Ricorso della Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale 2010, n. 562 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura a margine del presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Rosaria Russo Valentini, con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 284 contro il Presidente del consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 (Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' misure compensative e campagne informative al pubblico, a norma dell'art. 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99), pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 55 dell'8 marzo 2010: nella sua interezza, per essere stato emanato in assenza del parere della Conferenza unificata, espressamente previsto dall'art. 25 comma 1 della legge di delega n. 99 del 2009, nonche' con specifico riferimento a: art. 4, comma 1; art. 5, comma 2; art. 8, comma 3; art. 9, comma 1, unitamente ad art. 8 comma 3; art. 11, commi 6; art. 13, commi 10, 11, 12, in connessione con l'art. 4, comma 1; art. 19, commi 1 e 2; art. 20, comma 1; art. 27, comma 6; art. 27, commi 8, 11, 14, 15, 16; per violazione: dell'art. 117, commi secondo, terzo e sesto, Cost.; dell'art. 118, primo comma, Cost.; dell'art. 120 Cost.; 76 Cost., in connessione con l'art. 25, comma 1, della legge n. 99 del 2009; del principio di leale collaborazione nelle parti e sotto i profili di seguito indicati. F a t t o Il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 svolge per la parte sostanziale la delega di disciplina della «localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, del sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi» attribuita al Governo dalla legge n. 99 del 2009. Tale legge e' stata impugnata da alcune Regioni, e tra esse dalla Regione Emilia-Romagna (ricorso n. 83 del 2009) sulla base delle medesime premesse di fatto e di diritto che conducono ora all'impugnazione del decreto legislativo e che di seguito si riportano. In particolare, le basi della competenza legislativa regionale e delle potesta' di partecipazione e decisione che sono fatte valere con il presente ricorso vanno rinvenute nelle materie di legislazione regionale «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», «governo del territorio» e «tutela della salute»: tutte materie in cui con la competenza regionale «concorre la potesta' legislativa statale di definizione dei principi fondamentali. Alla ricorrente Regione non sfugge ovviamente il ruolo che comunque lo Stato puo' assumere in forza dell'art. 118, primo comma, come interpretato da codesta ecc.ma Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 303 del 2003. Essa tuttavia rivendica la stessa giurisprudenza costituzionale, nella parte in cui essa ha condizionato la chiamata in sussidiarieta' con il corollario del coinvolgimento delle Regioni nella forma dell'intesa ove possibile nella stessa scelta della chiamata in sussidiarieta', comunque nella disciplina e nella implementazione di tale scelta. In applicazione di tale orientamento gia' nel ricorso avverso la legge n. 99 del 2009 la Regione ha precisato di non volere contestare il potere statale di effettuare la scelta di fondo del «ritorno al nucleare», ma di volere difendere il ruolo delle Regioni ed il proprio ruolo in tutte le scelte e le procedure attraverso le quali tale scelta deve attuarsi. Pur non contestando il potere statale di effettuare scelte «di principio» in materia energetica, qual e' quella del nucleare, espressa dalla legge n. 99 del 2009, la ricorrente Regione deve tuttavia impugnare il decreto legislativo n. 31 del 2010 non solo in relazione agli specifici articoli nei quali il coinvolgimento delle Regioni come singole, interessate da specifiche localizzazioni, o delle Regioni come insieme, rappresentate nella Conferenza Stato-Regioni o nella Conferenza Unificata, appare assente o insufficiente, ma anche nella sua interezza. Incomprensibilmente, infatti, e' stata violata la legge di delega proprio nella garanzia piu' significativa che essa dava alle Regioni di partecipare alla stessa disciplina legislativa del ritorno al nucleare, attraverso la «previa acquisizione» del parere della Conferenza Unificata. Passando all'analisi del complessivo quadro normativo vigente, riproponendo la ricostruzione gia' effettuata nel ricorso n. 83/2009, si osserva che, come noto, la riforma del Titolo V della Costituzione, attuata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha individuato quali materie di legislazione concorrente, fra le altre, la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», il «governo del territorio» (art. 117, comma terzo, Cost.) e la «tutela della salute». Di tali materie la Regione e' titolare costituzionale, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, che spetta al legislatore statale, e per il ruolo che comunque lo Stato puo' assumere in forza dell'art. 118, primo comma, come interpretato da codesta ecc.ma Corte costituzionale sin dalla sentenza n. 303 del 2003, con il corollario del coinvolgimento delle Regioni nella forma dell'intesa ove possibile nella stessa scelta della chiamata in sussidiarieta', comunque nella fase amministrativa ed esecutiva di tale scelta. Nello specifico, per quanto concerne il settore dell'energia, la Regione Emilia Romagna si e' dotata di articolata normativa recante «Disciplina della programmazione energetica territoriale ed altre disposizioni in materia di energia». Si tratta della legge regionale 23 dicembre 2004, n. 26, che inquadra gli interventi di competenza della Regione e degli enti locali all'interno di una programmazione energetica territoriale, articolata nei livelli regionale, provinciale, comunale (cfr. art. 6). Il primo Piano Energetico Regionale (PER) e' stato approvato dal Consiglio Regionale in data 14 novembre 2007, e prevede stanziamenti regionali pari a circa 90 milioni di euro in tre anni per la realizzazione di interventi che riguardano il risparmio energetico e la valorizzazione delle fonti rinnovabili negli edifici, negli insediamenti produttivi e nei trasporti. Il Piano energetico traccia lo scenario evolutivo del sistema energetico regionale e definisce gli obiettivi di sviluppo sostenibile a partire dalle azioni che la Regione ha sviluppato negli ultimi anni, soprattutto sul fronte della riqualificazione del sistema elettrico. E' da ricordare, infatti, che si e' realizzata gia' dal 2000 la completa trasformazione del parco termoelettrico regionale con l'adozione delle nuove tecnologie di alimentazione a metano che hanno sostituito tutte le vecchie centrali alimentate ad olio combustibile. In questo modo, grazie alla maggiore efficienza e al minore impatto, si ha a disposizione piu' energia e si e' assicurata una condizione di equilibrio del bilancio elettrico regionale tra richiesta e produzione e, contemporaneamente, una riduzione significativa di emissioni inquinanti per kilowattore prodotto (oltre 500 mila tonnellate). Contemporaneamente il Piano indica gli obiettivi di risparmio energetico: per quasi un terzo dovranno venire dal risparmio nel settore residenziale e civile, per il 40 % dal settore dei trasporti, mentre nell'industria, che ha gia' visto avviati processi di innovazione energetica, il risparmio da realizzare e' del 25 %. Il Piano traccia quindi le linee di intervento, promuovendo la valorizzazione delle fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico, geotermia, biomasse), per ottenere una potenza aggiuntiva pari a circa 400 MW, la diffusione di piccoli impianti di produzione di energia legati alle esigenze dell'utenza finale (la cosiddetta «generazione distribuita» ad alta efficienza, attraverso la diffusione della tecnologia della cogenerazione del teleriscaldamento) per ottenere 600 MW di potenza aggiuntiva e per mettere il sistema in sicurezza anti black out. Gli strumenti previsti comprendono innanzitutto l'emanazione di nuove norme sul rendimento energetico degli edifici in Emilia-Romagna, con standard piu' stringenti rispetto al passato. E' prevista, inoltre, la realizzazione di un sistema regionale di certificazione energetica degli edifici (simile a quanto gia' realizzato per gli elettrodomestici), che riguardera' i nuovi edifici e le grandi ristrutturazioni degli edifici esistenti, nonche' la promozione del progetto «calore pulito» per la utilizzazione delle caldaie a tecnologie piu' avanzate negli usi domestici. In particolare, per quanto riguarda gli edifici pubblici (dai municipi, alle scuole, agli ospedali), il PER prevede l'avvio della riqualificazione energetica. Criteri di risparmio energetico dovranno inoltre essere previsti in ogni procedura di aggiudicazione degli appalti pubblici, cosi' come nella acquisizione di beni e servizi per la pubblica amministrazione aventi incidenza sui consumi di energia. Il Piano energetico regionale stabilisce, poi, di promuovere veri e propri «piani-programma» delle Province e dei Comuni, una sorta di piani regolatori energetici per il risparmio, l'uso razionale dell'energia e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, a cominciare dagli interventi in tutti gli edifici pubblici. Il Piano punta, poi, anche sulla riqualificazione energetico-ambientale degli insediamenti produttivi, con lo sviluppo di aree definite «ecologicamente attrezzate», promuovendo impianti e servizi energetici comuni, e anche qui con cogenerazione e fonti rinnovabili. Il Piano sostiene, infine, un nuovo programma per l'«agro energia», per l'adozione dei piccoli impianti biogas o biomassa nelle imprese agricole e per la realizzazione della riconversione necessaria della produzione bieticolo-saccarifera in produzione agroenergetica. Per quanto riguarda la materia del «governo del territorio», la Regione Emilia-Romagna, con legge 24 marzo 2000, n. 20, si e' dotata di una «Disciplina generale sulla tutela e l'uso del territorio», al fine di realizzare un efficace ed efficiente sistema di programmazione e pianificazione territoriale che operi per il risparmio delle risorse territoriali, ambientali ed energetiche, per il benessere economico, sociale e civile della popolazione regionale, senza pregiudizio per la qualita' della vita delle future generazioni. Tra gli obiettivi della pianificazione territoriale vi e' anche quello di «promuovere l'efficienza energetica e l'utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili, allo scopo di contribuire alla protezione dell'ambiente e allo sviluppo sostenibile» (art. 2, comma 2, lett. f-bis introdotta dalla legge regionale 9 luglio 2009, n. 6). Gli strumenti pianificatori regionali (artt. 24 e 25) sono il Piano Territoriale Regionale (PTR) e il Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR). Ciascuna Provincia approva il proprio Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP), che «definisce l'assetto del territorio limitatamente agli interessi sovracomunali, che attengono ... ... d) ai poli funzionali e agli insediamenti commerciali e produttivi di rilievo sovra comunale» (art. 26). Infine, i Comuni si dotano del Piano Strutturale Comunale (PSC), corredato del Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE) e dei singoli Piani Operativi Comunali di dettaglio (POC). Questa fitta trama di provvedimenti pianificatori consente di ottenere una fotografia molto precisa del territorio regionale e di sviluppare gli insediamenti abitativi e produttivi nell'ottica della tutela dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile. Nella materia della produzione dell'energia, e con evidente fortissima incidenza sul governo del territorio ed evidenti riflessi sulla tutela della salute ed altre materie di competenza regionale, ed in un ambito, almeno in parte, corrispondente a quello della disciplina regionale ora illustrata, interviene ora la legge nazionale 23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonche' in materia di energia». In particolare, l'art. 25 della legge in esame contiene la cosiddetta delega al Governo in materia di energia nucleare. A distanza di 22 anni dal referendum abrogativo della legge n. 8/1983, lo Stato reintroduce l'energia nucleare. La Regione Emilia-Romagna prende atto di questa scelta, che compete agli organi rappresentativi della comunita' nazionale, pur con il rammarico che la mancata riforma delle strutture parlamentari e prima ancora l'omessa attivazione della partecipazione regionale alla Commissione parlamentare per le questioni regionali non abbiano consentito alle Regioni di prendere parte a questa scelta nelle corrette sedi legislative. Fuori discussione dunque in questa sede la scelta di base, rimane tuttavia la necessita' di salvaguardare lo specifico ruolo delle Regioni, in quanto titolari costituzionali della potesta' legislativa nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, ed in particolare in quelle sopra indicate. Viene particolarmente in considerazione l'art. 25 della legge in questione, che contiene la delega al Governo in materia nucleare. Esso prevede un ruolo della Conferenza unificata unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 in primo luogo (comma 1) nella procedura di emanazione dei decreti legislativi delegati: tale Conferenza, infatti, deve essere «sentita». L'art. 25 stabilisce, infatti, che entro sei mesi il Governo dovra' adottare appositi decreti legislativi di riassetto normativo recanti «la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' dei sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi e per la definizione delle misure compensative da corrispondere e da realizzare in favore delle popolazioni interessate». Tale modalita' - limitata ad un parere - non rappresenta adeguatamente le istanze di partecipazione delle Regioni alle scelte generali, e tuttavia, nel vigente assetto dei poteri legislativi nazionali, la ricorrente Regione non censura tale disposizione. Lo specifico ruolo regionale dovra' dunque necessariamente essere salvaguardato nella fase successiva della gestione attuativa ed esecutiva. Tale specifico ruolo deve essere salvaguardato con riferimento sia alle Regioni nel loro insieme, sia alle Regioni che siano poi direttamente interessate dagli insediamenti delle centrali. Nell'intento di salvaguardare tale ruolo, la Regione Emilia-Romagna ha gia' impugnato l'art. 25 con riferimento alle lettere a), f), g) ed h). A termini della lett. a) il Governo deve prevedere la «possibilita' di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione», senza prevedere alcuna partecipazione della Regione interessata ne' della Conferenza unificata; A termini della lett. f), in sede di esercizio della delega, il Governo deve determinare altresi' le modalita' di esercizio del suo potere sostitutivo in caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese con i diversi enti locali coinvolti, secondo quanto previsto dall'art. 120 della Costituzione. Ad avviso della Regione Emilia-Romagna la previsione di tale potere sostitutivo e' illegittima sotto diversi profili. A termini della lett. g), poi, la costruzione e l'esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica nucleare e di impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e per lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita vengono considerati attivita' «di preminente interesse statale» e, come tali, soggetti ad autorizzazione unica rilasciata con decreto del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza unificata, (art. 25, comma 2, lett. g). La detta autorizzazione unica, che consegue a un procedimento unico cui partecipano le amministrazioni interessate, comprende la dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' e urgenza delle opere, l'eventuale dichiarazione di inamovibilita' e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni in essa compresi, sostituendo ogni provvedimento amministrativo, autorizzazione, concessione, licenza, nullaosta, atto di assenso e atto amministrativo comunque denominati, fatta eccezione delle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione ambientale strategica (VAS), cui si deve obbligatoriamente ottemperare (art. 25, comma 2, lett. h). Ne' la lett. g) ne' la lett. h) tuttavia prevedono che sulla autorizzazione, per i profili attinenti alla localizzazione e alle caratteristiche dell'impianto, sia richiesta l'intesa della Regione interessata, come (ad avviso della ricorrente Regione) costituzionalmente necessario. Il successivo art. 26 della legge n. 99/2009 assegna nuovamente al Governo, e segnatamente al CIPE, il compito di definire con apposita delibera, sempre nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega e previo parere della Conferenza unificata, le tipologie degli impianti per la produzione di energia elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio nazionale. Come emerge chiaramente dalle disposizioni sopra citate, il ruolo assegnato alle Regioni e' insufficientemente tutelato sia per quanto riguarda il loro insieme, sia - ed ancor piu' - per quanto riguarda le Regioni direttamente interessate. Mai viene richiesto il consenso delle singole Regioni interessate. Inoltre la Conferenza Unificata puo' esprimere solo pareri non vincolanti relativamente alle scelte strategiche e di alta amministrazione, mentre l'intesa e' prevista solo in sede di procedimento di autorizzazione unica, quando ormai la localizzazione dell'impianto e' gia' stata decisa. Una disciplina di tale natura interviene in una materia caratterizzata da legislazione concorrente e in un settore delicatissimo come quello dell'energia atomica. E', infatti, oggettivamente molto difficile individuare in Italia siti adatti alla costruzione di una centrale nucleare e ancor piu' allo stoccaggio e smaltimento dei rifiuti radioattivi. La maggior parte del territorio italiano e' soggetto a rischio sismico e quindi non idoneo a ricevere impianti nucleari ne' a smaltire le scorie. Ne' sono numerose le aree che dispongono dell'ingente quantita' d'acqua occorrente al funzionamento di una centrale nucleare, perche' la portata dei fiumi italiani e' generalmente insufficiente e perche' le zone costiere, dove puo' essere utilizzata l'acqua del mare, sono spesso congestionate da insediamenti urbani e turistici, scarsamente compatibili con impianti nucleari. In questo quadro, l'intero decreto legislativo, ed in subordine ed in particolare le specifiche disposizioni impugnate, risultano costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di D i r i t t o I. - Illegittimita' costituzionale dell'intero decreto per omissione della «previa acquisizione» del parere della Conferenza Unificata richiesta dall'art. 25, comma 1 della legge n. 99/2009. E' pacifico che in linea di principio il potere legislativo spetta integralmente alle Camere del Parlamento (art. 70 Cost.). Esse non lo possono delegare al Governo se non con i limiti previsti dall'art. 76 Cost., in termini di oggetto, di tempo, e di principi e criteri direttivi. Si tratta pero' dei limiti minimi che la Costituzione impone, ed e' pacifico che il Parlamento, attraverso la legge di delega, puo' imporre limiti ulteriori, segnatamente di carattere procedurale, e che se tali ulteriori limiti e prescrizioni sono violati ne risulta affetto sul piano della legittimita' costituzionale l'intero decreto legislativo. Nello specifico caso, la legge n. 99 del 2009 testualmente dispone che i decreti legislativi attuativi della delega siano adottati «su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e successivamente delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario» (art. 25, comma , enfasi aggiunta). Al contrario, il decreto legislativo n. 31 del 2010 e' stato adottato senza la previa acquisizione (ed in realta' senza alcuna acquisizione) del parere della Conferenza unificata. Cio' risulta dalle stesse premesse del decreto, nelle quali viene curiosamente «preso atto che la seduta del 27 gennaio 2010 della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, al cui ordine del giorno era iscritto il presente decreto legislativo, non si e' tenuta». La mancanza della acquisizione del richiesto parere e' stata rilevata anche dal Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, nell'Adunanza di Sezione dell'8 febbraio 2010 (atto n.443 del 9 febbraio 2010), ove al punto 3 si rileva quanto segue. «Va, ancora, preliminarmente osservato che non risulta comunicato, alla data dell'odierno esame della questione, il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la cui previa acquisizione costituirebbe, alla stregua del dettato dell'art. 25 della legge n. 99 del 2009, un atto prodromico essenziale per l'esercizio della specifica potesta' delegata». Va sottolineato che l'acquisizione del parere della Conferenza unificata non era dovuta in forza della previsione di cui all'art. 2, comma 3 (che riguarda la Conferenza Stato-regioni, la quale «e' obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano che si pronunzia entro venti giorni», con la precisazione che «decorso tale termine, i provvedimenti recanti attuazione di direttive comunitarie sono emanati anche in mancanza di detto parere»), ne' in forza dell'art. 9, comma 2, lett. a), n. 3 dello stesso decreto, che prevede il parere obbligatorio di tale Conferenza solo per gli «schemi di decreto legislativo adottati in base all'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59» (tra i quali certo non e' compreso quello di cui alla presente controversia). La previa acquisizione del parere della Conferenza unificata e' invece dovuta esclusivamente in forza della specifica disposizione della legge di delega: con il risultato di costituire nel caso in esame - come sottolineato dallo stesso Consiglio di Stato - «un atto prodromico essenziale per l'esercizio della specifica potesta' delegata». Inoltre, l'art. 25, comma 1, della legge di delega precisava anche l'ordine di acquisizione di pareri, palesemente posti allo stesso livello di obbligatorieta', stabilendo la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata, e successivamente quella del parere delle Commissioni parlamentari: evidentemente allo scopo che le Commissioni parlamentari potessero dare il proprio parere anche in relazione alle osservazioni della Conferenza unificata. Si noti che - non avvenuta la riunione del 27 gennaio 2010 - non risulta che il Governo abbia provveduto a riconvocare la Conferenza per una successiva riunione, ne' prima ne' dopo la trasmissione dello schema di decreto legislativo alle Commissioni parlamentari. Di qui il vizio di mancato rispetto della procedura prevista dalla legge di delega per l'emanazione del decreto legislativo, e dunque un vizio di legittimita' costituzionale che inficia l'intero atto. E' altresi' evidente che la ricorrente Regione ha legittimazione a sollevare la corrispondente censura, dal momento che il parere che e' stato omesso era previsto dalla legge di delega a garanzia delle competenze e delle prerogative costituzionali delle Regioni: era, in definitiva, il modo in cui la legge di delega prevedeva che le Regioni partecipassero alla elaborazione del decreto legislativo. II. Illegittimita' costituzionale delle specifiche disposizioni impugnate. 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 2. 1.1 - L'art. 5, comma 2 del d.lgs. n. 31 del 2010, rubricato Requisiti degli operatori prevede che «con decreto del Ministro dello sviluppo economico,[...] sono definiti i criteri esplicativi dei requisiti di cui al comma 1, nonche' le modalita' per la dimostrazione del possesso dei requisiti stessi». In verita' l'art. 25 della legge delega n. 99/2009 prevedeva che il Governo avrebbe dovuto esercitare la delega emanando uno o piu' decreti legislativi contenenti la statuizione («sono stabiliti») dei «requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attivita' di costruzione, esercizio e disattivazione degli impianti». Appare chiaro, quindi, gia' in sede di prima analisi della disposizione impugnata, che la stessa, dal punto di vista formale e sostanziale, in concreto non ottempera al disposto del citato art. 25 della legge di delegazione poiche' il Governo si e' limitato a rinviare ad una fonte non solo sottoordinata rispetto a quella prevista in sede di delega (un Decreto ministeriale) ma anche - e soprattutto - ad una fonte che non e' tenuta a garantire i requisiti dell'art. 14 della legge n. 400 del 1988 e dell'art. 20 della cd legge Bassanini 1. In particolare, e' lo stesso art. 25 sopra citato che impone al Governo di esercitare il potere delegato «secondo le modalita' ed i principi direttivi di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59». Alla luce di quanto sopra si comprende come il fatto che il Governo abbia deciso, in sede di esercizio del potere delegato, di esorbitare i margini di discrezionalita' individuati dal Legislatore delegante concreta non solo una violazione dell'art. 76 della Costituzione, ma anche delle prerogative e l'assetto dei rapporti fra lo Stato e la Regione. Secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, ha riconosciuto che nel giudizio promosso in via principale il vizio di eccesso di delega puo' essere addotto solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni (sentenze n. 303 del 2003, n. 353 del 2001, n. 503 del 2000, n. 408 del 1998, n. 87 del 1996). Cosi' e' nell'ipotesi di cui trattasi. Non puo' negarsi, infatti, che la disciplina di cui al secondo comma dell'art. 5 del d.lgs. n. 31/2010, nel prevedere l'emanazione di un decreto ministeriale deputato alla definizione dei «criteri esplicativi dei requisiti di cui al comma 1» in luogo di appositi decreti legislativi, rappresenta un esercizio del potere delegato palesemente difforme da quanto espressamente previsto dall'art. 25, legge n. 99/2009 e comprime le attribuzioni regionali. Dalla lettura del dato testuale dell'art. 25 citato, secondo il quale, come gia' poc'anzi precisato, il Governo deve esercitare il potere delegato «secondo le modalita' ed i principi direttivi di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59», vale a dire secondo forme di azione che tengono conto dei «principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, nella ripartizione delle attribuzioni e competenze tra i diversi soggetti istituzionali, nella istituzione di sedi stabili di concertazione e nei rapporti tra soggetti istituzionali ed i soggetti interessati, secondo i criteri dell'autonomia, della leale collaborazione, della responsabilita' e della tutela dell'affidamento» (cfr. art. 20 cit, comma 4, lett. f-ter)) emerge la diretta rilevanza degli interessi regionali coinvolti. E' evidente, quindi, che la disposizione che qui si impugna non rispetta le summenzionate previsioni. Alla luce di cio' la Regione va considerata «legittimata a far valere le proprie attribuzioni anche allegando il vizio formale di eccesso di delega del decreto legislativo» (cfr. sent. n. 303 del 2003). 1.2. - Sotto diverso ma collegato profilo l'art. 5, comma 2 del decreto legislativo che si impugna, appare viziato da profili di incostituzionalita' perche' omette di stabilire i «requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attivita' di costruzione, esercizio e disattivazione degli impianti» richiesti dall'art. 25, comma 1 della legge di delegazione. Si puo' affermare, infatti, che la delega, in ordine alla determinazione dei requisiti soggettivi richiesti per la costruzione, esercizio e disattivazione degli impianti nucleari, e' rimasta completamente inevasa Nessun comma dell'art. 5 puo' ritenersi avente un contenuto conforme alle prescrizioni di cui all'art. 25 della legge di delegazione. Anche il comma 3, infatti, si limita a riproporre, con formulazione pressoche' identica, i requisiti richiesti, in via generale, a qualunque appaltatore e concessionario pubblico dalla normativa vigente (cfr. art. 38 d.lgs. n. 163/2006). La formulazione esplicita ed inequivocabile della legge di delegazione, tuttavia, imponeva espressamente al Governo di individuare con un apposito decreto legislativo i «requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attivita' di costruzione, esercizio e disattivazione degli impianti», e cio', come argomentato sopra, e' rimasto totalmente inevaso atteso che il comma secondo si limita a demandare la fattispecie ad un decreto ministeriale, fonte che, peraltro, non deve definire alcun requisito soggettivo avendo il diverso compito di limitarsi ad indicare i meri «criteri esplicativi» di requisiti che, a questo punto non appaiono in alcun modo individuati ed individuabili neppure in via generale e generica sotto forma di criterio. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3. 2.1. - La disposizione della quale si sostiene l'incostituzionalita' prevede che «il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero per i beni e le attivita' culturali, adotta con proprio decreto lo schema definitivo dei parametri di cui al comma 1. Tale decreto e' adottato entro i trenta giorni successivi alla conclusine della consultazione di cui al comma 2, adeguando i parametri indicati nello schema iniziale, su proposta dell 'Agenzia». A sua volta, il comma 1 appena richiamato subordina l'individuazione delle aree potenzialmente destinate alla localizzazione degli impianti nucleari al rigoroso rispetto di determinati criteri tecnici. E' doveroso osservare che tanto la fase di individuazione dello «schema dei parametri esplicativi dei criteri tecnici» quanto la fase adozione degli stessi da parte del decreto ministeriale di cui al comma terzo, prescinde totalmente da alcuna forma di coinvolgimento o collaborazione con le Regioni e gli enti territoriali interessati. Trattasi, tuttavia, di criteri che impongono di considerare attentamente la realta' locale poiche' devono espressamente tener conto dei «seguenti profili: a) popolazione e fattori socio-economici; b) idrologia; c) fattori metereologici; c) biodiversita'; d) geofisica e geologia; e) valore paesaggistico; g) valore architettonico-storico; h) accessibilita'; i) sismo-tettonica; l) distanza da aree abitate e da infrastrutture di trasporto; m) strategicita' dell'area per il sistema energetico e caratteristiche della rete elettrica; n) rischi potenziali indotti da attivita' umane nel territorio circostante». Da quanto sopra esposto appare palese la rilevanza degli interessi regionali coinvolti nella procedura di localizzazione degli impianti nucleari poiche' trattasi di attivita' che tocca direttamente competenze regionali quali il governo del territorio, la tutela della salute, la protezione civile, le grandi reti di trasporti e navigazione, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Pertanto, sebbene possa sostenersi astrattamente che il decreto ministeriale cui la normativa qui impugnata fa riferimento non provvede direttamente ad individuare i siti in cui si localizzeranno gli impianti, tuttavia esso rappresenta l'atto sulla base del quale tale individuazione avverra' in concreto. Di tal che' tale decreto va considerato il vero ed imprescindibile presupposto della concreta localizzazione e, conseguentemente, la normativa impugnata appare incostituzionale nella parte in cui non si prevede alcuna idonea forma di concertazione con le regioni in ordine alla determinazione e all'approvazione dei criteri tecnici che devono essere rispettati in sede di localizzazione degli impianti nucleari. Una siffatta interpretazione e' gia' stata espressa da codesta ecc.ma Corte con la decisione n. 62 del 2005 - concernente peraltro la localizzazione e la realizzazione di un impianto per la gestione di materiale radioattivo - con cui precisa che ogniqualvolta si deve procedere alla «specifica localizzazione e alla realizzazione dell'impianto, l'interesse territoriale da prendere in considerazione e a cui deve essere offerta sul piano costituzionale, adeguata tutela, e' quello della regione nel cui territorio l'opera e' destinata ad essere ubicata. Non basterebbe piu', a questo livello, il semplice coinvolgimento della Conferenza Unificata, il cui intervento non puo' sostituire quello, costituzionalmente necessari, della singola regione interessata (cfr. sentenze n. 383/1994; n. 242 del 1997, n. 303 del 2002 e 6 del 2004). 2.2. - Piu' in generale, si ripropongono anche in questa sede le censure gia' mosse in relazione alla illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 2 del d.lgs. n. 31 del 2010. Infatti l'art. 25 della legge delega n. 99/2009 prevedeva espressamente che il Governo avrebbe dovuto esercitare la delega emanando appositi decreti legislativi contenenti «la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' dei sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi». Appare chiaro, quindi, gia' in sede di analisi meramente letterale del testo della disposizione impugnata, che la stessa, dal punto di vista formale e sostanziale, in concreto non ottempera al disposto del citato art. 25 della legge di delegazione poiche' il Governo si e' limitato a rinviare ad una fonte non solo sottoordinata rispetto a quella prevista in sede di delega (un decreto ministeriale) ma anche - e soprattutto - ad una fonte che non e' tenuta a rispettare i requisiti di cui all'art. 14 della legge n. 400 del 1988 e secondo le modalita' ed i principi direttivi di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59. Quest'ultima disposizione, in particolare, impone al Governo di tener conto dei «principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, nella ripartizione delle attribuzioni e competenze tra i diversi soggetti istituzionali, nella istituzione di sedi stabili di concertazione e nei rapporti tra soggetti istituzionali ed i soggetti interessati, secondo i criteri dell'autonomia, della leale collaborazione, della responsabilita' e della tutela dell'affidamento» (cfr. art. 20 cit, comma 4, lett. f-ter)). Emerge, quindi, chiaramente, la diretta rilevanza degli interessi regionali coinvolti atteso che il Governo ha deciso, in sede di esercizio del potere delegato, di esorbitare i margini di discrezionalita' individuati dal legislatore delegante concretando non solo una violazione dell'art. 76 della Costituzione, ma anche le prerogative e l'assetto dei rapporti fra lo Stato e la Regione. Sul punto non si puo' che limitarsi a richiamare la giurisprudenza gia' citata al punto 3) di questo ricorso e considerare la Regione ricorrente «legittimata a far valere le proprie attribuzioni anche allegando il vizio formale di eccesso di delega del decreto legislativo» (cfr. sent. n. 303 del 2003) poiche' la disciplina di cui al comma 3 dell'art. 8 del decreto legislativo n. 31/2010, nel prevedere l'emanazione di un decreto ministeriale deputato alla definizione dei «parametri di cui al comma 1» - vale a dire dei criteri tecnici da seguire per l'individuazione delle aree destinate alla localizzazione degli impianti nucleari - in luogo di appositi decreti legislativi, rappresenta un esercizio del potere delegato palesemente difforme da quanto espressamente previsto dall'art. 25, legge n. 99/2009 e vulnerante le attribuzioni regionali. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, in combinato disposto con l'art. 8, comma 3. La particolare natura del decreto ministeriale di cui all'art. 8, comma 3, sopra analizzato, vale a dire quella di atto i cui contenuti rappresentano il presupposto necessario all'individuazione dei siti in cui si localizzeranno gli impianti nucleari, comporta l'illegittimita' costituzionale anche dell'art. 9, comma 1. Questa disposizione, infatti, dispone che «la strategia nucleare di cui all'art. 3, insieme ai parametri sulle caratteristiche ambientali e tecniche delle aree idonee ai sensi del comma 3 dell'art. 8, e' soggetta alle procedure di valutazione ambientale strategica ai sensi e per gli effetti di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, nonche' al principio di giustificazione di cui alla Direttiva 96/29/EURATOM del Consiglio del 13 maggio 1996». Anche in questo caso, nonostante l'indubbia rilevanza di ambiti di competenza regionale, secondo quanto ampiamente argomentato al punto precedente, cui si rimanda integralmente, non e' prevista alcuna forma di coinvolgimento o collaborazione con le Regioni interessate determinandosi, quindi, un'illegittima compromissione delle prerogative regionali costituzionalmente previste. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 6. L'art. 11 e' dedicato alla Certificazione dei siti. Esso dispone che l'Agenzia effettui l'istruttoria tecnica sulle singole istanze degli operatori interessati, e che in caso di esito positivo essa rilasci la certificazione, anche con specifiche prescrizioni, per ciascun sito proposto. Le certificazioni dei siti sono trasmesse ai Ministeri interessati, ed il Ministro dello sviluppo economico sottopone ciascuno dei siti certificati all'intesa della Regione interessata, che si esprime previa acquisizione del parere del comune interessato (comma 5). Oggetto della presente impugnazione e' il comma 6, secondo il quale «in caso di mancata definizione dell'intesa di cui al comma 5 entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della richiesta dell'intesa stessa, si provvede entro i trenta giorni successivi alla costituzione di un Comitato interistituzionale, i cui componenti sono designati in modo da assicurare una composizione paritaria, rispettivamente, dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da un lato, e dalla Regione, dall'altro, che assicura la presenza di un rappresentante del comune interessato» (primo periodo). Sempre il comma 6 dispone che «le modalita' di funzionamento del Comitato interistituzionale sono stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previo parere della Conferenza unificata da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta del parere stesso» (secondo periodo). Dispone infine - per quanto qui interessa, che «ove non si riesca a costituire il Comitato interistituzionale, ovvero non si pervenga ancora alla definizione dell'intesa entro i sessanta giorni successivi alla costituzione del Comitato, si provvede all'intesa con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, integrato con la partecipazione del presidente della Regione interessata» (ultimo periodo). 4.1 - Il comma 6 appare disciplinare - in relazione alla certificazione dei siti - l'esercizio del potere sostitutivo per mancato conseguimento delle intese in attuazione dell'art. 25, comma 2, lett. f) della legge n. 99/2009, ricomprendendo dunque e quindi le Regioni tra gli «enti locali coinvolti» ai quali tale disposizione si riferisce. Conviene ricordare che tale disposizione e' stata contestata dalla ricorrente Regione con il ricorso 83/2009 per violazione degli artt. 118 e 120 Cost. e del principio di leale collaborazione, in quanto «prevedere l'intesa e poi prevedere l'esercizio del potere sostitutivo statale per il caso di mancato raggiungimento dell'intesa equivale a degradare sin dall'inizio il carattere forte dell'intesa e ad attribuire una posizione di debolezza all'ente territoriale nell'adozione della decisione attratta in sussidiarieta'». Inoltre, secondo quanto gia' rilevato nello stesso ricorso «il mancato raggiungimento dell'intesa nella materia oggetto dell'art. 25 non concreta una delle situazioni indicate tassativamente dall'art. 120, comma 2, Cost.». Nella disposizione di cui al comma 6 la questione dell'eventuale mancato conseguimento dell'intesa e' affrontata in termini piu' articolati, essendo previsto un meccanismo di coordinamento rivolto a facilitare una soluzione consensuale, e dunque da ultimo il conseguimento dell'intesa, nella forma di un comitato interistituzionale a composizione paritaria Ministeri-Regione: solo nel caso in cui tale comitato non venga costituito, oppure non si raggiunga comunque l'intesa, e' previsto che lo Stato «provvede all'intesa con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, integrato con la partecipazione del presidente della Regione interessata. 4.2 - In questi termini, la disposizione appare un tentativo di conciliare le opposte esigenze di assicurare il consenso della Regione interessata e di garantire un potere ultimo di decisione statale. Tuttavia, gia' nel ricorso n. 83/2009 si e' illustrato come alle intese con la Regione interessata concernenti le localizzazioni nel territorio regionale di impianti di produzione di energia vada riconosciuto - alla stregua della stessa giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale - carattere forte. Ci si e' gia' richiamati - per la parte rilevante - alle sentenze n. 303 del 2003 (localizzazione opere strategiche), n. 6 del 2004 (impianti di produzione di energia), n. 383/2005 (autorizzazione alla costruzione ed esercizio di elettrodotti). In questa, in particolare, codesta Corte ha ribadito che in questi casi «deve escludersi che, ai fini del perfezionamento dell'intesa, la volonta' della Regione interessata possa essere sostituita da una determinazione dello Stato, il quale diverrebbe in tal modo l'unico attore di una fattispecie che, viceversa, non puo' strutturalmente ridursi all'esercizio di un potere unilaterale». Secondo la Corte, «l'esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potra' certamente ispirare l'opportuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte difficolta' a conseguire l'intesa, ma tali procedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte». E, «nei casi limite di mancato raggiungimento dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni». Dunque, il dovere di collaborazione assicura dal lato regionale il risultato dell'intesa tutte le volte in cui un comportamento collaborativo effettivamente la imponga. Non corrispondente invece ai criteri affermati da codesta Corte e' una soluzione per la quale anche nel caso in cui il dissenso sia oggettivamente giustificato anche nel quadro di un comportamento collaborativo lo Stato abbia alla fine il potere unilaterale di «provvedere all'intesa». In realta' nella stessa terminologia delle disposizioni impugnate sembra che l'intesa della Regione (e degli enti locali) interessati sia concepito come un qualcosa che viene preferibilmente ottenuto con il consenso, ma se manca il consenso «deve» essere ottenuto comunque. In effetti, il testo della disposizione neppure considera l'ipotesi che gli argomenti opposti dalla Regione all'intesa siano corretti e giustificati, e che dunque la mancata intesa possa condurre non alla sua «acquisizione forzata», ma all'abbandono del sito in questione. La disposizione impugnata risulta percio' illegittima. 4.3. - Risulta ancora non conforme alla Costituzione, ad avviso della ricorrente Regione, la disposizione secondo la quale le modalita' di funzionamento del Comitato «sono stabilite con decreto ministeriale previo parere della Conferenza unificata»: sembra evidente, infatti, che la definizione delle modalita' di funzionamento di un organismo che si vuole paritetico non possono essere lasciate... alla determinazione unilaterale di una della parti «pari». Si ritiene pertanto che al mero parere debba essere sostituta l'intesa con la Conferenza unificata, al fine di ripristinare anche sul piano delle regole di funzionamento la pari capacita' di determinazione dello Stato e delle Regioni. 4.4 - In via subordinata alla censura di cui al punto b, risulterebbe comunque costituzionalmente illegittima la disposizione secondo la quale il potere di acquisizione forzata dell'intesa scatta anche nelle ipotesi nelle quali questa non si raggiunga a causa di un comportamento non collaborativo dello Stato: come potrebbe accadere sia nell'ipotesi che alla costituzione del comitato inter-istituzionale non si possa addivenire per l'inerzia degli organi statali, sia nell'ipotesi che costituito il comitato esso non sia in grado di raggiungere l'intesa a causa di un comportamento dei rappresentanti statali rivolto soltanto a far trascorrere i termini per l'esercizio del potere unilaterale. In mancanza della espressa esclusione del potere unilaterale per siffatte non certo impossibili ipotesi, il meccanismo paritetico previsto dalla legge per l'esame della situazione si rivelerebbe soltanto un rallentamento di una procedura destinata comunque a concludersi con il prevalere di una delle parti. 4.5 - Da ultimo, sempre in via subordinata alla censura di cui al punto b, risulta costituzionalmente illegittimo che il potere sostitutivo statale si traduca nel «provvedere all'intesa» con un atto unilaterale. Sembra evidente, infatti, che l'intesa e' per sua natura e per status costituzionale (art. 116, comma terzo, ed art. 118, comma terzo) un atto bilaterale formato dallo spontaneo consenso dello Stato e delle Regioni o della Regione interessata : e che dunque ove in denegata ipotesi dovesse comunque ammettersi un potere unilaterale statale sostitutivo ad esso non potrebbe assegnarsi la denominazione di intesa. 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1, e dell'art. 13, commi 10, 11, 12, in quanto non prevedono che l'autorizzazione unica all'esercizio degli impianti sia rilasciata previa intesa con con la Regione interessata. L'art. 4, comma 1, concerne l'Autorizzazione degli impianti nucleari. Esso dispone che «la costruzione e l'esercizio degli impianti nucleari sono considerate attivita' di preminente interesse statale e come tali soggette ad autorizzazione unica che viene rilasciata, su istanza dell'operatore e previa intesa con la Conferenza unificata, con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo quanto previsto nel presente decreto legislativo». La procedura per il rilascio dell'autorizzazione e' poi compiutamente disciplinata dall'articolo 13 (Autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti nucleari e per la certificazione dell'operatore), il cui comma 10 dispone che «al compimento dell'istruttoria, l'Agenzia, anche in base all'esito delle procedure di VIA, rilascia parere vincolante al Ministero dello sviluppo economico che, sulla base di esso, entro trenta giorni dalla comunicazione del parere stesso, indice una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 con l'Agenzia, i Ministeri concertanti, la Regione e gli enti locali interessati e con tutti gli altri soggetti e le amministrazioni coinvolti, da individuare sulla base dello specifico progetto, che non abbiano gia' espresso il proprio parere o la propria autorizzazione nell'ambito dell'istruttoria svolta dall'Agenzia». Il comma 11 precisa che «qualora in sede di conferenza di servizi di cui al comma precedente, non venga raggiunta la necessaria intesa con un ente locale coinvolto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, assegna all'ente interessato un congruo termine per esprimere l'intesa; decorso inutilmente tale termine, previa deliberazione del Consiglio dei ministri cui partecipa il presidente della regione interessata all'intesa, e' adottato, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sostitutivo dell'intesa». Il comma 12 dispone che a seguito di cio', «nei trenta giorni successivi alla positiva conclusione dell'istruttoria, il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, rilascia con proprio decreto l'autorizzazione unica». Va in primo luogo osservato che al fine di ottenere l'autorizzazione unica l'operatore titolare del sito certificato propone (obbligatoriamente ex art.11, comma 11) apposita istanza contenente, fra l'altro, il progetto definitivo dell'impianto (comma 2, lett.e). E' dunque solo con l'autorizzazione unica che avviene tra l'altro, all'interno del sito certificato, la localizzazione concreta dell'impianto. Le stesse ragioni sopra invocate per la necessita' dell'intesa forte con la Regione interessata in relazione alla certificazione dei siti valgono dunque allo stesso modo in relazione alla autorizzazione unica. Anche le disposizioni impugnate dell'art. 4 e dell'art. 13 sono dunque illegittime, in quanto non prevedono l'intesa «forte» della Regione interessata. Al contrario, le disposizioni impugnate neppure sembrano prevedere la necessita' dell'intesa con la Regione, dal momento che in esse si parla solo della circostanza che nella Conferenza di servizi possa non raggiungersi l'intesa «con un ente locale coinvolto». D'altronde, un'intesa forte per sua natura non puo' acquisirsi nel quadro delle regole proprie della conferenza di servizi, le quali prevedono comunque un potere di decisione finale unilaterale che ne contraddice la natura. In subordine alla illegittimita' costituzionale per difetto dell'intesa forte con la Regione interessata va censurata l'omissione in relazione alla autorizzazione unica della previsione dell'intesa della stessa Regione interessata nel quadro di una procedura corrispondente a quella prevista per la certificazione dei siti, ovviamente emendata dalle illegittimita' costituzionali che anche in relazione ad essa sono state sopra lamentate. 6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 19, commi 1 e 2 per violazione degli artt. 117, comma 3, 118 e del principio di leale collaborazione. L'art. 19 del decreto legislativo impugnato, rubricato Disposizioni in materia di sistemazione dei rifiuti radioattivi, al primo comma attribuisce al soggetto titolare dell'autorizzazione unica di cui all'art. 13 del medesimo decreto, la responsabilita' della «gestione dei rifiuti radioattivi operazionali e del combustibile nucleare per tutta la durata della vita dell'impianto». La disposizione vincola tale soggetto al «rispetto delle disposizioni vigenti nonche' delle prescrizioni tecniche e di esecuzione impartite dall'Agenzia». Al secondo comma si precisa che il titolare dell'autorizzazione unica provvede secondo la normativa vigente «e le prescrizioni di esecuzione impartite dall'agenzia, al trattamento e condizionamento dei rifiuti operazionali, al loro smaltimento presso il Deposito Nazionale ed immagazzinamento del combustibile irraggiato presso il medesimo Deposito Nazionale». Appare evidente, pertanto, che la disposizione de qua non solo richiama la normativa vigente ma rimanda anche ad atti emanati da un soggetto - l'Agenzia per la sicurezza nucleare - che, ai sensi dell'art. 29 della legge n. 99/2009 non e' in alcun modo deputato a rappresentare o comunque a tener conto delle competenze, interessi giuridicamente rilevanti ed istanze regionali. La normativa appena citata, infatti, definisce l'Agenzia quale «la sola autorita' nazionale responsabile per la sicurezza nucleare e la radioprotezione», svolgente «le funzioni ed i compiti di autorita' nazionale per la regolamentazione tecnica, il controllo e l'autorizzazione ai fini della sicurezza delle attivita' concernenti gli impieghi pacifici dell'energia nucleare, la gestione e la sistemazione dei rifiuti radioattivi e dei materiali nucleari provenienti sia da impianti di produzione di elettricita' sia da attivita' mediche ed industriali, la protezione delle radiazioni, nonche' le funzioni ed i compiti di vigilanza sulla costruzione, l'esercizio e la salvaguardia degli impianti e dei materiali nucleari, comprese le loro infrastrutture e la logistica» (cfr. comma 1, art. 29 cit.). Anche sotto il profilo della composizione, l'Agenzia e' un organo collegiale in seno al quale non vi e' alcuna forma di rappresentanza o coinvolgimento delle regioni (cfr. art. 29, comma 8). Alla luce di cio', si censura l'art. 19 del d.lgs. n. 31/2010 poiche' incostituzionale nella parte in cui non si prevede che la «gestione dei rifiuti radioattivi operazionali e del combustibile nucleare per tutta la durata della vita dell'impianto» (art. 19, comma 1) ed il «trattamento e condizionamento dei rifiuti operazionali» nonche' il «loro smaltimento presso il Deposito Nazionale ed immagazzinamento del combustibile irraggiato presso il medesimo Deposito Nazionale» (art. 19, comma 2) siano regolamentate anche dalle «prescrizioni tecniche e di esecuzione impartite dall'Agenzia» senza che tali prescrizioni siano individuate e definite di concerto con le Regioni interessate (per i profili attinenti alle modalita' specifiche di gestione, trattamento, condizionamento e smaltimento dei rifiuti radioattivi) o quanto meno previo parere della Conferenza unificata (in ordine alla definizione delle modalita' generali di gestione, trattamento, condizionamento e smaltimento dei rifiuti radioattivi). Infatti, la fattispecie disciplinata dall'art. 19 concerne sotto molteplici profili materie che l'art. 117, comma 3, attribuisce alla competenza concorrente Stato-Regioni: quali la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», la «tutela della salute»; la «protezione civile» e la «tutela della sicurezza del lavoro» nonche' la materia ambientale. Con riferimento a quest'ultima materia, la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale ne ha sin dalla sentenza n. 407 del 2002, riconosciuto la natura trasversale precisando che le interferenze del legislatore statale devono limitarsi all'individuazione di standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza escludere la competenza regionale in materie di potesta' concorrente o residuale, volta alla cura di interessi collegati con quelli propriamente ambientali (in senso conforme cfr. anche sent. n. 223/2003). Successivamente questo orientamento e' stato confermato dalla decisione n. 62 del 2005, peraltro concernente proprio un intervento legislativo volto a realizzare un impianto necessario per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Tale pronuncia, dopo aver ribadito che la competenza statale in materia ambientale «non esclude la concomitante possibilita' per le Regioni di intervenire, anche perseguendo finalita' di tutela ambientale (cfr. sentenze 407/2002, n. 303 del 2003 e n. 259 del 2004), cosi' nell'esercizio delle loro competenze in tema di tutela della salute e di governo del territorio, ovviamente nel rispetto dei livelli minimi di tutela apprestati dallo Stato e dell'esigenza di non impedire od ostacolare gli interventi statali necessari per la soddisfazione di interessi unitari, eccedenti l'ambito delle singole regioni», ha precisato che «quando gli interventi individuati come necessari e realizzati dallo Stato, in vista di interessi unitari di tutela ambientale, concernono l'uso del territorio, e in particolare la realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole aree, l'intreccio, da un lato con la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre che con altre competenze regionali, dall'altro con gli interessi delle popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che siano adottate modalita' di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi (cfr. sent. n. 303/2003)». Appare, pertanto, evidente l'illegittimita' costituzionale della disposizione che si impugna in questa sede perche' non prevede alcuna forma di collaborazione o coinvolgimento delle istanze territoriali. Vi e' stata, quindi, una illegittima attrazione della competenza a livello statale a disciplinare la materia sia sotto il profilo normativo sia della regolamentazione delle funzioni amministrative ex art. 118 Cost. nonche', infine, la lesione del principio di leale collaborazione non essendovi alcuna previsione di forme di raccordo e integrazione fra i diversi soggetti coinvolti ed interessati dall'attivita' disciplinata dall'art. 19. Sotto quest'ultimo profilo si ricorda che, secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, nel concorso tra competenze statali trasversali e competenze regionali, la legislazione statale sarebbe legittima solo ove: a) logicamente pertinente e idonea alla regolazione della materia; b) strettamente proporzionale a tale fine; c) adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti, attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, prevedano adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni allocate presso gli organi centrali. (cfr. di recente sent. n. 1 del 2008). Il principio di leale collaborazione, cioe', impone alla normativa statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle regioni, a salvaguardia delle loro competenze (cfr. ex multis sentenze. n.168, n. 63 e n. 50 del 2008; n. 201 del 2007; n. 211 e n. 133 del 2006). Pertanto, in materie, quale quella oggetto del presente giudizio, in cui risultano necessariamente ed inestricabilmente connesse competenze statali e regionali, il principio di leale collaborazione richiede la messa in opera di procedimenti nei quali tutte le istanze costituzionalmente rilevanti possano trovare concreta ed effettiva applicazione; e, sebbene la giurisprudenza costituzionale ammetta che lo stesso possa essere organizzato in modi diversi, per forme e intensita', tuttavia esso non puo' mai essere irragionevolmente compresso o ridotto ad una mera formalita'. 7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 20, comma 1. L'art. 20 contiene disposizioni in materia di disattivazione degli impianti. Tale disposizione, al comma primo, prevede che «all'attivita' di disattivazione degli impianti attende la Sogin S.p.A. in coerenza con gli scopi statutari, le linee di indirizzo strategico del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'economia e delle finanze di cui all'articolo 27, comma 8 della legge 23 luglio 2009, n. 99, nonche' delle vigenti disposizioni in materia». Si ricorda che la Societa' Gestione Impianti Nucleari (SOGIN S.p.A.) e' una societa' avente come unico socio il Ministero dell'economia e delle finanze ed il preciso compito di controllare, smantellare, decontaminare e gestire i rifiuti radioattivi. A parere della scrivente difesa la succitata normativa e' incostituzionale nella parte in cui non prevede che le modalita' tecniche di disattivazione degli impianti siano definite d'intesa con le Regioni interessate o, quanto meno in relazione alla determinazione dei profili generali, di concerto con la Conferenza unificata. 7.1 - In primo luogo, si osserva che la determinazione delle modalita' di disattivazione degli impianti possono astrattamente essere ricondotte a materie quali la produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, governo del territorio, protezione civile, nonche' tutela della salute e dell'ambiente, che appartengono alla competenza ripartita ex art. 117, comma 3, Cost. In questo contesto lo Stato, in ossequio al principio di leale collaborazione e del dovere di prevedere forme di coordinamento con le Regioni, non puo' agire iure imperli ed escludere le Regioni in ordina all'assunzione di decisioni e modalita' operative che influiscono direttamente sulla loro sfera di competenza tanto legislativa quanto amministrativa, ma dovrebbe individuare, d'intesa con la Conferenza Unificata, le modalita' essenziali e generali di disattivazione degli impianti. 7.2 - In secondo luogo si osserva anche che, data la rilevanza degli interessi e delle competenze regionali, la definizione delle modalita' tecniche di disattivazione degli impianti nucleari dovrebbe avvenire d'intesa con la o le regioni su cui essi sono localizzati. Sul punto si deve richiamare nuovamente il concetto di intesa forte che si desume a partire dalla gia' richiamata sentenza n. 303 del 2003 e che, successivamente, con la decisione n. 62 del 2005, e' stato esplicitato proprio in materia nucleare. Da quest'ultima pronuncia si desume il principio secondo cui e' costituzionalmente necessario tenere in considerazione e tutelare l'interesse territoriale della Regione in cui si trova l'impianto nucleare, «non bastando piu', a questo livello, il semplice coinvolgimento della Conferenza unificata, il cui intervento non puo' sostituire quello, costituzionalmente necessario, della singola regione interessata (cfr. sentenze n. 338 del 1994; n. 242 del 1997, n. 303 del 2003, n. 6 del 2004)». 8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 6. L'art. 27 del decreto legislativo, che in questa sede si censura, disciplina l'Autorizzazione Unica per la costruzione e l'esercizio del Parco Tecnologico in cui si dovra' insediare il Deposito nazionale delle scorie radioattive. A tal proposito il comma 1 prevede che «Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, la Sogin S.p.A., tenendo conto dei criteri indicati dall'AIEA e dall'Agenzia e sulla base delle valutazioni derivanti dal procedimento di Valutazione Ambientale Strategica di cui all'articolo 9, definisce una proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco Tecnologico, proponendo al contempo un ordine di idoneita' delle suddette aree sulla base di caratteristiche tecniche e socio-ambientali delle aree preliminarmente identificate, nonche' un progetto preliminare di massima per la realizzazione del Parco stesso». Il comma sesto, a sua volta, prevede che: «Il Ministro dello sviluppo economico acquisito il parere tecnico dell'Agenzia, che si esprime entro il termine di sessanta giorni, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, approva la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco tecnologico. La Carta e' pubblicata sui siti della Sogin SpA, dei suddetti Ministeri e dell'Agenzia» Duplice e' il profilo di censura che si propone in relazione a quest'ultimo comma. 8.1 - In primo luogo si ripropongono anche in questa sede le censure gia' mosse in relazione alla illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 2 e dell'art. 8 comma 3, del d.lgs. n. 31 del 2010. Come gia' ampiamente argomentato, infatti, l'art. 25 della legge delega n. 99/2009 prevedeva espressamente che il Governo avrebbe dovuto esercitare la delega emanando appositi decreti legislativi contenenti «la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale[... ], dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' dei sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rffiuti radioattivi». La norma de qua, chiaramente dispone in senso palesemente difforme da quanto previsto dal Legislatore delegante poiche' il Governo ha preferito attribuire al Ministro per lo sviluppo economico, previa acquisizione del parere tecnico dell'Agenzia, il potere di emanare un decreto contenente la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco tecnologico. Si e', quindi, rinviato, ad una fonte normativa non solo sottoordinata rispetto a quella prevista in sede di delega ma anche - e soprattutto - ad una fonte che non e' tenuta a rispettare i requisiti di cui all'art. 14 della legge n. 400 del 1988 e secondo le modalita' ed i principi direttivi di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, con conseguente diretta lesione delle incontestabili competenze ed interessi regionali coinvolti. 8.2 - E' doveroso osservare che l'approvazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco Tecnologico avviene senza alcuna forma di efficace coinvolgimento delle istanze regionali, ne' per il tramite della previsione dello strumento della consultazione della Conferenza unificata, ne' tramite il coinvolgimento - sotto forma di intesa forte - della Regione interessata dalla concreta localizzazione del Parco Tecnologico. Il comma 6 dell'art. 27, va, pertanto, ritenuto costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non sono previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni in sede di determinazione e approvazione dei contenuti della Carta nazionale di cui sopra. Il comma 2 dell'art. 27, prevede che il Progetto preliminare relativo alla localizzazione del Parco Tecnologico tenga conto della «a) documentazione relativa alla tipologia di materiali radioattivi destinati al Deposito nazionale (criteri di accettabilita' a deposito; modalita' di confezionamento accettabili; inventario radiologico; ecc.); b) dimensionamento preliminare della capacita' totale del Deposito nazionale, anche in funzione di uno sviluppo modulare del medesimo; c) identificazione dei criteri di sicurezza posti alla base del progetto del deposito; d) indicazione delle infrastrutture di pertinenza del Deposito nazionale; e) criteri e contenuti per la definizione del programma delle indagini per la qualificazione del sito; fi indicazione del personale da impiegare nelle varie fasi di vita del Deposito nazionale, con la previsione dell'impiego di personale residente nei territori interessati, compatibilmente con le professionalita' richieste e con la previsione di specifici corsi di formazione; g) indicazione delle modalita' di trasporto del materiale radioattivo al Deposito nazionale e criteri per la valutazione della idoneita' delle vie di accesso al sito; h) indicazioni di massima delle strutture del Parco Tecnologico e dei potenziali benefici per il territorio, anche in termini occupazionali; i) ipotesi di benefici diretti alle persone residenti, alle imprese operanti nel territorio circostante il sito ed agli enti locali interessati e loro quantificazione, modalita' e tempi del trasferimento. Da quanto sopra esposto appare palese la rilevanza degli interessi regionali coinvolti nella procedura di localizzazione del parco Tecnologico poiche' investe direttamente competenze regionali quali il governo del territorio, la tutela della salute, la protezione civile, le grandi reti di trasporti e navigazione, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Alla luce di cio', seguendo anche l'ormai ben noto e consolidato indirizzo interpretativo di codesta ecc.ma Corte, appare evidente la necessita' che, in sede di determinazione e approvazione della Carta nazionale di cui all'art. 27 qui analizzato, e' necessario il coinvolgimento della conferenza unificata nonche', al momento di procedere alla «specifica localizzazione e alla realizzazione dell'impianto, l'interesse territoriale da prendere in considerazione e a cui deve essere offerta sul piano costituzionale, adeguata tutela, e' quello della Regione nel cui territorio l'opera e' destinata ad essere ubicata. Non basterebbe piu', a questo livello, il semplice coinvolgimento della Conferenza Unificata, il cui intervento non puo' sostituire quello, costituzionalmente necessario, della singola regione interessata (cfr. sentenze n. 383/1994; n. 242 del 1997, n. 303 del 2002 e 6 del 2004)». (sent. n. 62 del 2005). Sono, pertanto, del tutto insufficienti e non rispondenti alla normativa costituzionale, le previsioni di cui ai commi terzo, quarto e quinto del citato art. 27 atteso che il Governo si e' limitato a prevedere che una forma di mera audizione delle osservazioni che comuni, province o regioni possono formulare in relazione al progetto preliminare della carta nazionale di cui sopra, senza, tuttavia, che la Sogin S.p.A o il Ministero, abbiano alcun obbligo sostanziale e formale di tener conto o recepire le istanze degli enti territoriali. 9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 8. Approvata la Carta nel modo sopra illustrato, e' previsto (art. 27, comma 7), che o sulla base di dichiarazioni di interesse di Regioni ed enti locali, o (in assenza di manifestazioni d'interesse) sulla base di trattative intraprese di propria iniziativa, la Sogin SpA pervenga alla definizione di una o piu' ipotesi relative alla localizzazione del «Parco Tecnologico», e che su tale base «il Ministero dello sviluppo economico acquisisce l'intesa delle Regioni interessate». Il comma 8 prevede il caso «di mancata definizione dell'intesa di cui al comma 7 entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della richiesta». Esso dispone che in tale caso «si provvede entro trenta giorni alla costituzione di un Comitato interistituzionale per tale intesa, i cui componenti sono designati in modo da assicurare una composizione paritaria, rispettivamente, dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da un lato, e dalla Regione, dall'altro». Si dispone, di seguito, che «le modalita' di funzionamento del Comitato interistituzionale sono stabilite entro il medesimo termine con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del mare e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti previo parere della Conferenza unificata da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta del parere stesso». Infine, si dispone che «ove non si riesca a costituire il predetto Comitato interistituzionale, ovvero non si pervenga ancora alla definizione dell'intesa entro i sessanta giorni successivi, si provvede all'intesa con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, integrato con la partecipazione del presidente della Regione interessata». Come e' evidente, si tratta di disposizioni pienamente corrispondenti a quelle dell'art. 11, comma 6: medesima soluzione al medesimo problema del dissenso della Regione interessata, prima attraverso il Comitato paritetico, poi - ove non venga costituito o non si raggiunga l'intesa - attraverso il potere sostitutivo dello Stato. Tuttavia, secondo quanto stabilito da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sentenza n. 62 del 2005 (relativa tra l'altro, alla legittimita' del d.l. n. 314/03, convertito in legge n. 368 del 2003, recante «Disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti radioattivi») viene qui in considerazione la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente, sia pure intrecciata con la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio e con gli interessi delle popolazioni insediate nei rispettivi territori: il che impone che siano adottate modalita' di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi. Pur non potendosi dunque in questo caso - che coinvolge anche una materia di competenza esclusiva statale - negare il potere statale di determinazione finale unilaterale, devono tuttavia essere richiamate, trattandosi della localizzazione dell'opera e delle attivita' strumentali alla gestione delle centrali nucleari - le altre censure sopra formulate in relazione all'art. 11, comma 6: sia in relazione alla mancata previsione dell'intesa della Conferenza sulle regole di funzionamento del Comitato interistituzionale, sia quanto alle censure subordinate relative da un lato alla mancata esclusione del potere sostitutivo per le ipotesi in cui sia l'atteggiamento non collaborativo statale a determinare la mancata costituzione del Comitato o il mancato accordo sul da farsi, dall'altro alla illegittimita' della previsione di una intesa formata unilateralmente dallo Stato, anziche' di un semplice atto unilaterale dello Stato. 10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, comma 11. L'art. 27, comma 11, riguarda la fase di determinazione finale della localizzazione del Parco Tecnologico e del Deposito Nazionale. Vi si dispone che il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca per gli aspetti relativi all'attivita' di ricerca, sulla base della proposta formulata dalla Sogin S.p.A e del parere vincolante dell'Agenzia, individua con proprio decreto il sito per la realizzazione del Parco Tecnologico e ne attribuisce il diritto di svolgere le attivita' di cui al presente articolo in via esclusiva alla stessa Sogin S.p.A. La disposizione appare illegittima in quanto - pur dovendosi considerare acquisita l'intesa della Regione interessata (o la determinazione sostitutiva) nelle fasi precedenti della procedura - non e' prevista l'intesa della Conferenza unificata. Sia consentito di richiamare qui il passo della citata sentenza n. 62 del 2005, a termini del quale «e' corretto il coinvolgimento che il decreto-legge attua, delle Regioni e delle autonomie locali nel loro insieme, attraverso la Conferenza unificata Stato-Regioni-autonomie locali, chiamata a cercare l'intesa sulla individuazione del sito (art. 1, comma 1, del decreto-legge impugnato)». Non e' corretto, invece, che tale intesa non sia prevista, come nel presente caso, essendo fuori discussione l'interesse delle Regioni a partecipare alla corretta scelta del sito del Deposito nazionale e del Parco tecnologico. 11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 27, commi 14, 15 e 16. I commi 14, 15 e 16 disciplinano il rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio del Deposito nazionale e di tutte le altre opere connesse comprese nel Parco Tecnologico. Il comma 14 dispone che «l'Agenzia, anche in base all'esito delle procedure di VIA, rilascia parere vincolante al Ministero dello sviluppo economico che, sulla base di esso, entro trenta giorni dalla comunicazione del parere stesso, indice una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 con i Ministeri concertanti, la Regione e gli enti locali interessati e con tutti gli altri soggetti e le amministrazioni coinvolti, da individuare sulla base dello specifico progetto, che non abbiano gia' espresso il proprio parere o la propria autorizzazione nell'ambito dell'istruttoria svolta dall'Agenzia». Il comma 15 a sua volta dispone che «qualora in sede di conferenza di servizi di cui al comma 14, non venga raggiunta la necessaria intesa con un ente locale coinvolto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, assegna all'ente interessato un congruo termine per esprimere l'intesa; decorso inutilmente tale termine, previa deliberazione del Consiglio dei ministri cui partecipa il presidente della regione interessata all'intesa, e' adottato, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sostitutivo dell'intesa». Secondo il comma 16, infine, «nei trenta giorni successivi alla positiva conclusione dell'istruttoria, il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, rilascia con proprio decreto l'autorizzazione unica, disponendone la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e nei siti Internet dei relativi Ministeri e dell'Agenzia.». Anche tale disposizione non prevede l'intesa con la Conferenza unificata, ed e' dunque costituzionalmente illegittima per le stesse ragioni esposte sopra in relazione all'art. 27, comma 11, in relazione alla individuazione del sito.