IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA 
 
    Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento di  sorveglianza
instaurato ex art. 14-ter O.P. avente ad oggetto il reclamo  a  norma
dell'art.  35  dell'ordinamento  penitenziario   avverso   la   nuova
disciplina prevista dall'art. 41-bis,  comma  2-quater,  lettera  f),
O.P. in materia di permanenza  all'aperto  e  preparazione  di  cibi,
introdotta  con  lagge  15  luglio  2009,  n.   94,   presentato   da
M.G., detenuto presso la Casa Circondariale di Cuneo,  sottoposto  al
regime ex art.  41-bis,  comma  2,  O.P.,  difeso  dall'avv.  Michele
Parola, Foro di Cuneo; 
    Visti  gli  atti   del   procedimento   di   sorveglianza   sopra
specificato; 
    Verificata, preliminarmente, la regolarita'  delle  comunicazioni
relative  ai  prescritti   avvisi   al   rappresentante   del   p.m.,
all'interessato ed al difensore; 
    Considerate le risultanze delle documentazioni  acquisite,  delle
investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione e della
discussione di cui a separato processo verbale; 
    Udite le conclusioni del rappresentante del P.M.,  dott.  Roberto
Tesio, e del difensore; 
 
                            O s s e r v a 
 
    Il reclamo generico previsto dall'art. 35 O.P.  e'  lo  strumento
con il quale il detenuto puo' attivare i  poteri  attribuiti  in  via
generale al Magistrato di sorveglianza dall'art.  69,  commi  2  e  5
ultima parte, O.P. 
    Dette  norme  stabiliscono  che  il  Magistrato  di  sorveglianza
«esercita la vigilanza diretta ad assicurare che  l'esecuzione  della
custodia degli imputati sia attuata in conformita' della legge e  dei
regolamenti» e «impartisce nel corso  del  trattamento,  disposizioni
dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei  condannati
e degli internati». 
    La Corte costituzionale con la sentenza n. 26/1999 ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale degli artt. 35 e 69 O.P. nella  parte
in cui' non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti  degli
atti dell'Amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti di  coloro
che sono sottoposti a restrizione della liberta' personale. 
    Pur essendo infatti il reclamo al Magistrato di  sorveglianza  di
cui all'art. 35, comma 1, n. 2, O.P. il mezzo generale  di  doglianza
dei detenuti, esso e' pero' sprovvisto  dei  requisiti  minimi  della
giurisdizionalita'. Non e' invero contemplata, perche' si pervenga ad
una decisione su tale reclamo, alcuna  formalita'  di  procedura  ne'
l'osservanza  del  contraddittorio;   la   decisione,   pur   se   di
accoglimento, si risolve in una mera  segnalazione  o  sollecitazione
all'Amministrazione penitenziaria priva di stabilita' o forza cogente
e contro di essa non e' previsto poi alcun mezzo di impugnazione. 
    Il giudice delle leggi, pur affermando l'esigenza  costituzionale
del  riconoscimento  del  diritto  di  azione   nell'ambito   di   un
procedimento avente carattere giurisdizionale, ha pero'  escluso  che
la lacuna normativa potesse  essere  colmata  in  via  interpretativa
mediante il ricorso ad uno dei procedimenti previsti dalla  normativa
vigente. 
    Pertanto ha chiamato il legislatore a colmare il vuoto  normativo
ed attuare il principio costituzionale affermato. 
    Nell'inerzia del legislatore si e' venuto a creare  un  contrasto
interpretativo nella giurisprudenza della Corte di  cassazione  circa
la possibilita' o meno per l'interprete di  individuare,  tra  quelli
previsti dall'ordinamento, un  rimedio  giurisdizionale  a  carattere
generale suscettibile di garantire l'attivazione del principio  della
necessaria  tutela   giurisdizionale   delle   posizioni   giuridiche
soggettive e di essere quindi esteso alla procedura che si instaura a
seguito di reclamo. 
    Con la sentenza n. 5 resa in data 26 febbraio 2003, depositata il
10 giugno 2003, le Sezioni unite penali  della  Corte  di  cassazione
sono intervenute a comporre il suddetto contrasto  giurisprudenziale,
insorto     nella     specifica     materia     dei     provvedimenti
dell'Amministrazione  penitenziaria  concernenti  i  colloqui  e   la
corrispondenza telefonica dei detenuti. 
