Ricorso del Presidente del Consiglio  dei  ministri  pro  tempore
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale  dello  Stato
presso i cui Uffici e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
nei confronti della Regione  Basilicata  in  persona  del  Presidente
della  Giunta  regionale  pro  tempore  per   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale degli articoli 4, comma 2, lettera c) e
q) e comma 4; 11, comma 1, lettera d); 19 con l'allegato  A,  20,  21
con l'allegato E e 22 con l'allegato D e 26 della legge della Regione
Basilicata 29 dicembre 2009, n. 41 pubblicata nel B.U.R. n. 56 del 30
dicembre 2009 recante:  «Polizia  locale  e  politiche  di  sicurezza
urbana», giusta delibera  del  Consiglio  dei  ministri  in  data  19
febbraio 2010. 
    La legge regionale del 29 dicembre 2009, n.  41  detta  norme  in
materia di polizia locale e  politiche  di  sicurezza  urbana,  dando
attuazione ai principi contenuti nella legge  7  marzo  1986,  n.  65
«Legge quadro sull'ordinamento della polizia locale». 
    E' avviso del Governo che, con le norme denunciate  in  epigrafe,
la Regione Basilicata abbia  ecceduto  dalla  propria  competenza  in
violazione  della  normativa  costituzionale,  come  si  confida   di
dimostrare con l'illustrazione dei seguenti 
 
                             M o t i v i 
 
1) L'art. 4, comma 2, lett. c), della  legge  Regione  Basilicata  n.
41/2009 viola l'art. 117, secondo comma, lett. l) della Costituzione. 
    L'art. 4, comma 2, lettera c), della  legge  regionale  impugnata
prevede che gli appartenenti alla polizia locale dei comuni  e  delle
province esercitano  «funzioni  di  polizia  giudiziaria  secondo  le
disposizioni della vigente legislazione statale,  rivestendo,  a  tal
fine, la qualifica di Ufficiale di Polizia  Giudiziaria  riferita  ai
Comandanti, Ufficiali e Ispettori di Polizia  Locale,  a  seguito  di
nomina da parte dell'Amministrazione di appartenenza  in  riferimento
al disposto dell'art. 55 del codice di procedura penale, e di  Agente
di Polizia Giudiziaria, riferita agli  Assistenti-Istruttori  e  agli
Agenti di Polizia Locale». Tale disposizione,  pur  in  presenza  del
richiamo alla vigente legislazione statale, si pone in contrasto  con
la competenza esclusiva  dello  Stato  in  materia  di  giurisdizione
penale disposta dalla lettera l) del  secondo  comma  dell'art.  117,
Cost., in quanto la regione non ha competenza legislativa in  materia
di corpi di polizia giudiziaria. 
    Come gia'  affermato  dalla  Corte  costituzionale  (sentenza  n.
313/2003) a proposito dell'attribuzione, con  legge  regionale  della
Lombardia n. 2/2002, della qualifica di ufficiale o agente di polizia
giudiziaria al personale del Corpo forestale  regionale,  la  polizia
giudiziaria, a norma degli articoli 55 e 57 del codice  di  procedura
penale, opera di propria  iniziativa  e  per  disposizione  o  delega
dell'Autorita' giudiziaria, ai  fini  dell'applicazione  della  legge
penale e pertanto l'esclusione della  competenza  regionale  in  tale
ambito «risulta dalla competenza esclusiva dello Stato in materia  di
giurisdizione penale disposta dalla  lettera  l)  del  secondo  comma
dell'art. 117, Cost.», che prevede espressamente la riserva a  favore
della legislazione statale  in  materia  di  «giurisdizione  e  norme
processuali; ordinamento civile e penale». Dunque, la regione non  e'
competente a disporre il riconoscimento della qualifica di  ufficiale
o agente di polizia giudiziaria, indipendentemente dalla  conformita'
o dalla difformita' della legge regionale rispetto alla  legge  dello
Stato, perche' tale riconoscimento e' di esclusiva  competenza  della
legge statale. 
