra gli  organi  dell'ente,  tali
essendo   quelli   elettivi   di   governo   non   burocratici,   cui
istituzionalmente competono le determinazioni di  politica  generale,
di cui assumono la responsabilita'. In tale categoria  non  e'  stato
ricompreso  il  difensore  civico  regionale,  al  quale   la   Corte
costituzionale  ha  riconosciuto  la  titolarita'  di  funzioni,  non
politiche,  di   tutela   della   legalita'   e   della   regolarita'
amministrativa (sentenze nn. 167/2005; 313/2003) e tale  ragionamento
vale anche per i difensori civici degli enti locali. 
    Percio' lo Stato non e' legittimato ad intervenire con una  norma
come quella impugnata, imponendo la soppressione di una figura la cui
disciplina e' rimessa alla potesta' statutaria e regolamentare  degli
enti locali (combinato disposto dell'art. 117, comma  2  lett.  p)  e
comma 6 Cost.), con conseguente violazione  dell'autonomia  di  detti
enti  sancita  dall'art.  114  Cost.:  tale  violazione  puo'  essere
legittimamente prospettata dalla Regione, come chiarito  dalla  Corte
costituzionale nelle sentenze n. 196 del 2004 e n. 417 del 2005. 
    In ogni caso la norma in esame lede anche la potesta' legislativa
regionale  di   tipo   residuale   in   materia   di   organizzazione
dell'esercizio delle funzioni. 
    Lo  Statuto  della  Regione  Toscana,  all'art.  56,  ha  infatti
stabilito che «la legge promuove l'istituzione della rete  di  difesa
civica locale»; tale aspetto e'  stato  disciplinato  con  l'art.  19
della legge regionale n. 19 del 2009. L'art. 20  della  stessa  legge
regionale, poi, ha  anche  istituito  la  conferenza  permanente  dei
difensori civici locali per l'esame congiunto delle problematiche  di
interesse comune e la promozione di iniziative volte allo sviluppo  e
al miglioramento della difesa civica. 
    Percio' la legge  toscana  istitutiva  del  Difensore  civico  ha
disciplinato i rapporti di  collaborazione  con  i  difensori  civici
locali, per un piu' efficace esercizio delle competenze  ai  medesimi
attribuite dal legislatore regionale; tale disciplina, legittimamente
emanata  nell'esercizio  delle   attribuzioni   regionali,   verrebbe
vanificata dalla norma oggetto di impugnativa. 
    Percio' l'art. 2 comma 186 lett. a) della legge n. 191  del  2009
viola l'art. 114 e l'art. 117, commi 2, 4 e 6 della Costituzione. 
    L'art.  2  comma  186  lett.  e)  e'  anch'esso  incostituzionale
perche', nella parte in cui prevede la soppressione dei  consorzi  di
funzioni  tra  gli  enti  locali,  lede  l'autonomia   statutaria   e
regolamentare dei  comuni:  l'art.  117  sesto  comma  Cost.  dispone
infatti che gli enti locali hanno potesta'  regolamentare  in  ordine
alla disciplina dell'organizzazione e allo svolgimento delle funzioni
loro attribuite. 
    Conseguentemente   la   disposizione   impugnata   non   rispetta
l'autonomia di detti enti sancita dal citato art.  117  sesto  comma,
nonche'  dall'art.114  Cost.:  tale  violazione,  come   sopra   gia'
rilevato, puo' essere legittimamente prospettata dalla Regione,  come
chiarito dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 196 del 2004  e
n. 417 del 2005. 
    Inoltre  la  disposizione   lede,   direttamente,   la   potesta'
legislativa residuale delle Regioni. 
    In particolare,  la  Corte  costituzionale  con  la  gia'  citata
sentenza  n.  237/09,  con  riferimento  alle  comunita'  montane   -
identificate  quali  unioni  di  comuni  montani  e/o  enti  autonomi
proiezioni dei comuni che ad esse fanno capo - ha affermato  che  «La
giurisprudenza  costituzionale  ha  anche  avuto  modo  di  precisare
(sentenza  n.  229  del  2001),  pronunciandosi  su  una  ipotesi  di
soppressione  di  alcune  comunita'  montane,   che   queste   ultime
"contribuiscono a comporre il sistema delle autonomie  sub-regionali,
pur senza  assurgere  a  enti  costituzionalmente  o  statutariamente
necessari" e che esse non sono enti necessari  sulla  base  di  norme
costituzionali, sicche'  rientra  nella  potesta'  legislativa  delle
Regioni disporne anche eventualmente la soppressione». 
    Tali principi possono evidentemente  essere  invocati  anche  con
riferimento  al  comma  186  lett.  e)  in   ordine   alla   prevista
soppressione  di  consorzi  tra  enti  locali,  ove  la   norma   sia
interpretata nel senso della sua  applicabilita'  anche  ai  consorzi
obbligatori costituiti in base alle previsioni della legge regionale. 
    E' quindi evidente che prevedere un obbligo puntuale per i Comuni
in ordine alla soppressione dei consorzi di funzioni si traduce in un
inammissibile intervento dello  Stato  nell'ambito  della  disciplina
dell'organizzazione  locale,  ben  oltre  i  limiti  previsti   dalla
Costituzione: infatti, la scelta di esercizio  delle  funzioni  degli
enti locali attraverso la forma del consorzio non rientra  ne'  nella
disciplina dell'organizzazione degli enti di cui all'art. 117 comma 2
lett. g), in quanto detta disposizione  si  riferisce  esclusivamente
alla organizzazione degli enti nazionali, ne' nella disciplina,  pure
riservata in via esclusiva  allo  Stato,  relativa  agli  «organi  di
governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e   Citta'
Metropolitane», di cui all'art. 117, comma 2, lett. p) Cost. 
    Come visto,  detta  ultima  norma  deve  essere  interpretata  in
maniera restrittiva e, come non poteva essere riferita alle Comunita'
montane, cosi' a maggior ragione non puo' essere invocata  in  ordine
alla scelta in merito alla costituzione  e/o  alla  soppressione  dei
consorzi tra enti locali. Cio'  trova  conferma  nella  piu'  recente
giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la  disciplina  delle
forme associative tra enti locali rientra nella potesta'  legislativa
residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost.  (cfr.
le gia' citate sentenze n.  27/2010;  237/2009;  sent.  n.  244/2005;
456/2005), ed anche nella giurisprudenza precedente, perche' gia' con
la pronuncia n. 343/1991, la Regione e' stata  individuata  come  «il
centro  propulsore  e  di  coordinamento  dell'intero  sistema  delle
autonomie locali», necessario a fronte di  un  tessuto  organizzativo
degli enti locali cosi' diversificato da richiedere un incisivo ruolo
di coordinamento delle Regioni,  nelle  materie  di  loro  spettanza,
anche  per  quanto  attiene  all'organizzazione  delle   funzioni   e
all'individuazione, quindi, del livello ottimale di esercizio. 
    Inoltre il comma in esame contiene anche una puntuale  disciplina
degli effetti della disposta soppressione dei consorzi,  illegittima,
perche' non lascia alcuno spazio al legislatore  regionale,  come  ha
rilevato la Corte costituzionale nella sentenza n. 237  del  2009  in
relazione ad analoga  norma.  E'  infatti  affermato:  «Quest'ultimo,
pero', contiene una disciplina di dettaglio ed  auto-applicativa  che
non puo' essere ricondotta all'alveo dei principi fondamentali  della
materia del coordinamento  della  finanza  pubblica,  in  quanto  non
lascia alle Regioni alcuno spazio di autonoma scelta  e  dispone,  in
via principale, direttamente la conseguenza,  anche  molto  incisiva,
della soppressione delle comunita' che si trovino nelle specifiche  e
puntuali condizioni ivi previste»: tale principio vale anche  per  la
norma  impugnata  che  contiene,  come   rilevato,   un'analitica   e
dettagliata disciplina degli effetti della prevista soppressione  dei
consorzi. 
    Ne'   possono   invocarsi,   a   sostegno   della    legittimita'
dell'intervento  legislativo  statale   in   esame,   la   competenza
concorrente in materia di coordinamento  della  finanza  pubblica  ai
sensi dell'art. 117, comma  3  e  dell'art.  119  Cost.  in  funzione
dell'obiettivo di riduzione della spesa pubblica corrente. 
    A tal proposito, la Corte costituzionale, con la citata  sentenza
n. 237/09 ha chiarito  che,  se  pure  il  legislatore  statale  puo'
intervenire,  anche  in  materie  riservate  in  via  esclusiva  alle
Regioni,  in  funzione  dell'obiettivo  di  riduzione   della   spesa
corrente,  l'intervento  non  deve  incidere  in   modo   particolare
sull'autonomia  delle  Regioni,  e  deve  limitarsi  a   fornire   al
legislatore regionale  alcuni  «indicatori»  che  si  presentano  non
vincolanti, ne' dettagliati, ne'  auto-applicativi,  i  quali  devono
essere tesi soltanto a dare un orientamento di massima alle modalita'
con le quali deve essere  attuato  l'eventuale  riordino  degli  enti
sub-regionali. Detto principio e' stato ulteriormente confermato  con
la recente sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  27/2010,  gia'
citata. 
    Al contrario, la disposizione  in  esame,  imponendo  un  obbligo
preciso e puntuale di soppressione dei consorzi, interviene  con  una
disciplina di estremo dettaglio, vincolante e per cio' stesso  lesiva
delle prerogative regionali, costituzionalmente garantite, in  ordine
alla potesta' di disciplinare l'esercizio in  forma  associata  delle
funzioni degli enti locali. 
    Preme  infine  evidenziare  che  l'illegittimita'  costituzionale
della norma in esame permane anche alla luce dell'art.  1,  comma  2,
d.l. n. 2/2010 ai sensi del quale «Le disposizioni di  cui  ai  commi
184, 185 e 186 dell'art. 2 della legge 23 dicembre 2009,  n.  191,  e
successive modificazioni,  si  applicano  a  decorrere  dal  2011  ai
singoli  enti  per  i  quali  ha  luogo  il  rinnovo  del  rispettivo
consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo».  La  norma
infatti ha solo l'effetto di posticipare la produzione degli  effetti
della norma in esame, che tuttavia risulta confermata  dal  punto  di
vista materiale e contenutistico. 
    Per  gli  esposti  motivi  l'art.  2,  comma  186,  lett.  e)  e'
incostituzionale per violazione degli artt. 114, 117, commi 2, 3, 4 e
6 cost. e 119 della Costituzione. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  191,  legge  n.
191/2009 nella parte in cui, dispone che la  delibera  del  consiglio
comunale di approvazione  del  protocollo  d'intesa  corredato  dello
schema dell'accordo di programma relativo agli immobili  militari  da
trasferire costituisce variante allo strumento  urbanistico  generale
che prescinde dalla verifica di  conformita'  con  la  pianificazione
sovraordinata; per violazione dell'art. 117, comma terzo Cost. 
