Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei  Deputati  all'Assemblea
regionale siciliana),  come  modificata  dalla  legge  della  Regione
siciliana 5 dicembre 2007, n. 22 (Norme in materia di ineleggibilita'
e di incompatibilita' dei deputati regionali) promosso dal  Tribunale
di Palermo, nel procedimento vertente tra A.R. e G.A. ed  altri,  con
ordinanza del 23  gennaio  2009  iscritta  al  n.  185  del  registro
ordinanze 2009 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
n. 27, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di costituzione di A. R., di G. A. e della Regione
siciliana; 
    Udito nell'udienza pubblica del 23 marzo 2010 il Giudice relatore
Ugo De Siervo; 
    Uditi gli avvocati Antonio Catalioto per A. R., Mario Caldarera e
Grazia Gringeri per G.A., Michele Arcadipane e Beatrice Fiandaca  per
la Regione siciliana. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale ordinario di  Palermo,  con  ordinanza  del  23
gennaio 2009, ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale
della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951,  n.  29  (Elezione
dei  Deputati  all'Assemblea  regionale   siciliana),   «cosi'   come
modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, nella parte  in  cui
non prevede l'incompatibilita' del deputato regionale che  sia  anche
assessore di un Comune» di grandi  dimensioni.  Cio'  in  riferimento
agli artt. 3, 51,  97,  122  della  Costituzione  e  all'art.  5  del
r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455  (Approvazione  dello  statuto  della
Regione siciliana). 
    Nel  corso  di  un  giudizio  avente  ad  oggetto  l'accertamento
dell'intervenuta decadenza di un deputato della Regione siciliana per
sopravvenuta incompatibilita', «causata  dall'essere  stato  nominato
vice sindaco del  Comune  di  Messina»,  il  ricorrente  ha  eccepito
questione di legittimita'  costituzionale  della  legge  citata,  dal
momento che l'omessa previsione di detta  causa  di  incompatibilita'
determinerebbe  «una  disparita'  di  trattamento  con  la  normativa
nazionale che prevede(va) tale incompatibilita', senza che  vi  siano
le   ragioni   giustificative   individuate   dalla   giurisprudenza»
costituzionale. 
    L'omissione censurata, quindi, contrasterebbe con gli artt. 3, 51
e 97 Cost., nonche' con i principi fondamentali stabiliti dalla legge
2 luglio 2004, n. 165  (Disposizioni  di  attuazione  dell'art.  122,
primo comma, della Costituzione), e,  in  particolare,  dall'art.  2,
comma 1, lettera c), di detta legge. 
    Secondo il rimettente la questione sarebbe rilevante, dal momento
che il suo accoglimento determinerebbe una  diversa  valutazione  del
ricorso  introduttivo  del  giudizio.  Ne',  stante  il  divieto   di
interpretazione  estensiva  delle   cause   di   ineleggibilita'   ed
incompatibilita',   il   risultato   sarebbe    «raggiungibile    con
un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme». 
    La censura non sarebbe manifestamente infondata sia in  relazione
ai parametri evocati dal ricorrente nel giudizio a quo (artt. 3,  51,
97 e 122 Cost.), sia anche in relazione all'art. 2, comma 1,  lettera
c), della legge n. 165 del 2004, sia se si ritenga  che  «tale  corpo
normativo  disciplini  direttamente  i  criteri  della   legislazione
elettorale nelle Regioni speciali, sia se  tale  corpo  normativo  si
debba ritenere espressione dei principi fondamentali dell'ordinamento
ai quali anche le Regioni a statuto speciale devono attenersi». 
    Il Tribunale afferma, inoltre, la violazione  dell'art.  5  dello
statuto    regionale,    in    quanto    la    mancata     previsione
dell'incompatibilita' in  conseguenza  delle  innovazioni  introdotte
dalla  legge  5  dicembre  2007,  n.  22   (Norme   in   materia   di
ineleggibilita'  e  di  incompatibilita'  dei  deputati   regionali),
potrebbe dar luogo ad «un conflitto di interessi  fra  l'impegno  del
deputato a tutelare il bene inseparabile dell'Italia e della  Regione
e quello di rappresentare gli interessi del Comune». 
    2. - La Regione siciliana e' intervenuta nel giudizio,  chiedendo
che la questione sia dichiarata  inammissibile  sia  perche'  sarebbe
carente la descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a  quo,
sia   perche'   il   rimettente    avrebbe    omesso    di    tentare
un'interpretazione  conforme  a   Costituzione   delle   disposizioni
censurate. 
    Inammissibili  sarebbero,  inoltre,  le  censure   formulate   in
relazione agli artt. 3,  51  e  97  Cost.,  in  quanto  motivate  per
relationem con rinvio agli atti di parte. 
    Osserva ancora la Regione che la potesta' legislativa primaria di
cui  ha  la  titolarita'  in  materia,  giustificherebbe  la  diversa
disciplina da essa dettata rispetto alle altre Regioni in materia  di
ineleggibilita' e incompatibilita'. 
    Inammissibile, e comunque infondata sarebbe la censura  sollevata
in relazione all'art. 122 Cost., in assenza di precise argomentazioni
circa l'applicabilita' di tale  ultima  disposizione  costituzionale,
alla Regione siciliana. 
    Inoltre, l'art. 2 della legge n. 165 del 2004 non potrebbe essere
parametro  interposto,  sia  in  quanto  questa  legge  non   sarebbe
applicabile alla Regione siciliana, sia a fronte delle previsioni  di
incompatibilita' disciplinate dallo statuto siciliano,  normativa  di
rango costituzionale. Infatti le cause di incompatibilita'  sarebbero
quelle tassativamente elencate nell'art. 3 dello statuto, da leggersi
in connessione con l'art. 9, il quale rinvia ad una  legge  regionale
la  previsione  di  incompatibilita'  con   l'ufficio   di   deputato
regionale. 
    Inconferente sarebbe, poi, il parametro di cui all'art.  5  dello
statuto. 
    Nel merito, la  difesa  regionale  afferma  l'infondatezza  delle
questioni, dal momento che la  Regione  e'  titolare  in  materia  di
potesta' legislativa primaria. 
    3. - E' intervenuto G. A., resistente  nel  giudizio  a  quo,  il
quale ha eccepito, innanzitutto, l'inammissibilita'  della  questione
per «assoluta indeterminatezza dei termini normativi» della medesima,
avendo il Tribunale censurato l'intera legge n. 29  del  1951,  senza
indicare le norme della medesima sospettate di incostituzionalita'. 
    Ulteriore profilo di inammissibilita'  sarebbe  costituito  dalla
violazione  del  principio  di  autosufficienza   dell'ordinanza   di
rimessione, in quanto il Tribunale, nel  motivare  la  non  manifesta
infondatezza della questione,  si  sarebbe  limitato  a  rinviare  ai
parametri evocati dal ricorrente. 
    Inammissibile sarebbe, poi, la censura riferita all'art. 5  dello
statuto, dal momento che esso riguarda la formula di  giuramento  dei
deputati regionali. 
    Analoga conclusione e' prospettata in relazione all'art. 2  della
legge n. 165 del 2004, che  riguarderebbe  unicamente  le  Regioni  a
statuto   ordinario,   mentre   per   la   Regione    siciliana    la
regolamentazione  della  materia  sarebbe   contenuta   nella   legge
costituzionale  31  gennaio  2001,  n.  2  (Disposizioni  concernenti
l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale  e
delle province autonome di Trento e Bolzano) e nella legge  regionale
di attuazione n. 22 del 2007. 
    La  questione  prospettata   sarebbe   inammissibile   anche   in
considerazione del carattere discrezionale della materia delle  cause
di incompatibilita', di modo che la pronuncia additiva richiesta  dal
rimettente non sarebbe costituzionalmente obbligata. 
    Nell'esercizio della  propria  discrezionalita',  il  legislatore
siciliano  ha  ritenuto  di  disciplinare   la   materia   prevedendo
l'ineleggibilita' alla carica di deputato  regionale  dei  sindaci  e
degli assessori di determinati Comuni, non invece l'incompatibilita'.
Cio' determinerebbe, ad avviso  della  parte  privata,  l'irrilevanza
della questione prospettata. 
    Infine, la parte privata osserva come  tra  i  principi  generali
dell'ordinamento che il legislatore regionale deve rispettare non  vi
sarebbe  quello  della  necessaria  incompatibilita'   del   deputato
regionale con la carica di sindaco o assessore  comunale,  mentre  il
vigente art. 65 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle
leggi   sull'ordinamento   degli   enti   locali)   si    riferirebbe
all'ordinamento degli enti  locali  e  quindi  «puo'  interessare  la
posizione di sindaco od assessore,  ma  non  la  carica  di  deputato
regionale». 
    4. - E' intervenuto anche  A.  R.,  ricorrente  nel  procedimento
principale, per il quale la  questione  sollevata  dal  Tribunale  di
Palermo sarebbe fondata. 
    L'interveniente fa presente  che,  anteriormente  alle  modifiche
introdotte dalla  legge  regionale  n.  22  del  2007,  l'ufficio  di
deputato regionale era incompatibile con la carica di  sindaco  o  di
assessore di Comuni con popolazione superiore a 40 mila  abitanti  in
forza del combinato disposto dall'art. 8, comma 1, n. 4, e  dall'art.
62, comma 3, della legge regionale n. 29 del 1951.  Solo  la  riforma
del 2007 avrebbe rimosso tale causa di incompatibilita'. 
    Benche' nella materia in questione la  Regione  sia  titolare  di
potesta' legislativa primaria, ai sensi dell'art.  9  dello  statuto,
come modificato con legge costituzionale n. 2 del 2002, tuttavia essa
deve svolgersi nel rispetto dei principi  dell'ordinamento  giuridico
della Repubblica e in armonia con la Costituzione. 
    La legge n. 165 del 2004, di attuazione dell'art. 122 Cost., ha -
tra l'altro - individuato fra i principi fondamentali quello  secondo
cui la disciplina delle incompatibilita' deve essere  applicata  alle
cause di ineleggibilita' sopravvenute «in caso di  conflitto  tra  le
funzioni svolte dal Presidente o dagli altri componenti della  Giunta
regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni  o  cariche,
comprese  quelle  elettive,  suscettibile,  anche  in   relazione   a
peculiari  condizioni  delle  regioni,  di  compromettere   il   buon
andamento e l'imparzialita'  dell'amministrazione  ovvero  il  libero
espletamento della carica elettiva». 
    La legislazione siciliana, avendo abrogato la preesistente  causa
di incompatibilita', determinerebbe un privilegio nei  confronti  dei
deputati regionali,  in  difetto  di  quelle  particolari  situazioni
ambientali  cui  la   costante   giurisprudenza   costituzionale   ha
subordinato la possibilita' di  introdurre  discipline  differenziate
rispetto a quella  nazionale:  anzi,  la  piu'  recente  legislazione
siciliana avrebbe eliminato  questa  causa  di  incompatibilita'  nel
momento in cui ha mantenuto quale causa di ineleggibilita' la  carica
di sindaco o  assessore  di  Comune  della  Regione  con  popolazione
superiore  a  20  mila  abitanti  (cosi'  addirittura  abbassando  il
precedente limite, che era fissato a 40 mila abitanti). 
    5. - In prossimita' dell'udienza pubblica A.R. ha depositato  una
memoria  nella  quale  replica  analiticamente  alle   eccezioni   di
inammissibilita' sollevate dalla controparte. 
    In   primo   luogo,   sarebbe    inesistente    la    prospettata
indeterminatezza  della  questione,  dal  momento   che   l'ordinanza
indicherebbe in modo chiaro sia il petitum, cioe'  l'incompatibilita'
del deputato regionale che sia anche assessore di un ente locale, sia
la causa petendi,  cioe'  la  situazione  di  conflitto  tra  le  due
cariche. 
    Inoltre, si precisa che e' censurata la legge regionale n. 29 del
1951 cosi' come successivamente modificata dalla legge  regionale  n.
22 del 2007, «talche' l'indagine e' ben circoscritta al solo  art.  1
di cui si compone la legge di riforma». 
    Anche  l'eccezione  di  inammissibilita'   per   violazione   del
principio di autosufficienza  dell'ordinanza  di  rimessione  sarebbe
infondata,  dal  momento  che  l'atto   introduttivo   del   giudizio
presenterebbe tutti i requisiti richiesti dall'art. 23 della legge 11
marzo 1953, n. 87. 
    Analoga  conclusione   varrebbe   per   l'eccepito   difetto   di
motivazione sulla rilevanza, dal momento  che  il  Tribunale  avrebbe
puntualmente argomentato la sussistenza di tale  requisito.  Sarebbe,
inoltre, evidente l'interesse del ricorrente  all'accoglimento  della
questione. 
    Quanto  al  mancato  tentativo  di   fornire   un'interpretazione
conforme a Costituzione della legge censurata, il  Tribunale  avrebbe
motivato sul punto, rilevando che cio' non sarebbe possibile,  stante
il  divieto  di  interpretare  in  modo   estensivo   le   cause   di
ineleggibilita' e incompatibilita'. 
    Infondata sarebbe, altresi', l'eccezione di inammissibilita'  per
essere l'ordinanza motivata per relationem. Il  rimettente,  infatti,
nel richiamare  i  parametri  evocati  dal  ricorrente  nel  giudizio
principale, non rinvia ad altri atti, ma  alla  stessa  ordinanza  di
rimessione ove i detti parametri sono stati riportati. 
    In ordine alla eccepita inammissibilita' della pronuncia additiva
sollecitata dal giudice a quo, si  osserva  come  l'intervento  della
Corte si limiterebbe a ripristinare la disciplina previgente. 
    Nel merito, si rileva che, pur essendo il  legislatore  siciliano
titolare di potesta' normativa primaria nella materia,  nella  specie
mancherebbero quelle situazioni particolari, esclusive del territorio
della Regione  che  sole  giustificherebbero  norme  derogatorie  del
divieto di cumulo tra le cariche in questione. 
    6. - In prossimita' dell'udienza pubblica G.A. ha depositato  una
memoria nella quale, oltre a ribadire le difese svolte  nell'atto  di
intervento, sostiene l'inammissibilita' del tentativo del  ricorrente
nel giudizio a quo di integrare i termini normativi  della  questione
prospettata  dal  Tribunale,  individuando  disposizioni  diverse  da
quelle censurate dal rimettente. 
    La parte privata afferma, inoltre, che  la  questione,  per  come
formulata dal giudice a quo, sarebbe volta a  censurare  un'omissione
legislativa e percio' sarebbe inammissibile. 
    Ulteriore profilo di  inammissibilita'  deriverebbe  dal  petitum
formulato dal Tribunale, il quale consisterebbe nella richiesta  alla
Corte di una pronuncia manipolativa con effetti  aggiuntivi,  pur  in
presenza di una riserva di legge. Una scelta del genere  nel  settore
elettorale sarebbe riservata alla discrezionalita'  del  legislatore,
al  quale  spetterebbe  di  individuare  il  regime  normativo   piu'
appropriato e proporzionato, che potrebbe  consistere  non  solo  nel
configurare una causa di incompatibilita',  ma  anche  nel  prevedere
l'obbligo di astenersi o di dichiarare l'esistenza di un conflitto di
interessi. 
    La difesa della parte  privata  contesta  poi  che  il  Tribunale
ritenga direttamente applicabili alla Regione  siciliana  l'art.  122
Cost. e la legge n. 165 del 2004, i quali, invece,  si  riferirebbero
soltanto alle Regioni a statuto ordinario. 
    Infine, nella memoria si  ribadisce  l'inconferenza  dell'art.  5
dello statuto, evocato quale parametro dal rimettente. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Il  Tribunale  di  Palermo   dubita   della   legittimita'
costituzionale della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951,  n.
29 (Elezione dei Deputati all'Assemblea regionale siciliana),  «cosi'
come modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, nella parte  in
cui non prevede l'incompatibilita' del  deputato  regionale  che  sia
anche  assessore  di  un  Comune»  di  grandi  dimensioni.  Cio'   in
riferimento agli artt. 3, 51, 97, 122 della Costituzione e all'art. 5
del r. d.lgs. 15 maggio 1946,  n.  455  (Approvazione  dello  statuto
della Regione siciliana). 
    La suddetta legge 5 dicembre 2007, n. 22, (Norme  in  materia  di
ineleggibilita' e di incompatibilita'  dei  deputati  regionali)  ha,
infatti, eliminato la precedente  previsione  della  incompatibilita'
della carica di deputato regionale con  l'ufficio  di  sindaco  o  di
assessore nei Comuni piu' popolosi della Regione. 
    Cio' sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 51 Cost. in relazione
al  principio  di  eguaglianza,  nella   importante   materia   della
accessibilita' alle cariche elettive, dal momento che  determinerebbe
una disparita' di trattamento rispetto alle altre Regioni, tenute  ad
una sostanziale uniformita' secondo  la  costante  giurisprudenza  di
questa Corte. Contrasterebbe, inoltre,  con  l'art.  122  Cost.  e  i
principi espressi dalla legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni  di
attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione) e,  in
particolare, dall'art. 2, comma 1, lettera c) di detta legge «sia che
si  ritenga  che  tale  corpo  normativo  disciplini  direttamente  i
criteri» della legislazione elettorale anche delle Regioni a  statuto
speciale, sia che si ritengano tali  norme  espressione  di  principi
generali dell'ordinamento cui anche tali Regioni devono attenersi. 
    Al tempo stesso, la possibilita' di  svolgere  contemporaneamente
le funzioni di consigliere regionale e di amministratore locale in un
Comune avente una significativa  popolazione  contrasterebbe  con  il
principio  costituzionale   del   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione,  in  quanto  non  impedirebbe  il  verificarsi   del
conflitto di interessi ravvisabile  nel  contemporaneo  esercizio  di
funzioni  legislative  e  politiche  nell'Assemblea  regionale  e  di
gestione in un ente locale, che sotto  molti  profili  risente  delle
scelte operate dalla Regione. 
    Sarebbe infine violato anche l'art. 5  dello  statuto  regionale,
poiche' la mancata previsione dell'incompatibilita' tra la carica  di
deputato  dell'Assemblea  regionale  e  quella  di  assessore  di  un
popoloso Comune darebbe luogo  ad  «un  conflitto  di  interessi  fra
l'impegno del deputato a tutelare il bene inseparabile dell'Italia  e
della Regione e quello di rappresentare gli interessi del Comune». 
    2. - La questione e' ammissibile, essendo infondate le molteplici
eccezioni di inammissibilita' sollevate dalle  difese  della  Regione
siciliana e del resistente nel giudizio principale. 
    2.1 - Innanzitutto, si eccepisce che  le  censure  formulate  dal
rimettente avrebbero ad oggetto l'intera legge regionale  n.  29  del
1951, senza che siano specificamente individuate le norme  sospettate
di     incostituzionalita'.     Cio'     comporterebbe     l'assoluta
indeterminatezza dei  termini  normativi  della  questione  e  dunque
l'inammissibilita' della medesima. 
    E'  ben  vero  che,  secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,
l'impugnazione di un'intera legge o corpo normativo, senza che  siano
precisate  le   disposizioni   censurate,   «risulta   inficiata   da
genericita' ed eterogeneita' tali da  determinare  l'inammissibilita'
della questione cosi' sollevata» (sentenze n. 235 del  2009,  n.  372
del 2008). Cio' in quanto la genericita' delle censure  non  consente
l'individuazione  della  questione   oggetto   dello   scrutinio   di
costituzionalita'.  Tuttavia,   sono   considerate   ammissibili   le
impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative  omogenee
e tutte coinvolte  nelle  censure,  ovvero  allorche'  sia  possibile
individuare con chiarezza le norme censurate. 
    Nel caso oggetto del presente giudizio e' palese che il giudice a
quo non si e' riferito genericamente alla legge regionale n.  29  del
1951, ma ha censurato  questa  legge  «come  modificata  dalla  legge
regionale  n.  22  del  2007,  nella  parte  in   cui   non   prevede
l'incompatibilita' del deputato regionale che sia anche assessore  di
un Comune». D'altra parte, la legge  regionale  n.  22  del  2007  e'
specificamente volta ad innovare le previgenti norme  in  materia  di
ineleggibilita' e di incompatibilita' dei deputati regionali. 
    Conseguentemente,  benche'  non   siano   state   nominativamente
indicate dal rimettente, le disposizioni  censurate  sono  certamente
identificabili   in   quelle   che   disciplinano   le    cause    di
incompatibilita' all'ufficio di deputato regionale. 
    2.2.  -  La  difesa   della   Regione   ha,   inoltre,   eccepito
l'inammissibilita' della questione per «carenza di descrizione  della
fattispecie oggetto del giudizio a quo». 
    In realta', il Tribunale di Palermo nell'ordinanza di  rimessione
ha dato conto, per quanto in modo sintetico, della fattispecie al suo
esame, riferendo che il giudizio e'  promosso  da  un  candidato  non
eletto e che ha ad oggetto l'accertamento dell'intervenuta  decadenza
di  un  deputato  regionale  dalla  sua   carica   per   sopravvenuta
incompatibilita' conseguente alla nomina del medesimo a  vice-sindaco
del Comune di Messina. Riferisce, inoltre, il giudice a  quo  che  il
ricorrente ha eccepito l'illegittimita'  costituzionale  della  legge
reg. n. 29 del 1951, come modificata dalla legge reg. n. 22 del 2007,
in relazione agli artt. 3, 51 e 97 Cost. 
    Gli elementi di fatto riportati dal giudice  a  quo,  per  quanto
scarni, appaiono sufficienti a consentire alla Corte una  valutazione
della rilevanza della questione, di tal che anche tale eccezione deve
essere rigettata. 
    2.3. - Destituita di fondamento appare, altresi', l'eccezione  di
inammissibilita', formulata sia dalla  difesa  regionale,  sia  dalla
parte  resistente  nel  giudizio   principale,   in   ragione   della
motivazione  solo  indiretta  dell'ordinanza,  poiche'   svolta   per
relationem  agli  scritti  difensivi  delle  parti.   Anzitutto,   il
rimettente, prima di affermare la non  manifesta  infondatezza  della
questione «in relazione ai  parametri  invocati  dal  ricorrente,  da
intendersi qui integralmente trascritti  e  a  cui  espressamente  si
rinvia per brevita'», ha sintetizzato  le  relative  motivazioni,  di
modo  che  le  argomentazioni  a  sostegno  delle  censure  risultano
chiaramente dalla stessa ordinanza di  rimessione,  senza  rinvio  ad
atti ad essa esterni. 
    Inoltre, ai parametri individuati dal ricorrente il Tribunale  ne
aggiunge altri,  motivandoli  specificamente  e  formulando  distinte
censure. 
    2.4.  -  Del  pari  infondata  e'  l'eccezione,  formulata  dalla
Regione, di inammissibilita' delle questioni per omesso tentativo  di
interpretazione conforme a Costituzione. 
    In realta', il giudice a quo si fa espressamente carico  di  tale
onere,  ma  esclude  in  modo  non  implausibile  che  sia  possibile
addivenire ad «un'interpretazione costituzionalmente orientata  delle
norme, visto il divieto di interpretare in modo estensivo le cause di
ineleggibilita' e incompatibilita'». 
    2.5. - La Regione siciliana ha eccepito l'inammissibilita'  della
questione prospettata anche in riferimento  all'art.  122  Cost.,  in
quanto il giudice rimettente avrebbe evocato come parametro una norma
del titolo V della Costituzione senza motivare  in  ordine  alla  sua
applicabilita' alla Regione siciliana. 
    Anche tale eccezione deve essere rigettata, dal  momento  che  il
Tribunale,  pur  se  in  modo  sintetico,  fornisce  una  motivazione
sufficiente sul punto, la' dove lamenta  la  violazione  dell'art.  2
della legge n. 165 del  2004  quale  norma  interposta  all'art.  122
Cost., sia se «si ritenga che tale corpo normativo (art. 122 Cost. ed
art. 2, comma 1, lettera c, della legge n. 165 del  2004)  disciplini
direttamente i criteri di legislazione sulla materia elettorale anche
delle Regioni a statuto speciale, sia  se  tale  corpo  normativo  si
debba ritenere espressione dei principi fondamentali dell'ordinamento
ai quali anche le Regioni a statuto  speciale  devono  attenersi  nel
disciplinare una materia comunque assegnata alla loro autonomia». 
    3. - In via preliminare  alla  considerazione  del  merito  della
questione posta, appare opportuno richiamare le recenti modificazioni
operate dal legislatore siciliano in  tema  di  incompatibilita'  dei
consiglieri regionali. 
    Anteriormente  alle  modifiche  introdotte  nel  2007,  la  legge
regionale n. 29 del 1951 (che era gia' stata oggetto, nel  corso  del
tempo, di numerosi interventi  di  modifica)  prevedeva  all'art.  8,
comma 1, alinea 4, che fossero ineleggibili alla carica  di  deputato
regionale «i Sindaci e  gli  Assessori  dei  Comuni  con  popolazione
superiore a 40 mila abitanti o  che  siano  capoluoghi  di  Provincia
regionale o sedi delle attuali  Amministrazioni  straordinarie  delle
Province,  nonche'  i   Presidenti   e   gli   Assessori   di   dette
amministrazioni». Al tempo stesso, il  comma  3  dell'art.  62  della
medesima legge prevedeva che  «l'ufficio  di  deputato  regionale  e'
incompatibile con gli uffici e  con  gli  impieghi»  indicati  -  tra
l'altro - nel comma 1 dell'art. 8. 
    La legge regionale  n.  22  del  2007,  all'originario  scopo  di
uniformare   la   disciplina   regionale   di    ineleggibilita'    e
incompatibilita' dei  deputati  regionali  a  quella  dettata  per  i
componenti del Parlamento (come  emerge  dai  lavori  preparatori  di
questa legge), ha modificato le  cause  di  ineleggibilita'  previste
dall'art. 8 della legge reg. n. 29 del 1951 e ha introdotto  un  capo
Capo   III   concernente   specificamente   la    disciplina    delle
incompatibilita',  mentre  ha  fatto   venir   meno   il   precedente
parallelismo tra ipotesi di ineleggibilita'  e  di  incompatibilita',
avendo abrogato, tramite l'art. 1, comma 6,  lettera  a),  l'art.  62
della legge regionale  n.  29  del  1951  (il  parallelismo,  invece,
continua ad essere previsto dal comma 2 del nuovo  art.  10-quinquies
per alcune specifiche cause di ineleggibilita' sopravvenuta). 
    A  seguito  di  tali  modifiche,   per   quanto   interessa   gli
amministratori locali, sono ineleggibili a deputato regionale: «a)  i
presidenti e gli assessori delle province regionali; b) i  sindaci  e
gli assessori dei comuni, compresi nel territorio della Regione,  con
popolazione superiore a 20 mila abitanti, secondo  i  dati  ufficiali
dell'ultimo censimento generale della popolazione». 
    Al tempo stesso, essendo stato abrogato l'art. 62, la  successiva
assunzione di questi incarichi amministrativi locali da parte  di  un
deputato regionale non comporta piu' incompatibilita'. 
    Successivamente all'ordinanza di rimessione, la  legge  regionale
n.  29  del  1951  e'  stata  ulteriormente  modificata  dalla  legge
regionale 10 luglio  2009,  n.  8  (Norme  sulle  ineleggibilita'  ed
incompatibilita' dei deputati regionali), con cui si e' inciso  sulla
disciplina del decorso del  termine  per  esercitare  il  diritto  di
opzione nell'ipotesi in cui l'incompatibilita' sia stata accertata in
sede giudiziale, e si e'  stabilito  che  le  nuove  disposizioni  si
applicano anche ai giudizi in corso al momento dell'entrata in vigore
della nuova disciplina (art. 10-sexies della legge n. 29 del 1951). 
    4. - Nel merito, la questione e' fondata. 
    4.1 - La potesta' legislativa della Regione siciliana in  materia
elettorale differisce da quella delle Regioni ordinarie, dal  momento
che essa, ai sensi dell'art. 3, primo comma,  e  dell'art.  9,  terzo
comma, dello statuto speciale (sostituiti ad opera dell'art. 1  della
legge costituzionale 31 gennaio  2001,  n.  2  recante  «Disposizioni
concernenti l'elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a Statuto
speciale e delle Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano»),  e'
titolare in materia di potesta'  legislativa  di  tipo  primario,  la
quale deve peraltro svolgersi in armonia  con  la  Costituzione  e  i
principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica,  nonche'  delle
altre disposizioni dello statuto. Per quanto  attiene  specificamente
al tema posto dal presente giudizio, l'art. 3, settimo  comma,  dello
statuto determina direttamente alcune  incompatibilita'  e  l'art.  9
rinvia alla legge regionale al fine di  introdurre  altre  «eventuali
incompatibilita'  con  l'ufficio  di  Deputato  regionale  o  con  la
titolarita' di altre cariche o uffici». 
    Questa Corte, attraverso una costante giurisprudenza, non di rado
relativa a leggi della stessa Regione  siciliana,  ha  affermato  che
l'esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni in  ambiti,
pur  ad  esse  affidati  in   via   primaria,   che   concernano   la
ineleggibilita' e la incompatibilita' alle cariche elettive  incontra
necessariamente il limite del rispetto del principio  di  eguaglianza
specificamente sancito in materia dall'art. 51 Cost. In quest'ambito,
di recente, la sentenza n. 288 del  2007  ha  affermato  che  «questa
Corte in specifico riferimento alla  potesta'  legislativa  esclusiva
della   Regione   siciliana   in   tema   di    ineleggibilita'    ed
incompatibilita' dei consiglieri degli enti locali (di cui agli artt.
14, lettera o,  e  15,  terzo  comma,  dello  statuto)  ha  in  molte
occasioni  affermato  che  la  disciplina  regionale  d'accesso  alle
cariche elettive deve essere strettamente conforme ai principi  della
legislazione statale, a causa della esigenza di uniformita' in  tutto
il territorio nazionale discendente dall'identita' di  interessi  che
Comuni e Province rappresentano riguardo  alle  rispettive  comunita'
locali, quale che sia la Regione di appartenenza». 
    E, benche' la Corte abbia ritenuto che  la  potesta'  legislativa
della Regione siciliana in tema di elezioni dell'Assemblea  regionale
sia piu' ampia rispetto a quella relativa alle  elezioni  degli  enti
locali (sentenze n.  162  e  n.  20  del  1985;  n.  108  del  1969),
anch'essa, tuttavia, incontra sicuramente un limite nell'esigenza  di
garantire che sia rispettato il  diritto  di  elettorato  passivo  in
condizioni  di  sostanziale  uguaglianza  su  tutto   il   territorio
nazionale. 
    Infatti, proprio il principio di cui all'art. 51 Cost. svolge «il
ruolo di garanzia  generale  di  un  diritto  politico  fondamentale,
riconosciuto ad ogni cittadino con  i  caratteri  dell'inviolabilita'
(ex art. 2 della Costituzione)» (sentenze n. 25 del 2008, n. 288  del
2007 e n. 539 del 1990). 
    La  giurisprudenza  costituzionale  ha,  peraltro,   piu'   volte
precisato  che  il  riconoscimento  di  tali  limiti  non  vuol  dire
disconoscere la potesta' legislativa primaria di cui e'  titolare  la
Regione, ma significa tutelare il fondamentale diritto di  elettorato
passivo, trattandosi «di un diritto che, essendo intangibile nel  suo
contenuto di valore, puo' essere  unicamente  disciplinato  da  leggi
generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare  altri
interessi costituzionali altrettanto fondamentali e  generali,  senza
porre  discriminazioni  sostanziali  tra   cittadino   e   cittadino,
qualunque sia la  Regione  o  il  luogo  di  appartenenza»  (cfr.  ex
plurimis sentenza n. 235 del 1988). 
    Pertanto,  nell'esercizio  di  una  competenza  legislativa  come
quella  prevista  dallo   statuto   siciliano,   si   possono   anche
diversificare le cause  di  ineleggibilita'  e  incompatibilita',  ma
occorre che cio' avvenga sulla base di «condizioni peculiari locali»,
che   quindi   «debbono   essere   congruamente   e   ragionevolmente
apprezzati[e] dal legislatore siciliano» (sentenza n. 276 del 1997). 
    Ne' questa conclusione muta se la legislazione regionale  -  come
nel caso in esame - tende ad ampliare  (e  non  a  ridurre)  per  una
categoria di soggetti il diritto di elettorato passivo rispetto  alle
regole vigenti in generale, dal momento che anche una  disciplina  di
questo tipo comprime indirettamente gli  analoghi  diritti  di  altri
soggetti interessati. 
    In tal senso si sono pronunciate la  sentenza  n.  84  del  1994,
relativa  ad  un'ipotesi  di  soppressione  di  una  fattispecie   di
ineleggibilita' alla carica di deputato  regionale,  prevista  invece
sia per i membri del Parlamento,  sia  per  i  consiglieri  regionali
nelle Regioni a statuto ordinario, e la sentenza  n.  463  del  1992,
relativa alla mancata previsione  di  un'ipotesi  di  ineleggibilita'
alla carica di consigliere comunale. 
    In entrambi questi casi (aventi ad oggetto  leggi  della  Regione
siciliana) la Corte ha ritenuto  che  discipline  differenziate  sono
legittime sul  piano  costituzionale,  solo  se  trovano  ragionevole
fondamento  in  situazioni  peculiari  idonee   a   giustificare   il
trattamento privilegiato riconosciuto dalle disposizioni censurate. 
    4.2. - Non vi e' dubbio che la legge regionale n.  22  del  2007,
abrogando l'art. 62 della legge  regionale  n.  29  del  1951  ed  in
particolare la previsione  della  incompatibilita'  sopravvenuta  per
avere il deputato regionale assunto durante il suo mandato l'incarico
di sindaco o di assessore comunale, ha posto  in  essere  (senza  che
fosse palesata  alcuna  specifica  ragione)  una  disciplina  che  si
allontana da una linea  di  tendenza  ben  radicata  nell'ordinamento
giuridico. 
    Nella   previgente    legislazione    statale    relativa    alla
incompatibilita' dei consiglieri delle Regioni ad autonomia ordinaria
era  previsto  che  «l'ufficio   di   consigliere   regionale   fosse
incompatibile con quello .... di presidente e di assessore di  Giunta
provinciale e di sindaco e di  assessore  di  comuni  compresi  nella
Regione» e che queste incompatibilita' fossero  rilevabili  anche  se
successive all'elezione al Consiglio regionale (artt. 6  e  7,  terzo
comma, della legge 17 febbraio 1968, n.108,  recante  «Norme  per  le
elezioni dei Consigli regionali delle Regioni  a  statuto  normale»).
Anche la successiva legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di
ineleggibilita'  ed  incompatibilita'  alle  cariche  di  consigliere
regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in  materia  di
incompatibilita' degli  addetti  al  Servizio  sanitario  nazionale),
dispone che «le cariche  di  presidente  e  di  assessore  di  Giunta
provinciale, di sindaco  e  di  assessore  dei  comuni  compresi  nel
territorio  della  Regione,  sono  incompatibili  con  la  carica  di
consigliere regionale» e che l'effetto di  decadenza  si  produce  in
presenza di cause di incompatibilita' «sia che  esistano  al  momento
della elezione sia che sopravvengano ad essa» (artt. 4, primo  comma,
e 6, secondo comma, della legge n. 154 del 1981, la  quale  e'  stata
abrogata dall'art. 274 del d.lgs. 18 agosto  2000,  n.  267,  recante
«Testo  unico  delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti   locali»,
facendosi  espressamente  «salve  le  disposizioni  previste  per   i
consiglieri regionali»). 
    Dunque, per tale legge il cumulo degli uffici rileva  come  causa
di incompatibilita' anche nel  caso  in  cui  esso  sia  sopravvenuto
all'elezione, imponendo di esercitare  l'opzione  in  favore  di  una
delle due cariche ricoperte. 
