IL TRIBUNALE Zaidi Bouraoui nato in Tunisia il 13 marzo 1983 (CUI 0311M6E) e' stato arrestato dai pubblici ufficiali della Questura di Modena il 16 settembre 2009 per essere stato colto nella flagranza del reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990, aggravato dalla circostanza di cui all'art. 62 n. 11-bis codice penale: l'uomo, privo di permesso di soggiorno e di altro titolo equipollente che gli consentisse di soggiornare legalmente sul territorio dello Stato, e' stato trovato in possesso di gr. 5,2 di sostanza stupefacente tipo eroina. Il p.m. ha proceduto nei confronti dell'imputato anche per i reati di cui agli art. 10-bis e 6, comma 3 d.lgs. n. 286/1998 per essersi introdotto e trattenuto clandestinamente sul territorio dello Stato e non aver ottemperato all'obbligo di esibizione dei documenti d'identificazione e del permesso di soggiorno. All'esito dell'udienza del 17 settembre 2009 il GIP del Tribunale di Modena ha convalidato l'arresto, ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990. Il pubblico ministero, ritenuta la connessione tra i reati contestati ex art. 12 lett. b) codice di procedura penale, ha proceduto a giudizio direttissimo, ai sensi dell'art. 449, quarto comma codice procedura penale, anche per i reati di cui agli artt. 10-bis e 6 comma 3 d.lgs. n. 286/1998. All'udienza del 9 ottobre 2009 e' stato concesso un termine su richiesta della difesa. Il 19 ottobre 2009, decidendo sull'istanza difensiva, si e' ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998 (introdotto dalla legge n. 94 del 15 luglio 2009) per contrasto con gli artt. 2, 3, 25, 27, 97 e 117 Cost.; si e' di conseguenza disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, riservata la motivazione con separata ordinanza, e si e' sospeso il giudizio (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87). A seguito della sospensione si e' proceduto alla separazione dei processi relativamente alle ulteriori imputazioni ascritte a Zaidi Bouraoui (art. 73, d.P.R. n. 309/1990 e art. 6, d.lgs. n. 286/1998) ai sensi dell'art. 18, lett. b, codice procedura penale. . E' peraltro certo il collegamento logico - giuridico tra la norma della cui costituzionalita' si dubita e la reigiudicanda rimasta all'esame del Tribunale di Modena. La incidenza «attuale» della questione nel giudizio a quo e' facilmente apprezzabile, non potendosi prescindere dalla norma oggetto del dubbio di legittimita' costituzionale per la definizione «nel merito» del presente giudizio. La norma incriminatrice introdotta dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 ha natura contravvenzionale e prevede due tipi di condotta illecita: l'ingresso sul territorio dello Stato in violazione delle norme del «testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» e il soggiorno sul territorio italiano in violazione delle medesime norme e dell'art. 1 legge n. 68/2007. Il soggetto attivo del reato (cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea e l'apolide - art. 1, comma 1, T.U. cit.) non puo' essere punito congiuntamente per entrambe le condotte previste dalla norma: in presenza di un ingresso illegale la successiva permanenza contra ius non puo' essere punita come reato autonomo, mentre il reato di soggiorno illegale presuppone un ingresso privo del carattere della illiceita' penalmente rilevante. Zaidi Bouraoui e' arrivato in Italia prima dell'entrata in vigore della legge n. 94/2009: e' stato oggetto di controlli da parte delle forze dell'ordine il 24 febbraio 2006, 22 ottobre 2006, 19 novembre 2007, 11 gennaio 2008, 25 febbraio 2009, 14 aprile 2009 (cfr. elenco precedenti dattiloscopici in atti) e non risulta essersi allontanato dall'Italia dopo l'ultimo controllo. . L'imputato non risulta nemmeno destinatario di provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto per le incriminazione previste dagli artt. 13 e 14, d.lgs. n. 286/1998, in relazione ai quali l'operativita' della clausola di sussidiarieta' prevista dall'art. 10-bis (salvo che il fatto costituisca piu' grave reato) precluderebbe la configurabilita' della contravvenzione. Le disposizioni di legge che si pongono al vaglio della Corte costituzionale sono pertanto quella di cui all'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998, limitatamente alla condotta di soggiorno illegale nel territorio dello Stato («lo straniero che si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonche' dell'art. 