Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 3 e 6,
del decreto-legge 8 aprile 2008,  n.  59  (Disposizioni  urgenti  per
l'attuazione di obblighi comunitari e l'esecuzione di sentenze  della
Corte  di  giustizia  delle  Comunita'  europee),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge  6  giugno  2008,  n.  101,  promosso  dal
Tribunale di Roma, nei procedimenti riuniti vertenti tra la C. S.  C.
Computer Sciences Corporation Italia s.r.l. e l'INPS  ed  altra,  con
ordinanza del 9  ottobre  2008,  iscritta  al  n.  271  del  registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di costituzione della C. S. C.  Computer  Sciences
Corporation Italia s.r.l., dell'INPS.  ed  altra  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2010 il Giudice relatore
Alessandro Criscuolo; 
    Uditi gli avvocati Michel  Martone  per  la  C.  S.  C.  Computer
Sciences Corporation Italia s.r.l., Antonino Sgroi per l'I.N.P.S.  ed
altra e l'avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con
ordinanza del 9 ottobre  2008,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
articoli 24, secondo comma, 111, secondo comma, e 117,  primo  comma,
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 1, comma 3, del decreto-legge  8  aprile  2008,  n.  59
(Disposizioni urgenti  per  l'attuazione  di  obblighi  comunitari  e
l'esecuzione di sentenze della Corte  di  giustizia  delle  Comunita'
europee), convertito, con modificazioni, dalla legge 6  giugno  2008,
n. 101; nonche', in riferimento agli artt. 101, secondo comma, e 104,
primo comma, Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
combinato disposto dei  commi  3  e  6  del  medesimo  art.  1,  come
risultante dopo la citata legge di conversione. 
    2. - Il rimettente premette  di  essere  chiamato  a  pronunciare
sulla tempestiva opposizione proposta  da  C.  S.  C.  Italia  s.r.l.
avverso una cartella di pagamento, notificatale da  Equitalia  Esatri
s.p.a., in qualita' di agente per la riscossione dei tributi, con  la
quale le era stato intimato il versamento della complessiva somma  di
euro 938.836,32 - iscritta  a  ruolo  dall'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS)  -  a  titolo  di  restituzione  di  sgravi
contributivi, dei quali la stessa societa' aveva beneficiato  per  n.
121 contratti di formazione e lavoro stipulati nel  periodo  compreso
tra il gennaio del 1997 e il maggio del 2001. 
    La restituzione era stata chiesta sulla  base  di  una  decisione
adottata dalla Commissione delle Comunita' europee l'11 maggio  1999,
con  la  quale  i  menzionati  benefici  contributivi   erano   stati
considerati aiuti di Stato non compatibili con il mercato comune,  in
assenza delle condizioni stabilite nella medesima pronuncia. 
    3. - L'opponente, nel quadro di una serie di eccezioni e  difese,
aveva  sostenuto  la  legittimita'  delle  agevolazioni  contributive
godute sulla base della normativa al  tempo  vigente  in  materia  di
contratti di formazione e lavoro, ed  aveva  chiesto  la  sospensione
dell'efficacia esecutiva del ruolo. 
    4.  -  L'INPS,  in  proprio  e  per  conto  della   societa'   di
cartolarizzazione S. C. C. I.,  si  era  costituita  tempestivamente,
ponendo in evidenza la legittimita' della  pretesa  azionata,  stante
l'accertata incompatibilita' con il mercato comune delle agevolazioni
contributive; la sussistenza, in capo  all'opponente,  dell'onere  di
provare  che  i  contratti   di   formazione   e   lavoro   stipulati
rispondessero ai requisiti  individuati  dalla  menzionata  decisione
della Commissione come necessari per riconoscerne  la  compatibilita'
con il detto mercato comune;  l'infondatezza  delle  altre  eccezioni
sollevate e dell'istanza di sospensione, peraltro  in  contrasto  con
l'efficacia diretta e vincolante degli ordini della Comunita'. 
    Si era altresi' costituita  tardivamente  in  giudizio  Equitalia
Esatri s.p.a., in qualita' di agente per la riscossione dei  tributi,
eccependo la  tardivita'  dell'opposizione  ai  sensi  dell'art.  617
codice  di  procedura  civile,  nonche'   la   propria   carenza   di
legittimazione   passiva   sulle   questioni   relative   al   merito
dell'opposizione e l'infondatezza delle domande proposte  nei  propri
confronti. 
    5. -  Il  giudice  a  quo  prosegue,  esponendo  che  in  udienza
l'opponente  aveva  insistito  per  la   sospensione   dell'efficacia
esecutiva del ruolo, segnalando l'esistenza di pericoli  irreparabili
per la vita della societa' qualora la pretesa  azionata  fosse  stata
posta in esecuzione, avuto riguardo alle condizioni economiche  della
societa' stessa. 
    Pertanto egli, con ordinanza del 28 dicembre 2007, aveva  sospeso
l'efficacia esecutiva della cartella di pagamento, ravvisando i gravi
motivi di cui all'art.  24,  comma  6,  del  decreto  legislativo  26
febbraio 1999, n. 46 (Riordino  della  disciplina  della  riscossione
mediante ruolo, a norma dell'articolo 1 della L. 28  settembre  1998,
n. 337). 
    6. - Il rimettente  aggiunge  che  il  9  aprile  2008  e'  stato
pubblicato il d.l. n. 59, poi convertito, a seguito del quale egli ha
anticipato l'udienza al 17 giugno 2008, «al  fine  di  assicurare  il
rispetto dei termini di cui al comma 3° della norma sopra citata». In
tale udienza egli ha sospeso nuovamente l'efficacia  esecutiva  della
cartella, avendo ravvisato «i presupposti di cui  all'art.  1,  comma
1°, del sopra citato d. l. 59/2008», nel frattempo convertito  e,  in
particolare, un evidente errore  nel  calcolo  dell'intera  somma  da
recuperare e la sussistenza del «pericolo di un pregiudizio imminente
e irreparabile», per l'ingente ammontare della somma  richiesta,  per
le costanti perdite  di  bilancio  registrate  dalla  societa'  negli
ultimi anni, per l'impossibilita' di ottenere il documento  unico  di
regolarita' contributiva (DURC)  e  di  pretendere  il  pagamento  di
crediti scaduti nei confronti di pubbliche amministrazioni. 
    Il giudicante rileva ancora che, in corso di causa,  l'INPS,  pur
ribadendo le proprie  eccezioni  e  difese,  ha  dato  atto  di  aver
provveduto  allo  sgravio  parziale  dell'importo  azionato  con   la
cartella  e,  pertanto,  di  voler  ridurre  la  propria  domanda  al
pagamento  della  somma  residua  di  euro  285.271,00,  relativa  ai
benefici contributivi goduti dalla societa' per 41 lavoratori assunti
con contratto di formazione e lavoro. L'opponente, dal canto suo,  ha
dato atto di aver ricevuto  il  parziale  provvedimento  di  sgravio,
insistendo per il totale annullamento della cartella esattoriale. 
    7. - In questo quadro il giudice a quo, richiamata  la  normativa
sui contratti di formazione e  lavoro,  nonche'  il  contenuto  della
decisione adottata l'11 maggio 1999 dalla Commissione delle Comunita'
europee, riferisce che tale decisione era stata impugnata dallo Stato
italiano, il cui ricorso, pero', e' stato rigettato  dalla  Corte  di
giustizia delle Comunita' europee con sentenza del 7 marzo 2002. 
    La stessa Corte,  adita  dalla  Commissione,  ha  dichiarato  che
l'Italia, non avendo assunto nei termini assegnati  tutte  le  misure
necessarie per recuperare le somme presso i  beneficiari,  e'  venuta
meno agli obblighi che le  incombevano  per  effetto  della  medesima
pronuncia. Pertanto «lo Stato italiano - e per esso l'INPS -  avrebbe
dovuto  procedere  a  richiedere  ai   soggetti   beneficiari   delle
agevolazioni contributive sopra citate il  pagamento  dei  contributi
dovuti in relazione a quei contratti di formazione e lavoro stipulati
in assenza delle condizioni  legittimanti  indicate  dalla  decisione
della Commissione europea dell'11.5.1999». 
    Cio' posto, il rimettente osserva che, nella materia oggetto  del
giudizio, l'onere di provare la sussistenza dei requisiti  per  poter
beneficiare  degli   sgravi   contributivi   ricade,   per   costante
giurisprudenza, sulla parte che ha ottenuto tali sgravi. Nel caso  di
specie, dunque, l'onere probatorio spetta all'opponente, che, al fine
di fornire la detta prova, «ha  prodotto  copiosa  documentazione  di
natura contabile (tra cui il  libro  matricola  e  diversi  prospetti
dell'incremento occupazionale realizzato nel periodo di  riferimento)
ed ha invocato  l'ammissione  di  prova  per  testi  su  molte  delle
circostanze indicate in ricorso». 
