L'Assemblea Regionale Siciliana, nella seduta del 1º maggio 2010,
ha approvato il disegno di legge n. 471, 471-bis, 471-ter dal  titolo
«Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2010», pervenuto
a questo Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, ai sensi e
per gli effetti dell'art. 28 dello  Statuto  speciale,  il  4  maggio
2010. 
    Gli  articoli  della  suddetta  delibera  legislativa  contengono
disposizioni che danno adito a censure di incostituzionalita' per  le
motivazioni che di seguito si espongono. 
    L'art. 4, comma 11, si ritiene in contrasto con gli articoli 3  e
97 della Costituzione. Infatti la norma ivi contenuta dispone che una
indefinita quota del fondo  destinato  ai  trasferimenti  annuali  in
favore dei comuni per lo svolgimento  delle  funzioni  amministrative
conferite dalla vigente legislazione, nonche' a  titolo  di  sostegno
allo sviluppo, rimanga nella disponibilita' dell'Assessore  regionale
per le autonomie locali e la funzione  pubblica,  per  finanziare  le
spese relative ai ricoveri di minori extracomunitari clandestini  non
accompagnati  in  comunita'  o  strutture   disposte   dall'autorita'
amministrativa. 
    La disposizione  seppure  lodevole  e  condivisibile  nel  merito
appare tuttavia viziata da irragionevolezza  intrinseca  laddove  non
determina alcun limite alla quota di riserva. Si  soggiunge  poi  che
viene   rimessa   alla   assoluta   discrezionalita'   dell'Assessore
l'utilizzazione,  per  finalita'   non   attinenti   alla   ordinaria
destinazione del fondo, delle risorse esistenti, la cui  ripartizione
fra   le   amministrazioni    locali    avviene    secondo    criteri
legislativamente preordinati dal comma 2 del medesimo articolo. 
    Gli articoli 6, 8 e 9 attinenti  rispettivamente  all'istituzione
della tassa annuale di concessione regionale per fondo  chiuso,  alle
tariffe in materia di motorizzazione e all'istituzione di nuove  voci
della  tassa  sulle  concessioni  governative  regionali,   suscitano
rilievi di costituzionalita' per violazione degli  articoli  3,  117,
comma 2 lett. e) e 119 della Costituzione e degli articoli 14,  17  e
36 dello Statuto Speciale nonche' del d.P.R. 26 luglio 1965 n. 1074 e
del d.P.R. 17 dicembre 1953  n.  1113  come  modificato  dal  decreto
legislativo 11 settembre 2000 n. 296, nonche' dell'art. 77-ter  comma
19 del devreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito dalla legge  6
agosto 2008, n. 133. 
    Quest'ultimo articolo  rubricato  «Patto  di  stabilita'  interno
delle regioni e delle province autonome» afferma:  «Resta  confermata
per il triennio 2009-2011, ovvero sino all'attuazione del federalismo
fiscale se precedente all'anno 2011, la sospensione del potere  delle
regioni di deliberare aumenti dei tributi, delle  addizionali,  delle
aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di  tributi  ad  esse
attribuiti con legge dello Stato di cui  all'art.  1,  comma  7,  del
decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 24 luglio 2008, n. 126». 
    Le   disposizioni   in   esame   pertanto   contrastano    tutte,
integralmente o parzialmente, come nel caso dell'art. 8, con le norme
statali che non solo hanno imposto alle Regioni di non  aumentare  la
pressione tributaria a carico  dei  contribuenti,  ma  anche  di  non
istituire  nuovi  tributi,  in  quanto  ogni  variazione  in  aumento
andrebbe  a  variare  l'assetto  della  misura  del  tributo   stesso
aggravando la pressione fiscale esistente. 
    L'art. 6,  inoltre,  sembra  essere  confliggente  anche  con  la
«ratio» della legge n. 157/1992 «Norme per la protezione della  fauna
selvatica  omeoterma  e  per  il  prelievo  venatorio».  Detta  legge
autorizza infatti le Regioni  ad  istituire  soltanto  una  tassa  di
concessione (art. 23) per il rilascio dell'abilitazione all'esercizio
venatorio i cui proventi devono essere utilizzati per l'erogazione di
un contributo in favore  dei  proprietari  e/o  conduttori  di  fondi
inclusi  nel  piano  faunistico-venatorio,  ai  fini  della  gestione
programmata della caccia. 
    Nessun onere ulteriore, oltre alla motivata istanza ai competenti
organi amministrativi, e' invece posto a carico del proprietario  che
intende  vietare  sui  propri  fondi  l'esercizio   della   attivita'
venatoria. 
    L'istituzione  della  tassa  in  questione  inoltre  verrebbe   a
costituire anche un ingiustificato gravame al diritto  di  proprieta'
ed una disparita' di trattamento dei proprietari terrieri  dell'isola
rispetto a quelli del rimanente territorio nazionale. 
    La particolare autonomia di cui gode la Regione siciliana ex art.
36 dello Statuto Speciale non puo' giustificare una deroga  a  quanto
sopra esposto. 
    Infatti e' pur vero che la menzionata  norma  statutaria  prevede
che al fabbisogno finanziario della Regione si provvede  a  mezzo  di
tributi deliberati dalla medesima, ma e' necessario stabilire il tipo
di competenza in ordine all'istituzione di nuovi tributi. 
    Codesta ecc.ma Corte  ha  affermato  in  proposito  (ex  plurimis
sentenze n. 138  del  1999  e  n.  367  del  2001)  che  la  potesta'
legislativa concorrente della Regione  si  esercita  nei  limiti  del
sistema tributario ed in ogni  caso  tenendo  conto  «della  esigenza
fondamentale di unitarieta' del sistema tributario e  di  quella  del
coordinamento  con  la  finanza  dello  Stato  e  degli  enti  locali
affinche' non derivi turbamento ai rapporti tributari sul  resto  del
territorio» (sentenza n. 1 del 1999). 
    Codesta ecc.ma Corte nella recente pronuncia n. 123 del 2010,  ha
altresi' affermato che: «a)  in  forza  del  combinato  disposto  del
secondo comma lett. e) del  terzo  comma  e  del  quarto  comma  117,
nonche'  dell'art.  119  Cost.  ,  non  e'  ammissibile  in   materia
tributaria una piena esplicazione di potesta' regionali  autonome  in
carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata  dal
Parlamento nazionale (sentenze n. 102 del 2008 e n. 37 del 2004);  b)
di conseguenza, fino a quando  l'indicata  legge  statale  non  sara'
stata emanata, rimane precluso alle Regioni il potere di istituire  e
disciplinare tributi propri aventi gli stessi presupposti dei tributi
dello Stato  e  di  legiferare  sui  tributi  esistenti  istituiti  e
regolati da leggi statali (sentenze 102 del 2008, n. 75 e  n.  2  del
2006, n. 397 e n. 335 del 2005, n. 37 del 2004)». 
    Queste  ultime  affermazioni  valgono   specificamente   per   le
disposizioni contenute nell'art. 8 con cui il  legislatore  siciliano
approva con propria norma le  tariffe  relative  all'esercizio  delle
attribuzioni degli  organi  periferici  dello  Stato  in  materia  di
motorizzazione trasferite  alla  Regione,  ai  sensi  del  d.P.R.  17
dicembre  1953,  n.1113  e  successive  modifiche  ed   integrazioni,
invadendo la competenza propria dello Stato. 
    Considerato che le suddette tariffe, ai  sensi  dell'articolo  18
della legge 1º dicembre  1986  n.  870,  sono  definite  con  decreto
interministeriale, non  puo'  ritenersi  ammissibile  una  competenza
legislativa della  Regione  nella  materia  «de  qua»,  atteso  anche
l'esplicita disposizione della norma  di  attuazione  in  materia  di
comunicazioni e trasporti di cui all'art. 1, secondo comma del d.P.R.
n. 1113/1953 modificato dal decreto legislativo n.  296/2000  per  il
quale  la  Regione  siciliana  esercita   nell'ambito   del   proprio
territorio tutte le attribuzioni degli organi periferici dello  Stato
«ai sensi dell'art.  20  dello  Statuto,  secondo  le  direttive  del
Governo dello Stato». 
    Per quanto attiene all'art. 9,  che  introduce  nuove  voci  alla
tassa di concessioni governative regionali, si rileva che la  stessa,
disciplinata dal decreto legislativo 22 giugno  1991  n.  230,  debba
considerarsi tributo dello  Stato  poiche'  istituita  da  una  legge
statale ancorche' il  relativo  gettito  sia  devoluto  alla  Regione
stessa (sentenze Corte costituzionale n. 216 e n. 298 del 2009). 
    Cosi' come affermato da codesta Corte (ex  plurimis  sentenze  n.
297 e 311 del 2003) trattandosi di tributo statale si  deve  ritenere
preclusa la potesta' delle Regioni ed anche della  Regione  Siciliana
(sentenza C.C. n. 442/2008) di modificare e/o integrare la  normativa
statale. 
    Si ritiene poi in contrasto con gli articoli  117;  119,  secondo
comma e 120 della Costituzione il settimo comma dell'art. 16. 
    Questo dispone che «A decorrere dall'anno 2009 il concorso  degli
enti locali al contenimento della spesa per  il  personale,  previsto
dalla vigente normativa nazionale, viene calcolato  includendo  nella
base di riferimento gli effetti prodotti dall'articolo  3,  comma  2,
della legge regionale 14 aprile 2006, n. 16 e consolidati  alla  data
del 31 dicembre 2008». 
    La     norma     sostanzialmente     consentirebbe,      peraltro
retroattivamente, una diversa definizione della base di  calcolo  per
gli oneri del personale ai fini del rispetto  degli  obiettivi  posti
dal patto di stabilita' interno, con presumibili effetti negativi per
il  bilancio  dell'ente  e  conseguentemente  sui  saldi  di  finanza
pubblica. 
    Sulla base degli articoli 77-bis e 77-ter  del  decreto-legge  25
giugno 2008 n. 112, convertito con modificazione in  legge  6  agosto
2008, n. 133, che, come sancito da  codesta  Corte  con  le  sentenze
n.36/2004,  n.  35/2005  e  n.   159/2008,   costituiscono   principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica  ai  fini  della
tutela dell'unita' economica della repubblica,  la  competenza  delle
Regioni a statuto speciale in  materia  di  patto  di  stabilita'  e'
riconosciuta esclusivamente alle autonomie speciali  che  erogano  le
risorse per la finanza locale e non anche a quelle come  la  Sicilia,
nei cui territori tuttora il Ministero  dell'interno  trasferisce  le
suddette risorse agli enti locali. 
    Gli enti locali siciliani, dal 1999 ad  oggi,  sono  assoggettati
alle  regole  generali  dettate  dalla  legislazione  nazionale,  con
conseguente  monitoraggio  e  verifica   da   parte   del   Ministero
dell'economia e delle finanze e  per  essi  quindi  non  puo'  essere
consentita una diversa  modalita'  di  computo  degli  oneri  per  il
personale non preventivamente assentita dagli organi statali. 
    La Corte costituzionale, con sentenza n. 257/2007,  inoltre,  nel
pronunciarsi  in  analoga  questione  relativa  ai  criteri  per   il
raggiungimento  del  patto  di  stabilita'  interno   della   regione
Sardegna, ha chiarito che « deve ritenersi consentito alle regioni di
porre limiti ulteriori alla spesa pubblica degli enti  locali,  anche
attraverso la previsione di  un  tetto  massimo  piu'  basso»;  nella
fattispecie in esame, invece, la norma vorrebbe  determinare  criteri
differenti a quelli statali e non  ulteriori  per  il  calcolo  delle
spese per il personale ai fini del rispetto degli obiettivi posti dal
patto di stabilita' interno per gli enti locali. 
    Si ritengono poi lesi gli artt. 3 e  97  della  Costituzione,  da
quanto previsto con l'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 21. 
    Detta norma dispone  «Nel  caso  in  cui  lo  scioglimento  delle
societa'  termali  preceda  l'attuazione  dell'art.  20,  l'assessore
regionale per l'economia provvede con proprio decreto, nelle more, ad
assicurare l'occupazione del personale». 
    Nel   comprensibile   intento   di   salvaguardare   i    livelli
occupazionali del personale delle societa' partecipate dalla  Regione
«Terme di Sciacca S.p.A.» e «Terme di Acireale S.p.A .» con modalita'
e criteri  corrispondenti  a  quelli  che  verranno  disposti  per  i
dipendenti di tutte le altre  societa'  a  totale  e/o  maggioritaria
partecipazione  regionale,  interessate  dal  processo  di   riordino
previsto dal precedente articolo 20, si pone a carico  dell'Assessore
per l'economia di provvedere, qualora lo scioglimento delle  societa'
termali in questione  dovesse  precedere  l'attuazione  del  suddetto
riordino, ad assicurare l'occupazione dei lavoratori. 
    Detta  previsione  appare  nella  sua  estrema  genericita'   non
corrispondente alla «ratio» intrinseca del combinato  disposto  degli
articoli 20 e 21 dalla  cui  attuazione  si  intende  conseguire  una
maggiore efficacia ed efficienza dell'attivita' regionale nelle  aree
di interesse ritenute strategiche e,  soprattutto,  economicita'  per
ridurre gli oneri che gravano sulle finanze della Regione stessa.  La
norma pertanto appare affetta da irragionevolezza  oltre  che  lesiva
del  principio  costituzionale  del  buon  andamento  della  Pubblica
Amministrazione. 
    La disposizione censurata sembra infatti essere volta a garantire
l'occupazione  al  personale,  indipendentemente  dalla   necessaria,
preventiva     e     prioritaria      valutazione      dell'interesse
dell'amministrazione di avvalersi delle  prestazioni  lavorative  dei
dipendenti in questione. 
    Art. 36  «Interpretazione  autentica  dell'art.  39  della  legge
regionale 29 dicembre  1980,  n.  145  e  dell'art.  24  della  legge
regionale 23 dicembre 2000, n. 30. 
    A1 fine di  assicurare  effettivita'  all'esercizio  dei  diritti
politici, l'articolo 39 della legge regionale 29  dicembre  1980,  n.
145, e l'art. 24 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30,  sono
intesi nel senso di riferirsi anche al rimborso  delle  spese  legali
sostenute dai sindaci e dai presidenti delle province  regionali  nei
giudizi  a  loro  carico  subiti  per  farne  dichiarare   cause   di
ineleggibilita'   ovvero   di   incompatibilita'   poi   riconosciute
inesistenti.». 
    La suindicata  disposizione  si  ritiene  in  contrasto  con  gli
articoli 3, 97 e 81, comma 4 della Costituzione. 
    La  norma  in  esame  non  sembra   in   realta'   avere   natura
interpretativa delle disposizioni di  cui  all'art.  39  della  legge
regionale n. 145/1980 e all'art. 24 della legge regionale n.  30/2000
riguardanti entrambe l'assistenza legale a carico dell'ente locale in
favore di dipendenti ed amministratori  soggetti  a  procedimenti  di
responsabilita' civile, penale o  amministrativa  in  conseguenza  di
fatti ed atti connessi all'espletamento del servizio  e  dei  compiti
d'ufficio. 
    Codesta Corte con sentenze n. 374 del 2004 e n. 274 del  2006  in
proposito ha affermato che «non e' decisivo verificare  se  la  norma
censurata  abbia  carattere  effettivamente  interpretativo  (e   sia
percio' retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva.
Infatti, il divieto di retroattivita' della legge -  pur  costituendo
fondamentale  valore  di  civilta'  giuridica  e  principio  generale
dell'ordinamento cui  il  legislatore  ordinario  deve  in  principio
attenersi - non e' stato elevato a dignita' costituzionale, salvo per
la materia penale la previsione  dell'art.  25  della  Costituzione».
Quindi il legislatore nel rispetto di tale previsione,  puo'  emanare
sia  disposizioni  di  interpretazione  autentica,  che   determinano
chiarendola la portata precettiva della norma interpretata fissandola
in un contenuto plausibilmente gia' espresso dalla stessa, sia  norme
innovative con efficacia retroattiva, purche' la retroattivita' trovi
adeguata  giustificazione  sul  piano  della  ragionevolezza  e   non
contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente  protetti.
Ed  e',  quindi,   proprio   sotto   l'aspetto   del   controllo   di
ragionevolezza  che  rilevano,  simmetricamente  ,  la  funzione   di
«interpretazione autentica», che  una  disposizione  sia  in  ipotesi
chiamata  a  svolgere,  ovvero  l'idoneita'   di   una   disposizione
innovativa a disciplinare con efficacia retroattiva anche  situazioni
pregresse in deroga al principio per cui la legge non dispone che per
l'avvenire. 
    Inoltre con sentenza n. 234/2007 la Corte ha anche precisato  che
retroattivita' deve trovare adeguata giustificazione sul piano  della
ragionevolezza. 
    Ragionevolezza  che  non  puo'  ritenersi  sussistere  quando   a
situazioni  sostanzialmente  difformi  come  nel  caso   in   ispecie
(procedimenti di responsabilita' e giudizi  elettorali)  si  dia  una
disciplina  identica  non  corrispondente   alla   diversita'   delle
fattispecie (sentenza C.C. n. 108/2006). 
    Dalla disposizione inoltre potrebbero derivare oneri non previsti
e quantificabili a  carico  delle  amministrazioni  locali  prive  di
copertura finanziaria e conseguentemente in violazione dell'art.  81,
quarto comma della Costituzione. 
    La norma contenuta nell'art. 38 dispone in favore degli  impianti
di allevamento ittico, concessionari  di  aree  demaniali  marittime,
l'applicazione del canone  ricognitorio  previsto  dall'art.  39  del
Codice della navigazione. 
    Per   l'applicazione   di   tale   canone   ridotto,   di    mero
riconoscimento, per costante  giurisprudenza  (ex  plurimis  sentenza
Corte di Cassazione sezione I n.  17101  del  3  dicembre  2002)  non
rileva tanto la natura pubblica o privata del  concessionario  ma  il
fine di beneficenza o di pubblico interesse che questi si propone  di
perseguire attraverso la  concessione.  Perche'  poi  sussistano  gli
scopi di pubblico  interesse  occorre,  ai  sensi  dell'art.  37  del
regolamento per la navigazione marittima, che il  concessionario  non
ritragga  stabilmente  alcun  lucro  o  provento  dall'uso  del  bene
demaniale. 
    Siffatto presupposto non puo' di certo ritenersi sussistente  per
gli esercenti gli impianti di  allevamento  ittico  che  naturalmente
svolgono un'attivita' imprenditoriale. 
    La norma in questione quindi creerebbe  un  innegabile  vantaggio
per le imprese siciliane alterando la par condicio tra gli  operatori
economici del settore ed  invadendo  la  competenza  esclusiva  dello
Stato nella materia della tutela della concorrenza  di  cui  all'art.
117, secondo comma, lett. e) della Costituzione. 
    La  disposizione  altresi'  non  quantifica  la  minore   entrata
derivante dall'applicazione della stessa ne' tanto meno individua  le
risorse con cui farvi fronte, ponendosi cosi' in contrasto con l'art.
81, comma 4 della Costituzione. 
    L'art. 44  nell'ottica  di  una  sinergia  istituzionale  per  il
mantenimento e l'innalzamento dei livelli  di  sicurezza  pubblica  e
sociale per incentivare la collaborazione tra Regione, Prefettura  ed
enti  locali  prevede  l'istituzione  di  un   fondo   speciale   cui
confluiscono nella misura  del  30%  ,  i  beni  mobili  ed  immobili
confiscati alla mafia. 
    La possibilita' di disporre  autonomamente  dei  beni  confiscati
alla mafia non appare avere alcun fondamento nello  Statuto  Speciale
in  quanto  ne'  l'art.  14  ne'  l'art.  17  individuano  una   tale
competenza. Questa e' riconducibile piuttosto  a  quella  statale  ai
sensi dell'art. 117, comma 2, lett. h) e l). 
    La previsione appare inoltre in contrasto con la legge n. 50  del
2010 che istituisce l'Agenzia nazionale per i  beni  confiscati  alla
criminalita' organizzata. 
    La norma inoltre laddove destina alle Prefetture siciliane  quote
del fondo in  questione  appare  incidere  sull'attivita'  di  organi
statali ponendosi cosi' in contrasto con la lettera  g)  del  secondo
comma dell'art. 117 della Costituzione. 
    L'assegnazione automatica delle quote del fondo, qualora  sia  in
vigore un «patto territoriale per la  sicurezza»  e'  o  a  richiesta
della Prefettura per interventi specifici sul  territorio,  configura
infatti una  inevitabile  alterazione  delle  ordinarie  attribuzioni
svolte  dagli  uffici  statali  in  quanto  chiamati  in  causa   per
l'esercizio di funzioni pubbliche conferite  legislativamente,  senza
alcun concerto da ente diverso da quello di appartenenza. 
    Codesta Corte in  proposito  con  sentenza  n.  30  del  2006  ha
chiarito che forme di collaborazione e di coordinamento «non  possono
essere  disciplinate  unilateralmente   e   autoritativamente   dalle
Regioni, nemmeno nell'esercizio della loro potesta' legislativa: esse
debbono trovare il loro fondamento o il  loro  presupposto  in  leggi
statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra  gli  enti
interessati». 
    L' art. 48 del disegno di legge in esame, concernente  le  «norme
in materia di tributo speciale  per  il  deposito  in  discarica  dei
rifiuti solidi urbani», prevede, al comma 1, una modifica al comma  6
dell'art. 6 della legge regionale 29 dicembre 2003, n. 21, eliminando
il riferimento temporale al 30 giugno 2004, termine  entro  il  quale
doveva essere presentata l'istanza  di  definizione  agevolata  delle
violazioni relative al tributo speciale per il deposito in  discarica
dei rifiuti solidi. 
    In sostanza il contribuente doveva effettuare  il  pagamento  del
tributo entro il 30 giugno 2004, ma  mentre  nella  vigente  versione
della norma, entro detto termine avrebbe dovuto presentare  l'istanza
di definizione agevolata, con la modifica che  si  intende  apportare
con il comma 1 dell'art. 48 del disegno di legge in  esame,  verrebbe
meno il termine per il citato adempimento poiche'  le  parole  «nello
stesso termine» sono state sostituite dalle  parole  «fermo  restando
l'avvenuto pagamento del tributo nel predetto termine». 
    La  presentazione  dell'istanza  comporta  la   sospensione   del
procedimento giurisdizionale, in qualunque stato e grado  questo  sia
eventualmente pendente (comma 7 dell'art. 6 della  legge  regionale),
nonche' consente alle province della Regione siciliana di disporre lo
sgravio delle somme eventualmente gia' iscritte al ruolo entro dodici
mesi dalla presentazione delle istanze di definizione (comma 11 della
legge regionale). 
    Le disposizioni contenute nel citato art.  48,  comma  1,  creano
perplessita', in do quanto concederebbero una proroga «sine  die»  ai
contribuenti che  ancora  non  hanno  provveduto  alla  presentazione
dell'istanza di definizione agevolata delle violazioni  commesse  con
evidenti ripercussioni sul contenzioso eventualmente ancora  pendente
e sulla certezza delle posizioni giuridiche  soggettive,  producendo,
in definitiva,  una  sostanziale  situazione  di  incertezza  per  le
province che devono gestire  la  procedura  relativa  al  tributo  in
esame. 
    Inoltre, la norma crea una disparita'  di  trattamento  tra  quei
contribuenti che hanno rispettato il termine  previsto  dal  comma  6
dell'art.6 della legge n. 21 del 2003 e coloro i  quali  beneficiano,
con la modifica apportata dal citato art. 48, comma 1, della legge in
esame,  di  una  riapertura  dei   termini   per   la   presentazione
dell'istanza alla provincia. 
    Esso pertanto viola gli artt. 3 e 97 della Costituzione. 
    I commi 1, 3 ultimo periodo  e  4  dell'art.  49  in  materia  di
gestione integrata del servizio idrico destano perplessita' sotto  il
profilo della legittimita' costituzionale. 
    Infatti, pur ribadendo, al primo periodo, gli effetti soppressivi
delle autorita'  d'ambito,  istituite  ai  sensi  dell'art.  148  del
decreto legislativo n. 152 del  2006,  disposti  dall'art.  2,  comma
186-bis, della legge n. 191 del 2009  (legge  finanziaria  2010),  si
prevede al secondo periodo che «la gestione  integrata  del  servizio
idrico e' organizzata  con  separato  provvedimento,  adottato  nelle
forme del citato art. 2, comma 186-bis,» entro un  anno  dall'entrata
in vigore della predetta legge statale. 
    Va rilevato, al riguardo, che l'art. 2, comma 186-bis della legge
n. 191/2009 (legge finanziaria 2010), dispone, invece, che  entro  il
termine citato le Regioni attribuiscano, con legge, le funzioni  gia'
esercitate  dalle   autorita',   nel   rispetto   dei   principi   di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. Pertanto, il comma 1,
secondo  periodo,  della  legge  in  esame,  dopo   aver   richiamato
esclusivamente «le forme» dell'intervento regionale di cui al  citato
comma 186-bis, rinvia, ad un separato provvedimento, l'organizzazione
della gestione integrata del  servizio  idrico  -  che  attiene  alla
tutela dell'ambiente ed alla tutela  della  concorrenza,  materie  di
competenza legislativa esclusiva dello Stato - invece di limitare  il
successivo intervento, secondo quanto  prescritto  dal  citato  comma
186-bis, all'attribuzione ad altro soggetto pubblico  delle  funzioni
attualmente esercitate dalle predette autorita', secondo i richiamati
principi previsti dall'art. 118, primo comma, della Costituzione.  E'
appena il caso di  rammentare,  infatti,  che  il  vigente  art.  148
prevede, al comma 2, che alle  autorita'  d'ambito  siano  demandati,
oltre all'organizzazione, anche l'affidamento e  il  controllo  della
gestione del servizio idrico integrato, da esercitarsi  nel  rispetto
di quanto previsto dagli articoli 150 e seguenti del  citato  decreto
legislativo e, per quanto alle modalita' di affidamento nel  rispetto
della disciplina in materia di servizi pubblici locali  di  rilevanza
economica  contenuta  nell'articolo  23-bis  del   decreto-legge   n.
112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008. Per
questi motivi, il comma 1, secondo periodo, dell'art.  49  in  esame,
eccedendo le competenze statutarie, contrasta  con  il  citato  comma
186-bis, del quale distorce le finalita', in una  materia,  quale  la
tutela dell'ambiente, attribuita alla competenza  esclusiva  statale,
ai sensi dell'art. 117, comma 2,  lett.  s)  della  Costituzione;  la
disposizione, inoltre, contrastando con il citato art. 23-bis,  viola
la competenza statale in materia di tutela  della  concorrenza  (art.
117, comma secondo, lett. e) ed eccede le  competenze  statutarie  in
materia di assunzione di pubblici servizi, che, ai sensi dell'art. 17
dello Statuto  di  autonomia,  deve  svolgersi  entro  i  limiti  dei
principi ed interessi generali cui si informa la  legislazione  dello
Stato. 
    Il comma 3 stabilisce, nell'ultimo periodo, tra l'altro, che, nel
caso  in  cui  la  percentuale   di   mancata   realizzazione   degli
investimenti sia superiore al 40 per cento, l'autorita' d'ambito puo'
risolvere  il  contratto  per  inadempimento,  con  esclusione  delle
ipotesi in cui il  mancato  adempimento  non  dipenda  da  fatto  del
gestore; cosi' disponendo il legislatore regionale eccede  dalla  sua
competenza statutaria invadendo quella esclusiva statale  in  materia
di tutela della concorrenza di cui all'art. 117, comma secondo, lett.
e), nonche' la competenza in materia di  ordinamento  civile  di  cui
alla lettera l) del medesimo articolo. 
    Il comma 4 dispone  che,  nei  casi  di  cui  al  comma  3,  fino
all'espletamento  delle  procedure  di  cui   all'art.   23-bis   del
decreto-legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 133/2008, e comunque non oltre il 31 dicembre  2010,  il  servizio
puo' essere svolto, ai sensi della lettera e) del comma 8 del  citato
art. 23-bis. Tale previsione  consente,  pertanto,  l'affidamento  di
nuove gestioni del servizio idrico secondo modalita' non  conformi  a
quanto stabilito dai commi 2 e 3 del citato art. 23-bis, richiamando,
invece,  la  lettera  e)  del  comma  8  dello  stesso  art.   23-bis
concernente - e' necessario sottolinearlo  -  il  regime  transitorio
delle gestioni affidate prima della nuova disciplina introdotta dallo
stesso art. 23-bis in materia  di  conferimento  della  gestione  dei
servizi pubblici locali. La lettera e) del citato regime  transitorio
riguarda quelle ipotesi  residuali  di  gestioni  non  conformi  alle
modalita' introdotte dalla nuova disciplina (gara, gara cosiddetta «a
doppio oggetto» e «in house» motivato e previo parere dell'Antitrust)
e preesistenti alla medesima, non potendo costituire  in  alcun  modo
una modalita' di conferimento  della  gestione  del  servizio  idrico
integrato applicabile dopo l'entrata in vigore  dell'art.  23-bis  e,
pertanto, in evidente contrasto con le disposizioni  contenute  nello
stesso art. 23-bis e, piu' in generale, coni principi  comunitari  di
cui  tale  disciplina  e'  espressione,  nonche'  con  le   finalita'
pro-concorrenziali perseguite dalla  richiamata  disciplina  statale.
Cosi' facendo, il legislatore regionale, al comma 4, eccede dalla sua
competenza statutaria, invadendo quella statale in materia di  tutela
della concorrenza di cui all'ar. 117, comma secondo, lett. e),  della
Costituzione. 
    I commi 4 e 5 dell'art. 51 si  ritengono  in  contrasto  con  gli
articoli  3,  51  e  97  della  Costituzione  in  quanto   prevedono,
rispettivamente, l'ampliamento di altre 400  unita'  della  dotazione
organica determinata dalla tabella A di  cui  al  secondo  comma  del
medesimo articolo e una individuazione diversa e  piu'  ampia,  della
categoria di precari destinatari dei processi di stabilizzazione. 
    Non appare invero conforme al principio di buon  andamento  della
pubblica amministrazione ampliare ope legis la dotazione organica  di
un cospicuo numero  di  unita'  di  personale,  determinata,  secondo
quanto emerge da chiarimenti forniti ex art. 3 del d.P.R. n. 488/1969
dalle competenti strutture regionali, a seguito della ponderazione  e
valutazione delle proposte  «dettate  da  reali  esigenze  operative,
pervenute  dagli  Uffici  compulsati  a   seguito   dei   rilevamenti
effettuati dal Dipartimento del  personale».  I  dati  relativi  alla
dotazione del personale individuato dalla cennata tabella A sarebbero
stati, peraltro, oggetto di riscontro  «nelle  interlocuzioni  con  i
vari rami dell'Amministrazione» e ritenuti «corrispondenti  a  quelli
occorrenti  per   il   funzionamento   allo   stato   attuale   dell'
Amministrazione». 
    Il  personale  destinatario  dell'inserimento   nella   dotazione
organica e' peraltro in  atto  in  servizio  ai  sensi  dell'art.  1,
secondo comma della legge regionale n. 24/2007  presso  la  «Societa'
beni culturali» S.p.A., societa' questa interamente partecipata dalla
Regione. 