1 legge 28 maggio 2007, n. 68 e' punito con l'ammenda da 5000 a 10.000 euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l'art. 162 del codice penale.») e quella di cui all'art. 16 del medesimo testo unico nella parte, modificata dalla novella, che prevede che «il giudice nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 10-bis», qualora non ricorrano le cause ostative indicate dall'art. 14, comma l del presente testo unico «che impediscono l'esecuzione immediata dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica» puo' sostituire la medesima pena con la misura della espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. Le citate disposizioni di legge sembrano porsi in contrasto con gli artt. 2, 3 primo comma, 25 secondo comma, 27 terzo comma, 97 primo comma, 117 e con gli artt. 24 secondo comma, 27 primo comma della Costituzione. I dubbi di legittimita' costituzionalita' devono ritenersi non manifestamente infondati per le ragioni che seguono. Art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998, limitatamente alla condotta di soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Violazione degli artt. 25, secondo comma e 27 primo comma della Costituzione in relazione ai principi di inesigibilita' della condotta, di tassativita' e determinatezza della fattispecie penale e violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevole disparita' di trattamento rispetto al disposto dell'art. 14, comma 5-ter d.lgs. n. 286/1998. La contravvenzione prevista dall'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 introdotta dalla legge n. 94/2009 ha natura di reato omissivo proprio e si perfeziona con il «permanere» dello straniero sul territorio dello Stata in violazione delle norme indicate nella fattispecie incriminatrice. I «presupposti» (ossia la situazione tipica da cui scaturisce l'obbligo di agire) che rendono attuale l'obbligo dello straniero di allontanarsi dal territorio dello Stato sono costituiti dall'elemento normativo della «violazione delle disposizioni di cui al T.U. (legge 15 luglio 2009, n. 94) nonche' di quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68». Le norme chiamate a definire la condizione di illegalita' del soggiorno dello straniero sono molteplici e hanno natura complessa: in ogni modo esse non stabiliscono alcun termine per l'allontanamento spontaneo da parte dello straniero «irregolare» (tranne che per l'ipotesi di omessa richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da piu' di sessanta giorni: art. 13, comma 5 TU). La disciplina richiamata delinea, invece, chiaramente la condotta omissiva prevista dall'art. l0-bis, d.lgs. n. 286/1998: il mancato allontanamento dal territorio dello Stato da parte dello straniero. E' pero' altrettanto evidente che la disposizione in esame non prevede alcun termine per l'adempimento. Peraltro, l'esistenza di un termine non puo' essere desunta in via interpretativa ne' dal disposto dell'art. 13, quinto comma, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e succ. modif., ne' dal testo dell'art. 14, comma 5-bis, stessa legge. Si tratta di previsioni differenti ed eterogenee: tali ultime norme, infatti, presuppongono l'esistenza di un provvedimento amministrativo che intima l'allontanamento entro termini prestabiliti, mentre la contravvenzione in esame prescinde del tutto da provvedimenti ordinatori. Nemmeno e' pensabile che la individuazione del termine per l'adempimento della condotta omissiva debba avvenire di volta in volta e sia affidata al giudice del caso concreto. Il dettato dell'art. 10-bis T.U. sull'immigrazione e la disciplina complessiva della materia non offrono dunque alcuna indicazione che consenta di individuare un termine alla cui scadenza il «trattenersi» in condizione di irregolarita' (amministrativa) nel territorio dello Stato da parte dello straniero acquisti (anche) rilevanza penale: il reato si perfeziona nel momento stesso in cui il soggiorno dello straniero si pone in contrasto con le disposizioni del T.U. sull'immigrazione e di quelle previste dall'art. 1, legge n. 68/2007. In sostanza la mancanza di un termine impedisce al soggetto attivo di adempiere al precetto normativo: nel momento stesso in cui la legge e' entrata in vigore, il reato si e' perfezionato per tutti cittadini extra-comunitari «irregolari», indipendentemente dal loro eventuale allontanamento dal territorio dello Stato. L'assenza