Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 36  del  decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), come modificato dall'art. 9, comma  2,  della
legge 20 febbraio 2006, n.  46  (Modifiche  al  codice  di  procedura
penale,  in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze   di
proscioglimento), promossi dal Tribunale di Pordenone  con  ordinanze
del 7 febbraio e del 16 ottobre 2008 iscritte ai nn. 308  e  309  del
registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 52, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del  9  giugno  2010  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto che il Tribunale di Pordenone  in  qualita'  di  giudice
d'appello,  con  due  ordinanze  di  identico  tenore,  ha  sollevato
questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  all'art.
111, secondo comma, della  Costituzione,  dell'art.  36  del  decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), come modificato dall'art. 9, comma  2,  della
legge 20 febbraio 2006, n.  46  (Modifiche  al  codice  di  procedura
penale,  in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze   di
proscioglimento),  nella  parte  in  cui  non  consente  al  pubblico
ministero di appellare le sentenze di proscioglimento pronunciate dal
giudice di pace per reati puniti con pena alternativa; 
        che, in entrambi i casi, il rimettente premette in  fatto  di
dover esaminare l'appello proposto dal Procuratore  generale  avverso
sentenze di «proscioglimento per remissione tacita di querela» emesse
dal Giudice di pace di Pordenone nei confronti di  due  imputati  nei
confronti dei  quali  si  procedeva,  rispettivamente,  per  lesioni,
ingiuria  e  minacce  (artt.  582,  594  e  612  cod.  pen.)  e   per
diffamazione e minacce (artt. 595 e 612 cod. pen.); 
        che, in punto di rilevanza, il giudice  dell'appello  precisa
che, in applicazione  della  disposizione  censurata,  l'impugnazione
dovrebbe essere convertita in ricorso per cassazione alla luce  della
regola generale di cui all'art. 568 cod. proc. pen.  con  conseguente
trasmissione degli atti alla Corte di cassazione; 
        che, quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale  di
Pordenone evidenzia che l'art. 37, comma 1, della legge  n.  274  del
2000, consente all'imputato di appellare le sentenze di condanna  del
giudice di pace che applicano una pena di specie  diversa  da  quella
pecuniaria nonche'  quelle  che  applicano  la  pena  pecuniaria,  se
l'impugnazione ha ad oggetto anche la condanna  al  risarcimento  del
danno; 
        che, invece, la norma oggetto di censura nega radicalmente il
«correlativo potere di  appello  del  pubblico  ministero  contro  le
sentenze di proscioglimento» pronunciate dal giudice di pace; 
        che tale differente trattamento si porrebbe in contrasto  con
l'art. 111, secondo comma, Cost. che sancisce il principio di parita'
delle parti nel processo. 
    Considerato che il Tribunale di Pordenone in qualita' di  giudice
d'appello, con due ordinanze di identico  tenore,  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 36 del  decreto  legislativo
28 agosto 2000, n. 274  (Disposizioni  sulla  competenza  penale  del
giudice di pace, a norma dell'articolo 14  della  legge  24  novembre
1999, n. 468), come modificato dall'art. 9, comma 2, della  legge  20
febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice  di  procedura  penale,  in
materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella
parte in cui non consente  al  pubblico  ministero  di  appellare  le
sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace; 
        che, secondo il rimettente, risulterebbe violato l'art.  111,
secondo comma, Cost. sotto il profilo della lesione del principio  di
parita' delle parti nel processo, attesa la differenza di  disciplina
dell'appello del pubblico ministero, rispetto  agli  omologhi  poteri
riconosciuti in capo all'imputato; 
        che la questione e' manifestamente infondata; 
        che analoga questione, sollevata dalla  Corte  di  cassazione
con una precedente ordinanza, e' gia' stata dichiarata  infondata  da
questa Corte con la sentenza n. 298 del 2008; 
        che,  in  tale  occasione,  si   e'   evidenziato   come   la
preesistente disciplina,  con  specifico  riguardo  al  regime  delle
impugnazioni, «vedeva l'imputato, per certi versi, sfavorito rispetto
al pubblico ministero in quanto in base al  previgente  art.  36  del
d.lgs. n. 274 del 2000, [...] la  parte  pubblica  era  abilitata  ad
appellare sia le  sentenze  di  condanna  del  giudice  di  pace  che
applicano una pena diversa da quella pecuniaria; sia le  sentenze  di
proscioglimento per reati puniti con pena alternativa. Per contro, ai
sensi dell'art. 37 del medesimo decreto legislativo, l'imputato era -
ed e' - ammesso ad appellare le sentenze di condanna a  pena  diversa
da quella pecuniaria; nonche' le sentenze di condanna a  quest'ultima
pena, ma solo ove venga congiuntamente impugnato il capo di condanna,
anche generica, al risarcimento del danno»; 
        che, dunque,  la  scelta  del  legislatore  di  escludere  la
proponibilita' di censure di merito, da parte del pubblico ministero,
avverso le sentenze di proscioglimento del giudice di pace  non  puo'
ritenersi che ecceda i limiti  di  compatibilita'  del  principio  di
parita' delle parti, trovando «una sufficiente ratio  giustificatrice
sia nella ritenuta opportunita' di evitare  un  secondo  giudizio  di
merito, ad iniziativa della parte pubblica, nei confronti di soggetti
gia' prosciolti per determinati reati "di fascia bassa", all'esito di
un procedimento improntato a marcata rapidita' e  semplificazione  di
forme; sia - almeno in  parte  -  nell'ottica  del  riequilibrio  dei
poteri rispetto ad un  assetto  nel  quale  ad  essere  collocato  in
posizione di svantaggio era, sotto certi aspetti, l'imputato:  ossia,
proprio la parte il cui diritto d'appello ha una maggiore  "forza  di
resistenza" rispetto a spinte di segno soppressivo»; 
        che, non risultando addotti profili  o  argomenti  diversi  o
ulteriori rispetto a quelli gia' valutati nella precedente  pronuncia
di infondatezza, la questione, secondo la consolidata  giurisprudenza
di questa Corte, deve essere dichiarata manifestamente infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.