    Le statuizioni delle Sezioni unite appaiono applicabili non  solo
ai colloqui visivi e telefonici, ma anche in relazione  a  tutti  gli
atti   dell'Amministrazione   penitenziaria   lesivi   di   posizioni
soggettive dei detenuti e degli  internati  e  quindi  per  tutte  le
materie assistite dalla riserva di giurisdizione. 
    Le Sezioni unite partendo dalla riaffermazione del principio  che
la  restrizione   della   liberta'   personale   non   determina   il
disconoscimento   delle   posizioni    soggettive    attraverso    un
generalizzato assoggettamento all'organizzazione penitenziaria e  che
al riconoscimento della titolarita' di diritti  deve  necessariamente
accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi  a
un  giudice  in  un  procedimento  di  natura  giurisdizionale,   con
l'osservanza delle garanzie procedimentali minime  costituzionalmente
dovute (la possibilita'  del  contraddittorio,  la  stabilita'  delle
decisioni  e  l'impugnabilita'  con  ricorso  per  cassazione)  hanno
individuato  il  rimedio  giurisdizionale  contro  la  lesione  delle
posizioni soggettive del detenuto nel procedimento disciplinato dagli
artt. 14-ter e 69 O.P., che risponde  ad  esigenze  di  speditezza  e
semplificazione. 
    La materia oggetto del reclamo ex art. 35 O.P. di cui al presente
procedimento, concernendo la permanenza all'aperto e  l'alimentazione
del  detenuto,  rientra  certamente  nell'ambito  delle  fondamentali
posizioni giuridiche soggettive dello stesso, in quanto  attinente  a
due degli aspetti essenziali per l'esistenza e la salute dell'uomo. 
    La procedura applicabile al  caso  di  specie  e'  quindi  quella
prevista dall'art. 14-ter  O.P.,  ovvero  reclamo  al  Magistrato  di
sorveglianza, eventuale  presentazione  del  ricorso  per  cassazione
avverso l'ordinanza conclusiva del procedimento, udienza  svolta  con
la  partecipazione  del   difensore   e   del   pubblico   ministero.
L'interessato e l'Amministrazione  penitenziaria  possono  presentare
memorie. 
    M.G. e' detenuto in espiazione della pena dell'ergastolo  di  cui
al provvedimento di cumulo n.  esecuzione  332/2000  REG  ES  del  24
novembre 2004 emesso  dalla  Procura  generale  della  Repubblica  di
Palermo per associazione di tipo mafioso, omicidio, tentato omicidio,
violazione legge armi ed altro, e della pena  dell'ergastolo  di  cui
all'ordine di esecuzione pena n. 151/2008 SIEP  del  13  maggio  2008
emesso dalla Procura generale della Repubblica di  Palermo  per  vari
omicidi e violazione legge armi, nonche' in virtu'  di  ordinanza  di
custodia cautelare del 3 aprile 2009 del G.I.P. presso  il  Tribunale
di Palermo per associazione di  tipo  mafioso,  aggravata  dal  ruolo
direttivo, e trasferimento fraudolento di valori, aggravato  ex  art.
7, legge n. 203/1991 (d.p. 28 dicembre 1991; f.p. MAI). 
    M.G., e' attualmente sottoposto al regime  di  sospensione  delle
ordinarie regole del trattamento penitenziario disposto  con  decreto
del Ministro della giustizia emesso in data 27 aprile 2009,  efficace
per anni due dalla data di emissione. Egli  e'  pertanto  legittimato
attivamente alla proposizione del presente reclamo. 
    Il decreto ministeriale del 27 aprile 2009 all'art. 1 dispone che
in attuazione dell'art. 41-bis, comma 2 della legge 26  luglio  1975,
n. 354 (di seguito O.P.), come modificato dall'art. 2 della legge  n.
279/2002, e' sospesa l'applicazione di alcuni istituti  e  di  alcune
regole di trattamento, tra i  quali  la  «permanenza  all'aperto  per
periodi superiori a 4 ore giornaliere,  di  cui  due  nelle  sale  di
biblioteca, palestra, ecc., e in gruppi superiori a cinque persone». 
