IL giudice di pace Il giudice di pace dott. Antonio Marchettoni, nel processo penale a carico di Nikolic Svetlana e Markovic Pristina, in atti generalizzate, imputate del reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286/98 accertato in Bettole il 10 dicembre 2009, difese d'Ufficio dall'Avv. Maria Pia Meconcelli del Foro di Montepulciano, ha pronunciato la seguente ordinanza premesso che, all'udienza dell'8 aprile 2010 l'Avvocato difensore delle imputate ha presentato eccezione d'incostituzionalita', cosi' come di seguito riportata: O s s e r v a L'art. 10-bis del decreto legislativo n. 286/1998, introdotto con la novella del 2009 individua una nuova fattispecie di reato contravvenzionale punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro. La condotta punita con la norma incriminatrice in esame consiste nel far ingresso ovvero nel trattenersi nel territorio dello Stato in violazione delle norme contenute nello stesso decreto legislativo nonche' di quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68. Detta norma, a parere della scrivente presenta numerosi profili di incostituzionalita'. In particolare l'art. 10-bis del citato decreto legislativo appare in forte contrasto con gli art. 3, 25 e 27 della Carta costituzionale oltre che con i principi, anch'essi di rango costituzionale di solidarieta' e di ragionevolezza. Va detto in primo luogo che perche' possa ritenersi conforme ai principi della Costituzione il ricorso alla sanzione penale come sanzione adeguata ad una determinata condotta occorre che la condotta incriminata comporti una lesione, e per lesione si deve intendere anche la messa in pericolo, di un bene costituzionalmente rilevante. Inoltre e' necessario che il bene giuridico protetto non possa essere adeguatamente salvaguardato con strumenti giuridici diversi dalla sanzione penale . Solo rispettando questi parametri la norma penale va esente da censure derivanti dal mancato rispetto dei principi di materialita' ed offensivita' del diritto penale e soprattutto di proporzionalita' ragionevolezza ed uguaglianza (art. 3, 25, 27 Cost.). E' dunque da vedere se effettivamente l'art. 10-bis possa ritenersi norma che si colloca nel rispetto dei suddetti principi. Occorre premettere che il principio di offensivita' del diritto penale impedisce che siano introdotte sanzioni che non si ricollegano a fatti colpevoli ma piuttosto a modi di essere. Urta palesemente contro questo principio la recente legge n. 94/2009 che ha operato una criminalizzazione di una condizione personale, quella di migrante, di uno status, piu' che di un fatto materiale. Ulteriore corollario dei principi di materialita' ed offensivita' e' dato dal fatto che fatti puniti dalla norma penale devono essere effettivamente lesivi di un bene giuridico protetto (v. fra le altre Corte cost. n. 364 /1988; n. 354/2002). A tal proposito va detto che la Corte costituzionale con le sentenze n. 22/2007 e n. 78/2007 si era gia' espressa nel senso che il mancato rispetto delle norme sull'ingresso o sulla permanenza nel territorio dello Stato non e' di per se' indice di pericolosita' sociale. L'ultima sentenza citata in particolare dice espressamente che il mancato possesso di titolo abilitativo alla permanenza nello Stato e' un indice che di per se' non e' univocamente sintomatico di una particolare pericolosita' sociale. Se la norma in questione urta contro il principio di materialita' del diritto penale in virtu' del quale si puo' essere puniti con una sanzione penale solo per fatti materiali, principio che si pone come fondamentale garanzia costituzionale, ancor piu' macroscopica appare la violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalita' della pena. Va rilevato prima di tutto come la sanzione penale che si impugna, si sovrappone e coincide con il rimedio amministrativo gia' previsto dal nostro ordinamento per far fronte alle condotte dello straniero privo di titolo di soggiorno, che si vogliono sanzionare. Appare evidente, da come e' congegnata la norma che il primo obiettivo del legislatore sia stato quello di far si' che lo straniero che abbia fatto ingresso o si sia trattenuto nel territorio dello Stato in violazione delle norme del d.lgs. n. 268/1998 o della legge n. 68/2007 sia espulso dal territorio dello Stato. Difatti l'art. 10-bis stabilisce che la pena non si applichi se: 1) lo straniero sia stato destinatario di un provvedimento di respingimento ex art. 10, comma 1, d.lgs. n. 286/1998; 2) lo straniero, nelle more del giudizio penale venga espulso o respinto ex art. 10, comma 2, d.lgs. n. 286/1998 in tal caso il giudice di pace dovra' addirittura pronunciare sentenza di non luogo a procedere. Infine il giudice di pace puo' applicare, in luogo della pena pecuniaria, la sanzione sostitutiva dell'espulsione che, in ogni caso deve essere disposta in via amministrativa. A cio' va aggiunto che la pena pecuniaria prevista per il reato appare totalmente priva di funzione deterrente oltreche' di finalita' rieducativa dal momento che la quasi totalita' degli stranieri irregolari risultera' insolvibile mentre i numerosi processi che, e' facile prevedere, saranno celebrati per il nuovo reato introdotto con la legge del 2009, avranno effetti di intasamento del sistema giudiziario e costi notevoli. Sembra che lo stesso legislatore sia stato consapevole dell'inoffensivita' della condotta incriminata nei confronti dei beni giuridici di rilievo costituzionale, stante il carattere non necessario della sanzione penale che si evince dalla struttura della norma. Inoltre, come gia' accennato, uno dei possibili esiti del procedimento e' quello dell'irrogazione della sanzione sostitutiva dell'espulsione irrogata dal giudice di pace, che si sovrappone completamente al provvedimento di espulsione amministrativa, che peraltro deve essere obbligatoriamente emesso dal giudice. Dalle considerazione sopra esposte l'art. 10-bis si delinea come una norma totalmente irrazionale sia per quanto riguarda la finalita' di tutela di beni costituzionalmente rilevanti, beni che nel caso in esame abbiamo visto non esistere, che nella scelta di ricorrere allo strumento penale senza che ve ne sia stretta necessita' e per raggiungere finalita' per le quali gia' esistono nel nostro ordinamento strumento idonei nel campo del diritto amministrativo. L'altro principio costituzionale con cui la norma in esame risulta in contrasto e' certamente l'art. 3 della Carta costituzionale. Sotto questo profilo viene in rilievo il quinto comma dell'art. 10-bis che prevede la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere nel caso in cui l'imputato sia espulso o respinto ex art. 10, comma 2, del decreto legislativo n. 286/1998. La norma introduce una evidente discriminazione fra coloro che sono stati destinatari di provvedimenti di espulsione o respingimento e quegli stranieri che, pur versando in una condizione in tutto uguale ai primi non sono stati oggetto di simili provvedimenti, e cio' per motivi del tutto indipendenti ed estranei alla sfera di intervento dei destinatari della sanzione, in quanto l'esecuzione dei respingimenti e delle espulsioni dipende dalla discrezionalita' e dalla disponibilita' di mezzi della Pubblica Amministrazione. E' pertanto palese la violazione dell'art. 3 della Costituzione da parte della norma impugnata che impone l'applicazione della sanzione penale nei confronti di un soggetto la cui condotta in nulla si discosta da quella di altro soggetto. L'art. 10-bis contrasta altresi' con l'art. 3 della Costituzione laddove non prevede il «giustificato motivo» che potrebbe aver determinato la condotta incriminata, quale scriminante; giustificato motivo che e' invece espressamente previsto dall'art. 14 comma 5-ter del decreto legislativo n. 286/1998, laddove prevede questa esimente per lo straniero che viola l'ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato, condotta quest'ultima piu' grave e piu' gravemente sanzionata rispetto all'ipotesi criminosa introdotta dalla norma che si impugna. Si ricorda a tal proposito che l'art. 14 comma 5-ter norma ha «retto» alle censure di incostituzionalita' piu' volte evidenziate proprio perche' prevedeva l'esimente del «giustificato motivo» (Corte cost. n. 5/2004; e n. 22/2007). Chiede che il giudice di pace di Montepulciano, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, sollevi la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis e 16 lett. l), ultimo periodo del decreto legislativo n. 286/1998 e 62-bis del decreto legislativo n. 274/2000, introdotti dall'art. l commi 16 e 17 della legge n. 94/2009, per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, ordinando la sospensione del giudizio in corso e rimettendo gli atti alla Corte costituzionale per il relativo giudizio di costituzionalita'; Ritenuto che le questioni di incostituzionalita', come sopra integralmente riportate, fatte proprie da questo giudice, sono in toto condivisibili, in quanto serie, giustificate e comunque non manifestamente infondate, rilevanti nel processo, poiche' se accolte dalla Corte costituzionale, con conseguente declaratoria d'illegittimita' della norma, comporterebbero il non luogo a procedere nei confronti delle imputate dal reato loro ascritto per incostituzionalita' della norma; Ritenuto in sostanza che il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della suddetta questione, solleva questione d'incostituzionalita' degli artt. 10-bis e 16, lett. l), ultimo periodo del d.lgs. n. 286/98 e 62-bis del d.lgs. n. 274/2000, introdotti dall'art. 1 comma 16 e 17 della legge n. 94/2009, per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione;