Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
Lazio 16 aprile 2009, n. 14 (Disposizioni in materia  di  personale),
promosso dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  ricorso
notificato il 22 giugno 2009, depositato in cancelleria il 30  giugno
2009 ed iscritto al n. 44 del registro ricorsi 2009. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lazio; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  maggio  2010  il  Giudice
relatore Sabino Cassese; 
    Uditi l'avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo  per  il  Presidente
del Consiglio dei  ministri  e  l'avvocato  Massimo  Luciani  per  la
Regione Lazio. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  impugnato,   in
riferimento agli artt. 3 e 97  della  Costituzione,  la  legge  della
Regione Lazio 16 aprile 2009,  n.  14  (Disposizioni  in  materia  di
personale), il cui art. 1, in particolare, dispone quanto segue:  «1.
In considerazione del processo di  riorganizzazione  delle  strutture
regionali, al fine di favorire la razionalizzazione  degli  organici,
assicurare   il   buon   andamento   dell'amministrazione    evitando
interruzioni e disfunzioni nell'attivita' gestionale, e' fatta  salva
la qualifica o categoria gia' attribuita al personale  alla  data  di
entrata in vigore della presente legge per effetto  dell'applicazione
dell'articolo 22, comma 8, della legge regionale 1° luglio  1996,  n.
25  (Norme  sulla  dirigenza  e  sull'organizzazione   regionale)   e
successive modifiche, purche' lo stesso abbia svolto  le  funzioni  o
mansioni  corrispondenti  alla  predetta   qualifica   o   categoria,
conferite con atto formale ed effettivamente esercitate per almeno un
triennio. 2. Le disposizioni di  cui  al  comma  1  si  applicano  al
personale dei ruoli regionali in servizio alla  data  di  entrata  in
vigore della presente legge. 3. E' fatta salva la posizione economica
acquisita dal personale, anche in  stato  di  quiescenza,  a  seguito
dell'espletamento delle funzioni o mansioni, correlate alla qualifica
o categoria gia' rivestita, purche' formalmente attribuite». 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri premette che scopo della
legge  censurata  e'  il  mantenimento  degli  obiettivi  perequativi
fissati dall'art. 22 della legge della Regione Lazio 1° luglio  1996,
n. 25 (Norme sulla dirigenza e sull'organizzazione regionale), con la
quale, ai fini della soluzione delle «sperequazioni determinatesi  in
sfavore del personale regionale non inquadrato ai sensi  delle  leggi
fino ad allora intervenute  in  materia  e  richiamate  dalla  stessa
norma», si rinviava ad un «successivo provvedimento legislativo».  Il
ricorrente inoltre riferisce che e' successivamente  stato  approvato
il  regolamento  della  Giunta  regionale  10  maggio  2001,   n.   2
(Regolamento  di  attuazione  dell'art.  22,  comma  8,  della  legge
regionale 1° luglio 1996, n. 25), che ha disciplinato puntualmente il
procedimento  relativo   al   nuovo   inquadramento   del   personale
interessato alla c.d. perequazione, la cui  conclusione  ha  condotto
all'attribuzione   di   nuove   qualifiche,   dirigenziali   e    non
dirigenziali, a circa 480 dipendenti regionali, risultati in possesso
dei  requisiti  richiesti.  Tale  regolamento,  tuttavia,  e'   stato
dichiarato illegittimo dal Tar Lazio, con sentenza depositata in data
11  aprile  2008,  n.  3108,  i  cui  effetti  esecutivi  sono  stati
confermati, in sede cautelare, dal Consiglio di Stato, con  ordinanze
n. 3925, n. 3926 e n. 3921 del 18 luglio 2008. 
    Tutto cio' premesso, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
ritiene  che  la  disciplina  legislativa  regionale  censurata   sia
costituzionalmente illegittima sotto diversi profili. 
    In primo luogo, essa violerebbe l'art. 3 Cost., sotto il  profilo
della  ragionevolezza,  in  quanto  sarebbe  «manifestamente  errato,
perche' privo di contenuto», il riferimento da essa  effettuato  alla
disposizione di cui all'art. 22, comma 8, della legge regionale n. 25
del 1996, la quale «non individua alcun criterio  in  base  al  quale
realizzare i diversi inquadramenti del personale in servizio»,  tanto
che essa a sua volta rinvia ad un successivo provvedimento. 