    A seguito dell'approvazione della legge 15 luglio  2009,  n.  94,
che ha introdotto sostanziali modifiche  alle  diposizioni  normative
previgenti in materia di regime detentivo speciale  di  cui  all'art.
41-bis O.P., la direzione della  Casa  circondariale  di  Cuneo,  con
ordine di servizio n. 26/2009 del 3 agosto 2009, ha disposto  che,  a
partire dall'8 agosto 2009, data di entrata in vigore della  predetta
legge, sara' sempre  previsto  per  i  detenuti  sottoposti  all'art.
41-bis O.P., tra l'altro, la durata della  permanenza  all'aperto  di
due ore complessive, riducibili ad una nei casi previsti dall'art. 10
O.P., di  cui  un'ora  d'aria  e  un'ora  a  scelta  tra  socialita',
palestra, ecc.; il divieto di acquistare al  sopravvitto  o  ricevere
dall'esterno generi alimentari che secondo  l'uso  comune  richiedano
cottura;  l'utilizzazione  dei  fornelli  personali   autoalimentati,
esclusivamente per  la  preparazione  di  bevande  e  per  riscaldare
liquidi,  nonche'  cibi  gia'  cotti   forniti   dall'Amministrazione
penitenziaria; la possibilita' di detenere una macchinetta del caffe'
del tipo Moka, un pentolino in lega leggera per scaldare  liquidi  ed
una  padellina  in  lega  leggera   per   riscaldare   cibi   forniti
dall'Amministrazione penitenziaria. 
    Inoltre, l'Amministrazione penitenziaria, con circolare  GDAP  n.
0286202-2009 del 4 agosto 2009, ha apportato le necessarie  modifiche
alla precedente circolare in materia n. 3592-6042 del 9 ottobre 2003,
emanata  successivamente  all'entrata  in  vigore  della   legge   n.
279/2002, precisando, tra l'altro, che i detenuti  possono  permanere
all'aperto per non piu'  di  due  ore  giornaliere,  di  cui  una  da
trascorrere in appositi locali adibiti a biblioteca, palestra,  ecc.;
che e' fatto divieto  al  detenuto  di  ricevere  dall'esterno  e  di
acquistare al sopravvitto generi alimentari che per il loro  utilizzo
richiedano  cottura;  che  e'  consentito  l'utilizzo  dei   fornelli
personali esclusivamente per riscaldare liquidi e  cibi  gia'  cotti,
nonche' per la preparazione di bevande. 
    Infine, con provvedimento ministeriale integrativo del  6  agosto
2009, notificato in data 7 agosto 2009 al M., e' stato evidenziata la
necessita' di applicare la nuova normativa ai detenuti sottoposti  al
regime penitenziario differenziato di cui all'art. 41-bis O.P., i cui
decreti ministeriali attualmente in esecuzione siano stati emessi  in
data antecedente all'entrata in vigore della citata legge n. 94/2009,
espressamente  disponendo  che  l'art.  1,  lettera  g)  dei  decreti
applicativi del regime detentivo speciale attualmente in vigore debba
intendersi  cosi'  modificato:  «permanenza  all'aperto  per  periodi
superiori a due ore giornaliere, di cui una nelle sale di biblioteca,
palestra, ecc., e in gruppi superiori a quattro persone». 
    Pertanto,  nei  confronti  del  M.,  la  direzione   della   Casa
circondariale di Cuneo ha applicato  direttamente  ed  integralmente,
dandone avviso ai detenuti ristretti in  tale  regime,  la  normativa
dettata dalla legge n. 94 del 15 luglio 2009 ed entrata in vigore  in
data 8 agosto 2009,  attenendosi  a  quanto  dalla  stessa  previsto,
nonche'  alla  citata  circolare  GDAP  del  4  agosto  2009  che  ne
disciplina  il  contenuto,   unitamente   a   quanto   disposto   dal
provvedimento ministeriale integrativo di cui sopra. Si  ritiene  che
la nuova disciplina restrittiva sopra richiamata  sia  immediatamente
applicabile nei confronti del detenuto sottoposto al regime  previsto
dall'art. 41-bis O.P., in assenza di espressa normativa  a  carattere
transitorio che disponga  diversamente,  tenuto  conto  della  natura
meramente recettizia del dettato  normativo  che  connota  il  regime
penitenziario  differenziato  concretamente  delineato  dal   decreto
ministeriale di applicazione e  della  natura  meramente  ricognitiva
dell'intervenuta  modifica  normativa  del  successivo  provvedimento
ministeriale  integrativo,  peraltro  concernente  esclusivamente  la
durata della permanenza all'aperto, neppure firmato dal Ministro,  ma
da    un    sottosegretario,    ed    intervenuto     successivamente
all'applicazione integrale, automatica e  generalizzata  della  nuova
disciplina disposta dall'Amministrazione penitenziaria nei  confronti
di tutti i detenuti gia' sottoposti al 41-bis O.P. 
    Ne discende la competenza  in  materia  del  Giudice  remittente,
vertendo  il  reclamo  in   esame   sul   trattamento   penitenziario
concretamente imposto al detenuto in forza di diretta applicazione di
norme di legge, secondo le  indicazioni  emanate  all'Amministrazione
penitenziaria  con  l'ordine  di  servizio,  la   circolare   ed   il
provvedimento  ministeriale  integrativo  citati,  e   non   venendo,
pertanto, minimamente in rilievo nel caso  di  specie  la  competenza
esclusiva  attribuita  dalla  legge  n.  94/2009  al   Tribunale   di
sorveglianza di Roma concernente  i  reclami  aventi  ad  oggetto  la
sussistenza  dei  presupposti  per   l'adozione   dei   provvedimenti
applicativi del regime penitenziario differenziato  di  cui  all'art.
41-bis O.P. 
    In relazione alle citate nuove restrizioni introdotte dalla legge
n. 94/2009, concernenti le ore d'aria e il divieto di  cuocere  cibi,
il reclamante lamenta la violazione degli artt. 3, 13,  21,  24,  25,
27, 29,  31,  32,  111  e  113  della  Costituzione,  in  particolare
evidenziando che le modifiche  normative  introdotte  si  pongono  in
contrasto  con  i  principi  affermati   in   materia   dalla   Corte
costituzionale con le sentenze n. 349 e 410 del 1993, n. 351 del 1996
e n. 376 del 1997; e conclude affermando che le restrizioni in  esame
violano  i  principi   fondamentali   sanciti   dalla   Costituzione,
integrando  un  trattamento  contrario  al  senso  di   umanita',   e
chiedendo, pertanto, al giudice adito di sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale innanzi alla Corte costituzionale. 
    Trattasi di questioni di legittimita' costituzionale  chiaramente
rilevanti ai fini della decisione del reclamo in  esame,  atteso  che
nell'ambito del  reclamo  generico  previsto  dall'art.  35  O.P.  il
Magistrato  di  sorveglianza  «esercita  la  vigilanza   diretta   ad
assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata
in conformita' della legge e dei regolamenti» e «impartisce nel corso
del  trattamento,  disposizioni  dirette   ad   eliminare   eventuali
violazioni dei diritti dei condannati e degli  internati»  (art.  69,
commi secondo e quinto ultima parte, O.P.) e, quindi, e'  legittimato
a sollevare questioni  di  legittimita'  costituzionale  inerenti  le
norme dell'Ordinamento  penitenziario  oggetto  della  doglianza  del
reclamante. 
    Questo Magistrato di  sorveglianza  ritiene  che  l'eccezione  di
legittimita'  costituzionale  sollevata  dal   reclamante   non   sia
manifestamente infondata e che,  pertanto,  la  stessa  debba  essere
sollevata nei termini e sotto i profili che verranno  illustrati  nel
seguito. 
    Questo  Giudice,  quindi,  sulla  base  delle  argomentazioni  di
seguito illustrate, ritiene di  dover  sollevare  le  questioni,  non
manifestamente  infondate,   di   legittimita'   costituzionale:   1)
dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), O.P. nella parte in cui
limita la permanenza all'aperto ad una durata non superiore a due ore
al giorno, per contrarieta' agli art. 27, terzo  comma  e  32,  primo
comma, Cost.; 2) dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera  f),  O.P.
nella parte in cui prevede l'adozione di tutte le  necessarie  misure
di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura  logistica  sui
locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata l'assoluta
impossibilita' di cuocere cibi, per contrarieta' agli artt. 3,  primo
comma  e  27,  terzo  comma,   Cost.,   nonche'   al   principio   di
ragionevolezza. 