2) L'art. 4,  comma  2,  lett.  q)  e  comma  4,  del  legge  Regione
Basilicata n. 41/09 viola l'art. 117, secondo comma, lett. h),  della
Costituzione. 
    L'art. 4, comma 2, lettera q) e comma  4  della  legge  regionale
impugnata, nella parte in cui prevede che  possano  essere  raggiunte
intese di collaborazione nell'attivita' di pubblica sicurezza tra  le
amministrazioni locali, anche al di fuori dei rispettivi territori di
appartenenza, inviandone comunicazione al Prefetto solo nel  caso  in
cui riguardino personale avente la qualita'  di  agente  in  servizio
armato, invade l'ambito di competenza esclusiva statale in materia di
ordine pubblico e sicurezza previsto dall'art. 117, comma 2,  lettera
h), Cost. e si pone  in  contrasto  con  la  legge  n.  65/1986  che,
all'art. 5, comma 1, lettera c), definisce «ausiliarie»  le  funzioni
di pubblica sicurezza della polizia locale ai sensi dell'art. 3 della
medesima legge, in base al quale gli addetti al servizio  di  polizia
municipale collaborano, «nell'ambito delle proprie attribuzioni,  con
le Forze di polizia dello Stato,  previa  disposizione  del  sindaco,
quando ne venga fatta, per specifiche operazioni, motivata  richiesta
dalle competenti autorita'». 
    Con  riferimento  alla  polizia  di  sicurezza,  finalizzata   ad
adottare «le misure preventive e repressive dirette  al  mantenimento
dell'ordine pubblico, inteso come il  complesso  dei  beni  giuridici
fondamentali e degli interessi pubblici primari sui  quali  si  regge
l'ordinata e civile convivenza  nella  comunita'  nazionale,  nonche'
alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini  e  dei  loro  beni»,
secondo  la  definizione  del  comma  2  dell'art.  159  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112, la  competenza  legislativa,  come
gia'  prima  della  riforma  del  titolo  V  della  parte  II   della
Costituzione ad opera della legge cost. n. 3 del 2001, e' oggetto  di
riserva a favore dello Stato, a norma della lettera  h)  del  secondo
comma dell'art. 117, Cost., che ha  riguardo  all'ordine  pubblico  e
alla sicurezza, «con netta distinzione dalla  polizia  amministrativa
locale che segue invece,  in  quanto  strumentale,  la  distribuzione
delle competenze principali cui accede» (sentenza  n.  313  del  2003
cit.). 
    Come ha chiarito la Corte costituzionale, i  compiti  di  polizia
amministrativa, esclusi dalla competenza esclusiva  statale  ex  art.
117, lett. h), Cost., «concernono le attivita' di  prevenzione  o  di
repressione dirette a evitare danni o pregiudizi che  possono  essere
arrecati alle persone o alle  cose  nello  svolgimento  di  attivita'
ricomprese nelle materie sulle  quali  si  esercitano  le  competenze
regionali (sanita', turismo, cave e torbiere,  etc.),  senza  che  ne
risultino lesi o messi in pericolo i beni o gli interessi tutelati in
nome dell'ordine pubblico. In altri termini, al fine di  decidere  se
un  determinato  potere   rientri   nelle   competenze   di   polizia
amministrativa trasferite o delegate alle regioni, occorre  applicare
un duplice criterio: 
        a) verificare se le  funzioni  di  polizia  in  contestazione
accedano ad una delle materie trasferite o delegate alle regioni; 
        b) accertare che gli  interessi  o  i  beni  che  si  intende
tutelare con le funzioni di cui si tratta  non  rientrino  in  quelli
compresi nel concetto di ordine pubblico.» (sentenza. n. 218/1988). 
    Infatti, «solo quando le funzioni  di  polizia  accedano  ad  una
delle materie regionali e gli interessi o i beni pubblici che si mira
a tutelare con l'esercizio dei poteri  ad  esse  connessi  siano  del
tutto  interni  alla  disciplina  amministrativa  della  materia   in
questione, quelle misure  possono  essere  ricondotte  alle  funzioni
regionali (o provinciali) di  polizia  amministrativa»  (sentenza  n.
