LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE 
 
    Nel giudizio avente  ad  oggetto  l'opposizione  agli  avvisi  di
accertamento per maggior reddito proposto da Nautica  Faccioli s.n.c.
contro Agenzia delle Entrate di Bologna (periodo di  imposta  2000  e
2001) recante il n. 2885/08 RG Appelli ha emesso la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    La Commissione osserva 
 
                           I n  f a t t o 
 
    Con sentenza n. 138/06/07  del  12  giugno  2007  la  Commissione
Tributaria Provinciale di Bologna respingeva i ricorsi,  dopo  averli
riuniti, della societa' Nautica Faccioli s.n.c., esercente  attivita'
di vendita di  abbigliamento  ed  accessori,  contro  gli  avvisi  di
accertamento n. 796020300670/2004 e 796020300671/2004,  con  i  quali
l'Agenzia delle Entrate di Bologna, aveva imputato un maggior reddito
rispettivamente di € 51.346,39 ed  €  70.925,54  per  il  periodo  di
imposta 2000 e 2001, a seguito di presunti maggiori  ricavi  prodotti
dalla  societa'  calcolati  applicando  al  costo  del  venduto   una
percentuale di  ricarico  calcolata  quale  media  ponderata  tra  le
percentuali utilizzate dalla societa'  alla  merce  comperata  su  un
campione di fornitori e la  percentuale  di  incidenza  del  campione
medesimo sul costo del venduto complessivo. 
    I giudici di primo grado,  dopo  aver  constatato  che  l'Ufficio
aveva ottenuto la percentuale di ricarico prendendo in considerazione
merci acquistate da fornitori  che  avevano  fornito  il  62,75%  del
venduto su cui era stato  applicato  uno  sconto  medio  del  35%  in
relazione al periodo di chiusura  dei  locali  per  ristrutturazione,
respingevano i ricorsi riuniti  perche'  il  contribuente  non  aveva
prodotto alcuna prova atta a  dimostrare  che  gli  sconti  applicati
erano superiori a quelli utilizzati dall'Ufficio e  confutare  quindi
quanto da egli stesso dichiarato durante la  verifica,  cioe'  che  i
ricarichi medi erano del 100% e gli sconti del 10%, e confermavano la
legittimita'  degli  accertamenti  e  la  percentuale   di   ricarico
utilizzata dall'Ufficio pari al 84,83% sul costo del venduto. 
    In data 22 ottobre 2007 il contribuente si costituiva in giudizio
presso  questa  Commissione  Tributaria,  presentando  appello   alla
sentenza  depositata  in  data  25   giugno   2007,   per   eccepire,
preliminarmente, la carenza di motivazione della sentenza  impugnata,
che non aveva  spiegato  l'iter  logico  seguito  per  giungere  alla
decisione, e  l'illegittimita'  dell'utilizzo  di  una  modalita'  di
accertamento induttivo, ai sensi dell'art. 39, secondo comma,  d.P.R.
n. 600/1973, che senza la dimostrazione  dell'inattendibilita'  della
contabilita', rendeva le risultanze delle  percentuali  di'  ricarico
alla stregua di presunzioni semplici, non sufficienti  a  legittimare
un accertamento senza ulteriori elementi di supporto. 
    Nel merito poi la societa' contestava il  campione  di  fornitori
utilizzati dall'ufficio per i due anni  accertati,  perche',  essendo
identico  negli  esercizi  in  questione,  non  teneva  conto   delle
variazioni esistenti  annualmente  nel  settore  di  attivita'  della
societa', cioe' l'abbigliamento, causato dai mutamenti delle  mode  e
dei  marchi  commercializzati  dagli  stessi  fornitori.  Inoltre  la
percentuale di ricarico calcolata dall'ufficio non teneva conto degli
ulteriori sconti effettuati dalla societa' per effetto delle svendite
che erano eseguite soprattutto a fine anno per diminuire le rimanenze
finali e di cui  non  vi  poteva  essere  traccia  documentale  nella
contabilita'. 
    Inoltre il contribuente affermava che la percentuale di  ricarico
era  anche  stata  influenzata  dall'aver  venduto  nel  1994   anche
imbarcazioni ed accessori. Avendo cessato tale vendita, il  materiale
rimasto a magazzino aveva influenzato anche gli esercizi 2000 e  2001
perche'  venduto  con  fortissimi   sconti.   Infine   la   societa',
evidenziando che l'ufficio aveva commesso un errore  di  calcolo  nel
costo del venduto  del  2001  perche',  matematicamente,  non  poteva
essere   uguale   all'importo    di    euro    239.929,87    indicato
nell'accertamento, concludeva chiedendo  la  riforma  della  sentenza
impugnata e le spese di giudizio. 
    Si costituiva in giudizio l'ufficio in data 20 novembre 2008  per
richiedere  pregiudizialmente  l'inammissibilita'  dell'appello   per
violazione dell'art. 3-bis, comma 7 del d.l. n. 203/2005 non  essendo
stata  depositata  la  copia  dell'appello  presso   la   Commissione
Tributaria Provinciale. 
    Nel merito poi l'Ufficio contestava sia la  presunta  carenza  di
motivazione  della  sentenza  impugnata,   sia   l'affermazione   che
l'accertamento sarebbe di tipo induttivo, perche' la verifica non era
stata effettuata sulla base dei dati comunque raccolti, ma sulla base
dei documenti contabili e  delle  dichiarazioni  della  societa'.  Il
campione dei fornitori era rappresentativo perche'  pari  ai  2/3  di
tutti i fornitori e la ripetuta stagionalita' dei prodotti  posti  in
vendita, pretestuosa perche' gli acquisti  erano  stabiliti  con  una
programmazione  di  anno  in  anno,  era   stata   gia'   considerata
dall'Ufficio come  dimostrato  dalle  modalita'  con  cui  era  stato
eseguito l'accertamento. 
    Dopo aver ribadito che l'errore nel calcolo del costo del venduto
2001 era gia' stato corretto nella fase di liquidazione delle imposte
e che le dichiarazioni rese in sede di verifica da mi  soggetto  clic
abbia operato per conto  dell'impresa  possono  essere  utilizzate  a
fondamento  dell'accertamento,  perche'  si  avvicinano   piu'   alla
confessione che all'indizio, fatto salvo  l'obbligo  del  giudice  di
merito di vagliarne l'attendibilita', l'Ufficio concludeva  chiedendo
fosse confermato l'accertamento con condanna alle spese. 
    Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2009  l'appellante  chiedeva
l'accoglimento del ricorso ed in subordine, qualora venisse  ritenuto
applicabile al caso in specie il disposto dell'art. 53, comma  2  del
d.lgs. n.  546/1992  e  conseguentemente  inammissibile  il  ricorso,
previa  sospensione  del  giudizio,  venissero  trasmessi  gli   atti
processuali alla Corte  costituzionale  sollevando  la  questione  di
legittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della
Costituzione, del secondo periodo del comma 2 dell'art. 53 del d.lgs.
1992 nella formulazione introdotta dal 7  comma  dell'articolo  3-bis
del d.l. n. 203/2005 allorche' prevede che «Ove il  ricorso  non  sia
notificato a mezzo Ufficiale Giudiziario, l'appellante deve,  a  pena
di inammissibilita', depositare copia dell'appello  presso  l'ufficio
di segreteria della Commissione  Tributaria  che  ha  pronunciato  la
sentenza impugnata». 
    Argomentava il difensore del  contribuente  che  tale  previsione
violava il diritto di difesa di coloro che avevano notificato  l'atto
a mezzo del servizio postale. 
    Produceva  comunque  ricevuta  di  deposito   dell'appello   alla
Commissione Provinciale recante la data anteriore  a  qualche  giorno
prima dell'udienza posto che la norma non fissava il termine  per  la
consegna della copia dell'appello. 
    Sosteneva che non vi era una identita' di esigenze con il dettato
dell'art. 123 disp.att. al c.p.c. dato che nel processo tributario la
segreteria dell'ufficio di II grado ha  l'onere  di  richiedere  alla
segreteria  della  Commissione  Provinciale   la   trasmissione   del
fascicolo immediatamente dopo il deposito del ricorso in  Commissione
Regionale. 
    Precisava che la stessa Corte costituzionale aveva sostenuto  (n.
189/2000 e n. 520/2002), in riferimento all'art. 24 che riconosce  il
diritto alla difesa, che le  disposizioni  tributarie  devono  essere
lette in armonia con i valori della tutela delle parti  in  posizione
di parita', evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilita'. 
    La difesa dell'Ufficio confermava la richiesta  pregiudiziale  di
inammissibilita' dell'appello. 
 
                         I n  d i r i t t o 
 
    La Commissione ritiene che l'eccezione sollevata dalla difesa del
contribuente sia non manifestamente infondata. 
    Gia' il problema era sorto  allorche'  la  Commissione  Regionale
Sicilia, sezione distaccata di Enna  in  data  9  luglio  2007  aveva
emesso formale ordinanza investendo la Corte costituzionale  di  tale
eccezione. 
    La Corte non si era potuta pronunziare per il  venir  meno  della
giurisdizione del giudice rimettente dovuta a  mutamento  del  quadro
normativo (si trattava di impugnazione di  sanzioni  amministrative).
La questione quindi puo' essere tranquillamente riproposta. 
    Si rileva innanzi  tutto  che  l'inciso  in  questione  e'  stato
introdotto dall'art. 3-bis, comma 7, del d.l. 30 settembre 2005 e' ha
il  chiaro  scopo  di  notiziare  l'ufficio  a  quo  della   pendenza
dell'appello onde evitare l'apposizione della formula esecutiva nella
decisione di primo grado. 
    Iniziativa  pregevole  che  pero'  rende  a   volte   impossibile
l'esercizio del diritto di difesa allorche' il contribuente, che  pur
ha facolta'  di  instaurare  il  rapporto  processuale  non  soltanto
mediante notifica dell'atto alle controparti ma anche con  spedizione
dello   stesso   con   lettera   raccomandata    utilizzando    cosi'
l'abbreviazione del termine posto che «il ricorso s'intende  proposto
al  momento  della  spedizione»,  omette  di  depositare   la   copia
dell'appello presso il giudice a quo, pur instaurando regolarmente il
contraddittorio  attraverso  non  solo  la  vocativo   in   ius,   ma
depositando lo stesso presso il giudice di appello. 
    In  questo  caso  l'esercizio  dell'azione  e'  perfetta   e   la
conoscenza da parte del giudice di primo grado e' compiuta posto  che
la segreteria dell'Ufficio di II grado e' tenuta ex  art.  53  ultimo
comma a richiedere la trasmissione del fascicolo del processo. 
    Del resto la stessa  situazione  si  verifica  allorche'  per  un
disguido  qualsiasi  l'Ufficiale  Giudiziario  al  quale   e'   stato
richiesto di notificare l'appello omette in violazione  dell'articolo
123 disp att. c.p.c.  di  dare  immediatamente  avviso  scritto  alla
segreteria del Giudice di I grado. 
    In tale ipotesi il contraddittorio puo' considerarsi regolarmente
instaurato  (salvo  naturalmente  gli  effetti  disciplinari   e   di
responsabilita'   professionale   dell'ufficiale   giudiziario)   non
incidendo la omissione sul corretto esercizio dell'azione. 
    Sussisterebbe  quindi  a  parere  di   questa   Commissione   una
disparita'  di  trattamento  tra  chi  utilizza  lo  strumento  della
notifica dell'appello attraverso l'Ufficiale Giudiziario e chi, anche
per ragioni di' convenienza (celerita' della procedura)  utilizzi  lo
strumento previsto dal IL comma dell'articolo 20 e  richiamato  dalla
prima parte del II comma dell'art. 53, della spedizione  dell'atto  a
mezzo posta con raccomandata r/r. 
    Appare quindi evidente che la questione e' rilevante in relazione
alla valutazione di ammissibilita' dell'appello e che necessariamente
precede la valutazione sul merito della sentenza appellata.