    La norma che limita la permanenza all'aperto ad  una  durata  non
superiore  a  due  ore  al  giorno  puo'  ritenersi  fondatamente  in
contrasto con gli artt. 27, terzo comma, Cost. in  quanto  integrante
un trattamento contrario al senso di umanita'. 
    Va tenuto conto che, sulla base delle indicazioni applicative  di
cui alle circolari  dell'Amministrazione  penitenziaria  in  materia,
delle predette due ore di permanenza  all'aperto  solo  un'ora  viene
effettivamente trascorsa all'aria aperta, mentre l'altra viene fruita
al chiuso, a scelta, in socialita', biblioteca, palestra, ecc. 
    Invero, in materia di permanenza all'aperto, l'art. 10 O.P.  gia'
fornisce un criterio normativo di portata generale,  laddove  prevede
che debba essere consentito ai detenuti di permanere all'aria  aperta
almeno per due ore al giorno e che tale periodo di tempo possa essere
ridotto  a  non  meno  di  un'ora  al  giorno  soltanto  per   motivi
eccezionali. 
    Allo stesso modo, in materia di restrizioni applicabili  in  caso
di applicazione del regime di sorveglianza particolare ex art. 14-bis
O.P., l'art. 14-quater O.P. prevede che le  restrizioni  non  possano
riguardare, tra l'altro, la permanenza all'aperto per almeno due  ore
al giorno, salvo quanto disposto dall'art. 10 O.P. 
    Tale criterio minimo di tutela era stato recepito dal  previgente
assetto normativo  del  regime  di  cui  all'art.  41-bis  O.P.,  che
prevedeva la permanenza all'aperto per una  durata  non  superiore  a
quattro  ore  al  giorno,  corrispondenti,   secondo   quanto   sopra
precisato, a due ore di  effettiva  permanenza  all'aria  aperta,  il
quale,  pertanto,  gia'  si  collocava  nell'ambito   della   massima
limitazione resa possibile dall'Ordinamento  penitenziario,  peraltro
recependo  proprio  l'insegnamento  della  Corte  costituzionale   in
materia. 
    Con la riforma introdotta dalla legge n. 94/2009  si  assiste  ad
una ulteriore compressione della durata di permanenza all'aria aperta
ad un ora al giorno, che viene, quindi, a coincidere  con  il  limite
minimo di cui all'art. 10, comma 2, O.P. 
    Tuttavia, mentre la norma da ultimo citata consente la  riduzione
della permanenza all'aria aperta ad un'ora al  giorno  «soltanto  per
motivi eccezionali», la previsione di cui alla legge  n.  94/2009  e'
sganciata da ogni valutazione di eccezionalita' e si pone,  anzi,  di
fatto, come regime ordinario dei detenuti sottoposti all'art.  41-bis
O.P., suscettibile, in verita', di ulteriore riduzione ad  un'ora  al
giorno  complessiva  di  permanenza  all'aperto  rispetto  alle   due
previste,  rimessa  ad  una  scelta  ampiamente   discrezionale   del
Ministro. 
    La particolare afflittivita' della restrizione in esame viene  in
rilievo anche in rapporto alle altre limitazioni  che  caratterizzano
il regime penitenziario differenziato ai sensi dell'art. 41-bis O.P.,
le quali determinano, di fatto, un restringimento, per  non  dire  un
azzeramento, delle opportunita' trattamentali fruibili  dal  detenuto
ad esso sottoposto, il quale si viene a trovare, nella migliore delle
ipotesi, in una situazione in cui la permanenza in cella  si  protrae
per 22 ore al giorno, con  la  possibilita'  di  permanenza  all'aria
aperta per una sola ora al giorno e di svolgimento  di  attivita'  al
chiuso (socialita', palestra, biblioteca, ecc.) per una sola  ora  al
giorno. 