del termine evidenzia l'illegittimita' costituzionale della norma per violazione del principio di legalita' (tassativita-determinatezza della fattispecie penale) e inesigibilita' della condotta. . . . La mancata previsione di un termine nel reato di soggiorno illegale impedisce al soggetto attivo del reato di essere sovrano di tale controllabilita' e all'interprete valutare il comportamento omissivo sulla base di parametri controllabili. - unitamente alla complessita' della normativa chiamata a definire la condizione di permanenza illegale dello straniero sul territorio dello Stato - precludono la riconoscibilita' di una omissione idonea a integrare un fatto materiale con rilevanza penale e fanno ritenere l'art. 10-bis. d.lgs. n. 286/1998 in contrasto con gli artt. 25 secondo comma, 27 primo comma e 24 secondo comma della Costituzione. Sotto il profilo della irragionevole disparita' di trattamento, i dubbi di legittimita' costituzionale emergono proprio dal confronto tra la contravvenzione disciplinata dall'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998, che non prevede alcun termine (esplicito o implicito, ricavabile dal sistema normativo in materia) per l'osservanza dell'azione prescritta, e i reati descritti dall'art. 14, comma 5-ter d.lgs. n. 286/1998, che, invece, puniscono lo straniero che senza giustificato «permane illegalmente» nel territorio dello Stato oltre il quinto giorno successivo alla comunicazione dell'ordine di allontanamento. In un caso il «soggiorno illegale» sul territorio italiano assurge a violazione penalmente rilevante solo a seguito del mancato rispetto del termine previsto per ottemperare all'ordine del Questore, impartito all'esito di una complessa procedura amministrativa assistita da garanzie; nell'altro caso, invece, la medesima condizione di «soggiorno illegale» e' di per se' penalmente rilevante senza che siano dettate modalita' operative o concessi termini per l'adempimento dell'obbligo di allontanamento. Ulteriore ragione che induce a dubitare della illegittimita' costituzionale per evidente irragionevolezza della disparita' di trattamento rispetto alle previsioni dell'art. 14, comma 5-ter d.lgs. n. 286/1998, e' costituito dalla assenza nella norma in esame della esimente del «giustificato motivo»: clausola contemplata invece dalla norma oggetto di confronto. . La differenza tra le condotte incriminatrici oggetto di comparazione (l'una diversamente dall'altra concentra il disvalore del fatto criminale sulla inosservanza di provvedimenti amministrativi) e la chiarezza del dato testuale, che manifesta la consapevole e volontaria esclusione della esimente, non consentono di accedere ad una interpretazione estensiva o analogica che renda applicabile al reato di soggiorno illegale l'esimente prevista dall'art. 14, comma 5-ter T.U. sull'immigrazione (analogamente l'esimente prevista dall'art. 384 codice penale puo' applicarsi solo alle fattispecie penali contemplate dalla norma ed in presenza dei presupposti fissati dalla legge). . La portata e gli effetti della esimente non contemplata dall'art. 10-bis T.U. sull'immigrazione non possono pertanto essere fatti discendere, in via di interpretazione, da norme generali dell'ordinamento ne' dal complesso normativo in cui la nuova fattispecie penale si inserisce: e' dunque impedita una interpretazione costituzionalmente orientata dalla norma. Occorre aggiungere che la mancata previsione della formula «senza giustificato motivo» e la impossibilita' di accedere ad una interpretazione che consenta l'applicabilita' della esimente al reato in esame, fa ulteriormente dubitare della conformita' della norma all'art. 27, primo comma, Cost. . Tale lacuna legislativa importa la violazione del principio di personalita' della responsabilita' penale. Artt. 10-bis, 16 comma 1, d.lgs. n. 286/1998 e 62-bis, legge n. 274/2000. Violazione degli artt. 3, 27 terzo comma della Costituzione in relazione ai principi di eguaglianza, ragionevolezza e finalita' rieducativa della pena; violazione dell'art. 97 della Costituzione per contrasto al principio di buon andamento della Pubblica amministrazione. Il reato di soggiorno illegale introdotto dalla legge n. 94/2009 prevede quale sanzione applicabile al soggetto attivo del reato la pena pecuniaria (ammenda da cinquemila a diecimila euro) con esclusione della applicabilita' della oblazione (ultima parte del comma 1 dell'art. 10-bis T.U. sull'immigrazione) e della possibilita' di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena in ragione della competenza a decidere affidata al Giudice di pace (art. 10-bis, secondo comma e 60, legge n. 274/2000); le modifiche apportate dalla novella all'art. 16 T.U. e l'introduzione dell'art. 62-bis legge n. 274/2000 prevedono, inoltre, l'applicazione della espulsione a titolo di sanzione sostitutiva in caso di pronuncia di sentenza di condanna. Tali aspetti della disciplina normativa evidenziano in maniera chiara lo scopo delle disposizioni di legge oggetto di esame: l'esecuzione tout court dell'allontanamento dello straniero che «si trattiene illegalmente» sul territorio dello Stato (nei casi in cui e' gia' prevista 1'espulsione o respingimento differito). La previsione della pena pecuniaria a salvaguardia dell'ottemperanza del precetto non pare essere finalizzata ad adempiere ad alcuna delle funzioni (social-preventiva, retributiva e rieducativa) proprie della sanzione penale. Avuto riguardo alle condizioni soggettive dei destinatari del precetto (cittadini extracomunitari «irregolari»), nella quasi totalita' dei casi privi di mezzi di sussistenza e di documenti di riconoscimento (migranti che si sono allontanati dai paesi di provenienza perche' oggetto di persecuzione o per mancato di riconoscimento dei diritti fondamentali, migranti che necessitano della protezione di rifugiati o si trovano nelle condizioni per la richiesta di asilo; o migranti economici) e' facile prevedere che difficilmente, in caso di condanna, saranno in grado di adempiere al pagamento della sanzione pecuniaria scelta dal legislatore. La pena prevista dalla fattispecie incriminatrice si rivela dunque priva di efficacia deterrente e inidonea ad assumere alcuna funzione rieducativa. Tali considerazioni unitamente alla introduzione della espulsione a titolo di sanzione sostitutiva, rafforzata dalla radicale esclusione della applicabilita' del regime del nulla osta (art. 10-bis, quarto comma), valgono a far ritenere che l'unico obiettivo perseguito dal legislatore nella costruzione del reato di soggiorno illegale sia l'allontanamento dello straniero, mediante applicazione, in sede penale, della sanzione sostitutiva dalla espulsione (in caso di condanna). A conferma di tale finalita' sta l'ulteriore prescrizione normativa, prevista dall'art. 10-bis, quinto comma, T.U. sull'immigrazione, secondo cui l'effettiva esecuzione della espulsione (o respingimento ex art. 10, secondo comma) dello straniero costituisce una causa di non procedibilita' dell'azione penale. L'utilizzo dell'uso della sanzione penale per fini diversi da quelli indicati dall'art. 27, terzo comma Cost., fa dubitare della legittimita' costituzionale delle norme sopra indicate. . Tali dubbi valgono a maggior ragione per il reato oggetto di esame (e per quello di ingresso illegale) che prescinde anche dall'accertamento della violazione di provvedimenti amministrativi e concentra il disvalore del fatto su una condotta la cui sfera applicativa si sovrappone integralmente con l'area dei casi per i quali e' gia' prevista l'espulsione amministrativa (o il respingimento differito). Infatti: il legislatore, nell'introdurre il nuovo reato, non ha apportato alcuna modifica al sistema di controllo e repressione del fenomeno di soggiorno illegale, gia' presidiato dalla tutela in via amministrativa secondo le disposizioni degli artt. 13 e ss d.lgs. n. 286/1998. uno amministrativo (artt. 13 e 14 d.lgs. n. 286/1998) destinato a terminare nel provvedimento di espulsione e conseguente ordine di allontanamento (totalmente autonomo rispetto al procedimento penale, come si e' detto non e' necessario il nulla osta della autorita' giudiziaria) e uno giudiziario avanti al Giudice di pace nelle forme degli artt. 20-bis e ss d.lgs. n. 274/2000 che si vuole finalizzato, in caso di condanna, alla applicazione della sanzione sostitutiva della espulsione. Il complesso e dispendioso sistema non offre peraltro alcuna garanzia in ordine al raggiungimento del fine strumentalmente perseguito dalla norma: l'allontanamento dello straniero «irregolare» sul territorio dello Stato mediante la generalizzata applicabilita' di misure coercitive. Infatti, l'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva e' destinata a non essere disposta nei casi in cui ricorrono «le cause ostative indicate dall'art. 14, primo comma T.U. che impediscono l'esecuzione