    Il previsto incremento della  dotazione  organica  non  correlato
all'individuazione    di    funzioni,    compiti,     servizi     che
l'amministrazione regionale e'  chiamata  a  svolgere  appare  essere
volto  piuttosto  ad   aumentare   le   possibilita'   di   eventuali
stabilizzazioni  del  personale  interessato  che  in  passato  aveva
prestato  servizio  con  contratto  di  diritto   privato   a   tempo
determinato per la realizzazione di  progetti  di  catalogazione  dei
beni culturali ed  ambientali  finanziati  con  le  risorse  del  POR
2000-2006. 
    Detto personale in ogni caso potra' accedere  alle  procedure  di
stabilizzazione  per  i  posti  relativi  ai  profili   professionali
posseduti vacanti nella pianta organica definita dall'allegato  A  se
in possesso dei  requisiti  prescritti  dalla  normativa  statale  di
riferimento. 
    Parimenti censurabile pero' sotto  il  profilo  della  violazione
degli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione e' la  disposizione  del
comma 5 che introduce criteri diversi e piu' ampi da quelli richiesti
dall'art. 1, comma 558 della legge  n.  296/2006  per  individuare  i
destinatari della norma. 
    Il disporre infatti  che  si  faccia  riferimento  alla  data  di
entrata in vigore  dell'attuale  delibera  legislativa  anziche'  del
citato art. 1, comma 558, della legge n. 296/2006 amplia la  portata,
in misura non quantificabile, delle procedure di stabilizzazione  del
precariato prevista  dall'impianto  normativo  statale,  ritenuto  da
codesta Corte, unica legittima eccezione, in quanto  giustificata  da
peculiari esigenze di interesse pubblico  (ex  plurimis  sentenza  n.
150/2010),   alle   regole   del   pubblico   concorso.   L'eventuale
applicazione  della  norma  regionale  configurerebbe  pertanto   una
modalita' di accesso riservato  lesivo  del  principio  del  concorso
pubblico quale strumento ineludibile di ingresso al pubblico  impiego
come piu' volte ribadito da  costante  e  consolidata  giurisprudenza
costituzionale (ex plurimis sentenze n.  205/2004,  n.  159/2005,  n.
190/2005 e n. 205/2006). 
    La disposizione in questione inoltre, da' luogo ad un trattamento
differenziato rispetto al personale precario di altre amministrazioni
pubbliche,  ponendosi  in  contrasto  con  la  normativa  statale  di
riferimento e viola i principi  di  ragionevolezza,  imparzialita'  e
buon  andamento  della   pubblica   amministrazione,   eccedendo   la
competenza statutaria di cui  all'art.  14  lett.  q)  con  specifico
riferimento al principio del pubblico concorso  che  costituisce  «la
regola   per   l'accesso   all'impiego    alle    dipendenze    delle
amministrazioni pubbliche da rispettare allo scopo di  assicurare  la
loro imparzialita' ed efficienza» (sentenza n. 81/2006). 
    Peraltro le procedure di stabilizzazione previste dalla legge  n.
296/2006 devono ormai ritenersi superate per effetto delle previsioni
create dall'art. 17, commi da 10 a 13 del  decreto-legge  n.  78/2009
convertito in legge n. 102/2009 che con riferimento alla  generalita'
delle  amministrazioni  pubbliche  stabiliscono  nuove  modalita'  di
valorizzazione dell'esperienza professionale acquisita dal  personale
non dirigente attraverso  l'espletamento  di  concorsi  pubblici  con
parziale riserva di posti. 
    Le disposizioni di cui al capo  II  titolato  «Credito  d'imposta
regionale  per  l'incremento  dell'occupazione»   si   ritengono   in
contrasto con l'art. 117 comma 2, lett. e) della Costituzione. 
    Contengono infatti una puntuale ed  esaustiva  disciplina  di  un
contributo nella forma del credito d'imposta pari a 333 euro al  mese
per  ciascun  lavoratore  di  sesso  maschile  e  416  euro  per   le
lavoratrici donne, in favore dei  datori  di  lavoro  che  effettuano
nuove assunzioni di lavoratori  svantaggiati,  molto  svantaggiati  e
disabili per un periodo variabile, a seconda dei soggetti assunti, da
12 a 24 mesi. 
    Il  credito  d'imposta  secondo  l'art.  57  e'  indicato   nella
dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta per il quale
e' concesso ed e' utilizzabile in compensazione ai sensi dell'art. 17
del decreto legislativo n. 241/1997. 
    Al riguardo, non puo' esimersi dal rilevare che con  sentenza  n.
123 del 26 marzo 2010 codesta Corte, in  occasione  del  giudizio  di
un'analoga disposizione della regione Campania, ha affermato  che  la
previsione di un'agevolazione  tributaria  nella  forma  del  credito
costituisce d'imposta applicabile a tributi erariali  un'integrazione
della  disciplina  dei  medesimi  tributi  erariali,  materia  questa
riservata alla competenza legislativa dello Stato. 
    Dal tenore delle disposizioni non puo' infatti desumersi  che  il
credito  d'imposta  in  questione  riguardi  esclusivamente   tributi
regionali o che  comunque  afferiscono  al  territorio  regionale  ed
affluiscono alle casse regionali, in virtu'  delle  previsioni  dello
Statuto speciale. 
    Nello specifico, alla luce del  decreto  legislativo  3  novembre
2005, n. 241, relativo  all'attuazione  dell'art.  37  dello  Statuto
Speciale ove si prevede che, nel  caso  di  impianti  e  stabilimenti
presenti  sul  territorio  siciliano  ma  appartenenti   a   soggetti
fiscalmente  residenti  fuori  dalla  Sicilia,  soltanto  le  imposte
dirette afferenti alle  suddette  unita'  locali  sono  di  spettanza
regionale. La omessa specificazione che l'agevolazione tributaria  e'
da intendersi limitata alla quota d'imposta riferibile agli  impianti
ubicati nella regione, rende palese ed inequivocabile  l'interferenza
del beneficio previsto  con  le  imposte,  o  quote  d'  imposte,  di
competenza esclusiva dello Stato. 