    Sotto tale profilo, la stessa Corte  costituzionale,  rispondendo
al  quesito  se  un  limite  assoluto  al  contenuto   delle   misure
derogatorie si possa trarre, per analogia, dall'art. 14-quater  comma
quarto, O.P., che specifica gli ambiti della vita carceraria che  non
possono essere incisi dalle restrizioni disposte  con  il  regime  di
sorveglianza particolare di cui  all'art.  14-bis  O.P.,  regime  che
«nella sua concreta  applicazione  viene  ad  assumere  un  contenuto
largamente coincidente con il regime differenziato introdotto con  il
provvedimento ex art. 41-bis, comma 2, di sospensione del trattamento
penitenziario» (Corte cost., sentenza n. 410 del 1993), ha  affermato
che «non puo' mancare la individuazione di parametri normativi per la
concretizzazione del divieto di  trattamenti  contrari  al  senso  di
umanita', e che da questo punto di vista le indicazioni  fornite  dal
legislatore  con  il  quarto  comma  dell'art.   14-quater   appaiono
particolarmente pregnanti» (Corte cost., sentenza n. 351 del 1996). 
    Anche alla stregua degli standards elaborati dal Comitato europeo
per la Prevenzione della Tortura e delle Pene o Trattamenti Inumani o
Degradanti  (CPT)  l'effettuazione  di  almeno  un'ora  di  esercizio
all'aria  aperta  ogni  giorno  si  colloca   quale   tutela   minima
fondamentale per tutti i detenuti,  senza  alcuna  eccezione,  al  di
sotto  della  quale  si  configurerebbe  un  trattamento  inumano   o
degradante;  si  precisa,  inoltre,  che  tale  tutela   fondamentale
dovrebbe far parte di un  programma  piu'  ampio  di  attivita',  che
certamente non e' dato ravvisare nell'ambito del regime penitenziario
di cui all'art. 41-bis O.P. 
    La norma in esame puo' ritenersi fondatamente in contrasto  anche
con l'art. 32, comma uno, Cost. in quanto  lesiva  del  diritto  alla
tutela della salute. 
    Infatti, la permanenza all'aria aperta per un congruo periodo  di
tempo,  con  la  possibilita'  di  effettuare  esercizi  fisici,   e'
direttamente funzionale al mantenimento di buone condizioni di salute
del detenuto e ad ovvie esigenze di carattere igienico-sanitarie. 
    Entrambe  le  predette  esigenze  non   appaiono   poter   essere
adeguatamente soddisfatte laddove si preveda che il detenuto abbia  a
disposizione una sola ora al giorno di permanenza all'aria aperta  ed
una sola ora al  giorno  da  dedicare  alla  socialita'  o  ad  altre
attivita' ricreative (biblioteca, palestra, ecc.) e debba rimanere in
cella per le restanti 22 ore della giornata. 
    La norma che prevede l'adozione di tutte le necessarie misure  di
sicurezza, anche attraverso  accorgimenti  di  natura  logistica  sui
locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata l'assoluta
impossibilita'  di  cuocere  cibi  puo'  ritenersi  fondatamente   in
contrasto con gli artt. 3, comma primo  e  27,  terzo  comma,  Cost.,
nonche' con il principio di ragionevolezza. 
    Infatti, tale norma pone in essere una disparita' di  trattamento
fra detenuti, non giustificabile sulla base  delle  esigenze  proprie
del regime detentivo differenziato. 
    La disciplina ordinaria fondamentale in materia  di  acquisto  di
generi alimentari e di uso di fornelli e' la seguente. 
    L'art. 9, ultimo comma, O.P. consente ai detenuti  l'acquisto  di
generi  alimentari  e  di  conforto,  entro  i  limiti  fissati   dal
regolamento; l'art. 14, commi  ottavo  e  nono,  d.P.R.  n.  230/2000
precisa che i generi alimentari acquistati  non  devono  eccedere  in
quantita' il fabbisogno giornaliero di  una  persona  e  che  non  si
possono  accumulare  generi  alimentari  in  quantita'  eccedente  il
fabbisogno settimanale; l'art. 13, comma quarto, d.P.R.  n.  230/2000
consente  ai  detenuti,  nelle  proprie  celle,  l'uso  di   fornelli
personali per riscaldare liquidi e cibi gia' cotti,  nonche'  per  la
preparazione di bevande e cibi  di  facile  e  rapido  approntamento;
l'art.  13,  comma  settimo,  d.P.R.  n.  230/2000  dispone  che   il
regolamento  interno  puo'  prevedere   che,   senza   carattere   di
continuita', sia consentita ai detenuti e agli internati  la  cottura
di  generi  alimentari,  stabilendo  i  generi  ammessi  nonche'   le
modalita' da osservare. 