immediata dell'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica» (art. 10-bis comma...). Dunque il Gudice di pace applica la sanzione sostitutiva della espulsione solo quando l'accompagnamento coattivo alla frontiera sia in concreto possibile, mentre nei casi in cui e' precluso l'accompagnamento forzoso (art. 14, primo comma TU) la sanzione sostitutiva non puo' essere disposta (art. 16, primo comma) e si procedera', nella sussistenza dei presupposti di legge, a trattenimento amministrativo e atti conseguenti (art. 14 T.U. - ordine di allontanamento). E' peraltro evidente che qualora lo straniero sia passibile di accompagnamento forzoso l'autorita' amministrativa provvede al suo accompagnamento alla frontiera secondo le modalita' proprie del procedimento amministrativo (artt. 13 e 14 TU) e, se e' stata data esecuzione alla espulsione in via amministrativa, l'azione penale instaurata avanti al Giudice di pace non puo' essere proseguita. La integrale sovrapposizione della fattispecie penale alle misure amministrative comporta ed evidenzia la assenza di un fondamento giustificativo della norma anche rispetto agli interessi e beni di cui si vuole la tutela (il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell'ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale) e si traduce in dubbi di legittimita' costituzionale relativamente alla ragionevolezza della norma. La «duplicazione» dei procedimenti, funzionali al medesimo obiettivo (l'espulsione dello straniero irregolare), la previsione secondo cui la declaratoria di non luogo a procedere puo' essere pronunciata dal Giudice di pace fino all'esito del dibattimento, l'elevato numero di procedimenti che appare ragionevole attendersi fanno dubitare della conformita' della norma al principio di buon andamento della pubblica amministrazione. Ulteriori dubbi di legittimita' costituzionale degli art. 10-bis e 16 T.U. sull'immigrazione, per contrasto con l'art. 3 Cost., sorgono in ragione della gia' menzionata esclusione della applicabilita' dell'oblazione al reato di soggiorno (e ingresso) illegale dello straniero nel territorio dello Stato: e' noto infatti che l'orientamento della giurisprudenza e' nel senso della ammissibilita' della oblazione, sia facoltativa che obbligatoria, anche con riferimento ai reati di competenza del Giudice di pace. Non e' dato cogliere il fondamento giustificativo della opzione legislativa, se non attribuendo alla stessa il gia' citato scopo strumentale di favorire, ad ogni costo, l'applicazione della sanzione sostitutiva che l'istituto dell'oblazione vedrebbe ridimensionato. Ugualmente si puo' dubitare della conformita' delle norme citate al principio di eguaglianza, sotto il profilo della irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti destinatari della «sanzione sostitutiva della espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni». Detta sanzione e' infatti applicabile (ai sensi dell'art. 16 T.U. come modificato dalla novella) sia a stranieri «irregolari», ai quali il giudice infligga una pena (anche ai sensi dell'art. 444 c.p.p) detentiva entro il limite di due anni - sempre che non ricorrano le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena - sia ai responsabili del reato di cui all'art. 10-bis TU, per i quali e' preclusa la possibilita' di concessione del beneficio. La previsione di una disciplina analoga (connotata addirittura da aspetti di sfavore in ragione della impossibilita' di usufruire della sospensione condizionale della pena per i soggetti responsabili del reato di cui all'art. 10-bis TU), in punto di applicabilita' della sanzione sostitutiva, a situazioni disomogenee e certamente meno gravi (ingresso e soggiorno illegale) rispetto a quelle che gia' giustificavano l'adozione della espulsione in epoca antecedente all'entrata in vigore della novella, si risolve in una violazione del principio di uguaglianza sotto il profilo della irragionevole disparita' di trattamento. Violazione degli artt. 2, 3, 117 della Costituzione in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e all'art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Il sesto comma dell'art. 10-bis T.U. sull'immigrazione prevede la sospensione del procedimento penale nel caso in cui l'imputato abbia presentato domanda di protezione internazionale ai sensi della legge 19 novembre 2007, n. 251 e, qualora la stessa venga accolta, l'obbligo di pronunciare sentenza di non luogo a procedere. Per le richieste di ingresso o permanenza nel territorio italiano in deroga alle disposizioni vigenti che possono essere presentate ai sensi dell'art. 31 III d.lgs. n. 286/1998 al Tribunale per i minorenni dallo straniero «per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico di un minore» non e' invece previsto alcun analogo meccanismo di sospensione del procedimento penale. Lo straniero presente in condizione di irregolarita' sul territorio italiano che volesse avanzare detta domanda finirebbe pertanto per «autodenunciare» la propria condizione di responsabile del reato di cui all'art. 10-bis T.U., con conseguente esposizione al processo e prevedibile condanna, posto che la norma non prevede nemmeno il proscioglimento dell'imputato nel caso di accoglimento dell'istanza. Le conseguenze derivanti dalla nuova incriminazione indurranno lo straniero che «permane illegalmente sul territorio italiano» a rinunciare alla presentazione delle domande ex art. 31 III TU. Tale scelta «obbligata» incide sulla tutela di diritti fondamentali di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, sul diritto alla salute del minore, sulla tutela della vita privata e familiare (art. 30 Cost. e 8 Cedu del genitore e del fanciullo ed e' in contrasto con l'art. 3 della Convenzione di New York del 1989 (intervenuta il 20 novembre 1989 e divenuta esecutiva in Italia con legge n. 176 del 17 maggio 1991 entrata in vigore il 12 giugno 1991) che stabilisce che: «... in tutte le decisioni relative ai fanciulli di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorita' amministrative o degli organi legislativi l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente» e all'art. 10 che precisa che «in conformita' con l'obbligo che incombe agli stati parti ... ogni domanda presentata da un fanciullo o dai suoi genitori in vista di entrare in uno stato parte o di lasciarlo ai fini di un ricongiungimento familiare sara' considerata con uno spirito positivo, con umanita' e diligenza... Il diritto di abbandonare ogni paese puo' essere regolamentato solo dalle limitazioni stabilite dalla legislazione, necessarie ai fini della protezione e della sicurezza interna, dell'ordine pubblico della salute della moralita' pubbliche, o dei diritti delle liberta' altrui, compatibili con gli altri diritti riconosciuti dalla presente convenzione, nonche' dall'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea». : nel caso in cui il genitore straniero fosse indotto a non presentare l'istanza, per il timore di rispondere del reato in esame, nonostante la sussistenza dei presupposti per il suo accoglimento, il minore subirebbe senza dubbio un grave pregiudizio. (1) Cfr. Cass. Pen sez. VI n. 1318 del 13 febbraio 1997. (2) Cfr. relazione Ufficio del Massimario della Corte di cassazione n. III/09/09 di Luca Pistorelli e Antonio Balsamo del 27 luglio 2009. (3) Cosi' anche lettera del Presidente della Repubblica del 15.7.2009 ove si afferma che il reato di immigrazione clandestina «punisce non solo l'ingresso ma anche il trattenimento nel territorio dello Stato al momento dell'entrata in vigore della legge. Il dato normativo non consente interpretazioni diverse allo stato, esso apre la strada a effetti difficilmente prevedibili». (4) Cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 34/1995 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7-bis, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno di cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi gia' presenti nel territorio dello Stato) convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, nella parte in cui punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione «che non si adopera per ottenere dalla competente autorita' diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente». (5) Cfr. relazione Grosso per la riforma del codice penale capitolo IV. (6) Cfr. Corte cost. sentenza n. 364/1998. (7) Cfr. istanza per eccezione di illegittimita' costituzionale del 16 settembre 2009 presentata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna al giudice di pace di Bologna ove si osserva che «lo straniero che si trovava in Italia in modo irregolare alle ore 00,00 del giorno 8 ottobre 2009 ha ricevuto, direttamente dalla legge, un ordine di allontanamento ma senza la predisposizione di alcuna procedura per poterlo eseguire legalmente. Per attuare quanto disposto dal legislatore lo straniero irregolare dovrebbe o avrebbe dovuto uscire dall'Italia clandestinamente...» «... sul punto si puo' ricordare che quando il legislatore ebbe a innovare la normativa in tema di detenzione \porto di armi con la legge n. 895/1997, stabili' all'art. 8 la non punibilita' per coloro che entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge (e comunque prima di eventuale accertamento del reato) consegnavano spontaneamente le armi (analogamente sempre in tema di armi: art. 36 legge n. 110/1975 e art. 10 legge n. 36/1990» (8) Cfr. messaggio del Presidente della Repubblica cit. che ha accompagnato la promulgazione della legge ove si legge «. ..In particolare suscita in me forte perplessita' la circostanza che la nuova ipotesi di trattenimento indebito non preveda l'esimente della determinata da giustificato motivo». (9) Cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 22/2007: «Tale formula...copre tutte le ipotesi di impossibilita' o di grave difficolta' (mancato rilascio di documenti da parte dell'autorita' competente, assoluta indigenza che rende impossibile l'acquisto di biglietti di viaggio e altre simili situazioni), che, pur non integrando cause di giustificazione in senso tecnico, impediscono allo straniero di prestare osservanza all'ordine di allontanamento nei termini prescritti»; e anche sentenza della Corte costituzionale n. 5/2004: «... la clausola in questione, se pure non puo' essere ritenuta evocativa delle sole cause di giustificazione in senso tecnico - lettura che la renderebbe pleonastica, posto che le scriminanti opererebbero comunque, in quanto istituti di ordine generale - ha tuttavia riguardo a situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempiere all'intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa...». (10) Cfr. Sentenza n. 5/2004 Corte cost. cit. (11) Cfr. sentenza n. 5/2004 Corte cost. cit. (12) Cfr. sentenza n. 5/2004 che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 aggiunto dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Ferrara e dal Tribunale di Torino affermando tra l'altro che «.... la norma incriminatrice .... persegue l'obiettivo di rimuovere situazioni di illiceita' o di pericolo correlate alla presenza dello straniero nel territorio dello Stato, nella cornice del piu' generale potere - che al legislatore indubbiamente compete - di regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati...». (13) Cfr. Massimo Donini, Il cittadino extracomunitario da oggetto materiale a tipo d'autore nel controllo penale dell'immigrazione, in Questione Giustizia 1, 2009. (14) Cfr. relazione cit. n. III/09/09 di Luca Pistorelli e Antonio Balsamo del 27 luglio 2009: «la legge finisce per istituire una sorta di competizione tra la procedura giudiziaria e la procedura amministrativa che risulta francamente incomprensibile se non nell'ottica di ottenere nel piu' breve tempo possibile, e ad ogni costo, il risultato a cui l'intervento legislativo mira cioe' l'espulsione del clandestino» (15) Cfr. ordinanza cassazione I sezione civile 29 giugno 2009 ove si legge: «Nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Nizza, 7 dicembre 2000), oggi confermata dal Trattato di Lisbona, si tratta di valori ''fondamentali"della dignita' umana, liberta', uguaglianza e solidarieta', e si precisa che l'Unione pone la persona al centro della sua azione. Segue un catalogo di diritti, assai ampio e specificatamente determinato: tra quelli che coinvolgono direttamente o indirettamente la vita familiare (e in particolare il rapporto genitori-figli), la protezione e il rispetto della dignita' umana (art. 6), il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (art. 7); i diritti dei minori alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere; i loro diritti ad intrattenere regolarmente relazioni e contatti diretti con i genitori, salvo che cio' appaia contrario al loro interesse (art. 24). Nel nostro diritto interno vanno ancora segnalati l'art. 11. n. 184 del 1983, che enuncia il diritto del minore a crescere ed essere educati nella propria famiglia, nonche' l'art. 155 codice civile, per cui il minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, nonche' di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi. Principi inseriti, rispettivamente, nella disciplina dell'adozione e in quella della separazione personale dei coniugi, ma che acquistano una rilevanza ben piu' generale».