Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 23, commi 1,  2,
3 e 4 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, (Disposizioni urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, in legge con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008,  n.
133, promossi dalle Regioni Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana,
Basilicata, Piemonte, Marche, Puglia e Lazio con  ricorsi  notificati
il 20 ottobre 2008, depositati in cancelleria il 22, il 24, il 28, il
29 ed il 30 ottobre 2008, e rispettivamente iscritti ai nn.  69,  70,
72, 74, 76, 80, 82, 85 e 87 del registro ricorsi 2008. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  1°  dicembre  2009  il  Giudice
relatore Alfio Finocchiaro; 
    Uditi gli avvocati Luigi Manzi  per  le  Regioni  Emilia-Romagna,
Veneto e Liguria, Lucia Bora per la Regione Toscana, Angelo  Pandolfo
per le Regioni Piemonte e Marche, Valerio  Speziale  per  la  Regione
Puglia e l'Avvocato dello Stato Paola Palmieri per il Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.  -  Con  distinti  ricorsi,  nove  Regioni  e,   precisamente,
Emilia-Romagna (reg. ric. n. 69 del 2008), Veneto (reg.  ric.  n.  70
del 2008), Liguria (reg. ric. n. 72 del 2008), Toscana (reg. ric.  n.
74 del 2008), Basilicata (reg. ric. n. 76 del 2008),  Piemonte  (reg.
ric. n. 80 del 2008), Marche (reg. ric. n. 82 del 2008), Puglia (reg.
ric. n. 85 del 2008) e  Lazio  (reg.  ric.  n.  87  del  2008)  hanno
impugnato in via principale, fra  l'altro,  i  commi  1,  2,  3  e  4
dell'art. 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni
urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la   semplificazione,   la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria),  convertito,  in  legge  con  modificazioni
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui modificano  gli
articoli 49 e 50 del decreto legislativo 10 settembre  2003,  n.  276
(Attuazione delle deleghe in materia di  occupazione  e  mercato  del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30). 
    Va premesso che, con  atto  notificato  il  9  gennaio  2009,  la
Regione Veneto - che era l'unica ad avere impugnato il  comma  3  del
citato art. 23 -  ha  rinunciato  al  ricorso  e  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha accettato tale  rinuncia  con  atto  del  24
gennaio 2009. 
    2. - La Regione Toscana ha  promosso  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 23, comma 1, del decreto-legge  n.  112  del
2008, nella parte in cui ha modificato l'articolo 49  del  d.lgs.  n.
276 del 2003, stabilendo che l'apprendistato professionalizzante  non
puo' comunque essere superiore a sei anni, per  violazione  dell'art.
117 della Costituzione. 
    La ricorrente osserva che,  con  la  modifica  introdotta,  viene
eliminata  la  previsione,  precedentemente  contenuta  nell'art.  49
citato, secondo  cui  l'apprendistato  professionalizzante  non  puo'
essere inferiore a due anni, con  pregiudizio  alla  possibilita'  di
programmazione e gestione della formazione per  contratti  di  durata
inferiore a  tale  limite,  con  la  conseguenza  che  l'eliminazione
operata incide sulle attribuzioni regionali in materia di  formazione
professionale, perche', con contratti di breve durata, la  formazione
non  puo'  essere  programmata,  ne'  assicurata.   Per   questo   la
disposizione,  che   irragionevolmente   ha   operato   la   prevista
eliminazione, appare costituzionalmente  illegittima  per  violazione
dell'art. 117 Cost. 
    2.1. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile,  non
essendo indicato sotto quale  profilo  verrebbe  lesa  la  competenza
regionale, e, in particolare, se la norma censurata incida su materie
di legislazione esclusiva o concorrente della Regione. 
    Nel merito, secondo la difesa dello Stato, la questione sollevata
e', comunque, infondata in quanto la norma  oggetto  di  impugnazione
consente  alle  parti  sociali  -  cui  risultava  gia'  affidata  la
determinazione della durata del contratto - di stabilire  una  durata
del contratto anche inferiore a due anni se funzionale alle  esigenze
del settore o alle caratteristiche del  percorso  formativo,  con  la
conseguenza che non sarebbe lesa la competenza regionale che, se  del
caso, puo' parametrare la propria regolamentazione per i  profili  di
sua competenza al nuovo limite di durata. 
    3.  -  Le  Regioni  Toscana,  Piemonte,  Marche,  Emilia-Romagna,
Liguria, Lazio,  Puglia,  Basilicata  hanno  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 2, del  decreto-legge
n. 112 del  2008,  nella  parte  in  cui  inserisce  il  comma  5-ter
nell'art. 49 del d.lgs. n. 276 del 2003, stabilendo che, in  caso  di
formazione esclusivamente aziendale, la regolamentazione dei  profili
formativi  dell'apprendistato  professionalizzante  non  e'  definita
dalle Regioni d'intesa con le associazioni dei datori di lavoro e dei
lavoratori, ma dai contratti collettivi  di  lavoro,  per  violazione
degli artt. 117, 120, 118 e 39 della Costituzione. 
    3.1. - Con riferimento all'art. 117 Cost.,  le  Regioni  Toscana,
Piemonte,  Marche,  Emilia-Romagna,  Liguria,  Puglia  e   Basilicata
affermano  che  la  norma  in  esame  assegna   alla   contrattazione
collettiva la  funzione  di  fonte  esclusiva,  in  luogo  di  quella
regionale,  anche  nella  definizione  della  nozione  di  formazione
aziendale, dei profili  formativi,  delle  modalita'  di  erogazione,
della durata della formazione,  nel  riconoscimento  della  qualifica
professionale e cio' pur  in  presenza  di  una  compiuta  disciplina
regionale. 
    Osservano,  poi  le  ricorrenti   che   la   nuova   formulazione
dell'articolo 117 Cost. attribuisce la formazione professionale  alla
potesta' legislativa esclusiva delle Regioni, affidando  alle  stesse
una competenza generale  su  tutto  cio'  che  attiene  agli  aspetti
formativi, senza necessita' di distinguere  tra  formazione  pubblica
esterna e formazione privata  aziendale.  Quest'ultima,  infatti,  e'
sempre connessa ad un profilo di crescita e di  qualificazione  delle
conoscenze  del  lavoratore  che  non  puo'  non  essere   ricompresa
nell'ambito della formazione propriamente detta, cui  fa  riferimento
il testo costituzionale. 
    La norma impugnata - sostengono le ricorrenti - si riferisce alla
distinzione, operata dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  50
del 2005,  tra  formazione  «interna»  all'azienda,  che  attiene  al
rapporto contrattuale  ed  e'  rimessa  alla  competenza  statale,  e
formazione  «esterna»   all'azienda,   da   ricondurre   ai   profili
«pubblicistici» dell'istituto, soggetta alla  competenza  concorrente
delle Regioni. 
    Tuttavia, la norma non tiene conto delle  strette  interrelazioni
che vi sono tra l'aspetto della formazione  esterna  e  quello  della
formazione interna. A tale proposito la Corte costituzionale, con  la
stessa sentenza n. 50 del 2005, ha rilevato che «se e'  vero  che  la
formazione   all'interno   delle   aziende   inerisce   al   rapporto
contrattuale, sicche'  la  sua  disciplina  rientra  nell'ordinamento
civile, e che spetta invece alle Regioni  e  alle  Province  autonome
disciplinare  quella  pubblica,   non   e'   men   vero   che   nella
regolamentazione dell'apprendistato ne' l'una  ne'  l'altra  appaiono
allo stato puro, ossia separate nettamente tra di  loro  e  da  altri
aspetti  dell'istituto.  Occorre  percio'   tener   conto   di   tali
interferenze». 
    3.1.1. - Secondo la difesa dello Stato, invece, la questione  non
sarebbe  fondata  in  quanto  la  formazione  professionale  che   la
Costituzione riserva alle Regioni e' esclusivamente quella pubblica o
esterna, «da impartire o negli istituti scolastici a cio'  destinati,
sia mediante strutture proprie regionali, sia  in  organismi  privati
con cui siano stipulati  accordi  ma,  in  ogni  caso,  al  di  fuori
rispetto all'ambito aziendale» (sentenza n. 50 del 2005). 
    Per contro, la formazione che si svolge all'interno dell'azienda,
per la sua diretta attinenza con il sinallagma contrattuale,  rientra
nella materia «ordinamento civile» ex  art.  117,  lett.  l),  Cost.,
completamente sottratta, in linea di principio, alla regolamentazione
regionale. 
    Nel  caso  di  specie  la  disposizione  impugnata  incide  sulla
disciplina dell'apprendistato professionalizzante ovvero volto ad una
qualificazione  di  tipo  contrattuale,  disciplinata  dai  contratti
collettivi   e,   in   quanto   tale,   rientrante   nella    materia
dell'ordinamento civile  ex  art.  117  Cost.,  del  tutto  estranea,
pertanto, all'ordinamento delle professioni  -  oggetto  di  potesta'
concorrente - di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    3.2. - Quanto all'art. 120 della Costituzione e al  principio  di
leale collaborazione, le Regioni Marche, Piemonte, Veneto, Basilicata
e Puglia osservano che la sentenza della Corte costituzionale  n.  24
del 2007 ribadisce che quando sussiste «un'interferenza  di  materie,
riguardo alle  quali  esistono  competenze  legislative  diverse»  e'
necessario procedere alla loro composizione con «gli strumenti  della
leale collaborazione o, qualora risulti la prevalenza di una  materia
sull'altra, (con) l'applicazione del criterio appunto di prevalenza». 
    Rileva,  in  particolare,  la  Regione  Puglia   che   la   Corte
costituzionale, con la sentenza n. 50 del 2005, ha affermato  che  in
tema di crediti formativi e di qualifiche professionali  deve  essere
assicurato il coinvolgimento delle Regioni, con  strumenti  opportuni
che garantiscano l'esercizio della «leale collaborazione». 
    La disposizione impugnata, al contrario, non prevede alcuna forma
di partecipazione delle Regioni per quanto riguarda le  modalita'  di
riconoscimento della qualifica professionale (rimessa  esclusivamente
alle parti sociali  tramite  enti  bilaterali  o  atti  di  autonomia
collettiva) e questa omissione si riflette anche sulla disciplina del
riconoscimento  dei  crediti  formativi.   Infatti,   «la   qualifica
professionale conseguita attraverso  il  contratto  di  apprendistato
costituisce credito formativo per il proseguimento  nei  percorsi  di
istruzione e di formazione professionale (art. 51, d.lgs. n. 276  del
2003). Se, dunque, le Regioni non possono  incidere  sui  criteri  di
definizione delle  qualifiche  professionali,  questa  esclusione  si
riflette indirettamente sulle modalita' di riconoscimento dei crediti
stessi, rispetto ai quali la Regione ha un diritto/dovere di «intesa»
(ai sensi dell'art. 52, comma 2, del d.lgs.  n.  276  del  2003).  In
sostanza, l'art. 23, comma 2, della legge n. 133 del 2008  inibirebbe
alle Regioni la partecipazione alla definizione di aspetti essenziali
della formazione che, al contrario, la Corte  costituzionale  ritiene
debbano vedere l'attiva partecipazione delle stesse. 
    3.2.1. - Secondo l'Avvocatura dello Stato, invece, se e' vero che
nell'attuale  assetto  del   mercato   del   lavoro   la   disciplina
dell'apprendistato si  colloca  all'incrocio  di  una  pluralita'  di
competenze, esclusive  dello  Stato  (ordinamento  civile,  ma  anche
determinazione dei livelli essenziali dell'istruzione e  delle  norme
generali   in   materia,   ove   l'apprendistato   sia    indirizzato
all'assolvimento dell'obbligo scolastico),  residuali  delle  Regioni
(istruzione e  formazione  professionale),  concorrenti  di  Stato  e
Regioni (tutela del  lavoro,  istruzione),  e'  anche  vero  che,  in
alternativa  al  principio  di  leale  collaborazione,  la  Corte  ha
altresi' indicato, quale possibile criterio dirimente,  quello  della
prevalenza  della  materia  al  fine  di   fondarne   la   rispettiva
competenza. In tal senso e' la sentenza n. 24 del 2007,  secondo  cui
«E' pur vero che in materia di apprendistato  professionalizzante  si
e' rilevata (anche) una interferenza di materie riguardo  alle  quali
esistono  competenze  legislative  diverse,  alla  cui   composizione
provvedono, quando possibile, gli strumenti di  leale  collaborazione
o,  qualora  risulti  la  prevalenza  di  una   materia   sull'altra,
l'applicazione del criterio appunto di prevalenza». In ogni caso,  se
e' vero che, come afferma  la  Corte  costituzionale,  le  molteplici
interferenze di materie diverse non  consentono  la  soluzione  delle
questioni sulla base di criteri rigidi, tuttavia e' vero altresi' che
«la riserva  alla  competenza  legislativa  regionale  della  materia
formazione professionale non puo' escludere la competenza dello Stato
a disciplinare l'apprendistato per i profili inerenti  a  materie  di
sua competenza» (sentenza n. 50 del 2005). 
    In perfetta coerenza con tali principi, la disposizione di cui al
comma 2 dell'art. 23 del decreto-legge 112 del 2008 sarebbe  volta  a
disciplinare,   nell'ambito   del    contratto    di    apprendistato
professionalizzante, solo la «formazione  esclusivamente  aziendale»,
rimettendo  per  tale  limitata  ipotesi  i  profili  formativi  alla
regolamentazione che le e' propria, ovvero a quella collettiva. Nella
specie, pertanto, la disposizione censurata  inciderebbe  su  profili
strettamente attinenti all'ambito riservato  in  via  esclusiva  alla
competenza statale - ovvero alla disciplina che i privati  datori  di
lavoro  possono  impartire   all'interno   dell'azienda   ai   propri
dipendenti - senza che sia dato  ravvisare  quelle  interferenze  con
ambiti regionali, con la conseguente insussistenza  della  violazione
delle disposizioni costituzionali  richiamate  ex  adverso  ma  anche
della prospettata violazione del principio di  leale  collaborazione,
considerato che, venendo  in  rilievo  la  formazione  esclusivamente
endo-aziendale, non viene attribuita alle parti sociali e  agli  enti
bilaterali alcuna competenza propria delle Regioni. 
    Del resto, quanto affermato dalla Corte  costituzionale,  con  la
gia'  ricordata  sentenza  n.  50  del  2005  -  secondo  cui   nella
regolamentazione  dell'apprendistato  la  formazione  interna  e   la
formazione esterna non  appaiono  allo  stato  puro,  ossia  separate
nettamente tra di loro -  varrebbe  ovviamente  solo  per  il  canale
formativo   delineato   nell'articolo   49,   comma   5,   la'   dove
l'operativita' del canale sussidiario aperto  dal  comma  5-ter  vale
espressamente e  tassativamente  per  la  formazione  «esclusivamente
aziendale»  e,  dunque,  soltanto  quando  i  due  profili  formativi
(interno ed esterno) sono nettamente  separati,  con  la  conseguente
esclusione di qualsivoglia sconfinamento  nell'ambito  di  competenze
regionali. Da un lato, infatti, con il censurato art.  23,  comma  2,
non si procede  ad  alcuna  modifica  della  normativa  preesistente,
restando immutato il comma 5 dell'art. 49 del d.lgs. n. 276 del 2003;
dall'altro, con l'introduzione del successivo comma 5-ter, si tende a
creare un canale parallelo, sommando all'offerta pubblica  un'offerta
formativa privata in regime di piena sussidiarieta', al solo fine  di
rendere  maggiormente  effettiva  la  formazione  nel  contratto   di
apprendistato professionalizzante. 
    3.3. - Secondo le  Regioni  Toscana  e  Basilicata,  il  comma  2
impugnato non e' conforme  neppure  all'art.  118  Cost.,  perche'  i
profili in esame non vengono attratti  allo  Stato  per  esigenze  di
carattere unitario, ma sono sottratti  alla  potesta'  regionale  per
essere affidati alla regolamentazione dei contratti collettivi. 
    Secondo la Regione Lazio, la norma  impugnata  viola  l'art.  118
Cost. in quanto si pone in contrasto con il regolamento regionale  21
giugno 2007 n. 7 (attuativo della citata legge  regionale  n.  9  del
2006),  le  cui  previsioni  risultano  incompatibili  con  la  nuova
disciplina statale, perpetrandosi per questo  aspetto  una  ulteriore
violazione della competenza normativa regionale, sia sotto il profilo
legislativo che regolamentare. 
    3.3.1. - Per l'Avvocatura dello Stato, una volta riconosciuta  la
competenza  esclusiva  dello  Stato   a   disciplinare   la   materia
dell'apprendistato all'interno dell'azienda,  o  perche'  si  rientra
pienamente  nella   materia   dell'ordinamento   civile   o   perche'
quest'ultima e'  comunque  prevalente,  ne  discende,  quale  diretta
conseguenza,   l'insussistenza    di    qualsivoglia    sconfinamento
nell'ambito  di  competenze  regionali   quanto   al   principio   di
sussidiarieta'. 
    3.4. - Secondo le Regioni Emilia-Romagna e Liguria, la  norma  di
cui all'art. 23, comma 2, si pone altresi' in contrasto con l'art. 39
della Costituzione, in quanto il contratto collettivo  di  lavoro  ha
efficacia generale solo se il sindacato e' registrato e, quindi, data
la non attuazione dell'art. 39 Cost.,  il  contratto  collettivo  non
puo' avere efficacia generale. 
    Osservano le due Regioni che la questione si e' gia'  posta  (non
essendo una novita' che il legislatore rinvii ai contratti collettivi
di lavoro per l'integrazione della  propria  disciplina)  e  che,  in
passato, la Corte costituzionale ha sottolineato l'illegittimita'  di
leggi del genere, e le ha giustificate  solo  «quando  si  tratta  di
materie del rapporto di lavoro che esigono uniformita' di  disciplina
in funzione di interessi generali connessi  al  mercato  del  lavoro,
come il lavoro a tempo parziale (...), i contratti  di  solidarieta',
la definizione di nuove ipotesi di assunzione a  termine»  (sent.  n.
344 del 1996). 
    Dal  momento   che   i   profili   formativi   dell'apprendistato
professionalizzante di certo non rappresentano una materia che  esige
una disciplina uniforme per gli interessi del mercato del lavoro,  la
«delega di funzioni paralegislative» (per usare un'espressione  della
sentenza n. 344 del 1996) ai contratti collettivi - operata dall'art.
23, comma 2 - costituisce una palese violazione dell'art. 39 Cost.  e
trasforma i contratti stessi (o gli accordi conclusi in sede di  ente
bilaterale) in una fonte extra-ordinem. 
    Poiche' attraverso questa violazione si produce  una  menomazione
delle competenze regionali (dato che la Regione viene privata di  una
potesta'  normativa  che  prima  aveva,  anche  in   relazione   alla
formazione aziendale, come risulta dall'art. 49, comma 5, del  d.lgs.
n. 276 del  2003)  e  poiche'  si  verte  in  materia  di  competenza
regionale,  esisterebbero  tutti  gli  elementi  della   lesione   di
competenza indiretta, nel senso  che  la  violazione  dell'art.  117,
quarto comma, Cost. si determina attraverso la  violazione  dell'art.
39 Cost. (vengono richiamate le sentenze n. 206 del 2001,  punti  15,
16 e 34, n. 110 del 2001, n. 303 del 2003, punto 35, n. 280 del 2004,
n. 355 del 1993). Di qui la legittimazione regionale a far valere  la
violazione dell'art. 39 e, tramite  questa,  della  propria  potesta'
legislativa in materia di formazione professionale. Del  resto,  gia'
in un'occasione la Corte ha mostrato di non  escludere  a  priori  il
riferimento all'art. 39 Cost. in un ricorso  regionale  (sentenza  n.
219 del 1984). 
    3.4.1.  -  Secondo  l'Avvocatura  dello  Stato  la   censura   e'
inammissibile, in  quanto  dalla  stessa  prospettazione  di  cui  al
ricorso regionale  non  emerge  alcuna  attinenza  tra  il  parametro
costituzionale invocato (art. 39 Cost.) e la lamentata lesione  della
competenza regionale prefigurata dall'art. 117, quarto  comma,  Cost.
lesione che «costituisce  l'oggetto  e  il  limite  dell'impugnazione
diretta della Regione» (sentenza n. 219  del  1984).  In  ogni  caso,
regolando  la  norma  impugnata  la  sola  formazione  di   carattere
strettamente aziendale, non viene attribuita  alle  parti  sociali  e
agli enti bilaterali alcuna competenza propria delle Regioni. 
    3.4.2. - Con memoria depositata il 9 novembre  2009,  la  Regione
Toscana lamenta che la norma impugnata  vanifica  la  gia'  esistente
normativa della  Regione  Toscana,  che  ha  disciplinato  i  profili
formativi, la  nozione  di  formazione  aziendale,  le  modalita'  di
erogazione,   la   durata,   il   riconoscimento   della    qualifica
professionale. 
    Con distinte memorie depositate entrambe il 18 novembre 2009,  la
Regione  Liguria  e  la  Regione  Emilia-Romagna  contestano   quanto
affermato dall'Avvocatura dello Stato, ossia  che  non  sussisterebbe
alcuna attinenza tra il parametro di  cui  all'art.  39  Cost.  e  la
lamentata lesione della competenza  regionale.  Infatti,  la  lesione
dell'art. 117 si determina attraverso la lesione dell'art.  39  Cost.
Inoltre vi sono profili, quali «le modalita' di riconoscimento  della
qualifica professionale ai fini contrattuali» e «la registrazione nel
libretto formativo» in relazione ai  quali  la  norma  impugnata  non
riguarda propriamente la formazione aziendale. 
    4. - Le Regioni Piemonte, Marche  e  Basilicata  hanno  sollevato
questione di legittimita' costituzionale del comma  4  dell'art.  23,
che, dopo le parole «e le altre istituzioni  formative»,  aggiunge  i
seguenti periodi al comma 3 dell'art.  50  del  d.lgs.  10  settembre
2003, n. 276: «In assenza di regolamentazioni regionali l'attivazione
dell'apprendistato  di  alta  formazione  e   rimessa   ad   apposite
convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le  Universita'  e  le
altre  istituzioni  formative.  Trovano   applicazione   per   quanto
compatibili, i principi stabiliti all'articolo 49, comma  4,  nonche'
le disposizioni di cui all'articolo 53», per violazione del principio
di leale collaborazione tra Stato e  Regioni,  di  cui  all'art.  120
della  Costituzione  e  la  menomazione  delle  potesta'  legislative
esclusive e concorrenti delle Regioni ex art. 117 della Costituzione,
come pure della conseguente potesta' amministrativa ex art. 118 della
Costituzione. 
    4.1. - L'art. 23, comma 4, del  decreto-legge  n.  112  del  2008
elimina dunque l'obbligo - inizialmente previsto dal  comma  3  -  di
sottoscrivere un'intesa  con  le  Regioni  per  poter  utilizzare  il
contratto di apprendistato di alta formazione. 
    L'eliminazione dell'obbligo  della  preventiva  intesa  determina
l'illegittimita' costituzionale della  norma  risultante,  in  quanto
proprio tale obbligo era stato identificato dalla sentenza n. 50  del
2005  come  strumento  di   attuazione   del   principio   di   leale
collaborazione. 
    Con riferimento a questa forma  di  apprendistato  si  stabilisce
addirittura il principio che  l'intero  percorso  formativo  -  tanto
quello  svolto  in  azienda,   quanto   quello   svolto   all'esterno
dell'azienda - puo' essere regolato  da  fonti  diverse  dalla  norma
regionale. 
    4.2. - Secondo l'Avvocatura dello Stato la censura e'  infondata,
in quanto pur con la disposizione censurata  resta  fermo  il  potere
della Regione di intervenire in  qualsiasi  momento  a  regolamentare
l'istituto sulla base delle potesta' ad essa  riconosciuta  dall'art.
50, comma 3, prima parte, del d.lgs. n. 276 del 2003. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Con  distinti  ricorsi,  nove  Regioni  e,   precisamente,
Emilia-Romagna,  Veneto,  Liguria,  Toscana,  Basilicata,   Piemonte,
Marche, Puglia  e  Lazio  hanno  impugnato  in  via  principale,  fra
l'altro, i commi 1, 2, 3 e 4 dell'art. 23 del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica e la perequazione  tributaria),  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in  cui
modificano gli articoli 49 e 50 del decreto legislativo 10  settembre
2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia  di  occupazione  e
mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n.  30),  per
violazione degli articoli 39, 117,  118  e  120  della  Costituzione,
nonche' del principio di leale collaborazione. 
    2. - Riservata a separate pronunce ogni decisione in ordine  alle
altre censure sollevate dalle  stesse  Regioni  nei  confronti  della
normativa citata, tutti i giudizi vanno riuniti in quanto, avendo  ad
oggetto questioni  analoghe  o  connesse,  ne  risulta  opportuna  la
trattazione unitaria. 
    3. - La  Regione  Veneto  -  che  e'  l'unica  ad  aver  proposto
questione di legittimita' costituzionale del comma 3 dell'art. 23 del
decreto-legge n. 112 del 2008 - con atto notificato il 9 gennaio 2009
ha rinunciato al ricorso e il Presidente del Consiglio  dei  Ministri
ha accettato la rinuncia con atto del 24 gennaio 2009. 
    Il  relativo  processo  va,  pertanto,  dichiarato  estinto   per
rinuncia. 
    4. - L'art. 23 del decreto-legge n. 112 del 2008,  introduce  una
serie di modifiche alla disciplina del contratto di apprendistato. 
    Il comma 1 di tale articolo ha  modificato  il  testo  originario
dell'art. 49, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, per  il  quale  la
durata del contratto di apprendistato professionalizzante non  poteva
essere «inferiore a due anni e superiore a sei»,  stabilendo  che  il
predetto contratto non puo' avere una durata «superiore a sei  anni»,
e cosi' eliminando la previsione della durata minima. 
    La Regione Toscana dubita della legittimita' costituzionale della
modifica, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in  quanto
l'eliminazione di un  termine  minimo  di  durata  inciderebbe  sulle
attribuzioni  regionali  in  materia  di  formazione   professionale,
impedendo la programmazione della formazione stessa. 
    Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  nel  costituirsi  in
giudizio, ha eccepito l'inammissibilita'  della  questione  proposta,
per non avere la ricorrente precisato se la norma censurata incida su
materia di competenza esclusiva o concorrente della Regione,  nonche'
la sua infondatezza nel merito, dal momento che  la  norma  impugnata
consente alle parti di  stabilire  una  durata  del  contratto  anche
inferiore a due anni se funzionale alle esigenze del settore  o  alle
caratteristiche del percorso formativo. 
    4.1. - La questione e' ammissibile -  dovendo  ritenersi  che  la
Regione abbia implicitamente invocato la propria competenza esclusiva
in tema di formazione professionale - ma non e' fondata. 
    La norma oggi impugnata consente alle associazioni dei  datori  e
dei prestatori di lavoro la conclusione di contratti di apprendistato
di durata fino a sei anni,  laddove  la  precedente  consentiva  tali
contratti solo se fossero stati di durata compresa fra i due e i  sei
anni. La legge non riduce automaticamente i  tempi  della  formazione
professionale, ma attribuisce la facolta', prima non  consentita,  di
concludere contratti fino a due anni, senza eliminare la possibilita'
di concluderne anche di durata superiore.  Saranno  dunque  le  parti
sociali - cui risultava gia' affidata la determinazione della  durata
del contratto - a stabilirne  una  anche  inferiore  a  due  anni  se
funzionale alle esigenze  del  settore  o  alle  caratteristiche  del
percorso formativo. Vi sono, infatti,  figure  professionali  per  le
quali un contratto di apprendistato di durata inferiore ai  due  anni
puo' considerarsi sufficiente. 
    Non e' tuttavia  lesa  la  competenza  delle  Regioni,  le  quali
possono, come prima, contribuire  alla  disciplina  della  formazione
professionale, dettando norme che prevedano, per il conseguimento  di
determinate qualifiche professionali, una  durata  del  rapporto  non
inferiore a due anni. 
    Non  va,  infatti,  dimenticato  che  da  quando,   con   decreto
legislativo 23 dicembre 1997, n. 469  (Conferimento  alle  regioni  e
agli enti locali di funzioni e compiti  in  materia  di  mercato  del
lavoro, a norma dell'articolo 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59),  sono
stati  istituiti  i  servizi  regionali  per  l'impiego,   tra   loro
coordinati nell'ambito del «sistema  informativo  lavoro»  (SIL),  le
Regioni   esercitano   importanti   funzioni    di    programmazione,
monitoraggio  e  verifica  nell'ambito  del  mercato  del  lavoro  di
rispettiva   competenza   e,   quindi,   anche   sui   contratti   di
apprendistato. Questa situazione e'  stata  presa  in  considerazione
nell'ambito del d.lgs. n. 276 del 2003 che, da un lato,  ha  previsto
un incisivo coinvolgimento delle Regioni per  quel  che  riguarda  la
stessa definizione di «libretto formativo  del  cittadino»  (art.  2,
comma 1, lettera i), d.lgs. n. 276 del 2003, sulla base del quale  e'
stato emanato il decreto del Ministro del lavoro  e  delle  politiche
sociali  10  ottobre  2005,  recante  «Approvazione  del  modello  di
libretto formativo del cittadino, ai sensi del  d.lgs.  10  settembre
2003, n. 276, art. 2, comma  1,  lettera  i)»)  e,  dall'altro  lato,
all'art. 51, dopo aver  stabilito  che  «la  qualifica  professionale
conseguita  attraverso  il  contratto  di  apprendistato  costituisce
credito formativo per il proseguimento nei percorsi di  istruzione  e
di istruzione e formazione professionale» (comma 1), ha precisato che
le Regioni devono partecipare alla  definizione  delle  modalita'  di
riconoscimento dei suddetti crediti formativi (comma 2). 
    Su tali funzioni regionali il decreto-legge n. 112 del  2008  non
ha influito ed esso, anzi, si puo' dire le abbia date per  acquisite,
come si desume sia dal fatto che, con riferimento al  nuovo  «canale»
di  accesso  al  contratto   di   apprendistato   professionalizzante
introdotto dal comma 5-ter dell'art. 49, si e' richiamata tout  court
la registrazione nel libretto formativo (che, a  sua  volta,  per  la
mansione svolta, rinvia alla qualifica SIL),  sia  dalla  circostanza
che l'art. 40,  comma  4,  del  decreto-legge  n.  112  del  2008  ha
modificato l'art. 9, comma 6, della legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme
per il diritto al lavoro dei disabili), in materia di  avviamento  al
lavoro dei disabili, proprio nel senso di valorizzare  la  necessita'
di «assicurare l'unitarieta' e l'omogeneita' del sistema  informativo
lavoro» e di potenziare il coinvolgimento delle Regioni  in  materia,
attraverso lo strumento dell'intesa (potenziamento  che  e'  divenuto
ancora piu' incisivo dopo l'ulteriore modifica del suddetto  comma  6
ad opera dell'art. 6, comma 5, della legge 23 luglio 2009, n. 99). 
    5. - L'art. 23, comma 2, del decreto-legge n.  112  del  2008  ha
aggiunto all'art. 49 del d.lgs. n. 276 del 2003  il  seguente  comma:
«5-ter. In caso di  formazione  esclusivamente  aziendale  non  opera
quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi  i  profili  formativi
dell'apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente  ai
contratti  collettivi  di  lavoro  stipulati  a  livello   nazionale,
territoriale o aziendale da associazioni dei datori e  prestatori  di
lavoro comparativamente  piu'  rappresentative  sul  piano  nazionale
ovvero agli enti  bilaterali.  I  contratti  collettivi  e  gli  enti
bilaterali  definiscono  la  nozione  di   formazione   aziendale   e
determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le  modalita'
di erogazione della formazione, le modalita' di riconoscimento  della
qualifica professionale ai fini contrattuali e la  registrazione  nel
libretto formativo». 
    Questa disposizione - che dichiara inoperante la  previsione  del
precedente  comma  5  dello  stesso  articolo  per   il   quale   «la
regolamentazione    dei    profili    formativi    dell'apprendistato
professionalizzante e' rimessa alle Regioni e alle Province  autonome
di Trento e Bolzano, d'intesa  con  le  associazioni  dei  datori  di
lavoro e prestatori di lavoro comparativamente  piu'  rappresentative
sul piano regionale» - e'  stata  impugnata  dalle  Regioni  Toscana,
Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio, Puglia,  Basilicata
per violazione: a) dell'art. 117 Cost. in quanto non  prenderebbe  in
considerazione le strette interrelazioni che vi  sono  tra  l'aspetto
della formazione pubblica e quello della  formazione  interna,  delle
quali occorre tenere conto, come rilevato dalla sentenza  n.  50  del
2005 di questa Corte; b) dell'art. 120 Cost. e del principio di leale
collaborazione, in quanto, quando sussiste  -  come  nella  specie  -
un'interferenza di materie, riguardo alle quali  esistono  competenze
legislative diverse, e' necessario procedere alla  loro  composizione
con gli strumenti della leale collaborazione; c) dell'art. 118 Cost.,
non sussistendo alcuna esigenza di carattere unitario che imponga una
disciplina statale dell'apprendistato professionalizzante all'interno
dell'azienda, che lo sottragga alla potesta' regionale per  affidarlo
alla regolamentazione dei contratti collettivi; d) nonche'  dell'art.
39 Cost. in quanto il contratto collettivo  di  lavoro  ha  efficacia
generale solo se il sindacato e' registrato e, quindi,  data  la  non
attuazione dell'art. 39 Cost., il contratto collettivo non puo' avere
efficacia generale. 
    6. - Con riferimento alla  violazione  dell'art.  117  Cost.,  le
Regioni Toscana, Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Liguria, Puglia  e
Basilicata  affermano  che   la   norma   in   esame   assegna   alla
contrattazione collettiva la funzione di fonte esclusiva, in luogo di
quella regionale, anche nella definizione della nozione di formazione
aziendale,  senza  tenere  presente  che  la   norma   costituzionale
attribuisce la formazione  professionale  alla  potesta'  legislativa
esclusiva  delle  Regioni,  affidando  alle  stesse  una   competenza
generale su tutto  cio'  che  attiene  agli  aspetti  formativi,  non
operando  alcuna  distinzione  tra  formazione  pubblica  esterna   e
formazione privata aziendale. La nuova normativa accredita invece  la
possibilita' che la formazione sia «esclusivamente aziendale» e,  con
riferimento all'atteggiarsi in questo modo della formazione  relativa
all'apprendistato, rimette «integralmente» ai contratti collettivi  -
siano essi nazionali, territoriali o solo aziendali  -  o  agli  enti
bilaterali  -  organismi  privati  istituiti   dalla   contrattazione
collettiva - la definizione dei «profili formativi»; assegnando  alla
contrattazione collettiva  il  compito  di  definire  la  nozione  di
formazione aziendale e, per ciascun profilo formativo, la durata e le
modalita'  di  erogazione   della   formazione,   le   modalita'   di
riconoscimento della qualifica professionale ai fini  contrattuali  e
la registrazione nel libretto formativo. 
    Tuttavia la norma non tiene conto  delle  strette  interrelazioni
che vi sono tra l'aspetto della formazione esterna, da ricondurre  ai
profili «pubblicistici»  dell'istituto  e  soggetta  alla  competenza
delle Regioni, e quello della  formazione  interna,  che  attiene  al
rapporto contrattuale ed e' rimessa  alla  competenza  statale,  come
rilevato dalla sentenza n. 50 del 2005 di questa Corte, la  quale  ha
affermato  la  conformita'  a  Costituzione  di  alcune  disposizioni
normative del d.lgs. n. 276 del 2003 sopra richiamato,  con  riguardo
all'apprendistato professionalizzante, proprio per la previsione  del
coinvolgimento delle Regioni (chiamate a stipulare un'intesa  con  le
associazioni di datori e prestatori di lavoro) nella regolamentazione
dei profili formativi, con la conseguenza che la  soluzione  dovrebbe
essere di segno contrario, in mancanza di tale coinvolgimento. 
    Rileva, in particolare, la Regione Lazio che la  norma  impugnata
incide direttamente sul contenuto della disciplina gia'  dettata  con
la legge regionale 10 agosto 2006, n. 9 (Disposizioni in  materia  di
riforma dell'apprendistato), la  quale:  a)  prevede  che  i  profili
formativi attinenti all'apprendistato sono definiti con deliberazione
della  giunta  regionale  previo  accordo  con  le  associazioni   di
categoria (art. 2); b)  fornisce  la  definizione  della  nozione  di
formazione  formale,  stabilendo  contestualmente  le  modalita'   di
svolgimento della formazione formale interna (art. 5). 
    Secondo la difesa dello Stato, invece, la disposizione  in  esame
e' pienamente coerente con il disegno costituzionale in  materia,  in
quanto la formazione professionale che la Costituzione  riserva  alle
Regioni e' esclusivamente quella pubblica o esterna (sentenza  n.  50
del 2005), mentre  quella  che  si  svolge  all'interno  dell'azienda
rientra nella materia «ordinamento civile» ex  art.  117,  lett.  l),
Cost., sottratta alla regolamentazione regionale. 
    7. - Con riferimento alla violazione dell'art.  120  Cost.  e  al
principio di  leale  collaborazione,  le  Regioni  Marche,  Piemonte,
Veneto,  Basilicata  e  Puglia   osservano   che,   quando   sussiste
«un'interferenza di materie, riguardo alle quali esistono  competenze
legislative diverse», e' necessario procedere alla loro  composizione
con «gli strumenti della leale collaborazione o, qualora  risulti  la
prevalenza di una materia sull'altra, con l'applicazione del criterio
appunto di prevalenza» (sentenza n. 24 del 2007). 
    Afferma in particolare la Regione Puglia che, in tema di  crediti
formativi e di qualifiche professionali, deve  essere  assicurato  il
coinvolgimento   delle   Regioni,   con   strumenti   opportuni   che
garantiscano l'esercizio della «leale collaborazione» (sentenza n. 50
del 2005),  mentre  la  disposizione  impugnata,  al  contrario,  non
prevede alcuna forma  di  partecipazione  delle  Regioni  per  quanto
riguarda   le   modalita'   di   riconoscimento    dalla    qualifica
professionale. In sostanza, l'art. 23, comma 2, del decreto-legge  n.
112 del 2008 inibisce alle Regioni la partecipazione alla definizione
di aspetti essenziali della  formazione  che,  al  contrario,  questa
Corte riterrebbe debbano vedere l'attiva partecipazione delle stesse. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, in  ipotesi  di  pluralita'  di
competenze (esclusive e concorrenti) dello Stato e delle Regioni,  in
alternativa al principio di leale collaborazione, si puo'  applicare,
quale possibile criterio dirimente,  quello  della  prevalenza  della
materia al fine di fondarne la rispettiva competenza (sentenza n.  24
del 2007). In perfetta coerenza con tali principi, la disposizione di
cui al comma 2 dell'art. 23 del decreto-legge n. 112 del 2008 sarebbe
volta a disciplinare,  nell'ambito  del  contratto  di  apprendistato
professionalizzante, solo  la  formazione  esclusivamente  aziendale,
rimettendo, per tale  limitata  ipotesi,  i  profili  formativi  alla
regolamentazione collettiva. La disposizione censurata inciderebbe su
profili strettamente attinenti all'ambito riservato in via  esclusiva
alla competenza statale senza interferenze con ambiti regionali,  con
insussistenza  della  violazione  della  disposizione  costituzionale
richiamata e del principio di leale collaborazione, giacche', venendo
in considerazione la formazione  esclusivamente  endo-aziendale,  non
viene attribuita alle parti sociali e  agli  enti  bilaterali  alcuna
competenza  propria  delle  Regioni.  Ne  discende  l'esclusione   di
qualsivoglia sconfinamento nell'ambito di competenze regionali. Da un
lato, infatti, con il censurato art. 23, comma 2, non si  procede  ad
alcuna modifica della normativa preesistente, il comma 5 dell'art. 49
d.lgs.  n.  276  del  2003   restando   immutato;   dall'altro,   con
l'introduzione del successivo comma  5-ter,  si  tende  a  creare  un
canale parallelo, sommando all'offerta pubblica un'offerta  formativa
privata in regime di piena sussidiarieta', al solo  fine  di  rendere
maggiormente effettiva la formazione nel contratto  di  apprendistato
professionalizzante. 
    8. - La questione e' fondata nei limiti di seguito precisati. 
    La formazione aziendale, come ritenuto dalla citata  sentenza  di
questa Corte n. 50 del 2005, «rientra nel sinallagma  contrattuale  e
quindi  nelle  competenze  dello  Stato  in  materia  di  ordinamento
civile». Peraltro, nella pronuncia si afferma  altresi'  che  «se  e'
vero che la formazione all'interno delle aziende inerisce al rapporto
contrattuale, sicche'  la  sua  disciplina  rientra  nell'ordinamento
civile, e che spetta invece alle Regioni  e  alle  Province  autonome
disciplinare  quella  pubblica,   non   e'   men   vero   che   nella
regolamentazione dell'apprendistato ne' l'una  ne'  l'altra  appaiono
allo stato puro, ossia separate nettamente tra di  loro  e  da  altri
aspetti dell'istituto», con la conseguenza che «occorre percio' tener
conto di tali interferenze». 
    Interferenze  che  sono  correlative  alla  naturale   proiezione
esterna dell'apprendistato professionalizzante e all'acquisizione  da
parte  dell'apprendista  dei  crediti  formativi,  utilizzabili   nel
sistema  dell'istruzione  -  la  cui  disciplina  e'  di   competenza
concorrente - per l'eventuale conseguimento di titoli di studio. 
    Nella specie, di tali interferenze non si e' tenuto conto e  cio'
determina l'illegittimita' costituzionale della norma - per contrasto
con gli artt. 117 e 120 Cost.  nonche'  con  il  principio  di  leale
collaborazione - in primo luogo con riguardo alle parole  «non  opera
quanto previsto dal comma 5.  In  questa  ipotesi»  dal  momento  che
siffatta inapplicabilita' finisce per rendere inoperante, senza alcun
ragionevole motivo, il principio  enunciato  nel  primo  periodo  del
comma 5, secondo  cui  «la  regolamentazione  dei  profili  formativi
dell'apprendistato professionalizzante, e'  rimessa  alle  Regioni  e
alle  Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano,  d'intesa  con   le
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente  piu'
rappresentative sul piano  regionale»,  nel  rispetto  di  criteri  e
principi direttivi successivamente enunciati, nonche', per l'effetto,
della legislazione regionale intervenuta, o che potrebbe intervenire,
ai sensi della  disposizione  citata,  come  rilevato  dalla  Regione
Lazio, che fa riferimento alla  propria  legge  regionale  10  agosto
2006, n. 9 (Disposizioni in materia di riforma dell'apprendistato). 
    Inoltre, si pone in contrasto con la suddetta scelta di  lasciare
inalterato il quadro complessivo della disciplina del settore (e,  in
particolare,  gli  artt.  51  e  53  del  d.lgs.  n.  276  del  2003)
l'abolizione delle competenze regionali in materia di controllo circa
il quantum minimo della formazione (art. 50, comma 5,  lett.  a,  del
d.lgs. n. 276 del 2003), quanto all'effettiva attuazione dell'obbligo
formativo (art. 50, comma 5, lett. e, del d.lgs.  n.  276  del  2003)
nonche' in materia di certificazione dell'avvenuta  formazione  (art.