    In  secondo  luogo,  la  disciplina  impugnata  si  porrebbe   in
contrasto, ad avviso del ricorrente, con «i principi di imparzialita'
e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 Cost.»,  perche',  nel  far
salvi  gli  inquadramenti  disposti  all'esito  del  procedimento  di
perequazione previsto dal regolamento annullato  dal  Tar  del  Lazio
insieme  ai  relativi  atti  applicativi,   da   un   lato,   avrebbe
sostanzialmente eluso le statuizioni del  giudice  amministrativo  e,
dall'altro, avrebbe consentito l'accesso dei  dipendenti  a  funzioni
piu' elevate in  deroga  alla  regola  del  pubblico  concorso  e  in
contrasto con la giurisprudenza della Corte  costituzionale,  secondo
la quale tale deroga e' ammissibile solo «in  presenza  di  peculiari
ragioni giustificatrici» e comunque «non sono  ragionevoli  le  norme
che prevedano scivolamenti automatici verso posizioni superiori». 
    2. - Si e' costituita in giudizio, con atto depositato in data 28
luglio  2009,  la  Regione  Lazio,  chiedendo  che  il  ricorso   sia
dichiarato manifestamente  inammissibile  o,  in  subordine,  che  le
censure in esso contenute siano dichiarate manifestamente infondate. 
    La difesa regionale ritiene, in particolare, che la prima censura
svolta dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  relativa  alla
irragionevolezza asseritamente connessa alla  mancata  individuazione
dei criteri per gli inquadramenti  del  personale  in  servizio,  sia
infondata  dal  momento  che  la  legge  impugnata  «ha  inteso  dare
fondamento  legislativo  alle  previsioni  di  cui   al   regolamento
regionale n. 2 del 2001», che  «prevedeva  proprio  quei  criteri  di
inquadramento la cui mancanza» viene lamentata  dal  ricorrente.  Del
resto -  osserva  ancora  la  Regione  -  la  disciplina  legislativa
regionale  censurata  «non  fa  altro   che   mantenere   fermi   gli
inquadramenti gia' disposti in forza della legge regionale n. 25  del
1996 e del regolamento regionale n. 2 del  2001,  sicche'  non  aveva
alcun bisogno di stabilire criteri che, in realta', erano gia'  stati
fissati in precedenza». 
    Quanto alla censura relativa alla violazione degli artt. 3  e  97
Cost.,  per  asserita  elusione   delle   statuizioni   del   giudice
amministrativo, la difesa regionale osserva che la pronuncia del  Tar
Lazio n. 3108 del 2008 ha annullato  per  vizio  di  incompetenza  il
regolamento regionale n. 2 del 2001, e i relativi  atti  applicativi,
cio' in quanto la Regione Lazio aveva adottato un regolamento  e  non
una  legge  regionale.  Sicche'  la  legge   impugnata   «lungi   dal
contrastare, porta esattamente ad effetto quanto  stabilito  dal  Tar
del Lazio, procedendo  all'adozione  di  quell'atto  legislativo  del
quale il giudice amministrativo aveva  constatato  (e  censurato)  la
carenza». Inoltre, la difesa regionale ritiene che non sussista alcun
divieto   di   adottare   leggi   che   incidano   sui   procedimenti
giurisdizionali in corso,  purche'  non  annullino  gli  effetti  del
giudicato, che nella fattispecie in esame non si e' formato. 
    Con riferimento, infine,  alla  censura  relativa  alla  asserita
violazione del principio del concorso pubblico, la  difesa  regionale
considera sussistenti le condizioni  richieste  dalla  giurisprudenza
costituzionale affinche' siano consentite  deroghe  alla  regola  del
concorso pubblico: in primo luogo, l'area di validita'  della  deroga
sarebbe  infatti  «delimitata  in   modo   molto   preciso,   essendo
applicabile solo ed  esclusivamente  ad  una  categoria  puntualmente
indicata di  dipendenti  regionali»;  in  secondo  luogo,  la  deroga
sarebbe  giustificata  da  «peculiari  e  straordinarie  esigenze  di
interesse  pubblico»,  consistenti  nell'esigenza  di  soddisfare  le
«finalita' perequative gia' perseguite con il  regolamento  regionale
n. 2 del 2001». 
    3. - In data 20 aprile 2010,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  ha  depositato  memoria  con  la  quale  ha  ribadito  quanto
sostenuto nell'atto introduttivo del giudizio. La difesa erariale  ha
rilevato, in particolare, che anche il Consiglio di Stato, sezione V,
con ordinanza depositata il 4 agosto 2010, ha sollevato questione  di
legittimita' costituzionale della legge  censurata,  in  ordine  alla
quale ha «diffusamente (e condivisibilmente) rappresenta[to] dubbi di
legittimita' costituzionale». 
    4. - In data 20 aprile 2010, la Regione Lazio ha depositato a sua
volta memoria, confermando e sviluppando  le  argomentazioni  esposte
nell'atto   di   costituzione.   La   difesa    regionale    ritiene,
preliminarmente, che il ricorso sia inammissibile,  perche'  riferito
ad una intera legge  regionale  le  cui  previsioni  non  sono  tutte
oggetto   di   argomentata   censura,   o,   comunque,   parzialmente
inammissibile,  dovendo  essere  scrutinato  con  esclusivo  riguardo
all'art. 1, comma 1, della legge impugnata.  Nel  merito,  la  difesa
regionale ribadisce quanto affermato nell'atto di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  impugnato  la
legge della Regione Lazio 16 aprile  2009,  n.  14  (Disposizioni  in
materia di personale), la quale stabilisce, in particolare,  che  «e'
fatta salva la qualifica o categoria  gia'  attribuita  al  personale
alla data di entrata in  vigore  della  presente  legge  per  effetto
dell'applicazione dell'articolo 22, comma 8, della legge regionale 1°
luglio 1996, n.  25  (Norme  sulla  dirigenza  e  sull'organizzazione
regionale) e successive modifiche, purche' lo stesso abbia svolto  le
funzioni  o  mansioni  corrispondenti  alla  predetta   qualifica   o
categoria, conferite con atto formale  ed  effettivamente  esercitate
per almeno un triennio». 
    Ad avviso del ricorrente la disciplina impugnata si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 3 e 97  della  Costituzione.  Essa,  nel  far
salvi gli effetti di provvedimenti di reinquadramento  di  dipendenti
regionali adottati  in  applicazione  del  regolamento  della  Giunta
regionale 10 maggio 2001, n. 2 (Regolamento di  attuazione  dell'art.
22, comma 8, della legge regionale 1° luglio  1996,  n.  25),  a  sua
volta attuativo dell'art. 22 della legge della Regione  Lazio  n.  25
del 1996, da un lato, eluderebbe la pronuncia con  cui  il  Tribunale
amministrativo del Lazio ha annullato il predetto  regolamento  n.  2
del 2001 e, dall'altro lato, consentirebbe l'accesso dei dipendenti a
funzioni piu' elevate in deroga alla regola  del  pubblico  concorso.
Tale normativa violerebbe poi l'art. 3 Cost. sotto il  profilo  della
ragionevolezza, in quanto  sarebbe  «manifestamente  errato,  perche'
privo  di  contenuto»,  il  riferimento  da  essa   effettuato   alla
disposizione di cui all'art. 22, comma 8, della legge  della  Regione
Lazio n. 25 del 1996. 
    2.  -  Deve  essere  preliminarmente  disattesa  l'eccezione   di
inammissibilita'  sollevata  dalla  Regione  Lazio   per   avere   il
ricorrente  impugnato  una  intera  legge  regionale.  Per   costante
giurisprudenza costituzionale, sono  infatti  «ammissibili  [...]  le
impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative  omogenee
e tutte coinvolte dalle censure» (fra le molte, sentenza n.  201  del
2008). Nel caso in esame, e' palese  che  le  norme  contenute  nella
legge  impugnata  sono  omogenee  e  tutte  coinvolte  dalle  censure
formulate nel ricorso. Il testo  legislativo  censurato  si  compone,
infatti, di due articoli: il primo dispone la «perequazione»  che  e'
oggetto diretto delle censure argomentate nel ricorso (comma  1),  ne
circoscrive l'area dei destinatari (comma 2) e ne regola, infine, gli
effetti sul piano della posizione economica del personale che  vi  e'
interessato (comma 3); il secondo si limita a regolare  l'entrata  in
vigore della legge. 
    3. - Nel merito, la  questione  e'  fondata  con  riferimento  al
principio del concorso pubblico, di cui all'art. 97 Cost. 
    La  disciplina  oggetto  di  censura  concerne  i  meccanismi  di
inquadramento  dei  dipendenti   regionali   provenienti   da   altre
amministrazioni. Con la legge della Regione Lazio 23 marzo  1988,  n.
15 (Reinquadramento del personale gia' inquadrato  alla  Regione  con
l.r. 15 gennaio 1983, n. 2 e con l.r. 15 gennaio 1983, n. 3),  alcune
categorie di dipendenti  regionali,  gia'  inquadrati  in  base  alla
corrispondenza fra le qualifiche rivestite nell'ente di provenienza e
quelle  proprie  dell'ordinamento  regionale,  hanno   ottenuto   una
revisione di tale inquadramento,  sulla  base  di  un  criterio  piu'
favorevole, fondato sui titoli posseduti ad  una  certa  data  e,  in
particolare,  sull'anzianita'  di  servizio.  Cio'  ha  prodotto  una
situazione di asserita «sperequazione» rispetto ai dipendenti che non
hanno  potuto  beneficiare  di  tale  piu'  favorevole  criterio   di
inquadramento, per rimediare alla  quale  e'  intervenuto,  dapprima,
l'art. 22, comma 8, della legge della Regione Lazio n.  25  del  1996
(che  pero'  si  e'   limitato   a   rinviare   ad   un   «successivo
provvedimento») e, in seguito, il regolamento n. 2 del 2001,  che  ha
esteso anche  al  personale  in  precedenza  escluso  il  diritto  di
ottenere la revisione  del  proprio  inquadramento,  secondo  i  piu'
favorevoli criteri previsti dalla legge regionale n. 15 del 1988.  Il
successivo annullamento di tale regolamento, unitamente agli atti  di
reinquadramento in base ad esso  adottati,  da  parte  del  Tribunale
amministrativo  regionale,  ha  indotto,   infine,   il   legislatore
regionale ad approvare la disciplina impugnata,  volta  a  sanare  la
posizione dei dipendenti regionali «perequati». 
