Letti gli atti del procedimento penale a carico di Storace Francesco nato a Cassino il 25 gennaio 1959, elettivamente domiciliato c/o il difensore di fiducia avv. Giosue' Bruno Naso con studio in Roma alla via Cola Di Rienzo n. 111; Imputato del delitto di diffamazione aggravata commessa con il mezzo della stampa (articoli 595, comma 2 e comma 3 c.p., 13, legge 8 febbraio 1948, n. 47), perche', nel corso di un'intervista pubblicata sul quotidiano «La Repubblica» in da 19 giugno 2006, offendeva, con attribuzione di fatti determinati, la reputazione di Woodcock Henry John, magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica di Potenza con funzioni di sostituto, mettendo in dubbio, in relazione a indagini condotte dal predetto Woodcock, la correttezza, l'imparzialita' e la serenita' di giudizio del medesimo, rendendo le dichiarazioni di seguito riportate: «Sapete cos'e' tutta questa roba? Una gran puttanata (...) In tutta l'inchiesta non c'e' niente. Quando si tirano le cose di sesso, allora vuol dire che nulla e' illegale. E' solo il piu' schifoso dei gossip. E' solo accanimento contro Alleanza Nazionale.»; alla domanda «l'inchiesta ha un obiettivo politico?» rispondeva: «Certo. Guardi, martedi' prossimo festeggio 100 giorni da quando mi sono dimesso da Ministro per il "Laziogate" eppure non sono stato raggiunto da nessun atto giudiziario. Se questo non e' accanimento.»; alla domanda «Ma perche' proprio contro An?» rispondeva: «Per vendetta. Woodcock gia' lo fece qualche tempo fa contro di me. E' una specie di complotto. Prima, quando stavamo al governo, avevano paura e ora...». Fatto commesso in Roma in data 19 giugno 2006. Querela del 14 settembre 2006. Parte civile: Woodcock Henry John, nato a Taunton (GB) il 23 marzo 1967, difeso di fiducia dall'avv. Bruno La Rosa del Foro di Napoli, costituitosi parte civile. O s s e r v a Il procedimento penale e' stato instaurato a seguito della querela sporta da Henry John Woodcock, magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica di Potenza, per il reato di diffamazione a mezzo stampa, in relazione ad una intervista rilasciata da Francesco Storace, all'epoca dei fatti senatore, e pubblicata sul quotidiano «La Repubblica» in data 19 giugno 2006, dal titolo «Gossip e vendetta contro di noi». L'intervista rilasciata dall'allora senatore Storace si inseriva nel contesto del grande clamore suscitato dalla divulgazione delle risultanze di una indagine penale condotta dal sostituto della Procura della Repubblica di Potenza Woodcock che aveva coinvolto Vittorio Emanuele di Savoia e che aveva poi determinato la trasmissione degli atti alla Procura di Roma per competenza in relazione alle indagini che interessavano a vario titolo alcuni esponenti del partito di Alleanza Nazionale (Salvatore Sottile, Francesco Proietti Cosimo, Daniela Di Sotto, moglie del presidente del partito Gianfranco Fini) per pretesi scambi di favori sessuali con aspiranti soubrettes interessate a partecipare a spettacoli televisivi, per la vicenda relativa all'esclusione dalle elezioni regionali del Lazio della lista concorrente di Alessandra Mussolini, e per presunte irregolarita' nella gestione di alcune strutture sanitarie. Intervistato da un cronista del quotidiano «La Repubblica», l'allora senatore Francesco Storace dichiarava: «Sapete cos'e' tutta questa roba? Una gran puttanata... vogliono tirare dentro pure me, ma io sono tranquillo. Non c'e' niente... quando si tirano cose di sesso, allora vuol dire che nulla e' illegale. E' solo il piu' schifoso dei gossip. E' solo accanimento contro AN. Ed alla domanda del giornalista: Cioe' l'inchiesta ha un obiettivo politico? Cosi' rispondeva: Certo. Guardi martedi' prossimo festeggio i cento giorni da quando mi sono dimesso da Ministro per Laziogate eppure non sono stato raggiunto da nessun atto giudiziario. Se questo non e' accanimento. Ed ancora, all'ulteriore domanda del giornalista: Ma perche' proprio contro AN? Il senatore rispondeva: «Per vendetta. Woodcock gia' lo fece qualche tempo fa contro di me. E' una specie di complotto. Prima, quando stavamo al governo avevano paura e ora... Infine, all'ultima domanda del cronista «Non teme che l'inchiesta possa coinvolgere anche lei e Fini?» Il senatore cosi' concludeva: «Le fantasie degli inquirenti sono gia' andate oltre ogni limite». Il sostituto Henry Woodcock in data 14 settembre 2006 sporgeva querela contro il senatore Francesco Storace, reputandosi leso nella sua reputazione di magistrato dalle affermazioni che attribuivano alla sua indagine un obiettivo politico, ovvero di colpite un partito politico (AN) per spirito di parte e per sentimenti di vendetta e avversione politica, lamentandosi per la implicita accusa di aver violato i doveri di imparzialita' e serenita' di giudizio, e quindi per l'attribuzione ingiusta della colpa piu' gravemente offensiva ed infamante che si possa muovere ad un magistrato. Sull'eccezione sollevata dalla difesa ai sensi dell'art. 3 legge n. 140/2003, questo giudice non ravvisando negli atti del procedimento elementi che potessero suffragare la esistenza di un nesso funzionale tra le opinioni espresse nell'articolo pubblicato e la carica di senatore rivestita all'epoca del fatto da Storace Francesco, disponeva, previa sospensione del procedimento penale, la trasmissione degli atti al Senato della Repubblica in applicazione del disposto di cui comma 4 dell'art. 3 della citata legge 20 giugno 2003, n. 140. L'Assemblea del Senato all'udienza pubblica del 22 luglio 2009 approvava la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari nel senso di ritenere che le dichiarazioni rese dal signor Storace, senatore all'epoca dei fatti, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e ricadono pertanto nell'ipotesi di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione. All'odierna udienza preliminare questo giudice, ritenendo di dover sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ha disposto la sospensione del procedimento nei confronti di Francesco Storace al fine di richiedere l'annullamento della indicata delibera del Senato della Repubblica che determina l'improcedibilita' dell'azione penale. Nella relazione della Giunta in cui si illustrano le ragioni della proposta di ritenere insindacabili le opinioni espresse dal senatore Cossiga, viene richiamata la linea difensiva del Senato seguita in precedenti controversie relative all'insindacabilita' delle opinioni espresse extra moenia nell'esercizio delle funzioni di parlamentare, facendosi osservare che la difesa del Senato auspica un salto interpretativo della giurisprudenza costituzionale volto a ritenere sussistente il nesso funzionale in tutte le occasioni in cui il parlamentare, raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione. Cio' alla luce dell'evoluzione che ha subito piu' in generale l'attivita' e la piu' ampia attivita' di politico ed espressione, per quanto atipica, del relativo ruolo istituzionale. In questo senso depone anche l'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 che nel dichiarare applicabile l'art. 68 ad ogni attivita' di denuncia politica connessa alla funzione parlamentare, avrebbe recepito la esigenza di adeguare la garanzia dell'insindacabilita' alle nuove caratteristiche assunte dallo svolgimento di attivita' politica. Inoltre nel merito del caso specifico la Giunta osservava che: «e' opportuno collocare il fatto ed comportamento, ascrivibili all'allora senatore Storace, nel contesto politico-parlamentare nel quale sono avvenuti. L'inchiesta cosiddetta gossip investi pesantemente l'intero panorama politico italiano: rappresento' nei giorni della divulgazione delle notizie ad essa relative il fatto del giorno, oggetto di commenti nella sfera politica italiana, nonche' di considerazioni che si espressero anche all'interno delle sedi parlamentari con interventi nelle Assemblee. Non e' pensabile che a fronte di tali circostanze, il parlamentare Storace - il quale interpellato, come risulta dagli atti, da un giornalista su un fatto oggetto di dibattito anche parlamentare, abbia espresso, sia pure con ruvidezza, alcune considerazioni a lui richieste, sul fatto politico del giorno, proprio in quanto parlamentare - non veda ricondotta alla sua funzione ed al suo mandato di rappresentante della Nazione l'espressione di tali opinioni». Di contro questo giudice rileva che non risulta che alcun dibattito in sede parlamentare si sia svolto in relazione alla indagine in questione e ne' che siano state discusse mozioni o altre iniziative parlamentari sempre con riferimento a tale vicenda. Il clamore suscitato dalla inchiesta giudiziaria non basta per ritenere che l'opinione espressa da un membro del Parlamento in merito a quello che viene definito «il fatto politico del giorno» sia da assimilare alle opinioni espresse nell'esercizio delle sue finzioni istituzionali, a meno di non voler ritenere che il clamore di una notizia diventi il parametro per stabilire se ricorra o meno l'insindacabilita' delle opinioni espresse da un parlamentare senza quindi alcuna verifica circa la correlazione di quelle opinioni con l'esercizio di attivita' proprie della carica di parlamentare. Dalla lettura della relazione della Giunta e del verbale dell'Assemblea del Senato che ha deliberato l'approvazione della relativa proposta non e' dato riscontrare alcuna precisa indicazione - aldila' di generici riferimenti a dibattiti parlamentari non meglio specificati - ad attivita' parlamentari svoltesi anche solo in coincidenza temporale con la divulgazione delle notizie sull'inchiesta giudiziaria della Procura di Potenza e sulle vicende giudiziarie che hanno interessato alcuni esponenti del partito di Alleanza Nazionale. La questione se il senatore Storace potesse legittimamente esprimere la propria opinione sul «fatto politico del giorno» non in discussione, essendo sicuramente suo diritto, come per un qualunque cittadino, manifestare pubblicamente il suo pensiero, come, d'altra parte, e' indubbio che fosse assolutamente rilevante ai fini della pubblica informazione conoscere quale fosse l'opinione di una personalita' di spicco del medesimo partito politico dei soggetti interessati dalle indagini giudiziarie in corso, anche per la maggiore autorevolezza che una tale opinione avrebbe avuto per la carica di senatore rivestita dall'uomo politico intervistato. Cio' che invece assume rilievo ai fini della valutazione della sussistenza dell'insindacabilita' prevista dall'art. 68 della Costituzione riguarda non la legittimita' della manifestazione di opinione del parlamentare, ma unicamente la verifica se l'opinione espressa debba essere sottratta all'ordinario sistema di garanzie a tutela dell'altrui reputazione personale - che rappresenta anche esso un valore costituzionalmente protetto - per la tutela che la Costituzione assicura all'esercizio delle funzioni proprie dei componenti del Parlamento. La valutazione della legittimita' dell'opinione espressa dal parlamentare e' questione che non rileva in questa sede, poiche' competenza dell'Autorita' giurisdizionale stabilire attraverso lo svolgimento del processo se le opinioni espresse siano state manifestate nell'esercizio del legittimo diritto critica. La verifica che andava operata dalla Camera di appartenenza del parlamentare era e doveva essere soltanto quella di individuare se vi fossero delle correlazioni con attivita' parlamentari e non esprimere giudizi sulla legittimita' della critica espressa dal parlamentare, fondati unicamente sul generico richiamo al contesto politico della vicenda e sulla rilevanza della notizia definita enfaticamente, sulla base di opinabili apprezzamenti soggettivi, come «il fatto politico del giorno». Ritiene, invece, il giudicante che le opinioni espresse dall'allora senatore Storace attengano unicamente alla sua veste di uomo politico e non anche all'esercizio delle sue funzioni di senatore, inquadrandosi perfettamente nella linea di difesa del partito politico di appartenenza, che si assume nello specifico ingiustamente aggredito da una inchiesta giudiziaria asseritamente mossa da finalita' ed obiettivi politici, ma senza che rispetto a tali opinioni esista la benche' minima correlazione con l'esercizio delle funzioni parlamentari. Nel merito della giurisprudenza costituzionale in tema di insindacabilita' ex art. 68 Cost., questo giudice ritiene di poter condividere l'auspicato salto giurisprudenziale, ma ritiene di aderire alla ormai consolidata giurisprudenza costituzionale formatasi sul punto. In particolare e' stato ripetutamente affermato che «nel precetto dell'art. 68, primo comma, Cost., circa l'insindacabilita' di opinioni espresse di cui i parlamentari siano stati chiamati a rispondere davanti all'autorita' giudiziaria, la linea di confine fra la tutela dell'autonomia e della liberta' delle Camere, e, a tal fine, della liberta' dei loro membri, - da un lato - e la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi - dall'altro lato - e' fissata attraverso la delimitazione «funzionale» dell'ambito della prerogativa, senza la quale l'applicazione della prerogativa si trasformerebbe in un privilegio personale con possibili distorsioni anche del principio di eguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini nella dialettica politica. E poiche' la regola per cui, nel linguaggio e nel sistema della Costituzione, le «funzioni» riferite agli organi non indicano generiche finalita' ma riguardano ambiti e modi giuridicamente definiti, vale anche per funzione parlamentare, ancorche' essa si connoti per il suo carattere non «specializzato», mentre e' pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera di appartenenza e dei suoi vari organi, in occasione di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea, l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi, invece, di per se esplicazione della funzione parlamentare. Nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attivita' propri delle assemblee rappresentano infatti l'esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati, cosicche', a precisazione - anche in vista di esigenze di certezza - della precedente giurisprudenza della Corte in materia, se ne deve concludere che il nesso funzionale da riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilita' tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare non puo' esser visto come un semplice collegamento di argomento o contesto fra l'una e l'altra, ma come identificabilita' della dichiarazione quale espressione dell'attivita' parlamentare (Sent. n. 10 del 2000 Presidente: Vassalli, Relatore: Onida; Sent. n. 134 del 2008 Presidente: Bile, Redattore De Siervo). Inoltre e' stato affermato che non assumono rilievo ne' gli atti riferibili ad altri parlamentari, ancorche' del medesimo gruppo, ne' quelli posti in essere dal medesimo parlamentare in epoca successiva alle dichiarazioni incriminate, e non valendo il mero «contesto politico» o comunque l'inerenza a temi di rilievo generale dibattuti in Parlamento, entro cui le dichiarazioni del parlamentare si possano collocare, a connotare di per se' tali dichiarazioni quali espressive della funzione parlamentare «vedi sentenze nn. 152 e 302 del 2007 e n. 260/2006). Con riferimento all'esistenza del nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia e la funzione parlamentare sono necessari i due requisiti del legame temporale e della sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni e gli atti esterni, addome, nella specie, nella proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, cui rinvia la delibera di insindacabilita', non si rinviene alcun riferimento ad atti tipici del parlamentare. Il mero «contesto politico», infatti, o comunque l'inerenza a temi di rilievo generale, entro cui le dichiarazioni si possono collocare, non vale in se' a connotarle quali espressive della funzione, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle proprie attribuzioni, siano non gia' il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita democratica mediante le proprie opinioni e i propri voti, ma una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell'esercizio della libera manifestazione del pensiero o assicurata a tutti dall'art. 21 della Costituzione. (Sent. n. 0152 del 2007). Infine, va evidenziato come la legge n. 140/2003 non ha natura di legge costituzionale e, pertanto, non e' idonea a stravolgere i limiti delineati dalla Corte in relazione all'applicabilita' dell'art. 68, comma primo, della Costituzione. Conseguentemente anche il riferimento alle attivita' di critica e denuncia politica espletate fuori dal Parlamento, contrariamente a quanto sostenuto nella proposta della Giunta delle elezioni e immunita' parlamentari ed approvato dal Senato della Repubblica, deve essere interpretato nel rispetto dei criteri delineati dalla Corte costituzionale a meno di non voler seguire una interpretazione della legge n. 140/2003 in contrasto con l'art. 68 della Costituzione con le inevitabili censure di illegittimita' costituzionale. Si rende, pertanto, necessario e doveroso per questo giudice sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alla delibera adottata nella seduta del 22 luglio 2009, con la quale e stato dichiarato che i fatti oggetto del procedimento penale a carico dell'allora senatore Francesco Storace per diffamazione a mezzo stampa concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. Sussistono, infatti, i requisiti soggettivo e oggettivo per un conflitto di attribuzione: per un verso, sia questo giudice, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, e' competente ad esprimere definitivamente la volonta' del potere cui appartiene, e sia il Senato della Repubblica, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la propria volonta' in ordine all'applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, sono legittimati ad essere parti del conflitto; per altro verso, questo giudice denuncia la menomazione della propria stima di attribuzione, costituzionalmente garantita, in conseguenza dell'adozione, da parte del Senato della indicata deliberazione.