129/2009). 
    In tal  senso,  la  Corte  costituzionale  ha  chiarito,  con  la
sentenza da ultimo citata, che la rilevanza dei  compiti  di  polizia
amministrativa  deve  necessariamente  esaurirsi  all'interno   delle
attribuzioni  regionali  e  non  puo'  toccare  quegli  interessi  di
fondamentale importanza per l'ordinamento complessivo che e'  compito
dello Stato curare. 
    Se cio'  vale  per  la  delimitazione  «per  attribuzioni»  della
competenza legislativa regionale (da  intendersi  limitata  a  quelle
attivita',  rientranti  nel  concetto  di  sicurezza   pubblica,   di
competenza regionale), analoga conclusione deve raggiungersi anche in
relazione  alla   delimitazione   «territoriale»   della   competenza
legislativa regionale, traducendosi la  possibilita'  di  raggiungere
intese con altri enti locali,  per  tutelare  la  sicurezza  pubblica
anche al di fuori del territorio regionale, in una indebita invasione
della competenza legislativa statale che, per  definizione,  riguarda
l'intero territorio nazionale. 
3) L'art. 11, comma l, lett. d) della  legge  Regione  Basilicata  n.
41/2009  viola  l'art.  117,   secondo   comma,   lett.   h),   della
Costituzione. 
    L'art. 11, comma 1, lettera d) della  legge  regionale  impugnata
ove dispone quale requisito  ulteriore  rispetto  a  quelli  previsti
dalle leggi vigenti per l'ammissione ai concorsi per posti di polizia
locale il «non essere  in  possesso  dello  status  di  obiettore  di
coscienza», si pone in contrasto con la legge 23 agosto 2004, n.  226
che, all'art. 1, prevede la sospensione a decorrere  dal  1°  gennaio
2005 delle chiamate per lo svolgimento del servizio di leva invadendo
la competenza esclusiva statale  in  materia  di  ordine  pubblico  e
sicurezza di cui alla lettera h) dell'art.117, secondo comma, Cost. 
    Peraltro, la previsione, oltre  a  non  essere  coerente  con  la
predetta sospensione del servizio di leva - atteso che lo  status  di
obiettore di coscienza in tanto assume rilevanza in quanto vi sia una
obbligatoria chiamata alle armi -  introduce  un  requisito  negativo
insieme ad «altri specifici requisiti» per l'ammissione  ai  concorsi
per posti di Polizia locale che in realta' «specifici» non sono. 
    L'art. 5, comma 2 della legge-quadro n. 65/1986, nel prevedere  i
requisiti del personale che svolge servizio di polizia municipale, ne
elenca tre a carattere generale: a) godimento dei  diritti  civili  e
politici; b) non aver subito condanna a pena  detentiva  per  delitto
non colposo o non essere stato sottoposto a misura di prevenzione; c)
non essere stato espulso dalle Forze armate o dai Corpi  militarmente
organizzati o destituito dai pubblici uffici. Detti requisiti  -  che
hanno  tutt'altro   che   carattere   «specifico»   -   corrispondono
testualmente a quelli elencati alle lettere a), b) e c) dell'art. 11,
comma 1 della legge regionale impugnata, che  aggiunge  un  requisito
ulteriore (alla lettera d)) consistente nel «non essere  in  possesso
dello status di obiettore di  coscienza»  che  esula  totalmente  dai
requisiti previsti dalla legge statale. 
4) Gli articoli 19 con l'allegato A, 20, 21 con l'allegato E e 22 con
l'allegato D, della  legge  Regione  Basilicata  n.  41/2009  violano
l'art. 117, secondo comma, lett. h), della Costituzione. 
    Gli articoli 19, con l'allegato A, 20, 21 con l'allegato E  e  22
con l'allegato D, della legge regionale impugnata  prevedono  colori,
forme, mostreggiature e gradi delle uniformi che appaiono somiglianti
a quelli in uso alla  polizia  di  Stato,  in  contrasto  con  quanto
stabilito all'art. 6 della legge n. 65/1986, che  stabilisce  che  le
uniformi devono essere tali da escludere la stretta  somiglianza  con
le uniformi delle forze di polizia e delle forze armate dello Stato. 