    Tale disciplina, nel riconoscere ad un vasto numero di dipendenti
regionali (ivi compresi molti  dirigenti)  l'accesso  ad  un  livello
superiore di inquadramento, acquisito in base ad un  procedimento  di
«perequazione» esclusivamente  ad  essi  riservato,  rappresenta  una
deroga al principio del concorso pubblico. Secondo la  giurisprudenza
consolidata  della  Corte  costituzionale,   infatti,   il   concorso
pubblico, quale «forma generale e ordinaria di  reclutamento  per  le
pubbliche amministrazioni», e' necessario non soltanto nelle «ipotesi
di assunzione di soggetti  precedentemente  estranei  alle  pubbliche
amministrazioni, [ma anche...] nei casi  di  nuovo  inquadramento  di
dipendenti gia' in servizio (cio' che comunque costituisce una "forma
di reclutamento")» (fra le molte, sentenza n. 293 del 2009). 
    Questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato  che  la  facolta'  del
legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso  pubblico
deve essere «delimitata in  modo  rigoroso»  (fra  le  piu'  recenti,
sentenze n. 100 e n. 9 del  2010).  Simili  deroghe  possono  infatti
considerarsi  legittime  solo  quando  funzionali  esse  stesse  alle
esigenze di  buon  andamento  dell'amministrazione  e  ove  ricorrano
«peculiari e straordinarie esigenze di interesse  pubblico  idonee  a
giustificarle» (sentenza n. 293 del 2009). 
    Ebbene, nella fattispecie in esame, tali esigenze non ricorrono. 
    Non puo' essere infatti condivisa la tesi della difesa regionale,
secondo  cui  la  deroga  al  concorso  pubblico   introdotta   dalla
disciplina   impugnata   sarebbe   giustificata    dalle    finalita'
«perequative» che la ispirano. A prescindere dalla circostanza che la
c.d.  «perequazione»,  assicurata   dalle   disposizioni   censurate,
determinerebbe, a sua volta, una piu' grave disparita' di trattamento
fra i dipendenti che ne verrebbero a beneficiare e quelli  che  hanno
avuto accesso alle medesime qualifiche in virtu' del  superamento  di
un concorso, va comunque rilevato che questa Corte ha avuto modo,  in
piu' occasioni, di chiarire quale sia la natura  delle  «peculiari  e
straordinarie esigenze  di  interesse  pubblico»  che  consentono  al
legislatore di derogare  al  principio  costituzionale  del  concorso
pubblico. 
    Esse  devono  essere  ricollegabili   alle   peculiarita'   delle
«funzioni» che il personale  da  reclutare  e'  chiamato  a  svolgere
(sentenza n. 293 del 2009); devono riferirsi a specifiche  necessita'
«funzionali» dell'amministrazione (sentenze n. 215 del 2009 e n.  363
del 2006); devono  essere  desumibili  dalle  «funzioni»  svolte  dal
personale reclutato (sentenza n. 81 del  2006).  Alla  luce  di  tali
affermazioni, e' da escludere che ragioni giustificative della deroga
al concorso pubblico possano essere  ricollegate  ad  un  particolare
interesse  degli  stessi  dipendenti  beneficiari  della  deroga   o,
comunque, ad esigenze strumentali dell'amministrazione, connesse alla
gestione  del  personale.  Occorre,  invece,  che  eventuali  deroghe
trovino un fondamento giustificativo  nella  peculiare  natura  delle
funzioni dell'amministrazione, cioe' dei compiti ad  essa  attribuiti
per soddisfare  gli  interessi  della  collettivita'  e  per  la  cui
realizzazione i dipendenti pubblici sono reclutati. La  finalita'  di
perequare trattamenti  normativi  e  retributivi  dei  dipendenti  in
servizio risponde ad un interesse strumentale dell'amministrazione  e
prescinde dalla natura delle funzioni attribuite a  tali  dipendenti.
Essa, pertanto, anche se ravvisabile nella disciplina censurata,  non
e'  comunque  in  grado  di  giustificare  il  mancato  rispetto  del
principio del concorso pubblico. 
    Restano assorbiti gli altri profili di censura.