50, comma 5, lett. c e d, del d.lgs. n. 276 del 2003). 
    Infatti, come gia' si e' detto, la nuova disciplina non ha inciso
sulle funzioni gia' svolte dalle Regioni in materia  di  mercato  del
lavoro, sulla base della normativa antecedente il d.lgs. n.  276  del
2003, ne' ha  modificato  la  disciplina  contenuta  in  tale  ultimo
decreto a proposito del libretto formativo e  dei  crediti  formativi
conseguenti allo  svolgimento  del  contratto  di  apprendistato  che
attribuiscono un ruolo incisivo alle Regioni,  nell'ambito  del  SIL.
Del resto, cio' e' finalizzato ad assicurare che i profili  formativi
siano coerenti con  l'istituendo  Repertorio  delle  professioni  che
definira' gli standard minimi nazionali (in base  a  quanto  previsto
dall'art. 52 del  d.lgs.  n.  276  del  2003),  onde  assicurare  una
migliore attuazione alla decisione 2241/2004/CE del 15 dicembre  2004
del Parlamento e  del  Consiglio  dell'Unione  europea,  inerente  la
definizione di un «Quadro comunitario unico per la trasparenza  delle
qualifiche e delle competenze -  Europass»  e  favorire,  cosi',  una
maggiore cooperazione europea in materia di istruzione  e  formazione
professionale, come ribadito anche dal Consiglio dell'Unione  europea
e dai rappresentanti dei Governi degli  Stati  nella  Conclusione  24
gennaio 2009, n. 2009/C18/04. 
    In conseguenza,  occorre  parimenti  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale  della  norma  de  qua   limitatamente   alla   parola
«integralmente»,  la  quale  rimette  esclusivamente   ai   contratti
collettivi di lavoro o  agli  enti  bilaterali  i  profili  formativi
dell'apprendistato professionalizzante, nonche' alle parole, riferite
ai contratti collettivi e agli enti bilaterali, secondo le quali essi
«definiscono la nozione di formazione aziendale e». 
    Le suindicate espressioni, infatti, escludendo l'applicazione del
precedente comma 5, sono  anch'esse  lesive  dei  suddetti  parametri
costituzionali, perche' si  traducono  in  una  totale  estromissione
delle  Regioni  dalla  disciplina  de  qua.  Esse,   anzi,   appaiono
particolarmente lesive in quanto  la  definizione  della  nozione  di
formazione aziendale costituisce il  presupposto  della  applicazione
della normativa di cui si tratta  e  il  fatto  che  lo  Stato  abbia
stabilito  come  tale   definizione   debba   avvenire   e,   quindi,
implicitamente  come  vada  definita  la   formazione   esterna   (di
competenza  regionale),  denota  che  esso  si  e'   attribuito   una
«competenza sulle competenze» estranea al nostro ordinamento. 
    Infatti, cosi' come le Regioni non possono, nell'esercizio  delle
proprie  competenze,  svuotare  sostanzialmente   di   contenuto   la
competenza statale -  come  e'  stato  sottolineato,  in  materia  di
apprendistato,  fra  l'altro,  nella  sentenza  n.  418  del  2006  -
analogamente non e' ammissibile riconoscere allo Stato la potesta' di
comprimere senza alcun limite il potere legislativo regionale. 
    Nella specie lo Stato si e' unilateralmente attribuito il  potere
di disciplinare le fonti normative per identificare il discrimine tra
formazione aziendale (la cui  disciplina  gli  spetta)  e  formazione
professionale  extra  aziendale  (di   competenza   delle   Regioni),
escludendo cosi' qualsiasi partecipazione di queste ultime. 
    In sintesi, anche nell'ipotesi di apprendistato,  con  formazione
rappresentata come esclusivamente aziendale, deve essere riconosciuto
alle  Regioni  un  ruolo  rilevante,  di  stimolo  e   di   controllo
dell'attivita'  formativa,  sicche'  il  testo  del  comma  5-ter  in
oggetto, a seguito delle  disposte  dichiarazioni  di  illegittimita'
costituzionale, risulta essere il seguente: «In  caso  di  formazione
esclusivamente  aziendale  i  profili  formativi   dell'apprendistato
professionalizzante sono rimessi ai contratti  collettivi  di  lavoro
stipulati  a  livello  nazionale,   territoriale   o   aziendale   da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente  piu'
rappresentative sul piano nazionale ovvero agli  enti  bilaterali.  I
contratti collettivi e gli enti bilaterali determinano,  per  ciascun
profilo formativo, la durata  e  le  modalita'  di  erogazione  della
formazione,  le   modalita'   di   riconoscimento   della   qualifica
professionale ai fini contrattuali e la  registrazione  nel  libretto
formativo». Esso va comunque letto nell'ambito del sistema  normativo
nel quale si inserisce, cosi' come sopra ricostruito. 
    9. -  Secondo  le  Regioni  Toscana  e  Basilicata,  il  comma  2
impugnato non trova giustificazione neppure ai  sensi  dell'art.  118
Cost., perche' i profili in esame non vengono attratti allo Stato per
esigenze di carattere  unitario,  ma  sono  sottratti  alla  potesta'
regionale per essere affidati  alla  regolamentazione  dei  contratti
collettivi. 
    Per la Regione Lazio, la norma impugnata viola l'art. 118  Cost.,
in quanto si pone in contrasto con il regolamento regionale 21 giugno
2007, n. 7 (attuativo della citata legge regionale n. 9 del 2006)  le
cui  previsioni  risultano  incompatibili  con  la  nuova  disciplina
statale, perpetrando per  questo  aspetto  una  ulteriore  violazione
della  competenza  normativa  regionale,   sia   sotto   il   profilo
legislativo che regolamentare. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, invece, una volta  riconosciuta
la  competenza  esclusiva  dello  Stato  a  disciplinare  la  materia
dell'apprendistato all'interno dell'azienda,  o  perche'  si  rientra
pienamente  nella   materia   dell'ordinamento   civile   o   perche'
quest'ultima e'  comunque  prevalente,  ne  discende,  quale  diretta
conseguenza,   l'insussistenza    di    qualsivoglia    sconfinamento
nell'ambito  di  competenze  regionali   quanto   al   principio   di
sussidiarieta'. 
    10. - Le Regioni Emilia-Romagna e Liguria deducono che l'art. 23,
comma 2, impugnato violerebbe  anche  l'art.  39  Cost.,  in  quanto,
attesa  l'inattuazione  della  richiamata  norma  costituzionale,  la
delega di funzioni paralegislative  (sentenza  n.  344  del  1996)  -
tramite la norma  censurata  -  ai  contratti  collettivi,  trasforma
questi  ultimi  in  una   fonte   extra-ordinem,   determinando   una
menomazione  delle  competenze  regionali.  Secondo  le   ricorrenti,
vertendosi in materia di competenza  regionale,  esistono  tutti  gli
elementi della lesione di competenza  indiretta,  nel  senso  che  la
violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost. si determina attraverso
la violazione dell'art. 39 Cost., con la  conseguente  legittimazione
regionale a far valere tale  violazione  e,  tramite  questa,  quella
della  propria  potesta'  legislativa  in   materia   di   formazione
professionale. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, la censura e' inammissibile, in
quanto dalla stessa prospettazione di cui al  ricorso  regionale  non
emerge alcuna attinenza  tra  il  parametro  costituzionale  invocato
(art. 39 Cost.) e la lamentata  lesione  della  competenza  regionale
prefigurata dall'art. 117,  quarto  comma,  Cost.,  che  «costituisce
l'oggetto  e  il  limite  dell'impugnazione  diretta  della  Regione»
(sentenza n.  219  del  1984).  In  ogni  caso,  regolando  la  norma
impugnata la sola formazione di carattere strettamente aziendale, non
viene attribuita alle parti sociali e  agli  enti  bilaterali  alcuna
competenza propria delle Regioni. 