    Codesta Corte poi nella sentenza n.  116  del  2010  a  proposito
della competenza della Regione siciliana di  cui  all'art.  36  dello
Statuto speciale ha chiarito  che  la  cennata  disposizione  «lascia
trasparire  un'originaria  concezione  dell'ordinamento   finanziario
ispirata ad una netta  separazione  fra  finanza  statale  e  finanza
regionale» nel senso che l'ordinamento finanziario della  Regione  si
basa «sull'esercizio di una potesta' impositiva  del  tutto  autonoma
della Regione, in spazi lasciati liberi dalla legislazione tributaria
dello Stato (sentenza C.C. n. 138 del  1999)»  nella  fattispecie  in
esame inesistenti. Inoltre con costante giurisprudenza costituzionale
(da ultimo la citata sentenza n. 123/2010) va considerato  statale  e
non gia' proprio della Regione, il tributo istituito  e  regolato  da
una legge statale ancorche' il relativo  gettito  sia  devoluto  alla
Regione stessa per cui la disciplina, anche di dettaglio, dei tributi
statali e' riservata alla legge statale. 
    L'intervento del legislatore regionale  e'  quindi  da  ritenersi
precluso  anche  solo  ad  integrazione  della  disciplina,  se   non
eventualmente nei limiti stabiliti dalla legislazione statale stessa. 
    Alla luce di tali principi e' innegabile  che  la  previsione  di
un'agevolazione  tributaria  nella  forma   del   credito   d'imposta
applicabile  indistintamente  a  tutti  i  tributi,  anche  erariali,
costituisce un'integrazione alla disciplina dei medesimi in relazione
a  presupposti  (quali  l'assunzione  di  dipendenti)  che  non  sono
stabiliti direttamente o su autorizzazione della legislazione statale
e realizza una  violazione  della  competenza  legislativa  esclusiva
dello Stato in materia di sistema  tributario  contabile  (art.  117,
secondo comma, lett. e) Cost.). Anche le norme  di  attuazione  dello
Statuto escludono la legittimita' di un  intervento  del  legislatore
regionale in subiecta materia, atteso che come  chiarito  da  codesta
Corte nella sentenza n. 116 del 2010 essi hanno costruito un  diverso
modello   dell'ordinamento   finanziario   siciliano,   in    quanto,
«allontanandosi dal  disegno  originariamente  sotteso  alla  formula
testuale dell'art. 36 dello Statuto»  (sentenza  n.  138  del  1999),
prevedono l'«attribuzione alla  Regione  del  gettito  della  maggior
parte dei tributi erariali, riscosso nel territorio regionale, (...),
fermo restando che (...) si applicano nella Regione  le  disposizioni
delle leggi tributarie dello Stato (art. 6 del  d.P.R.  n.  1074  del
1965)» (sentenza n. 138 del 1999; analogamente, la  sentenza  n.  306
del 2004). 
    L'art. 75, recante «Norme in  materia  di  trasporto  aereo»,  in
quanto, seppur nel rispetto dei principi costituzionali di competenza
legislativa la Regione promuove ed adotta una politica  ed  un  piano
regionale dei trasporti per un ordinato, e  coordinato  sviluppo  del
sistema aeroportuale regionale in ambito europeo ed internazionale e,
al fine di valorizzare le  potenzialita'  del  territorio  siciliano,
l'economia e il turismo, l'Assessorato regionale del  turismo,  dello
sport e dello spettacolo introduce misure volte  ad  istituire  nuovi
collegamenti aerei  point  to  point  con  destinazioni  nazionali  e
comunitarie da e per gli aeroporti nel territorio della Regione.  Dal
tenore della norma il legislatore regionale  non  tiene  conto  della
normativa  statale  e  comunitaria  di  riferimento,   invadendo   la
competenza  legislativa  statale   in   materia.   Anche   la   Corte
costituzionale,  pronunciandosi  su  questione  non   dissimile,   ha
stabilito che la disciplina degli aeroporti risponde, da un lato,  ad
esigenze di sicurezza del traffico aereo, e, dall'altro, ad  esigenze
di tutela della concorrenza, le  quali  corrispondono  ad  ambiti  di
competenza esclusiva dello  Stato,  ai  sensi  dell'art.  117,  comma
secondo,  lettere  e)  ed  h),  della  Costituzione  (sent.  C.C.  n.
18/2009). 
    La materia di cui trattasi, infatti, non puo'  essere  ricondotta
alla materia «porti e  aeroporti  civili»,  di  competenza  regionale
concorrente. Tale materia - come la Corte ha gia' affermato (sentenza
n. 51 del 2008) - riguarda le infrastrutture e la  loro  collocazione
sul territorio  regionale,  mentre  la  normativa  in  esame  attiene
all'organizzazione ed all'uso dello spazio  aereo,  peraltro  in  una
prospettiva  di  coordinamento   fra   piu'   sistemi   aeroportuali,
attribuite alla competenza esclusiva dello Stato. 
    L'art. 87 desta censura di costituzionalita' per violazione degli
articoli 3  e  97  Cost.  Esso  prevede  il  trasferimento  da  parte
dell'Assessorato regionale delle risorse agricole di strutture,  aree
di pertinenza e macchinari del mercato del fiore di Contrada Spinello
al comune di Scicli. 
    Nonostante la richiesta di elementi chiarificatori  della  norma,
ai sensi  dell'art.  3  del  d.P.R.  n.  488/1969,  l'amministrazione
regionale non ha fornito assicurazioni  sulla  titolarita'  dei  beni
immobili e mobili,  rendendo  pertanto  irragionevole  la  previsione
legislativa che autorizza il trasferimento  e/o  la  cessione  di  un
immobile su cui non gode alcun diritto reale. 
    La previsione dell'art. 89 che pone l'obbligo ai  comuni  e  agli
enti  locali,  che   forniscono   servizi   di   mense   scolastiche,
universitarie ed ospedaliere, di assicurare e verificare  che  almeno
il 50% dei prodotti alimentari somministrati sia prodotto in Sicilia,
appare  viziato  di  manifesta  irragionevolezza  ed  invasivo  della
competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia  di   tutela   della
concorrenza secondo quanto precisato da codesta Corte  costituzionale
con costante giurisprudenza (ex plurimis  sentenza  n.  245/2007)  in
quanto la disposizione e' in contrasto con  la  finalita'  intrinseca
della legge in cui e' contenuta. 
    Orbene nella fattispecie in  esame  appare  del  tutto  incongruo
perseguire il fine di rilanciare attivita' utili a dare  occupazione,
reddito  e  risparmio  alla  popolazione  a   rischio   di   poverta'
somministrando in elevate percentuali nelle mense gestite dai  comuni
alimenti prodotti nell'isola e distorcendo le funzioni proprie  degli
enti locali volte  a  garantire  la  qualita'  e  l'economicita'  del
servizio anziche' privilegiare determinate categorie di imprenditori. 
    Affetta dal vizio di ragionevolezza di cui agli articoli 3  e  97
della Costituzione e' anche la previsione dell'articolo  104  che  ex
abrupto  modifica  l'art.  6  della  legge  regionale  n.  20/2007  e
trasferisce  la  proprieta'  dell'area  attrezza   di   Punta   Cugno
dall'autorita' portuale di Augusta all'«ASI di Siracusa». 
    Dai chiarimenti acquisiti, ai sensi dell'art.  3  del  d.P.R.  n.
488/1969, si rileva che l'area in  argomento  fa  parte  del  demanio
marittimo statale ed e' inserita nell'elenco delle zone demaniali non
trasferite alla Regione siciliana ai sensi dell'art. 1 e 3 del d.P.R.
n. 117/1977 n. 684 nonche' ricadenti all'interno del porto di Augusta
(porto militare di l a categoria,  mercantile  di  2ª  categoria,  1ª
classe) rientrante nella circoscrizione  territoriale  di  competenza
dell'autorita' portuale  di  Augusta  ex  decreto  istitutivo  del  5
settembre 2001. 
    L'art.  125,  comma  1,  ultimo  periodo  prevede  l'avvio  delle
procedure per il passaggio del personale dell'Ente autonomo fiera del
mediterraneo (35 dipendenti in servizio piu' 6 da  assumere  a  tempo
pieno secondo i chiarimenti forniti, ai sensi dell'art. 3 del  d.P.R.
n. 488/1969) alla societa' Multiservizi S.p.A.,  societa'  ad  intero
capitale  regionale,  mantenendo  il  profilo  professionale   e   il
trattamento giuridico ed economico attualmente goduto. 
    Tale  disposizione  si  ritiene  lesiva  del  principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione nonche'  di  eguaglianza  di
trattamento di cui agli articoli 3 e 97 Cost. poiche'  privilegia  le
aspettative di mantenimento degli attuali livelli occupazionali e  di
reddito dei dipendenti  senza  tenere  in  alcun  conto  le  esigenze
funzionali,  operative  e  finanziarie  della  societa'   partecipata
peraltro interessata, ai sensi dell'art. 20 della  medesima  delibera
legislativa, da un processo di  riordino  globale  delle  societa'  a
totale e maggioritaria partecipazione della  Regione  nel  dichiarato
intento di contenere e razionalizzare la spesa pubblica. 
    L'art. 126 si pone in contrasto con gli articoli 3, 81, comma 4 e
97 della Costituzione;  viene  infatti  disposta  la  concessione  di
contributi ad editori locali da individuare  con  successivo  decreto
presidenziale, omettendo  di  quantificare  l'onere  derivante  e  di
indicare una idonea copertura finanziaria per lo stesso. 
    Il  terzo  comma  inoltre  appare  viziato  da   irragionevolezza
giacche' obbliga tutta la  pubblica  amministrazione  di  riferimento
regionale e locale comprese le Aziende sanitarie, a costituirsi parte
civile in tutti i procedimenti penali e a richiedere  al  giudice  la
pubblicazione di un'eventuale sentenza di condanna  su  quotidiano  a
diffusione  regionale  o  a  disporre  a   propria   cura   e   spesa
pubblicazione dell'estratto di sentenza. 
    Tale    previsione    laddove    impone    indistintamente     ed
incondizionatamente  la  costituzione  di  parte   civile   in   ogni
procedimento penale senza considerare l'entita' e la rilevanza  dello
stesso per l'interesse locale  grava  di  un  onere  finanziario  non
indifferente per il sostenimento delle spese legali  l'ente  pubblico
pur di garantire,  in  ogni  caso,  la  pubblicazione  dell'eventuale
sentenza di condanna con ulteriore aggravio alle finanze pubbliche  e
lieve ristoro economico alle societa' editrici. 
    L'art. 127, comma 14, prevede che  «Le  tasse  sulle  concessioni
regionali  sono  dovute  anche  nel  caso  in  cui  l'autorizzazione,
licenza, abilitazione o altro  atto  di  consenso  per  le  attivita'
comprese nella tariffa di cui al decreto legislativo 22 giugno  1991,
n. 230 e nella  tabella  di  cui  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, sono sostituite dalla denuncia di
inizio attivita'». 
    Detta  disposizione  appare  in  contrasto  con  i  principi  che
regolano  le  tasse  di  concessione  governative  e   regionali   in
questione, il cui pagamento e' legato all'emanazione di un atto o  di
un provvedimento da parte di una pubblica amministrazione. 
    Orbene, nel caso di denuncia di inizio  di  attivita'  l'atto  di
consenso  da  parte  della  pubblica   amministrazione   si   intende
sostituito  dalla  denuncia  stessa,  nella  quale   sono   attestati
l'esistenza dei presupposti e dei requisiti stabiliti dalla legge. 
    Pertanto  non  essendo  prevista  l'emanazione  di  un   apposito
provvedimento,  manca,  di  fatto,  il  presupposto  impositivo   del
tributo. 
    Tale considerazione si  ritrova  anche,  seppure  in  materia  di
imposta di bollo,  nella  risoluzione  n.109/E  del  5  luglio  2001,
dell'Agenzia delle entrate, dove si afferma che «non essendo prevista
l'emanazione di un provvedimento autorizzativo all'esercizio, non  e'
possibile  far  rientrare  tra  le  istanze  volte  ad  ottenere   un
provvedimento le denunzie di inizio attivita' in argomento  che  sono
infatti da considerare come semplici  comunicazioni  e  pertanto  non
soggette ad imposta di bollo, salvo  beninteso,  l'ipotesi  del  caso
d'uso (quando gli atti sono presentati all'Ufficio delle entrate  per
la registrazione)». 
    La disposizione in questione pertanto, nel travalicare  i  limiti
posti in materia tributaria alla competenza legislativa della Regione
dall'art. 36 dello Statuto e  dalle  relative  norme  di  attuazione,
introduce un nuovo tributo non  connesso  al  presupposto  impositivo
fissato dalla norma statale  di  riferimento,  confliggendo  altresi'
palesemente con le  disposizioni  dell'art.  77-ter,  comma  19,  del
decreto-legge n. 112/2008 convertito in legge n. 133/2008 e  si  pone
in contrasto con l'art. 119 della Costituzione.