    Anche il vigente d.lgs. n. 267  del  2000,  nel  disciplinare  le
cause ostative al cumulo delle cariche elettive, prevede non solo  la
incompatibilita'  con  l'ufficio   di   consigliere   regionale   dei
presidenti ed assessori provinciali e dei sindaci ed assessori di  un
Comune compreso nel territorio regionale, ma anche che «le  cause  di
incompatibilita', sia che esistano al momento della elezione, sia che
sopravvengano ad essa, importano la decadenza dalle predette cariche»
(artt. 65, comma 1, e 68, comma 2). 
    E' altrettanto vero, tuttavia, che una simile scelta normativa va
apprezzata con riferimento  al  processo,  attivatosi  nelle  Regioni
ordinarie, di  allentamento  della  rigida  disciplina  unitaria  del
regime  di  ineleggibilita'  ed  incompatibilita'   dei   consiglieri
regionali,  originato  dalla  revisione   dell'art.   122   Cost.   e
concretamente avviato dall'indirizzo legislativo che ne e' seguito. 
    Infatti, la legge n. 165 del 2004, con cui si e' posta in  essere
la disciplina statale di cornice, relativa, tra l'altro,  alle  cause
di ineleggibilita' ed incompatibilita' che  qui  interessano,  lascia
ampio  spazio,  salvo  talune  ipotesi  piu'   analitiche,   ad   una
articolazione, da parte del  legislatore  regionale,  delle  concrete
fattispecie rilevanti:  esse,  man  mano  che  le  Regioni  ordinarie
legifereranno, sono destinate a  trovare  applicazione  in  luogo  di
quanto previsto dalla  legge  n.  154  del  1981,  che  continua  nel
frattempo  a  spiegare  efficacia,  in  virtu'   del   principio   di
continuita' dell'ordinamento giuridico (ordinanze n. 223 del  2003  e
n. 383 del 2002). 
    E'  evidente  che  la  Regione  siciliana  non  puo'  incontrare,
nell'esercizio della propria potesta'  legislativa  primaria,  limiti
eguali a quelli che, ai sensi dell'art. 122 Cost., si impongono  alle
Regioni a statuto ordinario, cio' di cui si ha conferma nell'art.  10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo
V della Parte II della Costituzione). Nel contempo, sulla base  della
giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, la  suddetta  Regione
non potra' pero' sottrarsi,  se  non  laddove  ricorrano  «condizioni
peculiari locali»,  all'applicazione  dei  principi  enunciati  dalla
legge  n.  165  del   2004   che   siano   espressivi   dell'esigenza
indefettibile di uniformita' imposta dagli artt. 3 e 51 Cost. 
    Tra tali principi, assume rilievo il vincolo  di  configurare,  a
certe condizioni,  le  ineleggibilita'  sopravvenute  come  cause  di
incompatibilita'. L'art. 2, comma 1, lettera c) della  legge  n.  165
del 2004 stabilisce, infatti,  che  debba  applicarsi  la  disciplina
delle incompatibilita' alle  cause  di  ineleggibilita'  sopravvenute
alle elezioni, «qualora ricorrano» casi di conflitto fra le  funzioni
dei consiglieri regionali «e altre  situazioni  o  cariche,  comprese
quelle  elettive,  suscettibili,  anche  in  relazione  a   peculiari
condizioni delle  Regioni,  di  compromettere  il  buon  andamento  e
l'imparzialita' dell'amministrazione ovvero  il  libero  espletamento
della carica elettiva» (artt. 2, comma 1, lettera c, e  3,  comma  1,
lettera a, di detta legge). 
    Cio'  che  emerge  dalla  legislazione  nazionale  relativa  alle
Regioni ordinarie e', dunque, la previsione del parallelismo  tra  le
cause di incompatibilita' e le cause di ineleggibilita' sopravvenute,
con riguardo all'esigenza, indicata dalla  legge,  di  preservare  la
liberta' nell'esercizio della carica di  consigliere,  o  comunque  i
principi espressi dall'art. 97 Cost. con riguardo  all'operato  della
pubblica amministrazione. 
    Non si tratta, pertanto, di applicare un principio fondamentale -
tipico di una materia legislativa ripartita - ad una  Regione  dotata
di  potesta'  legislativa  primaria,  ma  di  dedurre,  anche   dalla
ripetizione nella legge n. 165 del 2004 del principio secondo cui  il
consigliere regionale non puo' assumere durante  il  proprio  mandato
alcuni  uffici  che  gli   avrebbero   precluso   la   eleggibilita',
l'esistenza di una situazione contrastante con gli artt. 3 e 51 Cost. 
    Ne' a queste conclusioni  si  oppongono  nei  lavori  preparatori
della legge n. 22  del  2007,  ragioni  speciali  o  esclusive  della
realta'  siciliana  che  possano  giustificare  l'adozione   di   una
disciplina diversa rispetto a quella posta a livello nazionale. 
    4.3. - Pertanto, la Regione siciliana e' tenuta a prevedere  come
causa di incompatibilita'  la  sopravvenienza  di  una  ipotesi  gia'
costituente ragione di ineleggibilita', ove  sussista  la  condizione
prevista dall'art. 3, comma 1, lettera a), della  legge  n.  165  del
2004. 
    Cio' posto, va rilevato che,  in  base  all'art.  8  della  legge
regionale n. 29 del 1951, non sono eleggibili a deputato regionale  i
sindaci e gli assessori dei Comuni,  compresi  nel  territorio  della
Regione, con popolazione superiore a 20 mila abitanti, secondo i dati
ufficiali dell'ultimo censimento generale della popolazione. 
    Resta allora da verificare se, nel caso in esame, il  cumulo  tra
l'ufficio regionale e quello locale sia suscettibile di compromettere
il libero espletamento della carica o comunque  i  principi  tutelati
dall'art. 97  Cost.,  giacche',  in  tal  caso,  illegittimamente  il
legislatore siciliano avrebbe omesso di  assicurare  il  parallelismo
tra cause di ineleggibilita' e cause di incompatibilita' verificatesi
dopo l'elezione a deputato regionale. 
    Questa Corte ha gia' avuto modo di ritenere, sia pure in linea di
principio, contrario all'art.  97  Cost.  il  predetto  cumulo  delle
cariche. 
    Infatti nella sentenza n. 201 del 2003 - sia pure con riferimento
all'ipotesi speculare prevista dall'art.  65  del  d.lgs.  18  agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti
locali), il quale configura l'incompatibilita' dei  sindaci  e  degli
assessori alla carica di consigliere regionale - si e' affermato  che
tale disposizione esprime il principio secondo cui esistono  «ragioni
che ostano all'unione nella stessa persona delle cariche di sindaco o
assessore comunale e di  consigliere  regionale  e  nella  necessita'
conseguente che la legge predisponga cause di incompatibilita' idonee
a evitare le ripercussioni che da tale unione possano derivare  sulla
distinzione degli ambiti  politico-amministrativi  delle  istituzioni
locali e, in ultima  istanza,  sull'efficienza  e  sull'imparzialita'
delle   funzioni,   secondo   quella   che   e'   la   ratio    delle
incompatibilita', riconducibile  ai  principi  indicati  in  generale
nell'art. 97, primo comma, della Costituzione  (sentenze  n.  97  del
1991 e n. 5 del 1978). In sintesi: il co-esercizio delle  cariche  in
questione e', a quei fini, in linea di massima, da escludere». 
    Dunque, questa Corte ha individuato l'esistenza di un divieto  di
cumulo   di   cariche   ove   cio'   si   ripercuota    negativamente
sull'efficienza e imparzialita' delle funzioni ed  ha  affermato  che
tale principio trova fondamento costituzionale nell'art. 97 Cost. (su
tale fondamento delle cause di incompatibilita', si vedano, altresi',
le sentenze n. 44 del 1997 e n. 235 del 1988). 
    Nella citata pronuncia (sentenza n. 201 del 2003),  peraltro,  la
Corte ha anche chiarito che dopo la riforma dell'art.  122  Cost.  le
Regioni  possono  operare  scelte  diverse  nello   svolgimento   del
principio in questione, nel senso di  introdurre  anche  temperamenti
alla radicale esclusione del cumulo tra le due  cariche.  E  tuttavia
tale  potere  discrezionale  trova  un  limite  nella  necessita'  di
assicurare il rispetto del principio  di  divieto  del  cumulo  delle
funzioni, con la conseguente incostituzionalita' di previsioni che ne
rappresentino una sostanziale elusione (nella  fattispecie  esaminata
in questa sentenza la Corte ha  dichiarato  l'illegittimita'  di  una
disposizione  della  legge  di  una  Regione  che  si  risolveva,  in
concreto, in un  sostanziale  svuotamento  del  principio  in  quanto
circoscriveva l'operativita' della  causa  ostativa  ad  ipotesi  del
tutto marginali). E' altresi' desumibile da questa sentenza  che  una
non irragionevole causa di affievolimento del  divieto  in  questione
puo' essere costituita  dalle  ridotte  dimensioni  territoriali  del
Comune, ove il consigliere regionale venga a ricoprire la  carica  di
sindaco  o  assessore.  Con  specifico   riferimento   alla   realta'
siciliana, siffatta considerazione ha trovato spazio nella previsione
del gia' rammentato art. 8 della legge  reg.  n.  29  del  1951,  che
limita l'ineleggibilita' all'ufficio di deputato  regionale  ai  soli
amministratori dei  Comuni  con  popolazione  superiore  a  ventimila
abitanti. 
    Nel medesimo modo, potra'  stimarsi  non  difforme  dall'art.  97
Cost. la corrispondente previsione  che  si  impone,  in  virtu'  del
principio  del  parallelismo  sopra  richiamato,  con  riguardo  alla
speculare causa di incompatibilita'. 
    Dunque, il combinato disposto degli art. 3, 51 e 97 Cost.  impone
alla Regione siciliana di introdurre  a  motivo  di  incompatibilita'
all'ufficio di deputato regionale la  sopravvenuta  ricorrenza  della
causa di ineleggibilita' della carica di sindaco e di assessore,  con
riferimento ai soli Comuni con popolazione superiore alla  soglia  di
ventimila abitanti. 
    4.4. - Come agevolmente deducibile da quanto appena osservato, la
dichiarazione di incostituzionalita' della  omessa  previsione  della
causa di  incompatibilita'  in  esame  non  puo'  ritenersi  preclusa
dall'essere  la   materia   riservata   alla   discrezionalita'   del
legislatore,  come  eccepito  dalla  parte  privata  resistente   nel
giudizio a quo, giacche'  il  limite  dimensionale  cui  si  rapporta
l'operativita' della causa di incompatibilita' discende  direttamente
ed  univocamente  dall'assetto  normativo   vigente   nella   Regione
siciliana. 
    Nel caso in esame, la  Corte  deve  infatti  dare  attuazione  ai
principi sopra individuati del divieto del cumulo delle cariche e del
parallelismo  fra  le  cause   di   ineleggibilita'   e   quelle   di
incompatibilita' sopravvenute. Il legislatore siciliano, con la legge
reg. n. 22 del 2007 se da un lato  ha  disatteso  tali  principi,  ha
dall'altro lato  contestualmente  rideterminato  la  categoria  della
ineleggibilita' a consigliere regionale dei sindaci e degli assessori
dei Comuni, compresi nel territorio della Regione, circoscrivendola a
quelli con popolazione superiore a ventimila abitanti. 
    Questa Corte da'  semplicemente  attuazione  al  principio  sopra
individuato,  che  impone  di  configurare  l'incompatibilita'  nelle
medesime ipotesi ed entro gli stessi limiti in cui la legge regionale
prevede una causa di ineleggibilita'. 
    Di   conseguenza   deve   essere   dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale della legge regionale n. 29 del 1951, nella  parte  in
cui  non  prevede  l'incompatibilita'  tra  l'ufficio   di   deputato
regionale e la sopravvenuta carica  di  sindaco  o  assessore  di  un
Comune,  compreso  nel  territorio  della  Regione,  con  popolazione
superiore a ventimila abitanti. 
    5.  -  Restano  assorbite  le  ulteriori  censure  formulate  dal
rimettente.