LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio d'appello in materia di responsabilita', iscritto al numero 31285 del registro di segreteria, proposto dal competente Procuratore regionale nei confronti della sentenza n. 1527/2007 pronunciata dalla Sezione giurisdizionale per il Lazio, nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda per il danno all'immagine formulata nei confronti del sig. G.P. difeso e rappresentato dall'avv. Luigi Medugno; Uditi alla pubblica udienza del 27 ottobre 2009 il relatore consigliere Alberto Avoli, il Pubblico ministero in persona del V.P.G. Pasquale di Domenico e l'avv. Luigi Medugno, quale difensore del sig. G.P. Premesso in fatto Con atto di citazione del 23 gennaio 1997, la Procura regionale per il Lazio conveniva in giudizio il sig. G.P. per sentirlo condannare al pagamento in favore dell'erario della somma di lire 32.000.000.000, oltre interessi legali e spese di giustizia, a titolo di responsabilita' amministrativa, quale risarcimento del danno erariale cagionato in virtu' del rapporto di servizio pubblico correlato all'esercizio delle funzioni di Presidente dell'ANAS, carica ricoperta in quanto Ministro pro tempore dei lavori pubblici (dal 22 luglio 1989 al 28 giugno 1992). Il danno erariale contestato (patrimoniale) veniva equitativamente quantificato dall'attore pubblico in ragione dei maggiori costi sostenuti dall'Amministrazione negli appalti per lavori stradali, in conseguenza dell'illegittima e comunque abnorme diffusione del sistema delle trattative private in luogo delle licitazioni. Infatti era risultato che «durante la permanenza in carica del Ministro P., il Consiglio di amministrazione dell'ANAS aveva deliberato 449 affidamenti di lavori a trattativa Privata... Durante la gestione del (precedente) Ministro... l'incidenza percentuale degli affidamenti a trattativa privata sul complesso degli appalti si era attestata al 45%», anziche' al 76% e, durante la gestione del Ministro successivo a circa il 21%.». In particolare: «da un confronto effettuato... fra i ribassi ottenuti sul prezzo progettuale negli affidamenti a trattativa privata e quelli conseguiti nelle aggiudicazioni a seguito di licitazioni... approvati negli stessi anni in esame, e' emerso che in media i primo risultano inferiori a volte in misura consistente rispetto ai secondi...». In sostanza, la Procura, con il richiamato atto di citazione, ha contestato al sig. G.P., un complessivo abuso nel ricorso alle trattative private, in luogo delle licitazioni, con implicazioni sia nella illegittimita' degli atti posti in essere e sia nella diseconomicita' dell'azione amministrativa. La procura rappresentava che la medesima vicenda era oggetto di autonomo procedimento penale, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio, in data 10 ottobre 1996 della Procura dellaRepubblicadi Roma al Collegio per i reati ministeriali presso il tribunale. Il 9 dicembre 2002 la Procura regionale per il Lazio emetteva un secondo atto di citazione, qualificandolo «integrativo» del precedente. Il requirente contabile evidenziava che il Tribunale di Roma, decima sezione penale, con la sentenza n. 12897/2001, aveva condannato il sig. G.P. a sei anni e quattro mesi di reclusione per il reato di corruzione propria aggravata. Collegava quindi il diffuso, illegittimo ed antieconomico ricorso alle trattative private (specificamente contestato nell'atto di citazione originario) con la percezione di tangenti, fino a ricostruire in terrnini complessivamente unitari un sistema di gestione delle risorse pubbliche nel settore degli appalti stradali, di per se' censurabile anche a titolo di responsabilita' amministrativa. Nell'atto di citazione integrativo veniva rimodulato l'importo del danno erariale patrimoniale (da 32 miliardi di lire a 20.425.000.000), ancora facendo ricorso al criterio equitativo, assumendo pero' come parametro valorizzativo di maggior rilievo quello corrispondepte all'importo delle tangenti riscontrate in sede penale. Contestualmente - circostanza particolarmente rilevante nella presente sede - l'atto di citazione integrativo contestava al sig. G.P., come ulteriore e nuova voce, anche il danno all'immagine dell'amministrazione (per lire 6.808. 000.000), voce non ricompresa nell'atto originario. Con sentenza di prime cure n. 1527/2007, depositata il 17 ottobre 2007,1a Sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti ha ritenuto il sig. G.P. colpevole del danno patrimoniale per l'importo di euro 5.000.000, mentre ha dichiarato inammissibile l'atto di citazione integrativo per il danno all'immagine. Tale inammissibilita' e' stata ritenuta dal Giudice di prime cure sulla base della seguente motivazione: «La contestazione del danno non patrimoniale, introdotta per la prima volta nell'atto integrativo citazione, non puo' invece ammettersi, concretizzando essa effettivamente una mutatio libelli. Infatti la contestazione del danno non patrimoniale non costituisce una semplice articolazione e specificazione del prospettato danno originario, ma introduce una autonoma fattispecie che richiede una indagine svincolata dall'accertamento sulla fondatezza della domanda principale, integrando cosi' una mutatio non consentita neanche nel procedimento di primo grado.». La richiamata sentenza n. 1527/2007 veniva appellata dalla Procura di questa Corte (fra l'altro) relativamente alla menzionata questione dell'inammissibilita' della domanda per il danno all'immagine. Il sig. G.P., nei propri atti di giudizio, si e' opposto alla tesi della procura appellante ed anzi ha depositato in data 2 ottobre 2009, con il ministero dell'avv. Luigi Medugno, istanza di declaratoria di «nullita' dell'atto processuale introduttivo del giudizio d'appello». L'istanza, fondata sul «comma 30-ter» dell'articolo 17 della legge n. 102/2009, evidenziava che «il sig. G.P. non ha mai riportato alcuna condanna per le vicende poste a fondamento dell'azione di responsabilita', ma e' stato anzi prosciolto dalle imputazioni ascrittegli, perche' «il fatto non sussiste», come da sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di Roma in data 19 giugno 2005». Con sentenza n. 75/10, depositata il 5 febbraio 2010, questo giudice accoglieva l'appello della procura affermando l'ammissibilita' della domanda per il danno all'immagine. Cio' sull'accertato presupposto che l'atto di citazione integrativo era effettivamente stato preceduto da uno specifico invito a dedurre e che pertanto la contestazione del danno all'immagine doveva prefigurarsi non come una mutatio libelli, bensi' come una nuova ed autonoma domanda. Relativamente invece all'istanza di declaratoria di nullita' proposta dal sig. G.P., questo medesimo giudice pronunciava come segue. «All'accoglimento dell'appello segue la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato l'inammissibilita' della domanda per danno non patrimoniale, contenuta come voce autonoma e nuova nell'atto di citazione integrativo. La positiva pronuncia sull'ammissibilita' della citazione per il danno all'immagine dovrebbe costituire il presupposto per il rinvio di merito al giudice di primo grado, cosi' nuovamente adito.» «Tuttavia la remissione a tale giudice deve necessariamente tenere conto del disposto di cui al "comma 30-ter" dell'articolo 17 della legge n. 102/1999, cosi' come modificato dalla legge n. 141/2009 nella parte in cui prescrive che il danno all'immagine possa essere perseguito a titolo di responsabilita' amministrativa, solo se ed in quanto intervenuta una sentenza penale di condanna passata in giudicato». «Si pone al riguardo innanzi tutto una questione: se cioe' la norma sia suscettibile di applicazione in questa sede d'appello, ovvero non lo sia, a cagione dell'interposizione della sentenza di prime Cure, appellata». «La sezione ritiene di dover dare al quesito una risposta affermativa, in quanto la sentenza di prime cure ha pronunciato l'inammissibilita' della citazione sul punto del danno all'immagine senza entrare nel merito.» «Il principio al quale il Collegio intende ancorare il proprio convincimento decisorio e' pertanto il seguente: la sentenza di inammissibilita' dell'atto di citazione pronunciata in primo grado non concretizza la preclusione stabilita dal "comma 30-ter" dell'articolo 17 della legge n. 103/2009, consentendo al Giudice d'appello la cognizione sull'eccezione di nullita' della domanda (formulata per contestazione del danno all'immagine senza l'avvenuta formazione di previo giudicato penale; e, conseguentemente, sull'eccezione di nullita' dell'appello.» «Potendo (e dovendo) valutare l'eccezione di nullita' sollevata dalla difesa del sig. G.P. con la menzionata memoria del 2 ottobre 2009, e occorrendo in cio' l'applicazione della norma in questione, questo giudice non puo' non coglierne profili di possibile incostituzionalita' rilevanti in questa sede». Pertanto, relativamente al danno all'immagine, la richiamata sentenza n. 75/2010 (dopo aver accolto l'appello della procura dichiarando ammissibile l'atto di citazione integrativo del 9 dicembre 2002 nella parte del danno non patrimoniale), anziche' disporre il rinvio, ha previsto che separata ordinanza sia sollevata questione di legittimita' costituzionale del comma 30-ter con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Carta. Per doverosa completezza nella descrizione del fatto occorre sinteticamente ripercorrere i principali passaggi dell'autonomo processo penale sviluppatosi per la medesima vicenda. Il procedimento penale aveva preso corpo dalla richiesta di rinvio a giudizio inoltrata in data 10 ottobre 1996 dalla procura della Repubblica di Roma al Collegio per i reati ministeriali presso il tribunale. La decima sezione penale di detto tribunale, con la menzionata sentenza n. 12807/2001, ha condannato il sig. G.P. per corruzione propria aggravata. La Corte d'appello di Roma annullava pero' la sentenza penale di condanna in primo grado. Cio' in applicazione dei principi contenuti nella sentenza della Corte costituzionale n. 134 del 2002, in quanto il decreto che aveva disposto il giudizio era affetto da nullita', essendo stato emesso dal Collegio per i reati ministeriali in luogo del G.U.P. ordinario. Gli atti del processo venivano dunque trasmessi al competente pubblico ministero. Insorgeva a quel punto il problema dell'utilizzabilita' delle prove acquisite durante l'istruttoria che ha portato alla sentenza di condanna in primo grado del Tribunale penale di Roma. Infatti, nelle more, era sopraggiunto l'articolo 26 della legge n. 63/2001 che prescriveva (novellando l'articolo 64 del codice di procedura) una serie di avvisi ed un regime di inutilizzabilita' degli atti in caso di loro mancanza. Le dichiarazioni rese dall'imputato erano cosi' divenute inutilizzabili contra se, in mancanza degli avvisi di cui alle lettere a) e b) e inutilizzabili contra alios, con riguardo agli avvisi di cui alla lettera c). Ovviamente tutti i verbali di interrogatorio utilizzati per la sentenza di condanna mancavano di tali inviti, non previsti al momento della loro formazione. Pertanto, preso atto dell'inutilizzabilita' degli interrogatori nella nuova fase processuale, il pubblico ministero ha tentato di rinnovarli secondo le novelle prescrizioni. A tal fine ha invitato tutti coloro che avrebbe avuto interesse ad interrogare, affinche' chiarissero se fossero disponibili o meno a rendere l'interrogatorio richiesto. Tutti hanno comunicato la propria indisponibilita' a rendere dichiarazioni, anticipando di volersi avvalere della facolta' di non rispondere. Il Giudice per l'udienza preliminare presso il Tribunale di Roma,con sentenza n. 2257/2005 assolveva il sig. G.P. dai reati ascrittigli «perche' fatto non sussiste». Dunque tale assoluzione non e' stata pronunciata a seguito di un sostanziale riesame di merito, ovvero per vizi propri della sentenza di primo grado. Ad essa invece si e' pervenuti per la dichiarata incompetenza funzionale del Collegio per i reati ministeriali (accertata dalla Corte d'appello applicando i principi resi da una sentenza della Corte costituzionale nelle more intervenuta) e a seguito dell'approvazione legislativa di una nuova norma di garanzia, incidente anche sul valore probatorio delle dichiarazioni gia' correttamente rese. In conclusione, ai fini rilevanti nella presente sede, si ribadisce che: a) il danno all'immagine e' stato contestato dalla Procura regionale con l'atto di citazione integrativo, quale voce autonoma ed ulteriore rispetto al danno patrimoniale; b) l'atto di citazione integrativo, contenente la contestazione del danno all'immagine, e' stato emesso il 9 dicembre 2002, allorche' in sede penale era intervenuta la sentenza di condanna in primo grado (non passata in giudicato ed anzi annullata dalla Corte d'Appello); c) la sentenza di primo grado di inammissibilita' della domanda per il danno all'immagine e' intervenuta nel 2007, in epoca successiva alla definitiva sentenza assolutoria per insussistenza del fatto (ma l'inammissibilita' non era basata sulla sentenza assolutoria, bensi' sull'asserita mutatio libelli); d) la ricordata istanza di declaratoria di nullita' degli atti ai sensi della legge n. 102/2009 e modifiche e' stata presentata il 2 ottobre 2009 con riferimento alla eccepita sopravvenuta nullita' dell'atto introduttivo dell'appello per il danno all'immagine, in assenza di condanna penale passata in giudicato. Considerato quanto segue in punto di rilevanza della questione. Le disposizioni che assumono rilevanza sono quelle contenute nel comma 30-ter dell'articolo n. 17 del decreto-legge 10 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come a sua volta modificata dal comma 3 dell'articolo 1 del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. Tate complesso normativo, oggetto del presente sindacato di costituzionalita', recita quanto segue per quanto riguarda la disciplina del danno all'immagine: «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine solo nei casi e nei modi previsti dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97: a tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 e' sospeso sino alla conclusione del procedimento penale» (testo del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 convertito nella legge n. 141/2009). Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la relativa nullita' puo' essere fatta valere in ogni momento da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta.» (testo della legge n. 102/2009 di conversione del decreto-legge n. 78/2009). Al fine di una migliore comprensione della novella va detto che il richiamato articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 prevede l'obbligo di comunicazione alla Procura regionale della Corte dei conti delle sentenze irrevocabili pronunciate nei confronti dei dipendenti indicati nel precedente articolo 3, (dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici, ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica) per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo primo del titolo secondo del libro secondo del codice penale, affinche' venga promosso entro trenta giorni «l'eventuale procedimento di responsabilita' per danno erariale nei confronti del condannato» con salvezza di quanto disposto dall'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. Quest'ultima disposizione a sua volta pone a carico del pubblico ministero penale specifici obblighi notiziali nei confronti delle procure regionali della Corte dei conti, allorche' venga esercita l'azione penale per reati che abbiano in ipotesi cagionato un danno erariale, ovvero quando siano stati disposti l'arresto ovvero la custodia cautelare. Risulta di facile percezione la portata profondamente innovativa della nuova norma in punto di perseguibilita' del danno all'immagine dell'amministrazione a titolo di responsabilita' amministrativa davanti la Corte dei conti, nel senso che l'azione relativa puo' essere esercitata: a) solo dopo che sia stata pronunciata una sentenza irrevocabile di condanna; b)solo in concorrenza con i reati previsti nel libro secondo, titolo secondo, capo primo del codice penale («Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione»). In precedenza,, infatti, le Procure regionali potevano contestare il danno all'immagine in via del tutto autonoma indipendentemente dal fatto che sulla medesima vicenda si fosse instaurato un procedimento penale e, ove attivatosi dal suo esito. In altre parole il danno all'immagine poteva essere contestato anche senza alcun collegamento con concorrenti fattispecie penali e senza il presupposto di condanne passate in giudicato. Le nuove norme - al di la' della loro collocazione in ambito processuale - hanno limitato fortemente il potere delle Procure regionali di contestazione del danno all'immagine e, di riflesso, hanno ristretto in misura sostanziale perimetro della responsabilita' amministrativa e della giurisdizione contabile, della quale la Corte dei conti e' giudice naturale ed esclusivo. Da tutto cio' si desume la rilevanza della questione di costituzionalita' ai fini della decisione del giudizio in esame, incentrato sulla contestazione del danno all'immagine al sig. G.P., amministratore al vertice dell'ANAS, non condannato penalmente con sentenza passata in giudicato. Nel previgente regime normativo, non si sarebbero frapposti particolari ostacoli per la chiamata in giudizio a tale titolo. Con la nuova disciplina l'azione di responsabilita' e' evidentemente ostacolata, mancando la sentenza penale di condanna passata in giudicato, come rilevato nella formale istanza di nullita' del sig Giovanni Prandini. Si ribadisce pertanto che, con la ricordata sentenza n. 71/2010 questo giudice, pronunciata la definitiva condanna per il danno patrimoniale: a) riteneva ammissibile la domanda per la condanna del danno all'immagine contenuta nell'atto di citazione integrativo del competente Procuratore regionale; b) riteneva parimenti ammissibile l'istanza del sig. P. per la declaratoria di nullita' dell'atto introduttivo dell'appello, declaratoria fondata sul richiamato comma 30-ter (sul presupposto che la sentenza di prime cure in punto di danno all'immagine non aveva reso una pronuncia di merito); c) estendeva la portata sostanziale dell'istanza non solo alla declaratoria della nullita' dell'atto introduttivo dell'appello, ma anche a tutti gli atti prodromici e presupposti, compreso la citazione integrativa (solo per la parte del danno all'immagine); d) decideva di sollevare, con separata ordinanza, questione di legittimita' costituzionale del comma 30-ter, con riferimento agli articoli 3, 24, 25 e 97, apparendo preclusivo ai fini della remissione degli atti al giudice di prima istanza la valutazione sui dubbi di costituzionalita', rilevati prospettati, dubbi che si profilano nella loro attualita' e concretezza anche per evidenti ragioni di economia processuale. In buona sostanza, per quanto evidenziato, la questione di costituzionalita' risulta rilevante, poiche' dalla sua soluzione potrebbe derivare (o non derivare) la nullita' di tutti gli atti di causa attinenti al danno all'immagine e, quindi, nella presente sede condizionare la remissione al giudice di primo grado. Considerato altresi' sulla non manifesta infondatezza della questione. Il collegio e' chiamato a deliberare sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' della novella normativa come sopra individuata. Va preliminarmente precisato che i dubbi di costituzionalita' vengono sollevati d'ufficio, tenuto comunque conto della sollecitazione espressamente formulata dal sig. G.P. con la piu' volte richiamata istanza del 2 ottobre 2009 e della posizione assunta in dibattimento dalla Procura generale, che si e' rimessa alle valutazioni del collegio. Da un approfondito esame del tenore normativo, emerge che il comma 30-ter puo' prefigurare due distinte opzioni interpretative, fra loro alternative. Il criterio di interpretazione assunto dal collegio ha dovuto necessariamente privilegiare il parametro letterale: infatti, malgrado gli importanti e rilevantissimi effetti delle nuove norme sulla disciplina del danno all'immagine e della responsabilita' amministrativa, non sono rinvenibili nei lavori parlamentari atti utili alla individuazione delle finalita' perseguite e delle ragioni delle scelte legislative. Secondo la prima interpretazione, le introdotte norme, nel limitare il potere d'azione del procuratore regionale contabile, avrebbero ridotto l'area di prefigurabilita' del danno all'immagine. Tale danno si attualizzerebbe cosi' solo in presenza dei presupposti piu' volte rimarcati (sentenza penale di condanna definitiva, reati qualificati come delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione). Al di fuori di questo ambito limitativo, non potrebbe ipotizzarsi danno all'immagine per l'amministrazione, danno che quindi non andrebbe perseguito ne' davanti alla Corte dei conti con il regime della responsabilita' amministrativa, ne' davanti al Giudice ordinario a titolo di responsabilita' civile. In base alla seconda interpretazione, invece, le nuove norme avrebbero lasciato intatto lo spazio del danno all'immagine, ma avrebbero ripartito la sua perseguibilita' fra la Corte dei conti e il Giudice ordinario. La tutela del danno all'immagine seguirebbe il criterio del doppio binario: davanti alla Corte dei conti, a titolo di responsabilita' amministrativa, qualora ricorrano i presupposti del comma «30-ter», davanti al Giudice ordinario per responsabilita' civile in tutti gli altri casi. Entrambe le possibilita' interpretative, peraltro, non sembrano costituzionalmente conformi ed orientate. In particolare, in tutte e due le ipotesi si prefigura la violazione dei principi di ragionevolezza ed uguaglianza (art. 3), nonche' del buon andamento (art. 97). La prima interpretazione appare inoltre in conflitto con il principio di tutelabilita' necessaria dei diritti (art. 24) e la seconda con quello del giudice naturale (art. 25). Relativamente al principio di ragionevolezza ed eguaglianza, va detto che il suo vulnus deve essere prospettato con valenza autonoma, sia valorizzandone la trasversalita' rispetto alle altre aree del buon andamento della tutela dei diritti e del giudice naturale. I dubbi di conformita' costituzionale appaiono non di poco conto e, per le motivazioni di seguito esposte, non si palesano, ad avviso di questo remittente, manifestamente infondate. Ritenuto nel merito Tutto cio' premesso, si rileva nel merito quanto segue. Si ritiene di dover illustrare innanzi tutto il convincimento di questo giudice per quanto attiene al ritenuto contrasto con l'articolo 97, primo comma. Il costituente ha dimostrato una meritoria saggezza nel prevedere che i pubblici uffici debbano essere «organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita'.» (primo comma dell'art. 97). Pertanto appare costituzionalmente indispensabile che l'ordinamento giuridico sia coerente con i ricordati principi di, buon andamento e di imparzialita', fra i quali trovano spazio, l'efficacia, l'efficienza, l'economicita' e la legalita'. Concretizza un principio generale quello della tutelabilita' dell'immagine di tutte le persone, sia fisiche che giuridiche. Tale principio non soffre eccezioni neppure nel contesto della pubblica amministrazione. Ne consegne che il danno erariale all'immagine dell'amministrazione esprime la lesione portata alla credibilita' esterna di quest'ultima e la perdita di fidacia nei confronti della correttezza delle gestioni pubbliche. E, sotto diversa ottica, l'ordinamento deve favorire la percezione da parte del cittadino della correttezza delle gestioni pubbliche e contestualmente deve contrastare tutte le eventuali deviazioni, non solo nella loro dimensione sostanziale, ma anche con riguardo alla perdita di fiducia che tali deviazioni finiscono per comportare, soprattutto quando palesi, gravi e reiterate. L'immagine dell'amministrazione viene danneggiata ogni qualvolta esternalizzi una dissonanza della gestione amministrativa pubblica, rispetto ai principi di buon andamento e imparzialita'. In conclusione, se l'immagine della pubblica amministrazione si immedesima con il buon andamento e con l'imparzialita' costituzionalmente protetti se l'immagine rappresenta uno strumento per la percezione esterna della correttezza della gestione (gestione che, come e' noto, si avvale in larga misura di risorse provenienti dal sacrificio fiscale dei cittadini contribuenti), allora non e' possibile negare al danno all'immagine la connotazione di indicatore della lesione eventualmente apportata e contemporaneamente, di parametro per il suo ripristino. Il danno erariale all'immagine non e' pero' solo indicatore e misura; esso materializza in se' la valenza lesiva del bene protetto, quale conseguenza diretta comportamento degli agenti pubblici, in violazione dei loro obblighi di servizio. In ogni caso il rilevantissimo depotenziamento del danno all'immagine - dando spazio a comportamenti gestori pubblici in violazione del buon andamento e dell'imparzialita' - erode la funzione deterrente propria della responsabilita' amministrativa, funzione volta ad incentivare i comportamenti virtuosi del personale pubblico e, per converso, contrastare quelli non in linea con gli interessi generali e con il migliore esercizio delle funzioni di servizio ai cittadini. Ulteriori perplessita' di conformita' costituzionale emergono dal rilevato possibile contrasto anche con il principio di ragionevolezza, nel quale sarebbe incorso il legislatore che: a) ha collegato irragionevolmente l'attualizzazione del danno all'immagine alla commissione di reati penali, accertati con sentenza in giudicato (cosi' lasciando non perseguite, moltissime fattispecie di danno all'immagine); b) ha vincolato il danno all'immagine alla violazione di alcune norme penali, anziche' rapportarlo alla violazione degli obblighi di servizio, stravolgendo in questo modo la coerenza del sistema della responsabilita' amministrativa, quale disegnato dalle leggi nn. 19 e 20 del 1994 e successive. L'esperienza giurisprudenziale di gesti ultimi anni dimostra l'assunto di questo remittente. L'insegnarne che compie molestie sessuali sulle allieve; il medico di base che prescrive cure per telefono senza visite domiciliari necessarie; l'agente di polizia che rapina banche e uffici postali al termine del turno di lavoro; il dirigente tecnico che per negligenza, imperizia o dolo ritarda la realizzazione di un'opera pubblica, l'ufficiale della Guardia di finanza che, nel corso di verifiche fiscali, omette la regolare redazione di verbali di contestazione; il dirigente che esercita sui dipendenti azioni mobizzanti: ecco alcuni esempi di evidenti comportamenti lesivi che hanno prodotto un deterioramento dell'immagine esterna dell'amministrazione, a prescindere dalla (del tutto) eventuale commissione di illeciti penali e, comunque, del loro accertamento penale. Il legislatore, nel limitare il potere di azione delle Procure, ha spostato il presupposto dell'addebito di responsabilita', portandolo irragionevolmente dalla violazione degli obblighi di servizio alla violazione delle particolari norme penali contenute in una determinata parte del codice penale. E' ovvio che, il quando il pubblico agente commette un delitto contro la pubblica amministrazione, si pone in contrasto anche con gli obblighi di servizio. Cio' non toglie che l'immagine possa essere lesa anche da violazioni di obblighi di servizio che prescindano dalla commissione delle fattispecie delittuose individuate dalla novella legislativa ed anzi che prescindano dal collegamento con il penale. In ogni caso appare irragionevole l'immedesimazione del danno all'immagine solo con determinati reati. Infatti, pur volendo in linea puramente ipotetica ammettere la collegabilita' del danno erariale all'immagine con la commissione di un reato, non e' ragionevolmente comprensibile la limitazione ai soli delitti inclusi nel codice penale fra quelli dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Rimangono incomprensibilmente esclusi, ad esempio, i reati previsti nel codice penale militare. E' parimenti difficile individuare il parametro utilizzato dal legislatore. Infatti esso non puo' essere individuato neppure nella «gravita'», posto che alcune ipotesi delittuose rilevanti trovano collocazione al di fuori dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. In ogni caso lo stesso legislatore, successivamente all'entrata in vigore del comma «30-ter», e' tornato sul danno all'immagine introducendo una fattispecie svincolata dal penale. Infatti ai sensi del decreto legislativo n. 150/2009, all'articolo 55-quinquies: «Il lavoratore... ferme la responsabilita' penale e disciplinare e le relative sanzioni, e' obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonche' il danno all'immagine subiti dall'amministrazione». Correttamente, questa norma ha incentrato l'attenzione sulla violazione degli obblighi di servizio, quale fonte della responsabilita' amministrativa per danno erariale all'immagine e sulla piena autonomia dell'azione contabile rispetto a quella penale ovvero ordinaria civile. Per concludere, va posta in evidenza l'emblematicita' della posizione del sig. G.P., che, come gia' ricordato, nella qualita' di amministratore al vertice di Azienda pubbilca, e' stato coinvolto per i medesimi in due procedimenti, uno penale ed uno contabile. Il giudice penale dopo la condanna in primo grado per corruzione aggravata, ha pronunciato l'assoluzione per insussistenza del fatto, in ragione della inutilizzabilita' sopravvenuta degli elementi di prova, che, invece, questo giudice ha ritenuto nella propria autonomia di poter valorizzare al fine di pervenire alla formazione del proprio convincimento decisorio. Il giudice contabile ha centralizzato la propria attenzione proprio sulla violazione degli obblighi di servizio commessi dal sig. G.P., il che ha consentito di pervenire alla condanna definitiva per il danno patrimoniale (danno conseguente ad indebita, diseconomica ed abnorme diffusione negli appalti pubblici delle trattative private in luogo delle licitazioni, in violazione delle regole della concorrenza, quale strumento procedurale comprovatamente idoneo a favorire un sistema tangentizio e di utilita' personali). E' evidente in fattispepie la prefigurabilita' di un danno erariale, all'immagine. Cio' per la possibile perdita di credibilita' esterna dell'amministrazione, sia nell'ambito degli operatori del settore (in rapporto ad esempio al venir meno dei principi di concorrenza e impaparzialita') sia in quello piu' ampio della comunita' indistinta dei cittadini. Si corre il rischio che l'impunita' per il danno all'immagine nel caso che ci occupa possa rafforzare il convincimento diffuso secondo il quale solo con raccomandazioni, clientele e dazioni finanziarie e' possibile raggiungere qualche positivo risultato nei rapporti con la pubblica amministrazione. Ritenuto inoltre con riguardo alla non conformita' del comma 30-ter rispetto al primo comma dell'articolo 25 della Costituzione. La Costituzione, nell'affermare il principio per cui «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge», ha posto un paletto preciso al legislatore: la precostituzione deve essere individuata preventivamente attraverso una norma espressa e deve avvenire nel rispetto della ragionevolezza e dell'uguaglianza. Il comma 30-ter potrebbe porsi in contrasto con tali principi, ove dovesse accedersi all'interpretazione del doppio binario di tutela (davanti alla Corte dei conti per le ipotesi di danno all'immagine previste davanti al giudice ordinario per tutte le altre). In concreto si andrebbe ad introdurre nel vigente ordinamento una situazione «anomala» di questo tipo: gli agenti pubblici che hanno cagionato un danno all'immagine dell'amministrazione al di fuori delle ipotesi previste dalla norma in scrutinio verrebbero chiamati a risponderne davanti al giudice ordinario, anziche' a quello naturale (Corte dei conti). Con la conseguenza non di poco conto che gli agenti pubblici eventualmente chiamati davanti al giudice ordinario uscirebbero dalle regole della responsabilita' amministrativa per entrare in quelle civili ordinarie. Ed e' noto che i due regimi processuali e sostanziali presentano differenze essenziali, fra l'altro anche per la disciplina di garanzia degli agenti medesimi. Orbene, ad avviso del remittente, si concretizza un evidente vulnus del principio del giudice naturale allorche' si distolga un pubblico agente dalle regole proprie della responsabilita' amministrativa davanti la Corte dei conti, regole che non possono non applicarsi a tutte le fattispecie in cui si e' attualizzato un danno erariale. E' indubbio che compete al legislatore l'individuazione (rectius: la preindividuazione) del giudice naturale. Tale preindividuazione deve pero' essere espressa, coerente, non irragionevole, rispettosa del principio di uguaglianza, anche in ragione delle ricordate differenze procedurali e sostanziali. Il comma 30-ter invece, rompendo irragionevolmente l'unitarieta' e la coerenza del sistema, ha creato «artificialmente» due distinte aree di danno all'immagine: la prima tutelata e la seconda non tutelata (o, quanto meno, assoggettata ad un giudice diverso da quello naturale, con applicazione di regole processuali e sostanziali ben differenti). Ovviamente la questione della sottrazione dal giudice naturale acquista rilevanza non solo nell'ottica del pubblico agente destinatario di una chiamata in giudizio a titolo di responsabilita' amministrativa, ma anche della stessa amministrazione che ha subito il danno erariale. Cio' in quanto ad avviso del remittente, i principi posti dal primo comma dell'articolo 25 della Costituzione rilevano per tutte le parti coinvolte nella giurisdizione, quale che ne sia la posizione legittimante. Dunque il comma 30-ter sembra collidere con la Carta costituzionale anche sotto tale ulteriore profilo. Ritenuto altresi' attiene al primo comma dell'articolo 24. Il primo comma dell'articolo 24 pone il principio generale in base al quale «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi». Non vi e' dubbio che l'amministrazione pubblica sia titolare del diritto costituzionalmente garantito alla tutela della propria immagine, diritto che trova il proprio riferimento nell'articolo 2 della Carta. La suprema Corte di cassazione, dopo un lungo cammino giurisprudenziale, ha oramai consolidato in materia alcuni principi fondamentali: a) le persone giuridiche debbono disporre di una piena tutela per le lesioni portate alla loro immagine, intesa come considerazione e credibilita' esterne; b) non sussistono ragioni per differenziare la pubblica amministrazione dalle altre persone giuridiche; c) il danno eraraiale all'immagine si prefigura come un danno-conseguenza e non gia' come danno-evento. Questo remittente, nel fare propri tali autorevoli insegnamenti (con particolare riferimento alla qualificazione del danno all'immagine come danno-conseguenza), osserva quanto segue. In linea di principio non puo' escludersi che da una lesione all'immagine dell'amministrazione possano derivare due tipologie di danno, l'una patrimoniale in senso stretto e l'altra corrispondente alla perdita di prestigio e di considerazione. Cio' accade, ad esempio allorche' l'amministrazione abbia dovuto impegnare delle risorse per contrastare il danno subito attraverso una campagna di comunicazione appositamente orientata. In tale evenienza risulta attualizzato sia il danno patrimoniale vero e proprio (corrispondente alle risorse impegnate per contrastare la lesione), alla perdita di credibilita' e di considerazione dell'amministrazione e quindi dell'azione pubblica). L'attualizzazione del danno erariale all'immagine deve essere individuata nel clamor fori e, cioe', nel momento in cui il comportamento lesivo dell'agente pubblico (doloso, ovvero gravemente colposo) si sia esternalizzato, cagionando effettivamente una perdita di considerazione e di credibilita' dell'amministrazione (disdoro). Ovviamente in sede di giudizio di responsabilita' deve essere provata la effettiva valenza lesiva del comportamento esternalizzato. E' comunque certo il diritto dell'amministrazione ad una tutela completa ed efficace nei confronti del danno erariale all'immagine eventualmente subito a causa dei propri agenti. Questo giudice ritiene quindi di poter affermare che il danno all'immagine dell'amministrazione: a) ha copertura costituzionale in quanto lede un bene rientrante fra quelli garantiti dall'art. 2 della Costituzione; b) puo' attualizzarsi anche nei confronti delle persone giuridiche e degli enti collettivi; c) non necessita di tipizzazione normativa ordinaria, in ragione della ricordata copertura costituzionale; d) si qualifica come danno-conseguenza, nel senso che presuppone una effettiva e comprovata lesione del diritto all'immagine; e) nell'ambito del regime della responsabilita' amministrativa, assume rilevanza risarcitoria (ovvero di ristoro) nel momento dell'esternalizzazione della violazione degli obbighi di servizio; f) non scaturisce da qualsiasi violazione degli obblighi di servizio, ma unicamente da quelli con capacita' lesiva per l'immagine, consistente nella perdita di considerazione e credibilita' fra i cittadini in genere o fra quanti piu' direttamente interessati al settore della gestione coinvolto; g) puo' coesistere con il danno patrimoniale proprio, quale ulteriore ed autonoma conseguenza della violazione degli obblighi di servizio. Peraltro il rilievo di incostituzionalita' del comma 30-ter deve essere prospettato anche sotto un diverso aspetto. Infatti e' stato previsto che, allorche' il danno all'immagine sia conseguente ad uno dei delitti propri dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, l'azione possa essere intentata dal procuratore regionale solo dopo intervenuta la sentenza penale di condanna. Orbene per quanto in precedenza detto, tale collegamento fra la violazione criminale e quella contabile collide (oltre che con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza) anche e soprattutto con l'articolo 24 che assicura l'effettiva tutelabilita' di tutti i diritti e in fattispecie di quello alla tutela dell'immagine in tutte le circostanze nelle quali si sia manifestato. Si ribadisce infatti che il danno all'immagine non scaturisce necessariamente dalla violazione di una norma penale (e tanto memo da norme penali indicate con richiamo tassativo), bensi' dal mancato rispetto degli obblighi di servizio a valenza lesiva. Ritenuto infine con riguardo al primo comma dell'articolo 3. Il comma 30-ter ingenera altresi' seri dubbi circa la sua coerenza con il principio di eguaglianza, violazione che si atteggia come vizio sia proprio che trasversale, con particolare riferimento agli articoli 24 e 25 (diritto alla tutela ed al giudice naturale). Premesso che il principio di uguaglianza garantito dalla Costituzione non impone l'omogeneizzazione di tutte le posizioni protette, ne' e' contraddetto dal pluralismo insito nel dinamismo della realta' fattuale e giuridica, nel caso di specie, appare vulnerato dalla norma novellata che ha regolato situazioni simili in modo irragionevolmente diverso. In questo ambito si puo' ipotizzare un suo contrasto sia con il principio di uguaglianza che con gli altri richiamati fondamentali valori costituzionali. Questo giudice ha rilevato i seguenti cinque profili di possibile contrasto del comma 30-ter con il principio di uguaglianza. Il primo riguarda la creazione in capo alla pubblica amministrazione di una sperequata situazione di deteriore diseguaglianza rispetto a tutte le altre persone giuridiche pubbliche private, in conseguenza delle limitazioni introdotte alla legittimazione attiva delle procure regionali contabili in punto di danno all'immagine. Infatti - come gia' osservato - la compressione del diritto all'immagine della pubblica amministrazione, surrettiziamente perseguita mediante la limitazione della legittimazione attiva del procuratore regionale, ha concretizzato una diseguaglianza non solo (in ipotesi) incostituzionale in se', bensi' anche in correlazione con l'articolo 97. Il secondo profilo attiene all'irragionevole differenza riservata al legislatore alla disciplina diseguale di situazioni sostanzialmente simili (rectius: pressocche' identiche). Infatti il danno erariale all'immagine puo' derivare da molteplici: comportamenti commissivi ed omissivi dei pubblici agenti che, in violazione dei loro obblighi di servizio, abbiano messo a repentaglio la credibilita' e la considerazione esterna della pubblica amministrazione. L'elemento unificante e' rappresentato dalla violazione degli obblighi di servizio con idoneita' lesiva dell'immagine dell'amministrazione. Si palesa illogica l'estrapolazione nell'ambito di tale insieme di alcune fattispecie ricollegabili unicamente alla commissione di alcuni reati, per di piu' necessitanti di sentenza passata in giudicato. Si ribadisce ancora il concetto fondamentale per cui il danno all'immagine puo' derivare da comportamenti lesivi degli agenti pubblici privi di una diretta connotazione penale. Di qui l'irragionevolezza della diseguaglianza riservata alle violazioni degli obblighi di servizio con idoneita' lesiva dell'immagine. Alcune (poche) violazioni sono qualificate antigiuridiche e danno ingresso a responsabilita' amministrativa. Altre (molte) restano prive di sanzione e di fatto, uscendo dalla tutela, perdono carattere della riprovevolezza. Come corollario del precedente, si pone il terzo profilo di diseguaglianza, imperniato sulla necessita' stabilita dal comma 30-ter di una sentenza penale di condanna passata in giudicato. Intanto e' venuta a «rivivere» una forma inusuale di pregiudizialita' penale limitata ad alcune (pur importanti) ipotesi di danno all'immagine. Sul piano piu' generale, si e' originale uno spazio, all'interno della responsabilita' amministrativa, ove si applicano regole e principi differenziati, caratterizzati dal venire meno dell'autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale e dalla creazione di un «filtro» esterno per l'esercizio dell'azione di responsabilita', strutturalmente incompatibile e incoerente con la disciplina dell'azione medesima. Fra l'altro la diseguaglianza viene in evidenza con particolare rilievo proprio in concomitanza degli eventi di danno come quello attribuito al sig. G.P., sui quali il giudice penale non ha pronunciato una sentenza sostanziale di merito, ma si e' limitato ad una decisione in rito, ovvero anche sul merito, ma solo in senso formale. Pertanto anche l'introduzione del presupposto della necessita' della sentenza penale di condannata passata in giudicato sembra costituire un irragionevole ostacolo all'esercizio dell'azione, anche e soprattutto quando le vicende processuali penali si siano concluse con pronunce di rito, ovvero in punto di declaratoria di prescrizione, ovvero siano venuti a mancare particolari condizioni di procedibilita', ovvero infine (come nel caso di specie) si siano concluse con assoluzione per vizi delle prove sopravvenuti alla loro formazione. In tutti questi casi comportamenti lesivi dell'immagine si sono sviluppati nella loro autonomia fattuale e pregnanza lesiva ed appare fondatamente irragionevole e contrastante con gli articoli 3 e 24 l'esclusione della tutela dell'amministrazione per il danno all'immagine, ove attualizzato. Rassegnate le conclusioni Per tutte le argomentazioni esposte, deve ritenersi - ad avviso del emittente - che: a) la pubblica amministrazione e' titolare del diritto alla tutela del danno alla propria immagine, intesa come perdita di considerazione e credibilita' esterne, con riferimento ai principi del buon andamento e dell'imparzialita'; b) tale diritto alla tutela all'immagine non puo' essere compresso o limitato dal legislatore ordinario in quanto fondato sull'articolo 2 della Costituzione; c) il danno all'immagine cagionato da pubblici agenti rientra nel perimetro del danno erariale, quindi fra le materie di contabilita' pubblica del secondo comma dell'art. 103; d) il danno all'immagine dell'amministrazione costituisce una tipologia unitaria nell'ambito del danno erariale nelle forme e nei modi della responsabilita' amministrativa; e) il danno erariale all'immagine trova nella Corte dei conti il proprio giudice naturale; il danno all'immagine (inteso come danno conseguenza si attualizza con l'esternalizzazione della condotta dell'agente pubblico in violazione degli obblighi di servizio, condotta con specifica valenza lesiva della credibilita' e della considerazione della pubblica amministrazione; g) la sentenza penale di condanna costituisce una delle modalita' esternalizzazione, ma non puo' assurgere a presupposto essenziale unico dell'esercizio della tutela; h) l'agente pubblico al quale venga contestato il danno all'immagine ha diritto, con riferimento all'articolo 3, ad essere giudicato con le guarentigie proprie della responsabilita' amministrativa; i) il presupposto necessario per l'addebito di responsabilita' per lesione all'immagine e' costituito dalla violazione degli obblighi di servizio, non necessariamente connessi con quella di norme penali; l) il danno all'immagine non conseguente a reato penale deve ricevere effettiva tutela; m) allorche', per una medesima vicenda, si siano attivati tanto il procedimento contabile per danno all'immagine, quanto quello penale per accertamento della violazione della specifica norma, si debbono applicare i principi di autonomia e separatezza; n) il procuratore regionale della Corte dei conti ha piena ed esclusiva, legittimazione attiva per la promozione dell'azione di responsabilita' in tutte le ipotesi di danno all'immagine; o) il procuratore regionale della Corte dei conti, nell'ipotesi di concorrenza con un giudizio penale, puo' esercitare l'azione a prescindere dall'intervenuta sentenza penale definitiva di condanna (anche per il danno all'immagine e non necessariamente in concorrenza con i soli delitti dei pubblici ufficiali contro l'amministrazione). Con riguardo a questo puntuale ed organico riassunto dei principi regolatori della materia, coerente con i principi costituzionali, si debbono collocare i molteplici dubbi circa la legittimita' costituzionale della novella normativa in scrutinio, dubbi sin qui individuati e debitamente motivati ed ai quali tutti si fa richiamo.