LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso iscritto al n. 24436-2004 del Ruolo Generale degli affari civili dell'anno 2004, proposto da: Senese Salvatore, domiciliato elettivamente in Roma, alla via G. Gesmundo n. 4, presso l'avv. Giuseppe Zupo, che, con l'avvocato Giuseppina Bevivino, lo rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso; ricorrente; Contro Belluscio Costantino, elettivamente domiciliato nel giudizio d'appello presso il difensore avv. Massimo Bersani in Roma, alla piazza Cola di Rienzo n. 69; intimato, avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, 1ª sez. civ., n. 4091/03, del 17 gennaio - 29 settembre 2003; Uditi, all'udienza del 17 marzo 2009, la relazione del Cons. dott. Fabrizio Forte, l'avv. Giuseppe Zupo, per il ricorrente, e il p.m. dott. Antonio Martone, che ha chiesto di sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Premesso in fatto 1. - La vicenda. Il dott. Salvatore Senese, magistrato componente del Consiglio superiore della magistratura all'epoca dei fatti, querelava il parlamentare on. Costantino Belluscio per avere pubblicato, tra l'agosto e il novembre 1982, tre articoli prima sul periodico Ordine Pubblico, dal titolo, rispettivamente, «Prima compagni e poi giudici», «Polizia? No, grazie» e «Ma quale giustizia...» e successivamente sui giornali L'Umanita' e Ragionamenti, nei quali, riportando in modo alterato e incompleto alcune frasi estrapolate da un suo scritto contenuto nel volume dal titolo «Crisi istituzionale e rinnovamento della giustizia» edito nel 1978, ne aveva stravolto completamente il senso in modo da far trasparire una sua posizione di favore e sostegno a gruppi eversivi e terroristici, con grave lesione della sua immagine di magistrato. In particolare, il Belluscio aveva riportato una frase del Senese: «Il (nostro) disprezzo per le istituzioni e' ormai entrato in molte coscienze democratiche», inserendovi l'aggettivo nostro, non esistente nel testo originale, che anzi esprimeva una forte preoccupazione dell'autore per il processo di deterioramento del rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, ed omettendo la conclusione: «non si puo' far finta di niente», cosi' da attribuire al querelante un atteggiamento di disprezzo verso le istituzioni stesse. Aveva inoltre trasformato la sua attenzione verso le lotte sociali «non eversive, non violente e nemmeno illegali» nell'esaltazione di «forme di violenza che si erano espresse in scioperi selvaggi, in occupazione di case, nella spesa proletaria, nell'autoriduzione delle tariffe, cioe' in pratica i primi fuochi di guerriglia», mai condivise ne' approvate dal magistrato. Aveva ancora commentato, in uno di detti articoli: «Che cosa significa tutto cio', se non una copertura, ammantata da motivazioni sociologiche, del fenomeno terroristico? Le Brigate Rosse hanno forse una filosofia diversa alla base delle loro gesta?», omettendo di riportare la netta e non rituale condanna del terrorismo e della violenza politica che l' esponente aveva ribadito nel suo scritto. Nonostante la richiesta del Senese di rettificare quanto pubblicato su Ordine pubblico e di eliminare le falsificazioni, il Belluscio aveva proseguito nella sua condotta, giustificando la propria segretaria per «aver copiato fedelmente una frase da un contesto tale per cui anche quel nostro si giustifica» e successivamente inviando gli articoli, senza alcuna correzione, alle redazioni de L' Umanita' e Ragionamenti. 2. - Il processo penale e la causa civile. Negata nell'anno 1987 dalla Camera dei deputati l'autorizzazione a procedere all'epoca prevista, all'esito del mandato parlamentare del Belluscio il processo penale in precedenza sospeso era definito con sentenza della Corte di cassazione, sez. V penale, 3 giugno 1993, n. 8375 che, respinta la censura di carenza motivazionale sulla colpevolezza dell' imputato affermata in grado di appello, dichiarava estinto il reato di diffamazione per prescrizione. Il Senese adiva quindi il giudice civile, con citazione notificata il 27 dicembre 1995, al fine di ottenere il risarcimento del danno. Tale domanda era respinta dal Tribunale di Roma con sentenza del 4 aprile 2000. Proposto appello dal Senese ed appello incidentale dal Belluscio, la Corte di appello di Roma con sentenza del 29 settembre 2003, in parziale riforma della decisione impugnata, compensava tra le parti le spese del primo grado di giudizio e confermava nel resto, ponendo peraltro a fondamento del rigetto della domanda risarcitoria una diversa motivazione, in ragione della sopravvenuta delibera della Camera dei deputati del 22 febbraio 2000 - prodotta dal Belluscio con la costituzione in appello - di insindacabilita' delle opinioni espresse dal parlamentare negli scritti in oggetto. La Corte di appello, premesso che l'art. 68, primo comma, Cost. prevede un'esimente di natura sostanziale dalla responsabilita', condivideva la delibera di insindacabilita' sopra richiamata, secondo la quale i fatti per i quali era in corso il processo «concernono opinioni espresse dall'on. Belluscio ... nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo comma dell'art. 68 della Costituzione». Detta Corte disattendeva quindi la richiesta di sollevare conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale formulata dall'appellante, il quale aveva dedotto che l'atto parlamentare lo aveva privato del diritto di ottenere una sentenza di merito, comprimendo il potere dei giudici di decidere sulla domanda ed esorbitando dalle prerogative costituzionali del Parlamento, in assenza del necessario collegamento funzionale tra l'attivita' di parlamentare e gli articoli di stampa in esame: osservava al riguardo il Collegio che nella «delibera viene posto in evidenza che il deputato Belluscio, all'epoca dei fatti, a prescindere dalle manifestazioni di parlamentari organizzate dinanzi al carcere di Peschiera ove erano ristretti i poliziotti dei N.O.C.S. arrestati, ha presentato una interrogazione parlamentare» di censura dell'emissione dei mandati di cattura di appartenenti alle forze dell'ordine da parte dei magistrati di Padova, chiedendo testualmente «in che modo il Governo si propone di contenere l'azione di noti magistrati politicizzati la cui azione contrasta con i principi costituzionali e determina legittimi dubbi nella certezza del diritto»; rilevava inoltre che dalla stessa delibera risultava che «nella replica alla risposta del rappresentante del Governo 1' onorevole Belluscio ebbe ancora a soffermarsi sulle «idee politiche» e sulle «convinzioni filosofiche» dei magistrati associati a magistratura democratica e agli atti congressuali che ne contenevano l'esposizione. Sempre nel quadro delle suddette manifestazioni l'onorevole Belluscio fu, altresi', incaricato dai gruppi parlamentari di acquisire elementi per effettuare un'inchiesta giornalistica sulle tesi di tale associazione e sul loro rapporto con il corretto esercizio della funzione giudiziaria. Sulla base di tale incarico l'onorevole Belluscio pubblico' gli articoli di cui si e' fatto sopra riferimento». I motivi indicati nella delibera giustificavano, ad avviso della Corte di merito, la esenzione da responsabilita', non rilevando che nell' interrogazione non fosse riportato il nome del Senese o di altri esponenti della corrente associativa della magistratura cui il medesimo apparteneva, sulla quale il parlamentare aveva espresso un'opinione fortemente critica. Stante la ravvisata correttezza della delibera parlamentare, la Corte di appello rigettava la domanda di risarcimento del danno, affermando conclusivamente che il comportamento dell'on. Belluscio, «sebbene illecito, non comporta responsabilita' dell'autore del fatto», ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost. Il ricorso per cassazione del Senese. Per la cassazione di tale sentenza il Senese ha proposto tempestivo ricorso notificato l'8 novembre 2004, con unico articolato motivo illustrato da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. Il Belluscio non ha svolto attivita' difensiva. Con il ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 68, primo comma, 24, 111, sesto comma, 134 Costa, e dell'art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, e omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 e 5, c.p.c. Si deduce che la sentenza della Corte di appello di Roma lede il «diritto di accesso alla giustizia» del ricorrente, riconosciuto dall'art. 24 della Cost. e dall'art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nell' interpretazione fornita dalla Corte europea di Strasburgo (da ora C.E.D.U.), che costituisce diritto vivente sovranazionale: si osserva al riguardo che la insindacabilita' delle opinioni espresse dal parlamentare, a garanzia del pieno e libero svolgimento delle sue funzioni, sia per la Corte costituzionale che per la C.E.D.U. puo' legittimamente incidere sulla giustiziabilita' delle situazioni soggettive di terzi soltanto se il comportamento illecito sia legato da nesso funzionale all' attivita' parlamentare. Si rileva sul punto che la Corte costituzionale ha reiteratamente affermato che il nesso tra attivita' parlamentare e opinione espressa al di fuori degli atti tipici del Parlamento e' ravvisabile solo se 1'opinione manifestata extra moenia sia sostanzialmente riproduttiva di quella esposta nella sede parlamentare. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nel rifiutare di sollevare il conflitto di attribuzione e nel qualificare «esatta» la delibera liberatoria del Parlamento, si e' attribuita funzioni che non le spettano ed ha erroneamente ritenuto la insindacabilita' degli scritti diffamatori e l'esonero dalla responsabilita' civile del Belluscio, con un'adesione completa alle ragioni della decisione del Parlamento, adottata in contrasto con i costanti indirizzi ermeneutici della Corte costituzionale. Piu' specificamente, si rileva che la motivazione della sentenza impugnata, anche ove intesa come recettiva della motivazione resa dal Parlamento, e' insufficiente e comunque contrastante con i criteri adottati di regola dalla Corte costituzionale nella risoluzione dei conflitti sorti tra poteri dello Stato a seguito dei provvedimenti scriminanti del Parlamento ai sensi dell'art. 68 Cost., in quanto negli atti parlamentari - interrogazione e replica del Belluscio - i riferimenti ai comportamenti dei giudici sono astratti e generici, pur se relativi a «magistrati politicizzati» appartenenti alla corrente Magistratura democratica; per contro, negli articoli di stampa in oggetto le espressioni diffamatorie sono indirizzate specificamente nei confronti del ricorrente, onde deve negarsi che esse si pongano come riproduttive o divulgative di manifestazioni del pensiero gia' espresse in sede parlamentare e nell'esercizio delle funzioni di deputato. Si osserva altresi' che la C.E.D.U. ha in piu' occasioni precisato che il sacrificio del diritto di agire del cittadino e' giustificato solo se proporzionato alla esigenza di salvaguardia delle liberta' del Parlamento ed ha ritenuto ingiustificato tale sacrificio allorche' il giudice nazionale, sollecitato dalla parte, abbia rifiutato di sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale, cosi' impedendo a questa di pronunciare sulla compatibilita' tra la deliberazione del Parlamento, contestata come esorbitante dalla parte, e le attribuzioni costituzionali del potere giudiziario. Si prospetta quindi violazione dell'art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretato dalla C.E.D.U., e dell'art. 24 Cost., per avere la Corte di merito respinto la domanda risarcitoria in base ad una delibera parlamentare la cui legittimita' egli aveva contestato, senza interpellare l'organo cui spettava verificarne la correttezza e quindi surrogandosi nei poteri del giudice delle leggi, unico legittimato alla valutazione di cui sopra. Considerato in diritto 1. - Come e' noto, l'art. 68, primo comma, Cost. detta una scriminante di natura sostanziale per le opinioni espresse dai membri del Parlamento, applicabile anche direttamente dal giudice, in caso di mancata delibera della Camera di appartenenza circa la sindacabilita' delle condotte poste in essere (cfr., di recente, Cass. 19 dicembre 2008 n. 28859; 18 settembre 2007 n. 18689; 12 aprile 2006 n. 8626, tra altre), dovendo invece lo stesso giudice negare l'applicazione di tale esimente, salvo sollevare conflitto di attribuzione, allorche' la camera di appartenenza abbia espressamente affermato la sindacabilita' della condotta del suo membro posta a base dell'azione giudiziaria (Cass. Sez. V pen., 14 dicembre 2007 n. 46663). Nel caso di specie, come rilevato nella esposizione in fatto che precede, il Belluscio ha prodotto nel corso del giudizio di appello la delibera adottata dalla Camera dei deputati nella seduta n. 678 del 22 febbraio 2000, che ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni di ritenere insindacabili le opinioni dal medesimo espresse negli scritti in oggetto, considerate diffamatorie dal Senese. La Camera dei deputati ha esteso esenzione a tutti gli articoli pubblicati dal Belluscio tra l'agosto e il novembre 1982 sui giornali sopra richiamati, rilevando che nella seduta del 30 giugno di quello stesso anno il deputato aveva presentato una interrogazione parlamentare per conoscere come il Governo intendeva «tutelare il lavoro degli appartenenti alle forze di polizia esposti... alle conseguenze di gesta di disinvolti magistrati, come e' il caso dei mandati di cattura e di quelli di comparizione spiccati» da «alcuni magistrati padovani» nei confronti dei liberatori del generale Dozier e che nella replica del 6 luglio 1982 alla risposta del ministro aveva continuato a censurare gli effetti «dell'azione dei giudici di Padova», per avere questi accusato i poliziotti di torture ai terroristi. La delibera parlamentare ha giustificato l'esenzione da responsabilita' del Belluscio richiamando anche la motivazione posta a base del diniego della autorizzazione a procedere in data 25 marzo 1987 dalla Giunta per le autorizzazioni, allora esistente, la quale aveva affermato che le critiche del Belluscio «ad un magistrato non riguardano le sue funzioni o il suo operato giurisdizionale, bensi' un indirizzo politico di parte della magistratura, all'interno del quale il dottor Senese e' notoriamente impegnato quale esponente di magistratura democratica», e che le conseguenti polemiche risultavano «pienamente ammissibili, non potendosi sottrarre nessuno alle regole dello scontro politico, per quanto acceso possa dimostrarsi». La delibera della Camera dei deputati riporta altresi' l'atto di citazione del Senese con i riferimenti alle manipolazioni, alterazioni e omissioni di parti del suo scritto poste in essere dal Belluscio allo scopo di evidenziare la contiguita' delle opinioni del magistrato con l'ideologia dei terroristi e in particolare del gruppo delle brigate rosse, richiamando anche i rilievi mossi dal deputato alla richiesta di rettifica, volti a giustificare l'errore della segretaria per aver inserito l'attributo «nostro» prima dell'inciso «disprezzo per le istituzioni», che risultava cosi' attribuito al Senese, con grave alterazione del suo pensiero. Nessuna rilevanza peraltro il Parlamento ha attribuito al fatto che gli articoli diffamatori erano stati nuovamente pubblicati sui giornali L'Umanita' e Ragionamenti senza le rettifiche richieste dal Senese. La medesima delibera, recependo le argomentazioni della Giunta, ha in conclusione ravvisato «un pregnante collegamento tra le opinioni espresse dall'onorevole Belluscio negli articoli in questione e la sua attivita' parlamentare... esplicitata sia attraverso la presentazione dell'interrogazione, sia attraverso un intervento in aula, sia, infine, attraverso una serie di ulteriori iniziative politiche da farsi risalire comunque all'attivita' del gruppo parlamentare in quanto tale». La Corte di appello non ha sollevato il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollecitato dal Senese, ma facendo propria la motivazione della delibera del Parlamento che aveva ravvisato i presupposti richiesti per il giudizio di insindacabilita' delle opinioni ha ritenuto che il comportamento denunciato si ponesse sebbene «illecito», in «stretta connessione con l'espletamento delle funzioni tipiche e delle finalita' proprie del mandato parlamentare» e pertanto non comportasse responsabilita' del suo autore (pag. 7 e 8 della sentenza). 2. - La scriminante sostanziale riconosciuta dal Parlamento, che ha indotto la Corte di appello al rigetto della domanda risarcitoria del Senese, impedisce a questa Corte di legittimita' di esercitare la propria funzione giurisdizionale con esiti diversi dalla conferma della sentenza impugnata ovvero da quello della proposizione del conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, sempre che nella delibera del Parlamento il Collegio ravvisi una arbitraria compressione delle attribuzioni giurisdizionali, in base ai principi elaborati nella risoluzione di altri conflitti analoghi dalla Corte costituzionale (v. sul punto, di recente, Cass. 27 marzo 2009 n. 7539). La Corte ritiene di non poter decidere il ricorso senza sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in applicazione degli artt. 134 Cost. e 37 della legge 11 marzo 1953 n. 87. Il conflitto va sollevato contro la delibera della Camera dei deputati assunta nella seduta n. 678 del 22 febbraio 2000, che ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni del 9 febbraio 2000, doc. IV-quater, n. 111, secondo la quale i fatti a base della domanda di risarcimento del danno del Senese - consistenti negli articoli a firma del Belluscio pubblicati tra l'agosto e il novembre 1982 richiamati in precedenza - concernono opinioni espresse dal predetto, deputato all'epoca in cui essi furono posti in essere, nell'esercizio delle sue funzioni di parlamentare ai sensi dell'art. 68 della Costituzione. Non e' invero configurabile, nella fattispecie, il nesso funzionale tra attivita' illecita extra moenia e funzioni parlamentari che costituisce (secondo l'espressione usata da Corte Cost. 2004 n. 246) «l'unico saldo criterio desumibile dal primo comma dell'art. 68 Cost.». Come e' noto, tale requisito postula, secondo le linee ermeneutiche da tempo adottate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, la presenza di due elementi oggettivi: il primo, di natura temporale, in forza del quale l'atto esterno deve seguire di poco tempo il compimento degli atti parlamentari, cosi' assumendone natura e funzione divulgativa, ed il secondo, a carattere sostanziale, che impone la corrispondenza di contenuto tra le opinioni espresse dal parlamentare nell'esercizio delle funzioni e le dichiarazioni esterne dal medesimo rese, non essendo sufficiente ne' una comunanza di argomenti ne' il mero contesto politico cui possano riferirsi le esternazioni extraparlamentari (cfr. di recente, ex multis, C. cost. 12 dicembre 2008 n. 410; 14 maggio 2008 n. 135; 13 novembre 2007 n. 388; 20 luglio 2007 n. 302). Ed invero nella vicenda in esame lo stretto collegamento temporale che assicura il carattere divulgativo dell'attivita' extra moenia non appare ravvisabile, atteso che gli articoli diffamatori furono pubblicati tra l'agosto ed il novembre 1982, mentre gli atti parlamentari di riferimento, costituiti dall'interrogazione parlamentare del Belluscio sopra riportata e dalla replica alla risposta del Ministro dell'interno, risalgono rispettivamente al 30 giugno e al 6 luglio 1982. Deve anche e soprattutto negarsi che gli scritti sui quali la pretesa risarcitoria si fonda siano sostanzialmente connessi con 1'attivita' svolta dal Belluscio in sede parlamentare: ed invero nella interrogazione parlamentare si fa espresso riferimento alle gesta di disinvolti magistrati, come e' il caso dei mandati di cattura e di quelli di comparizione emessi da alcuni magistrati padovani che avevano ristretto in carcere i poliziotti dei N.O.C.S. e all'azione di noti magistrati politicizzati, ma non vi e' alcun passaggio che possa ricondurre specificamente alla persona e tanto meno all'attivita' giurisdizionale del Senese, il quale, all'epoca, era componente del Consiglio superiore della magistratura. Ed anche il piu' ampio riferimento, contenuto nella replica alla risposta del Ministro dell'interno, alle idee filosofiche o alle convinzioni politiche di magistrati appare pur sempre rivolto ai giudici padovani, quali autori delle «improvvide iniziative» innanzi richiamate, assunte in adesione alle ideologie ed ai valori di riferimento della corrente Magistratura democratica, e non e' automaticamente collegabile alla persona del Senese, che pure di quel gruppo associativo era autorevole esponente. Gli scritti per i quali si e' riconosciuta l'esenzione da responsabilita' non possono pertanto considerarsi ne' riproduttivi, ne' divulgativi, ne' ripetitivi delle opinioni espresse dal Belluscio in detta sede ne' in alcun altro atto parlamentare, tra quelli indicati nell'art. 3 della legge 30 giugno 2003 n. 140. Ed invero tale disposizione, ritenuta legittima da C. Cost. 16 aprile 2004 n. 120 e 6 aprile 2005 n. 136 e inapplicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, ma utilizzabile sul piano esegetico, individua, specificandoli, gli atti parlamentari cui 1'art. 68, primo comma, della Costituzione e' applicabile, ai quali non sono certamente riconducibili le manifestazioni di protesta dinanzi al carcere di Peschiera e l'inchiesta giornalistica delle quali e' pure menzione nella delibera della Giunta approvata dalla Camera dei deputati. Ed ancora, il richiamo contenuto nella delibera in discorso allo scontro politico e alle sue conseguenze, ripreso dall'atto con il quale l'Assemblea nel 1987 aveva rifiutato l'autorizzazione a procedere, vale ad adombrare una non consentita estensione dell'area della garanzia che compete al membro del Parlamento per 1'esercizio delle sue funzioni verso una generica liberatoria per ogni suo atto, purche' connesso allo scontro meramente politico, e quindi una erronea valutazione dei presupposti richiesti per il giudizio di insindacabilita'. L'assenza del nesso funzionale necessario per ritenere coperta da immunita' la condotta illecita appare tale da integrare quella sproporzione tra garanzia per la liberta' d'opinione del parlamentare a tutela delle sue funzioni ed il diritto dei terzi di adire l'autorita' giudiziaria che e' stata posta a fondamento di piu' sentenze della C.E.D.U. di condanna del nostro Paese, su domanda delle parti danneggiate alle quali era stata negata una risposta di giustizia, per essersi il giudice adeguato alle delibere parlamentari di insindacabilita' (v, di recente, sent. 24 febbraio 2009 su ricorso n. 46967/07, C.G.I.L. e Cofferati c. Italia; 20 aprile 2006 su ricorso n. 10180/04, Patrono e Cassini c. Italia; 3 giugno 2004 su ricorso n. 73936/01, De Jorio c. Italia). La ritenuta carenza del nesso funzionale tra gli articoli diffamatori volti a qualificare il Senese come persona collaterale o vicina ai movimenti terroristici e l'attivita' parlamentare svolta dal Belluscio induce a ravvisare una illegittima interferenza del Parlamento nelle attribuzioni dell' autorita' giudiziaria e comporta che questa Corte, previa sospensione del giudizio, sollevi conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale avverso la delibera della Camera dei deputati approvata nella seduta n. 678 del 22 febbraio 2000.