    Il rimettente, al fine di  verificare  la  fondatezza  di  quanto
sostiene la societa' C. S. C.,  ritiene  indispensabile  disporre  di
ufficio una consulenza contabile che,  in  applicazione  dei  criteri
stabiliti dalla Commissione europea con la  menzionata  decisione,  e
previo esame  della  documentazione  esibita  e  di  quella  ritenuta
necessaria per un corretto espletamento dell'incarico:  1)  verifichi
la  sussistenza  delle  condizioni  per  procedere  al  recupero  dei
contributi in relazione a ciascuno dei 41 contratti di  formazione  e
lavoro, oggetto di (residua) contestazione tra le parti; 2)  in  caso
di risposta negativa (anche solo in parte) a tale quesito,  determini
l'ammontare dei contributi  eventualmente  da  recuperare,  anche  in
relazione alla regola cosiddetta de minimis; 3) determini l'ammontare
delle spese sostenute dall'opponente per la formazione del  personale
assunto  con  i  contratti  di  formazione  e  lavoro,  per  i  quali
risultassero  illegittime  le  esenzioni  contributive  godute,   dei
relativi oneri  fiscali  e  delle  spese  per  le  cosiddette  marche
settimanali. 
    Il giudice a quo richiama il dettato dell'art. 1 del d.l.  n.  59
del 2008 (nel testo risultante dalla legge di conversione)  e  rileva
che  la  sospensione  dell'efficacia  esecutiva  della  cartella   di
pagamento e' stata  concessa,  nel  mutato  contesto  normativo,  con
ordinanza depositata l'11 luglio 2008. Pertanto, in applicazione  del
comma 3 della norma ora citata, il giudice deve decidere la causa nel
termine complessivo di 90 giorni dalla  data  della  sospensione.  In
difetto, la legge prevede le seguenti conseguenze: 1) l'ordinanza  di
sospensione «perde efficacia»; 2) il presidente di sezione  riferisce
al presidente del tribunale circa il mancato  rispetto  del  suddetto
termine da parte del giudice, «per le determinazioni di competenza». 
    Ad avviso del giudicante, la sospensione a  tempo  dell'efficacia
esecutiva della cartella di pagamento sarebbe in contrasto, in  primo
luogo, con l'art. 24, secondo comma, Cost. 
    Infatti, tale sospensione sarebbe essenziale per  un  concreto  e
pieno esercizio del diritto di difesa, «nella misura in cui  consente
alla medesima  parte  -  nella  specie  gravata  del  relativo  onere
probatorio  -  di  richiedere  l'espletamento   di   ogni   attivita'
istruttoria necessaria al fine di provare la  fondatezza  dei  propri
assunti, senza dover temere che la fisiologica  durata  del  processo
conseguente  allo  svolgimento  di  tale  attivita'   si   ripercuota
negativamente sulla propria situazione patrimoniale (anche  in  forza
della quale la stessa ha  ottenuto,  come  premesso,  la  sospensione
dell'esecutivita' della cartella di  pagamento  opposta)».  In  altre
parole, in forza del meccanismo in esame, il diritto di difesa  della
parte,  che  ha  ottenuto  la  sospensione  dell'esecutivita'   della
cartella, risulta di fatto tutelato al massimo  per  novanta  giorni,
decorsi  i  quali,  a  prescindere  dalla  (ovvia)  persistenza   dei
requisiti richiesti, il provvedimento di sospensione  perde  comunque
effetto, consentendo all'Istituto di agire in via esecutiva. 
    Ne' si potrebbe giungere a diversa  conclusione  valorizzando  la
circostanza che la norma censurata consente al giudice,  «sulla  base
dei presupposti  di  cui  ai  commi  1  e  2»,  di  confermare  anche
parzialmente la sospensione gia' concessa,  fissando  un  termine  di
efficacia non superiore a sessanta giorni. 
    Invero, a prescindere dal rilievo che  questo  ulteriore  termine
non sarebbe  idoneo  a  consentire  la  conclusione  dell'istruttoria
richiesta ne' il completamento della consulenza, e' la previsione  di
un termine finale di efficacia entro il quale il processo deve essere
concluso  (pena  la  ripresa  dell'esecutivita'   provvisoria   della
cartella) a porsi in contrasto con il diritto costituzionale  ad  una
piena ed effettiva difesa. 
    8.  -  Secondo  il  giudice  a  quo,  la  sospensione   a   tempo
contrasterebbe anche con il disposto dell'art.  111,  secondo  comma,
Cost., in quanto  attribuisce  all'INPS  una  posizione  di  indubbio
quanto ingiustificato vantaggio nei confronti della controparte. 
    Infatti l'Istituto, trascorso un breve lasso di tempo a decorrere
dall'emissione della sospensiva, puo' agire esecutivamente  in  forza
di un titolo in relazione al quale il giudice ha gia' posto  in  luce
sia un evidente errore nel calcolo di una parte rilevante della somma
da recuperare, sia un concreto pericolo di un pregiudizio imminente e
irreparabile  derivante  alla  parte   opponente   dalla   minacciata
esecuzione forzata. Nel caso di specie, il concreto pericolo di  tale
pregiudizio imminente e irreparabile - che non e', per sua natura, un
pericolo a tempo -  rende  palese  lo  squilibrio  tra  le  posizioni
processuali assunte dalle  parti  in  causa:  mentre  l'INPS.  si  e'
limitato a richiedere alla societa' opponente il pagamento di tutti i
contributi non versati in relazione ai 121 contratti di formazione  e
lavoro - salvo poi procedere, su invito del  giudice  ed  all'interno
del giudizio di opposizione, ad  effettuare  una  verifica  circa  la
fondatezza di tale pretesa e a procedere allo sgravio parziale  -  la
societa'  opponente  ha  dovuto  proporre  opposizione  avverso   una
cartella di pagamento contenente una pretesa vistosamente  errata  in
eccesso e dovrebbe anche riuscire, dopo aver ottenuto la  sospensione
dell'efficacia esecutiva della stessa, a provare la fondatezza  delle
proprie difese in relazione alla residua somma in  contestazione  nel
termine massimo di 90 giorni, come se  il  periculum  in  mora,  gia'
riconosciuto dal giudice, avesse perduto  ogni  rilevanza  una  volta
scaduto il termine sopra indicato. 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione in esame,  nella  parte
in cui introduce la suddetta  sospensione  a  tempo,  contrasterebbe,
inoltre,  con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,   per   violazione
dell'obbligo internazionale assunto dall'Italia con la sottoscrizione
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali (CEDU), ratificata e resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955,  n.  848,  il  cui  art.  6,  primo  comma,  nel
prescrivere il diritto di ogni persona ad un giusto processo  dinanzi
ad un tribunale indipendente  ed  imparziale,  imporrebbe  al  potere
legislativo di non intromettersi nell'amministrazione della giustizia
allo scopo d'influire sulla singola causa o  su  di  una  determinata
categoria di controversie; tale  disposizione  della  CEDU,  infatti,
costituirebbe fonte  interposta,  secondo  l'interpretazione  fornita
dalla Corte europea di Strasburgo sul punto, nel senso che la parita'
delle parti dinanzi al giudice implica la necessita'  che  il  potere
legislativo non si intrometta  nell'amministrazione  della  giustizia
allo scopo d'influire sulla risoluzione della controversia o  di  una
determinata categoria di controversie. Al  riguardo,  l'ordinanza  di
rimessione richiama la giurisprudenza della  Corte  di  cassazione  e
della stessa Corte europea. 
    Il  giudice  a  quo  ritiene  che  le  esigenze  manifestate  dal
legislatore  nell'emanare  la  disposizione  censurata,   dirette   a
consentire all'INPS un sollecito recupero degli aiuti  di  Stato  non
dovuti, non  possano  integrare  le  «imperiose  ragioni  d'interesse
generale» richieste dalla Corte europea come condizione per  superare
il generale divieto di ingerenza. Lo Stato  italiano  -  e  per  esso
l'INPS - avrebbe dovuto celermente richiedere ai soggetti beneficiari
delle agevolazioni sopra citate il pagamento dei contributi dovuti in
relazione non a tutti i contratti di formazione e  lavoro  stipulati,
bensi' soltanto a quei contratti posti in  essere  in  assenza  delle
condizioni legittimanti indicate dalla  medesima  decisione;  ne'  la
dichiarazione di inadempienza dell'Italia, contenuta  nella  sentenza
della Corte di giustizia del  1°  aprile  2004,  potrebbe  costituire
un'imperiosa   ragione   di   interesse   generale   per    procedere
esecutivamente nei confronti dei  predetti  beneficiari:  il  ritardo
accumulato dallo Stato nel procedere ai recuperi dovuti non  potrebbe
incidere negativamente sul diritto di difesa di una delle parti e sul
principio della loro parita' davanti al giudice, e cio' sarebbe ancor
piu' valido quando, come nel caso in esame, la norma introdotta sia a
favore della parte che tale ritardo ha accumulato. 
    9. - Quanto alla disposizione dettata dal  comma  6  della  norma
censurata, che prevede il dovere per  il  presidente  di  sezione  di
vigilare «sul rispetto dei termini di cui al comma 3» e  di  riferire
«con  relazione  trimestrale,  rispettivamente,  al  presidente   del
tribunale  o  della  Corte  d'appello  per   le   determinazioni   di
competenza», il rimettente ritiene che essa sia lesiva  dei  principi
di cui agli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma Cost. 
    Infatti,   il   legislatore   avrebbe   cosi'   introdotto    «un
inammissibile  strumento  di  pressione  sul  giudice   che,   avendo
riscontrato la sussistenza dei requisiti di cui  al  comma  1°  della
stessa norma, abbia disposto la sospensione dell'efficacia  esecutiva
della cartella opposta, e cio' al solo  fine  di  ottenere  una  piu'
celere definizione di una determinata categoria di processi in cui e'
direttamente (per il tramite dell'INPS) parte in causa ed all'interno
dei quali - lo si e' detto piu' volte ma giova ricordarlo  -  l'onere
della prova grava sulla controparte». 
    Risulterebbe lesiva dei menzionati parametri costituzionali anche
l'assoluta  genericita'  del  riferimento  alle  «determinazioni   di
competenza», che il capo dell'ufficio dovrebbe adottare  in  caso  di
mancato  rispetto  dei  termini  in  questione,  in  quanto   sarebbe
adombrato il «fantasma» dell'attivazione di un non  meglio  precisato
procedimento disciplinare, a carico  del  magistrato  giudicante  che
abbia concesso la sospensione  dell'esecutivita'  della  cartella  di
pagamento opposta e che non sia stato poi in  grado  di  definire  il
processo nei successivi 90 giorni,  senza  tuttavia  alcun  esplicito
riferimento alla vigente normativa sugli illeciti disciplinari. 
    Il decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli
illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della
procedura  per  la  loro  applicabilita',  nonche'   modifica   della
disciplina in tema  di  incompatibilita',  dispensa  dal  servizio  e
trasferimento di ufficio dei magistrati,  a  norma  dell'articolo  1,
comma 1, lettera f) della legge 25 giugno 2005, n. 150), nell'art. 2,
prevede tra  gli  illeciti  commessi  nell'esercizio  delle  funzioni
«[...]il reiterato, grave e  ingiustificato  ritardo  nel  compimento
degli atti relativi all'esercizio  delle  funzioni[...]»,  quale,  ad
esempio, il mancato rispetto dei termini previsti dalla legge per  il
deposito della motivazione delle sentenze o delle  ordinanze,  mentre
il termine introdotto con la norma impugnata, piu' che  riferirsi  al
compimento di un atto, andrebbe piuttosto ad incidere sulla  gestione
ordinaria dei tempi del processo e sulla facolta' del  giudice,  fino
ad ora insindacabile, di valutare  in  quale  momento  la  causa  sia
effettivamente matura per la decisione. Tra l'altro,  tale  controllo
risulterebbe formale soltanto in apparenza, essendo invece  idoneo  a
sconfinare nel merito delle scelte del giudice  in  ordine  sia  alla
valutazione delle istanze istruttorie che alla  fondatezza,  o  meno,
delle opposte istanze ed eccezioni. 
    Pertanto, a parere del  tribunale  rimettente,  in  un  ipotetico
procedimento disciplinare, il giudice cui sia stato contestato di non
aver rispettato il suddetto termine si dovrebbe difendere allegando i
contenuti  delle  proprie  ordinanze,  con  cio'   sottoponendosi   a
valutazione l'esercizio dell'attivita' giurisdizionale. 
    10. - La societa' opponente nel giudizio a quo si  e'  costituita
nel giudizio costituzionale e, dopo  aver  riassunto  lo  svolgimento
della causa innanzi al Tribunale di Roma, ha chiesto che la questione
sia dichiarata fondata, sottolineando la violazione  del  diritto  di
difesa di cui all'art. 24  Cost.  e  segnalando  come,  nel  caso  di
specie, il  limite  temporale  di  sospensione  dell'esecutivita'  di
novanta  giorni  risulti  insufficiente,  in   quanto   e'   decisivo
verificare  la  condizione  dell'incremento  netto  dell'occupazione,
richiamata dall'art. 3, lettera a), della decisione della Commissione
europea in data 11 maggio 1999 quale requisito di legittimita'  delle
agevolazioni contributive fruite, per il cui accertamento e' in corso
la consulenza tecnica. La parte  privata  sottolinea  l'inadeguatezza
dei termini imposti dalla norma impugnata ed il fatto che, nonostante
una verifica giurisdizionale dei presupposti  della  sospensione  del
ruolo, decorso il termine di legge, l'istituto previdenziale potrebbe
procedere  immediatamente   al   recupero   delle   agevolazioni,   a
prescindere dalla durata del giudizio. 