    Il predetto art. 6, nell'individuare i confini della legislazione
regionale  in  materia  di  polizia  municipale,  stabilisce  che  le
regioni, per quanto qui  interessa,  determinino  le  caratteristiche
delle uniformi e dei relativi distintivi di grado per gli addetti  al
servizio  di  polizia  municipale  dei   comuni   della   regione   e
stabiliscano i criteri generali concernenti l'obbligo e le  modalita'
d'uso. L'unico limite e', come si e' detto, quello volto  ad  evitare
la somiglianza con le uniformi delle forze di polizia e  delle  forze
armate dello Stato, limite che non appare nella specie  essere  stato
osservato. 
    Anche in  tal  caso  si  ravvisa  pertanto  la  violazione  della
competenza esclusiva statale di cui all'art.117, comma 2,  lett.  h),
Cost. 
5) L'art. 26 della legge Regione Basilicata n. 41/2009  viola  l'art.
117, primo comma della Costituzione. 
    L'art. 26 della legge  regionale  impugnata,  che  istituisce  un
numero telefonico unico regionale (a 3 o  4  cifre)  per  la  polizia
locale, si pone in contrasto con la direttiva 2002/22/CE, relativa al
servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di
servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale),
recepita con decreto legislativo  1°  agosto  2003  n.  259,  recante
Codice delle comunicazioni elettroniche, che ha  imposto  agli  Stati
membri di istituire il numero unico di emergenza «112» (112  N.U.E.),
al fine di garantire ai cittadini adeguata risposta alle chiamate  di
emergenza  attraverso  un  sistema  di'  gestione   unificato   delle
telefonate,  come  previsto  dall'articolo  8  del  decreto-legge  25
settembre 2009 n. 135, convertito con modificazioni  dalla  legge  20
novembre 2009 n. 166. 
    A norma dell'art. 26 della citata direttiva 2002/22/CE, gli Stati
membri provvedono affinche' tutti gli utenti finali possano  chiamare
gratuitamente i servizi di soccorso digitando il numero di  emergenza
unico  europeo  «112»  e  qualunque  numero  di  emergenza  nazionale
specificato dagli Stati membri, in  consultazione  con  le  autorita'
nazionali di regolamentazione. 
    A sua volta, l'art. 76 del predetto decreto  legislativo  n.  259
del 2003, che ha  trasposto  la  direttiva  servizio  universale  nel
nostro ordinamento, ha stabilito che il Ministero provvede affinche',
oltre ad altri eventuali numeri di emergenza nazionali, indicati  nel
piano  nazionale  di  numerazione,  gli  utenti  finali  di   servizi
telefonici accessibili al pubblico possano chiamare  gratuitamente  i
servizi di soccorso digitando il numero di  emergenza  unico  europeo
«112».  Detta  norma  prevede  inoltre  che  i  numeri  di  emergenza
nazionali sono stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, sentita l'Autorita' per le garanzie nelle  comunicazioni  -
che costituisce «l'autorita' nazionale di regolamentazione »  cui  si
riferisce la direttiva comunitaria - in  merito  alla  disponibilita'
dei numeri e sono recepiti  dall'Autorita'  nel  piano  nazionale  di
numerazione. In sede di prima applicazione sono confermati  i  numeri
di emergenza stabiliti dall'Autorita' con la deliberazione 9/03/CIR. 
    La previsione statale di recepimento della direttiva comunitaria,
quindi, e' volta a garantire  la  certezza  per  la  cittadinanza  in
ordine al numero o ai numeri di emergenza cui fare  riferimento  onde
evitare il rischio di  sovrapposizioni.  La  norma  regionale  dunque
viola l'art. 117, primo comma  della  Costituzione  che  impone  alle
regioni   l'osservanza   dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario.