IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel processo nei confronti di Zugalova Natalia Victorovna, nata a
Ucraina il 26 dicembre 1975, domiciliato presso il proprio  difensore
di ufficio Avv. Antonio Nobile del  foro  di  Napoli  con  studio  in
Napoli  alla  via  S.  Tommaso  D'Aquino  n.   15,   imputata   della
contravvenzione prevista e punita dall'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/98,
cosi' come modificato dalla legge 15  luglio  2009.  n.  94,  perche'
faceva ingresso e  si  tratteneva  nel  territorio  dello  Stato,  in
violazione  del  «Testo  Unico  delle  disposizioni  concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero» di cui al d.lgs. 25 luglio 1998,  n.  286,  nonche'  delle
disposizioni di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68,  in
quanto sprovvisto di  alcun  titolo  legale  per  la  permanenza  nel
territorio italiano - reato accertato in Giugliano in Campania il  26
agosto 2009 - ha emesso la seguente ordinanza. 
    L'imputato e' stato tratto a  giudizio  all'udienza  odierna  per
rispondere della contravvenzione di cui all'art. 10-bis del d.lgs. 25
luglio  1998,  n.  286,  articolo  aggiunto  dalla  lettera  a)   del
sedicesimo comma dell'art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
    Questo Giudice  alla  medesima  udienza  solleva  di  ufficio  le
eccezioni di  incostituzionalita'  dell'art.  10-bis  del  d.lgs.  25
luglio 1998, n. 286, articolo aggiunto dalla lettera a) del comma  16
dell'art. 1 della  legge  15  luglio  2009,  n.  94,  ritenendolo  in
contrasto con gli artt. 2, 3, 10, 11, 24, 25, 27, 80, 87,  97  e  117
della Costituzione. 
Violazione degli artt. 2, 11, 10, 80, 87 e 117 Cost. 
    Il reato in oggetto viola l'art. 2  Cost.  il  quale,  unitamente
agli artt. 3 e 13 ed  agli  altri  principi  fondamentali  del  testo
costituzionale,  e'  considerato  una  norma   immodificabile   dalla
prevalente dottrina, non suscettibile  neppure  del  procedimento  di
revisione di cui all'art. 138. 
    Con l'art. 2 la Costituzione riconosce la precedenza  sostanziale
della persona umana, intesa nella completezza dei suoi valori  e  dei
suoi bisogni, rispetto allo Stato, e la destinazione di  quest'ultimo
a servizio della prima. 
    Il principio su quale si fonda l'intero sistema costituzionale e'
infatti il principio personalistico ed il  valore  intorno  al  quale
esso ruota e' lo sviluppo della personalita' dell'individuo, sia come
singolo  sia  nelle  formazioni  sociali  ove  si   svolge   la   sua
personalita'. 
    Significativamente il legislatore costituente, nel dettare l'art.
2 a tutela della  persona,  usa  l'espressione  «uomo»,  per  cui  e'
evidente che  la  tutela  va  riferita  ad  ogni  essere  umano,  sia
cittadino che straniero. 
    Quando infatti la Costituzione intende rivolgersi  unicamente  ai
cittadini, usa espressamente tale  sostantivo  (ad  es.:  art.  48  -
diritto di voto; art. 49 - diritto di associarsi in partiti; art.  52
- dovere di difesa della patria) laddove quando la norma viene estesa
a «tutti» la dizione non viene limitata con l'espressione «cittadino»
(ad es.: art. 53 : Tutti, sia cittadini che stranieri, sono tenuti  a
concorrere  alle  spese  pubbliche   in   ragione   della   capacita'
contributiva). 
    E' evidente che il reato di clandestinita' viola la tutela  della
persona di cui all'art. 2,  in  quanto  destinatari  del  reato  sono
soggetti che la poverta' ha indotto ad emigrare dai paesi di origine,
e che, in ottemperanza ai valori costituzionali,  dovrebbero  trovare
nel nostro Stato accoglienza ed assistenza. 
    Il reato introdotto, oltre a violare l'art. 2 Cost., viola  anche
le norme costituzionali e quelle di diritto internazionale richiamate
dal nostro ordinamento. 
    Risulta violato l'art. 10, Cost. in quanto lo stesso, con  rinvio
fisso all'ordinamento internazionale, impone allo Stato  italiano  di
conformarsi  alle  norme  del  diritto  internazionale   generalmente
riconosciute,   tra   le   quali   vi   e'    indubbiamente    quella
dell'accoglienza dello straniero perseguitato dallo Stato di origine. 
    Risultano  altresi'  violati  gli  artt.  80,  87  e  117   della
Costituzione nel  momento  in  cui  vene  disatteso  il  rinvio  alle
Convenzioni internazioni ratificate dallo Stato italiano. 
    In particolare viene disatteso il «Protocollo  addizionale  della
Convenzione delle Nazioni unite contro  la  criminalita'  organizzata
trasnazionale per combattere il traffico di  migranti»  (15  dicembre
2000)  che  all'art.  6  prevede  che  «i  migranti   non   diventano
assoggettati all'azione penale ...  per  il  fatto  di  essere  stato
oggetto delle condotte di cui all'art. 6» (traffico di  migranti)  ed
all'art. 16  obbliga  gli  Stati  a  prendere  misure  adeguate  «per
preservare e tutelare i diritti delle persone che sono state  oggetto
delle condotte di cui all'art. 6». 
    Viene altresi' violato l'art. 7 della Convenzione sui diritti del
fanciullo (New York 20  novembre  1989,  ratificata  dall'Italia  con
legge 27 maggio 1991, n. 176), in quanto il nuovo reato pregiudica  i
diritti inviolabili  di  cui  ciascun  uomo  e'  titolare  fin  dalla
nascita. 
Violazione degli artt. 25 e 3 Cost. 
    Il reato introdotto viola palesemente l'art. 25 Cost.  il  quale,
costituzionalizzando il principio contenuto nell'art. 2, comma 2  del
codice penale, afferma che nessuno puo' essere punito  per  un  fatto
che, all'epoca in cui fu commesso, non era previsto dalla legge  come
reato. 
    Il reato di clandestinita', entrato in vigore l'8 agosto 2009, si
applica a tutti i soggetti che sono entrati e si sono trattenuti  nel
territorio dello Stato, anche quando tale azione costituiva  solo  un
illecito sanzionato con l'espulsione amministrativa. 
    La norma introdotta non  solo  viola  l'elementare  principio  di
civilta' costituito  dall'irretroattivita'  della  legge  penale,  ma
viola altresi' l'art. 3 Cost. 
    In  effetti  i  clandestini  imputati  del  nuovo  reato  vengono
discriminati sotto tre aspetti: 
        a) In primo luogo il Legislatore,  il  quale  avrebbe  dovuto
razionalmente concedere un termine per la sanatoria delle  situazioni
esistenti, ha  inteso  sanare  solo  la  posizione  di  collaboratori
domestici e badanti (legge n. 102/2009). 
    Di conseguenza il clandestino addetto ai lavori agricoli  o  alla
produzione di beni e servizi risponde del  nuovo  reato,  laddove  il
clandestino addetto ai lavori domestici vede sanata la sua posizione. 
    E' evidente che lo Stato ha operato una scelta di opportunita'  a
favore delle famiglie che, in  mancanza  di  un  solido  apparato  di
welfare, sono costrette a loro spese a ricorrere al lavoro offerto  a
costo accessibile dagli stranieri. 
    Ma, operando tale scelta, non solo il legislatore ha  palesemente
violato  l'art.  3,  trattando  i  soggetti  che  si   trovavano   in
clandestinita' in modo diverso, ma  ha  operato  una  discriminazione
anche a danno dei datori di lavoro, penalizzando gli imprenditori. 
        b)  I  destinatari   del   presente   reato   sono   altresi'
discriminati rispetto alla categoria di' soggetti accusati del  reato
piu' grave previsto e punito dall'art. 14,  comma  5-ter,  d.lgs.  n.
286/1998  e  successive  modifiche,  qualificato  dalla  legge   come
delitto, e cioe' di coloro che si intrattengono nel territorio  dello
Stato nonostante l'ordine di espulsione del Questore. 
    Per tale reato  il  legislatore  ha  subordinato  la  punibilita'
all'inesistenza di giustificato motivo, che, nella giurisprudenza del
Giudice  delle  leggi  e  della  suprema  Corte  di  cassazione,   e'
costituito dall'assoluta indigenza,  che  non  permette  al  soggetto
espulso di acquistare il biglietto di viaggio, dall'impossibilita' di
trovare il vettore o di procurarsi i documenti, dalla difficolta'  di
collegamento con le Autorita' del paese straniero. 
    Al contrario, nella previsione del nuovo reato di clandestinita',
non  sono  state  previste  quale  giustificato  motivo  le  assolute
condizioni di poverta' e di disagio, che hanno indotto  tanti  esseri
umani a lasciare il paese di origine ed i propri familiari, in  cerca
di migliori condizioni di lavoro e di vita. 
        c)  Ulteriore  forma  di   discriminazione   in   danno   dei
responsabili del nuovo reato di clandestinita' e' l'esclusione  della
possibilita' di oblazione, pur essendo  la  sanzione  per  lo  stesso
costituita da semplice ammenda. 
    Al contrario tutti i contravventori di reati  sanzionati  con  la
sola ammenda possono versare un terzo della somma corrispondente alla
pena massima edittale, determinando l'estinzione del reato (art.  162
c.p. - oblazione ordinaria). 
Violazione del principio di offensivita' (artt. 13  e  25,  2°  e  3°
comma, 27, 3° comma Cost., anche in relazione all'art. 49 c.p.). 
    La norma de qua  ha  penalizzato  una  condotta  (introduzione  e
trattenimento nel territorio dello Stato) che non offende alcun  bene
di valore costituzionale (vita, liberta', patrimonio, che  sono  beni
costituzionalmente protetti e alla cui tutela deve  essere  applicata
la  sanzione  penale).  Il  principio  di  offensivita'  postula   la
cosiddetta residualita' del diritto penale: la sanzione  penale  deve
intervenire  ogni  qualvolta  l'ordinamento  non   puo'   raggiungere
efficacemente uno scopo senza farvi ricorso, e postula inoltre che si
possa essere puniti solo per la commissione di fatti materiali lesivi
di beni meritevoli di tutela costituzionale. 
    Nella  fattispecie  l'espulsione  amministrativa  rappresenta  il
mezzo piu' idoneo ed efficace al raggiungimento dello scopo  previsto
(allontanamento dello straniero dal territorio dello  Stato)  laddove
il   processo   penale   duplica    inutilmente    il    procedimento
amministrativo. 
    Inoltre  e'  stata   criminalizzata   la   situazione   personale
rappresentata  dalla  clandestinita',  quale  automatico  sintomo  di
pericolosita' sociale, laddove e'  esperienza  notoria  che  la  gran
parte degli stranieri presenti in Italia lavora onestamente. 
    Va ricordato che la Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n.
78/2007,  ha  sottolineato  che:  «il  mancato  possesso  di   titolo
abilitativo alla permanenza dello Stato non e' ... sintomatico ... di
pericolosita' sociale». 
Violazione dell'art. 27 Cost.. 
    Notoriamente  la  pena  deve  tendere   alla   rieducazione   del
condannato; nella fattispecie il clandestino, ove il reato non  fosse
dichiarato estinto per intervenuta espulsione, sarebbe condannato  al
pagamento di un'ammenda da 5.000,00 a 10.000,00 euro, importo che non
avrebbe mai la possibilita' economica di versare. 
    Applicando il sistema sanzionatorio previsto dal processo  penale
di pace (art. 55, d.lgs. n. 274/2000),  al  clandestino  inadempiente
dovrebbe essere comminata la sanzione del lavoro sostitutivo  (ma  un
soggetto  clandestino  per  la  sua  condizione  non  puo'   prestare
attivita' lavorative) ed in mancanza dovrebbe essere condannato  alla
permanenza domiciliare (ma e' evidente che il clandestino non dispone
ne' puo' disporre per legge di sistemazione alloggiativa). 
    La  sanzione  prevista,  in  tutte   le   forme,   e'   destinata
aprioristicamente a restare ineseguita, in violazione  del  principio
della rieducazione della pena  di  cui  all'art.  27  Cost.,  che  il
versamento della somma a titolo di sanzione, la prestazione di lavoro
di  pubblica  utilita'  o  la  permanenza  domiciliare  nelle   forme
dell'art. 53, d.lgs. n. 274/2000, dovrebbero svolgere. 
Violazione dell'art. 97 Cost. 
    Anche gli uffici giudiziari devono essere organizzati secondo  il
buon andamento  richiesto  dal  testo  costituzionale  nell'interesse
della collettivita'. 
    Il  reato  introdotto  viola  tale  principio,   in   quanto   il
legislatore ha espressamente previsto che il processo penale  proceda
indipendentemente  dall'espulsione   amministrativa,   per   la   cui
esecuzione il giudice penale non deve dare alcuna autorizzazione. 
    Nella prassi costante si verifica che il processo penale  e'  del
tutto inutile in quanto, nel corso dello stesso, il Giudice  di  Pace
prende atto della intervenuta espulsione in  sede  amministrativa  e,
all'esito, pronunzia sentenza di estinzione del reato per intervenuta
espulsione (art. 10-bis, comma  5,  d.lgs.  n.  286/1998  cosi'  come
modificato dalla legge n. 49/2009). 
    Il  processo  e'  quindi  palesemente  inutile,  e  lo  e'  anche
nell'ipotesi in cui il Giudice di Pace,  nelle  more  dell'espulsione
amministrativa,  pronunzi  sentenza   di   condanna   alla   sanzione
sostitutiva   dell'espulsione,   con   inutile    duplicazione    del
provvedimento  questorile  (art.  62-bis,  d.lgs.  n.  274/2000).  In
sintesi il processo penale rappresenta un ulteriore  lavoro  per  gli
uffici giudiziari, gia' carichi di procedimenti. 
    Ma il sistema puo' determinare addirittura una  sequela  perversa
di processi senza scopo e  senza  pena,  in  quanto,  se  l'immigrato
processato e prosciolto con sentenza di non  luogo  a  procedere  per
espulsione ritorna in Italia, ex art. 345  del  codice  di  procedura
penale, si procedera' a revoca della sentenza  di  proscioglimento  e
verra' pronunziata una nuova sentenza di non luogo  a  procedere  per
espulsione,  da  revocare  in  caso  di  successivo   rientro,   fino
all'infinito. 
Violazione dell'art. 24 Cost. 
    L'introduzione del reato de quo viola il diritto di difesa  sotto
un duplice aspetto: 
        1) paradossalmente  il  clandestino,  che  si  tratteneva  in
Italia alla data dell'entrata in vigore del nuovo reato, si'  sarebbe
dovuto presentare alla frontiera per lasciare il paese, compiendo  un
atto di autodenunzia, che contrasta  con  l'elementare  principio  di
civilta' costituito dal nemo tenetur se detegere; 
        2) i processi per clandestinita',  in  caso  di'  intervenuta
espulsione, verranno giudicati tutti in condizione di contumacia o di
irreperibilita' del condannato, con notifiche al difensore di fiducia
(nella  realta'  trattasi  quasi  sempre  di  difensore  di  ufficio)
effettuate nelle forme di cui agli artt. 159 - 161 c. p. p. 
    Il processo in contumacia ha  gia'  portato  a  note  e  numerose
condanne  dell'Italia  da  parte  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo. 
    Lo svolgimento  di  un  processo  in  contumacia  costituisce  un
diniego di giustizia; tale regola ammette  solo  due  eccezioni,  nei
casi  in  cui  l'imputato  abbia  rinunziato  al  proprio  diritto  a
comparire o abbia inteso sottrarsi alla giustizia. Ma e' evidente che
il clandestino, espulso per ordine del Questore, non compare in  aula
per necessita' e non per i casi sopra indicati. 
    L'imputato  viene  quindi  privato   del   diritto   di   difesa,
soprattutto  del  diritto  di  far  presente  la  propria  situazione
personale e familiare e le eventuali condizioni che hanno determinato
lo stato di necessita' (art. 54 c.p., principio  ancora  vigente  nel
nostro ordinamento) per cui e' stato indotto ad entrare e trattenersi
nel nostro paese. 
    Inoltre la sentenza di estinzione del reato viene pronunziata  in
assenza  di  contraddittorio,  in  violazione  dell'art.  111  Cost.,
laddove il nostro ordinamento richiede, anche  per  la  pronunzie  di
estinzione   del   reato   che   presuppongono   ontologicamente   la
responsabilita' dell'imputato, il consenso di quest'ultimo (art.  157
c.p. - prescrizione, art. 151 c.p. e cent. n. 175/1971 Corte cost.  -
amnistia, art. 32  d.P.R.  n.  448/88  per  le  sentenze  di  perdono
giudiziale o irrilevanza del fatto a carico degli imputati minorenni,
artt. 34 e 35 d.lgs. n. 274/00 per i reati di competenza del  Giudice
di Pace). 
    Questo Giudice intende sottolineare  infine  l'inopportunita'  di
avere attribuito alla cognizione del Giudice  di  Pace  il  reato  di
clandestinita'. In effetti il  magistrato  onorario,  con  mandato  a
termine, preoccupato della possibilita' del mancato rinnovo, potrebbe
essere indotto a conformarsi supinamente  a  scelte  irrazionali  del
legislatore. 
    Risulta ancora inopportuno avere introdotto nel  processo  penale
di pace la duplice forma di giudizio (a presentazione immediata  o  a
citazione contestuale in udienza) che  rappresenta  un  vulnus  dello
spirito conciliativo del rito. 
    La scelta confligge inoltre con l'art. 2, d.lgs. n. 274/2000, che
fa divieto di introdurre dinanzi al Giudice di  Pace  i  procedimenti
speciali,  laddove  le  due  nuove  forme  processuali  si   ispirano
palesemente agli artt. 449 c.p.p. - giudizio direttissimo, 453 c.p.p.
- evidenza della prova). 
    Questo  Giudice,  ritenute  fondate  per   i   motivi   suesposti
l'incostituzionalita' del reato p. e p. dall'art. 10-bis,  d.lgs.  n.
274/2000 (ingresso e soggiorno illegale nel territorio  dello  Stato)
introdotto dalla lettera a) del comma 16 dell'art. 1 della  legge  15
luglio 2009, n.  94,  e  ritenute  rilevanti  per  la  decisione  del
processo  in  corso  gli  stessi  motivi  -  tutti,  niuno   escluso,
riferibili alla situazione personale e  processuale  della  straniera
imputata, cosi' provvede.