    11. - Anche l'INPS si e' costituito nel giudizio di  legittimita'
costituzionale ed  ha  richiamato  alcuni  aspetti  del  procedimento
davanti al Tribunale di Roma, segnalando come il  giudice  rimettente
avesse gia' sospeso una prima volta la provvisoria esecutivita' della
cartella e ritenuto la causa matura per la decisione.  Soltanto  dopo
la promulgazione della normativa ora censurata, il giudice rimettente
aveva  ritenuto  di   dovere   esperire   un'istruzione   probatoria,
concedendo,  nelle  more,  una  seconda  sospensione   dell'efficacia
esecutiva della cartella, con decreto dell'8 luglio 2008. 
    Pertanto, il giudice non avrebbe rispettato i  termini  di  legge
fissati per il celere andamento processuale delle cause di  lavoro  e
previdenza. Per quello che concerne l'altra disposizione sottoposta a
censura, la stessa non riguarda ne' il  giudice  rimettente,  ne'  il
processo di cui lo stesso e' assegnatario, ma vede come  destinatario
il  presidente  della  sezione,  al  quale  sono  demandati   compiti
organizzativi in relazione alla scansione temporale prescritta per la
procedura del recupero degli aiuti di stato. 
    12. - Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio di legittimita' costituzionale ed ha posto  in  evidenza  le
analogie che, a suo avviso, sussisterebbero tra la questione  qui  in
esame ed altra questione, gia' sottoposta alla Corte,  e  decisa  con
sentenza n. 8 del 1982, relativa alla disposizione di cui all'art. 5,
quarto comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1  (Accelerazione  delle
procedure per la esecuzione  di  opere  pubbliche  e  di  impianti  e
costruzioni  industriali),  norma  ora  abrogata  dall'art.  256  del
decreto legislativo 12 aprile 2006,  n.  163  (Codice  dei  contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in  attuazione  delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE). 
    Secondo la difesa dello Stato, la  Corte  avrebbe  gia'  ritenuto
conforme alla Costituzione la previsione  di  un  termine  finale  di
efficacia della  sospensiva  disposta,  a  tutela  delle  particolari
ragioni  di  pubblico  interesse.  Anche  nel  caso  in   esame,   le
motivazioni di interesse pubblico, ben  evidenziate  nella  relazione
governativa al disegno di legge di conversione del decreto, sarebbero
da  individuare  nel  fatto  che  la  Commissione  europea  ha   gia'
annunciato  l'imminente  ricorso  alla  Corte  di   giustizia   delle
Comunita' europee, ai sensi dell'art.  228  del  Trattato  istitutivo
della  Comunita'  europea,  e  successive  modificazioni.  «Senza  un
immediato intervento legislativo che  eviti  tale  ricorso,  l'Italia
rischia, per ciascuna delle tre procedure di infrazione indicate,  la
condanna al pagamento di una somma forfettaria  minima  di  9.920.000
euro, oltre ad una penalita' di mora compresa tra  22.000  e  700.000
euro  per  ogni  giorno  di  ritardo  nell'attuazione  della  seconda
sentenza». Nell'atto di intervento e' richiamato, inoltre, quanto  la
Corte ha gia' affermato in ordine alla necessita'  per  lo  Stato  di
procedere tempestivamente al recupero di aiuti dichiarati illegittimi
(ordinanza n. 36 del 2009) e  si  insiste  per  la  dichiarazione  di
infondatezza  della  questione  di  legittimita'  del  comma  3,   in
riferimento a tutti i parametri evocati. 
    In particolare, del tutto incoerente sarebbe il richiamo all'art.
111, secondo comma, Cost.,  relativamente  al  principio  di  parita'
delle parti nel  processo:  la  previsione  legislativa  non  esclude
affatto che si possa procedere con una c.t.u., la quale  puo'  essere
espletata in tempi brevi (e del resto, nel caso di specie,  la  causa
era  pendente  dal  2007);  inoltre,  anche  dopo   la   ripresa   di
esecutivita' della cartella per il decorso del termine,  l'emanazione
del dispositivo di una sentenza di  merito  che  accolga  il  ricorso
sarebbe idonea a  ripristinare  immediatamente  l'effetto  sospensivo
dell'atto di riscossione. 
    Anche la questione sollevata in riferimento alla disposizione  di
cui al comma 6 sarebbe manifestamente infondata, in  quanto  essa  si
limita a stabilire un monitoraggio in ordine al rispetto dei  termini
previsti dalla norma, affidandolo alla responsabilita' del presidente
del tribunale. 
    13.  -  La  societa'  opponente  nel  giudizio   principale,   in
prossimita' dell'udienza di discussione, ha  depositato  una  memoria
che, pero', risulta  fuori  termine  (art.  10,  primo  comma,  delle
vigenti  norme  integrative  per  i  giudizi   davanti   alla   Corte
costituzionale). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di Roma, in funzione  di  giudice  del  lavoro,
dubita, in riferimento agli articoli 24, secondo comma, 111,  secondo
comma, e 117, primo comma,  della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale dell'articolo 1, comma 3, del decreto-legge  8  aprile
2008, n.  59  (Disposizioni  urgenti  per  l'attuazione  di  obblighi
comunitari e l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia  delle
Comunita' europee), convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  6
giugno 2008, n. 101; nonche' della  legittimita'  costituzionale  del
combinato  disposto  dei  commi  3  e  6  del  medesimo  art.  1,  in
riferimento agli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost. 
    Il   rimettente   espone   di   essere   chiamato   a    decidere
sull'opposizione proposta dalla societa' C. S. C. - Computer Sciences
Corporation - Italia s.r.l. avverso una  cartella  di  pagamento,  ad
essa notificata da Equitalia Esatri s.p.a., in qualita' di agente per
la riscossione, su iscrizione a ruolo operata dall'Istituto nazionale
della previdenza sociale (INPS), in proprio e quale mandatario  della
Societa' di cartolarizzazione dei Crediti Inps (S. C. C. I.), s.p.a.,
per il recupero della somma complessiva di euro 938.836,62, a  titolo
di restituzione degli sgravi contributivi dei quali la societa' aveva
beneficiato per 121 contratti di formazione e lavoro,  stipulati  tra
il gennaio 1997 e il maggio 2001. 
    L'azione di recupero era stata intrapresa in forza  di  decisione
della Commissione delle Comunita' europee in  data  11  maggio  1999,
confermata, a seguito di ricorso dello Stato italiano, dalla Corte di
giustizia delle Comunita' europee, con sentenza del 7 marzo 2002, cui
era seguita altra sentenza della medesima Corte di giustizia (in data
1° aprile 2004), la quale aveva dichiarato che l'Italia,  non  avendo
adottato  nei  termini  assegnati  tutte  le  misure  necessarie  per
recuperare le somme presso  i  beneficiari,  era  «venuta  meno  agli
obblighi ad essa incombenti ai sensi...della detta decisione». 
    In  effetti,  con  la  citata  pronuncia  la  Commissione   delle
Comunita' europee aveva affermato l'illegittimita' delle agevolazioni
contributive   previste   dalla   normativa   italiana,   in   quanto
configuranti «aiuti di Stato» incompatibili con le regole del mercato
comune, qualora non fossero  state  conformi  alle  condizioni  nella
pronuncia stessa indicate. 
    2. - Il giudice  a  quo  riferisce,  per  quanto  qui  rileva  (e
rinviando, per il resto, alle circostanze esposte in narrativa),  che
l'opponente, tra l'altro, aveva dedotto, e  chiesto  di  provare,  la
conformita'  delle  agevolazioni  ottenute  alle  prescrizioni  della
citata decisione; che egli aveva sospeso l'efficacia esecutiva  della
cartella; che in corso di causa l'INPS aveva provveduto allo  sgravio
parziale delle pretese azionate  con  la  detta  cartella,  riducendo
l'importo  richiesto  ad  euro  285.271,00;  che,  nelle  more  della
controversia, e' sopravvenuto il d.l. n. 59 del 2008 (convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 101 del 2008), il cui art. 1, comma  3,
ha previsto un termine di novanta giorni,  eventualmente  prorogabile
per altri sessanta, alla cui scadenza il provvedimento di sospensione
(rinnovato dal giudicante in  base  alle  nuove  disposizioni)  perde
efficacia; che tale sospensione «a tempo» sarebbe  in  contrasto  sia
con l'art. 24, secondo comma, sia con l'art. 111, secondo comma,  sia
con l'art. 117, primo comma, Cost., in quanto  del  tutto  inadeguata
rispetto ai  tempi  necessari  per  l'espletamento  di  una  completa
attivita' istruttoria, tanto piu' considerando che l'onere di provare
la  sussistenza  dei   requisiti   per   beneficiare   degli   sgravi
contributivi in questione ricade sulla parte che in concreto ne abbia
goduto. 
    Il rimettente censura poi il comma 6, in combinato  disposto  con
il comma 3 della menzionata disposizione,  richiamandosi  agli  artt.
101, secondo comma, e 104, primo  comma,  Cost.  e  ravvisando  nella
norma stessa una violazione del principio d'indipendenza del giudice. 
    3. - La questione relativa all'art. 1, comma  3,  terzo  periodo,
del d.l. n. 59 del 2008, convertito, con modificazioni,  dalla  legge
n. 101 del 2008, e' fondata. 