    La norma in esame stabilisce che «Ai  sensi  di  quanto  previsto
dall'art. 58 del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.  112,  convertito,
con  modificazioni,  dalla  legge  6  agosto   2008,   n.   133,   la
deliberazione del consiglio comunale di approvazione  del  protocollo
d'intesa corredato dello schema dell'accordo di programma, di cui  al
comma 190, costituisce autorizzazione alle  varianti  allo  strumento
urbanistico generale,  per  le  quali  non  occorre  la  verifica  di
conformita' agli eventuali atti di  pianificazione  sovraordinata  di
competenza delle province e delle regioni, salva l'ipotesi in cui  la
variante comporti variazioni volumetriche superiori al 30  per  cento
dei volumi esistenti. Per  gli  immobili  oggetto  degli  accordi  di
programma di valorizzazione che  sono  assoggettati  alla  disciplina
prevista dal codice dei beni culturali e del  paesaggio,  di  cui  al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e'  acquisito  il  parere
della competente  soprintendenza  del  Ministero  per  i  beni  e  le
attivita' culturali, che si esprime entro trenta giorni». 
    Detta norma richiama espressamente e  riproduce  la  disposizione
contenuta all'art. 58, comma 2,  d.l.  n.  112/2008,  gia'  impugnata
dalla Regione Toscana, la quale prevedeva in senso del tutto  analogo
che  «l'inserimento  degli  immobili  nel  piano  ne   determina   la
conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne  dispone
espressamente  la  destinazione  urbanistica;  la  deliberazione  del
consiglio comunale di approvazione  del  piano  delle  alienazioni  e
valorizzazioni  costituisce  variante  allo   strumento   urbanistico
generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli  immobili,  non
necessita  di  verifiche  di  conformita'  agli  eventuali  atti   di
pianificazione sovraordinata di competenza  delle  Province  e  delle
Regioni». 
    In quella  occasione,  la  Regione  Toscana  aveva  censurato  il
suddetto  art.  58,  comma  2,  in  quanto  lesivo  delle  competenze
regionali in materia di governo del territorio, nella misura  in  cui
consentiva   che   la   variante,   automaticamente   apportata   con
l'approvazione del piano delle alienazioni  da  parte  del  consiglio
comunale non necessitava di verifiche di  conformita'  rispetto  agli
atti della  pianificazione  provinciale  e  regionale,  in  tal  modo
incidendo sulla legislazione regionale  in  materia  di  governo  del
territorio, la quale nel disciplinare il procedimento di adozione  ed
approvazione degli atti di pianificazione territoriale, ha  stabilito
la necessaria conformita' urbanistica degli atti - piani e varianti -
comunali, rispetto alle previsioni  degli  atti  regionali  indicati;
cio' in violazione dell'art. 117 Cost. 
    La Corte  costituzionale  ha  deciso  in  senso  favorevole  alle
Regioni la suddetta questione  di  legittimita'  costituzionale,  con
sentenza n. 340/2009, affermando che «Ancorche' nella ratio dell'art.
58 siano ravvisabili anche profili attinenti al  coordinamento  della
finanza  pubblica,  in  quanto   finalizzato   alle   alienazioni   e
valorizzazioni del patrimonio immobiliare degli enti, non c'e' dubbio
che, con riferimento al  comma  2  qui  censurato,  assuma  carattere
prevalente  la  materia  del  governo   del   territorio,   anch'essa
rientrante nella competenza ripartita tra  lo  Stato  e  le  Regioni,
avuto riguardo all'effetto di  variante  allo  strumento  urbanistico
generale,  attribuito  alla  delibera  che  approva   il   piano   di
alienazione e valorizzazione. 
    Ai sensi dell'art. 117, terzo comma, ultimo  periodo,  Cost.,  in
tali materie lo Stato ha soltanto il potere  di  fissare  i  principi
fondamentali,  spettando  alle  Regioni  il  potere  di  emanare   la
normativa di dettaglio. La relazione tra  normativa  di  principio  e
normativa di dettaglio va intesa nel  senso  che  alla  prima  spetta
prescrivere criteri ed  obiettivi,  essendo  riservata  alla  seconda
l'individuazione  degli  strumenti   concreti   da   utilizzare   per
raggiungere detti obiettivi (ex plurimis: sentenze nn. 237 e 200  del
2009). 