    Con distinte memorie depositate entrambe il 18 novembre 2009,  la
Regione  Liguria  e  la  Regione  Emilia-Romagna  contestano   quanto
affermato dall'Avvocatura dello Stato, ossia  che  non  sussisterebbe
alcuna attinenza tra il parametro di  cui  all'art.  39  Cost.  e  la
lamentata lesione della competenza  regionale.  Infatti,  la  lesione
dell'art. 117 Cost. si determina attraverso la lesione  dell'art.  39
Cost. Inoltre vi sono profili, quali «le modalita' di  riconoscimento
della  qualifica  professionale   ai   fini   contrattuali»   e   «la
registrazione nel libretto formativo», in relazione ai quali la norma
impugnata non riguarda propriamente la formazione aziendale. 
    11. - Per quanto riguarda sia il parametro di  cui  all'art.  118
Cost. che quello di cui all'art. 39 Cost., la questione relativa alla
legittimita'  dell'art.  23,  comma  2,  impugnato,  deve   ritenersi
assorbita a seguito dell'accoglimento - sia  pure  parziale  -  della
questione relativamente ai parametri di cui  agli  artt.  117  e  120
Cost.  e  al  principio  di  leale  collaborazione.   Infatti,   tale
accoglimento, determinando  il  riconoscimento  della  rilevanza  del
ruolo delle Regioni nel processo di formazione aziendale, fa si'  che
le stesse non possano piu' lamentare la lesione delle loro competenze
in suddetta materia. 
    12. - L'art. 23, comma 4, del decreto-legge n. 112  del  2008  ha
aggiunto all'art. 50, comma 3, del d.lgs. n. 276 del  2003,  dopo  le
parole «e le altre istituzioni formative», i  seguenti  periodi:  «In
assenza     di     regolamentazioni      regionali      l'attivazione
dell'apprendistato  di  alta  formazione  e'  rimessa   ad   apposite
convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le  Universita'  e  le
altre  istituzioni  formative.  Trovano  applicazione,   per   quanto
compatibili, i principi stabiliti all'articolo 49, comma  4,  nonche'
le disposizioni di cui all'articolo 53». 
    Le Regioni Piemonte, Marche, Veneto e Basilicata hanno  impugnato
la  norma  richiamata  per  violazione   del   principio   di   leale
collaborazione tra Stato e Regioni, di cui all'art. 120 Cost., e  per
la menomazione delle potesta'  legislative  esclusive  e  concorrenti
delle Regioni  ex  art.  117  Cost.,  e  della  conseguente  potesta'
amministrativa ex art. 118 Cost. 
    La norma eliminerebbe l'obbligo di addivenire ad un  accordo  con
le Regioni per poter utilizzare il contratto di apprendistato di alta
formazione:   tale   eliminazione   determinerebbe   l'illegittimita'
costituzionale della norma risultante, in quanto proprio tale obbligo
era stato identificato dalla sentenza n. 50 del 2005  come  strumento
di attuazione del principio di leale collaborazione. 
    Secondo  le  ricorrenti,  l'illegittimita'  costituzionale  della
norma appare ancora  piu'  evidente  se  si  considera  che  qui,  al
contrario di quanto disposto per l'apprendistato professionalizzante,
il legislatore non distingue tra formazione  aziendale  e  formazione
esterna,  di  competenza  regionale,  ma  stabilisce  addirittura  il
principio che l'intero percorso formativo - tanto  quello  svolto  in
azienda, quanto quello svolto all'esterno dell'azienda - puo'  essere
regolato da fonti diverse dalla norma regionale. 
    Secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  la   censura   e'
infondata,  in  quanto  la  disposizione   impugnata   incide   sulla
competenza regionale nel solo caso di assenza di normativa  regionale
e nelle more di tale vacatio. La disposizione mira  ad  agevolare  la
diffusione dell'apprendistato di alta formazione, sopperendo al  caso
(peraltro frequente) di inerzia del  legislatore  regionale,  facendo
si'  che,  nelle  more  dell'intervento   regionale,   l'applicazione
dell'istituto non sia impedita, introducendo una disciplina destinata
a consentire, in attesa delle auspicate  regolamentazioni  regionali,
il raccordo tra sistema educativo-formativo e mercato del lavoro  nei
settori  dell'alta  formazione.   La   conseguenza   e'   -   secondo
l'Avvocatura - che non e' ravvisabile alcuna invasione di  competenze
regionali ne' tanto meno del principio di leale  collaborazione,  ove
si consideri che, con  la  disposizione  censurata,  resta  fermo  il
potere  della  Regione  di  intervenire  in   qualsiasi   momento   a
regolamentare  l'istituto  sulla  base   delle   potesta'   ad   essa
riconosciuta dall'art. 50, comma 3, prima parte, del  d.lgs.  n.  276
del 2003. 
    12.1. - La questione non e' fondata. 
    12.2. - Essa si basa sull'erroneo presupposto interpretativo  per
il quale la  disposizione  censurata  imporrebbe,  per  l'attivazione
dell'apprendistato di alta formazione, la messa a punto  di  apposite
convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le  Universita'  e  le
altre istituzioni formative. 
    Tale lettura non e' in alcun modo confortata  dalla  formulazione
della disposizione in  oggetto.  Lo  Stato,  infatti,  indicando  uno
strumento  per  ovviare  all'eventuale  assenza  di  regolamentazione
regionale, ha permesso di dar luogo effettivamente  ai  contratti  di
apprendistato di alta formazione in quelle Regioni ove ancora non sia
stata  posta  una  disciplina  in  tal  senso,   peraltro   con   una
regolamentazione ispirata a criteri  di  ragionevolezza  (convenzione
tra datori di lavoro  e  Universita').  Nulla  impedisce,  poi,  alle
Regioni di legiferare, riappropriandosi della propria  competenza  in
tema di formazione. L'espressione  «in  assenza  di  regolamentazioni
regionali» va  infatti  interpretata  come  se  equivalesse  a  «fino
all'emanazione di regolamentazioni regionali». 
    Cosi' facendo lo Stato ha introdotto una norma «cedevole»,  cioe'
una disposizione destinata a perdere efficacia nel momento in cui  la
Regione eserciti il proprio potere legislativo. 
    Tale potere dello  Stato  e'  legittimo,  in  considerazione  del
contesto in cui e' stato previsto. 
    Pertanto, non e'  ravvisabile  alcuna  lesione  delle  competenze
regionali, in quanto le Regioni possono far venire meno, in qualsiasi
momento, l'operativita' della norma statale, dettando una  disciplina
in materia di apprendistato di  alta  formazione  (per  la  parte  di
rispettiva competenza, cui si  riferisce  l'art.  23,  comma  4,  del
decreto-legge n. 112 del 2008, attualmente censurato).