    A fronte della predetta disciplina  ordinaria,  che  consente  ai
detenuti l'acquisto di generi alimentari al  sopravvitto,  l'utilizzo
di  fornelli  personali  per  preparare  cibi  di  facile  e   rapido
approntamento,  nonche',  secondo  le  previsioni   del   regolamento
interno, per la cottura di generi alimentari,  la  legge  n.  94/2009
pone il divieto assoluto di cuocere cibi. 
    Orbene, non e' possibile  arguire  come  siffatto  divieto  possa
ridurre il rischio che il detenuto mantenga contatti con l'esterno. 
    Invero, tale misura, per il suo contenuto, non  e'  riconducibile
alla concreta esigenza di tutelare l'ordine e la sicurezza, apparendo
viceversa palesemente inidonea o incongrua rispetto alle esigenze  di
ordine e di  sicurezza  che  legittimano  l'applicazione  del  regime
penitenziario differenziato, e finisce per acquistare un  significato
diverso, quale ingiustificata deroga all'ordinario regime carcerario,
con  una  portata  puramente  afflittiva   estranea   alla   funzione
attribuita dalla legge all'istituto del 41-bis. 
    Cio' appare tanto piu' vero  se  si  considera  che  al  detenuto
sottoposto  all'art.  41-bis  O.P.  viene  comunque   consentito   di
acquistare al sopravvitto o ricevere dall'esterno  generi  alimentari
che  secondo   l'uso   comune   non   richiedono   cottura,   nonche'
l'utilizzazione dei fornelli personali per la preparazione di bevande
e  per  riscaldare  liquidi,  nonche'   cibi   gia'   cotti   forniti
dall'Amministrazione penitenziaria. 
    Ne' pare che la misura  in  esame  possa  essere  finalizzata  ad
evitare che il  detenuto  possa  assumere  all'interno  dell'Istituto
penitenziario ruoli di predominio tali da  comportare  l'aggregazione
attorno a se' di altri detenuti, privando il  detenuto  di  possibili
manifestazioni di «potere reale» e possibili occasioni per  aggregare
intorno a se' «consenso»  traducibile  in  termini  di  potenzialita'
offensive criminali, non solo e non tanto perche' la mera facolta' di
cucinare cibi  non  sembra  idonea  a  determinare  tali  effetti  di
predomino ed  aggregazione,  ma  anche  e  soprattutto  perche'  tali
medesimi effetti il detenuto  ben  potrebbe  ottenere  anche  tramite
l'acquisto e la ricezione di generi  alimentari  che  non  richiedono
cottura. 
    Si deve quindi dubitare della costituzionalita' della restrizione
in esame non solo in quanto determinante una irragionevole disparita'
di trattamento  con  i  detenuti  ordinari,  non  riconducibile  alle
finalita' istituzionali del regime di cui all'art.  41-bis  O.P.,  ma
anche in quanto idonea a  determinare,  tenuto  conto  del  complesso
delle ulteriori limitazioni imposte in virtu'  dell'applicazione  del
predetto regime, un trattamento penitenziario contrario al  senso  di
umanita', con violazione dell'art. 27, terzo comma, Cost. 
    Alla luce delle considerazioni sopra svolte, si ritiene  che  non
sia   effettuabile   da   questo   giudice   alcuna   interpretazione
costituzionalmente orientata della disciplina dettata con la legge n.
94 del 2009, di modifica dell'art. 41-bis, comma 2-ter,  lettera  f),
O.P., che permetta di ritenere osservati dalla  medesima  i  principi
costituzionali sopra richiamati. 
    Il procedimento deve  pertanto  sospendersi  e  gli  atti  essere
inviati alla Corte costituzionale.