    Orbene la norma in esame, stabilendo l'effetto di variante  sopra
indicato ed escludendo che la variante stessa debba essere sottoposta
a  verifiche  di  conformita',  con  l'eccezione  dei  casi  previsti
nell'ultima  parte  della  disposizione  (la  quale  pure   contempla
percentuali  volumetriche  e  termini   specifici),   introduce   una
disciplina che non e' finalizzata a prescrivere criteri ed obiettivi,
ma si risolve in una  normativa  dettagliata  che  non  lascia  spazi
d'intervento al legislatore regionale, ponendosi cosi'  in  contrasto
con menzionato parametro costituzionale (sentenza n. 401 del 2007). 
    Alla stregua di  queste  considerazioni  deve  essere  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 58, comma 2,  del  d.l.  25
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  n.
133 del 2008, per contrasto  con  l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,
restando assorbito ogni altro profilo». 
    Le su  richiamate  considerazioni  possono  essere  evidentemente
richiamate con riferimento all'analoga norma di cui all'art. 2, comma
191 in esame. 
    Anche il comma 191, infatti, prevede una specifica procedura  per
la  vendita  e  la  valorizzazione  degli  immobili  militari,  anche
attraverso la sottoscrizione di appositi accordi di programma  con  i
Comuni interessati. Nel caso si  proceda  tramite  detti  accordi  di
programma e' poi previsto che - ai sensi e per gli affetti  dell'art.
58,  comma  2,  d.l.   n.   112/08,   si   ripete   gia'   dichiarato
costituzionalmente   illegittimo   con   sentenza   n.    340/09    -
l'approvazione da parte del  Comune  interessato  del  protocollo  di
intesa e dell'allegato accordo di programma costituisce variante  che
prescinde dalla valutazione  di  conformita'  con  la  pianificazione
sovraordinata di livello provinciale e regionale.  Tale  verifica  di
conformita' e' invece imposta dalla l.r. 1/2005, recante  «Norme  per
il governo del territorio». 
    In tal modo quindi viene  incisa  la  legislazione  regionale  in
materia  di  governo  del  territorio,   la   quale   disciplina   il
procedimento di adozione ed approvazione degli atti di pianificazione
territoriale e che stabilisce la necessaria  conformita'  urbanistica
degli atti pianificazione comunali  rispetto  alle  previsioni  degli
atti di programmazione e pianificazione provinciali e regionali,  con
conseguente violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  240,  legge  n.
191/2009 nella  parte  in  cui  dispone  che  l'individuazione  delle
situazioni  a  piu'  elevato  rischio   idrogeologico   da   risanare
attraverso le risorse di cui alla delibera del CIPE 2 novembre  2009,
sono individuate dal Ministero dell'ambiente sentite le Autorita'  di
bacino ed il Dipartimento della protezione  civile  della  Presidenza
del Consiglio; per violazione  dell'art.  117,  terzo  comma  nonche'
dell'art. 118, primo comma, Cost. e per contrasto con il principio di
leale collaborazione ed il principio di sussidiarieta'. 
    La  norma  in  esame  prevede  che  «Le  risorse  assegnate   per
interventi di risanamento ambientale con  delibera  del  CIPE  del  6
novembre  2009,  pari  a  1.000  milioni  di  euro,  a  valere  sulle
disponibilita' del Fondo infrastrutture e del Fondo strategico per il
Paese a sostegno dell'economia reale, di cui all'art.  18,  comma  1,
del  decreto-legge  29  novembre  2008,  n.  185,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge  28  gennaio  2009,  n.  2,  e  successive
modificazioni,  sono  destinate  ai  piani  straordinari  diretti   a
rimuovere  le  situazioni  a  piu'  elevato   rischio   idrogeologico
individuate  dalla  direzione  generale  competente   del   Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del  mare,  sentiti  le
autorita' di bacino di cui all'articolo 63 del decreto legislativo  3
aprile  2006,   n.   152,   e   successive   modificazioni,   nonche'
all'articolo 1  del  decreto-legge  30   dicembre   2008,   n.   208,
convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, e
il  Dipartimento  della  protezione  civile  della   Presidenza   del
Consiglio dei ministri. Le risorse di cui al presente  comma  possono
essere utilizzate anche tramite  accordo  di  programma  sottoscritto
dalla regione interessata  e  dal  Ministero  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare che definisce, altresi', la quota di
cofinanziamento regionale a valere sull'assegnazione di  risorse  del
Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'art. 61 della  legge  27
dicembre 2002,  n.  289,  e  successive  modificazioni,  che  ciascun
programma attuativo regionale destina  a  interventi  di  risanamento
ambientale». 
    La Regione ricorrente contesta la prima parte della  disposizione
in esame, perche' l'individuazione delle situazione  a  piu'  elevato
rischio  idrogeologico  da  rimuovere  e'  effettuata  dal  Ministero
dell'ambiente sentiti le Autorita' di bacino e la  Protezione  civile
della Presidenza del Consiglio dei ministri. E' pertanto evidente che
la Regione non e' chiamata a svolgere  alcun  ruolo  in  merito  alla
individuazione delle situazioni di criticita' da un  punto  di  vista
idrogeologico presenti nel proprio  territorio  ed  alla  conseguente
ammissione ai contributi per il risanamento. 
    Cio' appare lesivo delle indubbie  competenze  delle  Regioni  in
materia di governo del territorio, ai sensi dell'art.  117  comma  3,
Cost. che sono senz'altro coinvolte dalla previsione in esame. 
    A riguardo si richiama la recente sentenza n. 232/2009,  con  cui
la Corte costituzionale ha chiarito che le  attivita'  relative  alla
difesa del suolo, anche con specifico riguardo alla salvaguardia  per
i rischi derivanti dal dissesto idrogeologico, rientrano  nell'ambito
della materia della  tutela  dell'ambiente  di  competenza  esclusiva
statale. 
    Pur tuttavia la Corte costituzionale con la  stessa  sentenza  ha
precisato che «In relazione alla possibile  influenza  dell'attivita'
in questione su  attribuzioni  regionali  in  materie  di  competenza
concorrente o residuale, e' bensi' necessario un coinvolgimento delle
Regioni», quanto meno nella  forma  dell'espressione  del  parere  da
parte delle Regioni di volta in volta interessate  ovvero  attraverso
il parere della Conferenza unificata.  In  particolare  la  Corte  ha
chiarito che le competenze in materia di difesa del  suolo  da  parte
dello Stato «sono sicuramente  tali  da  produrre  effetti  indiretti
sulla materia del governo del territorio e dunque il  loro  esercizio
richiede un cointeressamento delle Regioni che deve essere realizzato
nella forma del parere della Conferenza unificata». 
    Ed ancora, sempre con la su citata sentenza la Corte ha  ribadito
«che anche se gli interventi in tema di difesa del suolo appartengono
a pieno titolo alla materia della tutela dell'ambiente,  le  generali
funzioni di programmazione e finanziamento che l'art.  58,  comma  3,
lettera a), assegna al Ministro dell'ambiente, sono tali da  produrre
effetti significativi sull'esercizio delle attribuzioni regionali  in
materia di governo del territorio. Nella  fattispecie,  pertanto,  il
principio di leale  collaborazione  impone  un  coinvolgimento  delle
Regioni e la norma va dichiarata illegittima nella parte in  cui  non
stabilisce che la programmazione ed il finanziamento degli interventi
in difesa  del  suolo  avvengano  sentita  la  Conferenza  unificata,
analogamente a quanto disposto in precedenza - per le stesse funzioni
- dall'art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998». 
    Infine, con specifico riferimento al risanamento delle situazioni
di dissesto idrogeologico, la  sentenza  in  esame  ha  ulteriormente
precisato che «Quanto al principio di leale  collaborazione,  la  sua
salvaguardia  e'  assicurata  dalla  necessita'  del   parere   della
Conferenza unificata per l'esercizio delle funzioni di programmazione
e finanziamento,  quale  risulta  a  seguito  della  declaratoria  di
parziale illegittimita' della lettera a) dello stesso art. 58,  comma
3. Infatti, il parere sara' richiesto anche in caso di programmazione
e   finanziamento   riguardanti   la    prevenzione    del    rischio
idrogeologico». 
    E' evidente pertanto che, alla luce di  tutto  quanto  sopra,  la
norma  in  esame  e'  illegittima  in  quanto   non   prevede   alcun
coinvolgimento delle Regioni - competenti in materia di  governo  del
territorio, materia, come visto, senz'altro incisa  dalle  previsioni
in esame - coinvolgimento invece necessario al  fine  della  corretta
indicazione delle priorita' degli interventi proprio in virtu'  delle
specifiche competenze regionali in merito  alle  caratteristiche  del
proprio territorio e allo stretto rapporto con gli enti locali. 
    Anche qualora si adducessero esigenze di  sussidiarieta'  per  la
rilevanza degli interventi in  parola  ai  fini  della  tutela  della
sicurezza e dell'incolumita' dei  cittadini,  resterebbe  pur  sempre
necessario garantire un meccanismo  partecipativo  delle  Regioni,  a
salvaguardia  delle  loro  competenze  in  materia  di  governo   del
territorio. 
    La  norma  invece  limita  la  partecipazione  esclusivamente  al
Dipartimento della protezione civile nazionale e  alle  Autorita'  di
bacino di cui all'art. 63 del decreto legislativo n.  152  del  2006:
queste ultime sono quelle dei bacini nazionali che, pero',  non  sono
state istituite e quindi i piani straordinari introdotti dalla  norma
qui contestata saranno adottati dal Ministero  dell'ambiente  sentita
la Protezione civile nazionale. 
    Il dubbio di illegittimita' costituzionale della norma non appare
superato ne'  superabile  neppure  alla  luce  della  previsione  pur
contenuta nell'ultimo periodo (che  non  si  contesta)  dello  stesso
comma, secondo cui «Le risorse  di  cui  al  presente  comma  possono
essere utilizzate anche tramite  accordo  di  programma  sottoscritto
dalla regione interessata  e  dal  Ministero  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare che definisce, altresi', la quota di
cofinanziamento regionale a valere sull'assegnazione di  risorse  del
Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'art. 61 della  legge  27
dicembre 2002,  n.  289,  e  successive  modificazioni,  che  ciascun
programma attuativo regionale destina  a  interventi  di  risanamento
ambientale». 
    In altri termini, la disposizione da  ultimo  citata  delinea  un
ruolo della Regione in materia che puo' a tal fine  sottoscrivere  un
apposito accordo di programma, esclusivamente a  fronte  dell'impegno
finanziario della  Regione  stessa  nell'intervento  di  risanamento.
Detta   disposizione   a   ben   vedere   conferma   l'illegittimita'
costituzionale della prima parte contestata, in quanto consente  alle
Regioni  di  partecipare  alla  individuazione  delle  situazioni  di
dissesto  idrogeologico  da  risanare,  solo   nel   caso,   in   cui
l'Amministrazione    regionale     proceda     al     cofinanziamento
dell'intervento. Cio' ad esempio significa per le Regioni  non  avere
alcun ruolo in ordine  a  quelle  situazioni  per  le  quali  non  si
provveda tramite accordo di programma, ma per  le  quali  la  Regione
abbia gia' provveduto a finanziare dei progetti di risanamento. 
    Il comma 240 dell'art. 2 e' pertanto  illegittimo  per  contrasto
con gli artt. 117, comma  3  e  118,  comma  1,  della  Costituzione,
nonche' per violazione del principio di leale  collaborazione  e  del
principio di sussidiarieta'.