    4. - Si  deve  premettere  che  la  decisione  della  Commissione
europea adottata l'11  maggio  1999,  relativa  al  regime  di  aiuti
concessi dall'Italia per interventi a  favore  dell'occupazione,  non
statui' l'assoluta incompatibilita' di tali aiuti con  il  mercato  e
con l'accordo SEE. Come risulta dalla  parte  dispositiva  essa,  con
l'art. 1, stabili' che gli aiuti medesimi, concessi a  decorrere  dal
novembre 1975, per l'assunzione di lavoratori mediante i contratti di
formazione  e   lavoro   previsti   dall'apposita   normativa,   sono
compatibili  con   l'ordinamento   comunitario   a   condizione   che
riguardino: a) la creazione di nuovi  posti  di  lavoro  nell'impresa
beneficiaria a favore di lavoratori che non hanno ancora  trovato  un
impiego o che hanno perso l'impiego precedente,  nel  senso  definito
dagli  orientamenti  in  materia   di   aiuti   all'occupazione;   b)
l'assunzione di lavoratori che incontrano difficolta'  specifiche  ad
inserirsi o a reinserirsi nel mercato di lavoro,  chiarendo  che,  ai
fini della citata decisione, per tali «s'intendono i giovani con meno
di 25 anni, i lavoratori fino a 29 anni compresi,  i  disoccupati  di
lunga durata, vale a dire le persone disoccupate da almeno un  anno».
Con l'art. 2, poi, dispose che gli  aiuti  «concessi  dall'Italia  in
virtu' dell'art. 15 della legge n. 197/97 per  la  trasformazione  di
contratti di formazione e lavoro in contratti a  tempo  indeterminato
sono compatibili col mercato  comune  e  con  l'accordo  SEE  purche'
rispettino la condizione della creazione netta  di  posti  di  lavoro
come definita dagli  orientamenti  comunitari  in  materia  di  aiuti
all'occupazione», con la precisazione che «il numero  dei  dipendenti
delle imprese e' calcolato al netto dei posti che  beneficiano  della
trasformazione e dei posti creati per  mezzo  di  contratti  a  tempo
determinato   o   che   non   garantiscono   una   certa   stabilita'
dell'impiego». 
    Pertanto, come la decisione rende palese, soltanto gli aiuti  che
non si conformano alle dette condizioni  sono  incompatibili  con  il
mercato comune e, percio',  impongono  l'adozione  dei  provvedimenti
necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti medesimi.  Il
recupero, la cui finalita' consiste nel  ripristinare  la  situazione
esistente sul mercato prima della concessione dell'aiuto,  deve  aver
luogo in base alle procedure di diritto  interno  (decisione  citata,
parte dispositiva, art. 3, comma 2). La relativa  azione  postula  la
verifica dei singoli contratti e, qualora insorgano  contrasti  circa
la rispondenza di  essi  alle  condizioni  ora  indicate,  nasce  una
controversia  che  deve  essere   risolta   nelle   competenti   sedi
giurisdizionali. 
    In  Italia  la  norma  applicabile  e'  l'art.  24  del   decreto
legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina  della
riscossione mediante ruolo, a  norma  dell'articolo  1  della  L.  28
settembre 1998, n. 337), e successive modificazioni, il cui  comma  5
prevede  che  contro   l'iscrizione   a   ruolo   operata   dall'ente
previdenziale il contribuente puo' proporre  opposizione  al  giudice
del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla  notifica  della
cartella di pagamento, mentre il comma 6 aggiunge che «il giudizio di
opposizione contro il ruolo  per  motivi  inerenti  il  merito  della
pretesa contributiva e' regolato dagli articoli 442  e  seguenti  del
codice di procedura civile. Nel corso del giudizio di primo grado  il
giudice del lavoro puo' sospendere l'esecuzione del ruolo  per  gravi
motivi». 
    Con riguardo al citato art. 24 questa Corte, con ordinanza n. 111
del 2007, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale  relativa  a  tale  norma,  sollevata  in
riferimento all'art. 111, secondo comma, Cost., ha chiarito  che  «da
un lato, non e' irragionevole la scelta del legislatore di consentire
ad un creditore, attesa la sua natura pubblicistica e l'affidabilita'
derivante dal procedimento che ne  governa  l'attivita',  di  formare
unilateralmente  un  titolo  esecutivo,  e,   dall'altro   lato,   e'
rispettosa dei diritti di difesa e dei principi del  giusto  processo
la possibilita', concessa al preteso debitore di promuovere, entro un
termine perentorio ma adeguato, un giudizio ordinario  di  cognizione
nel quale far efficacemente valere le  proprie  ragioni,  sia  grazie
alla possibilita' di ottenere la sospensione dell'efficacia esecutiva
del  titolo  e/o  dell'esecuzione,  sia  grazie   alla   ripartizione
dell'onere della prova in base alla posizione sostanziale (e non gia'
formale) assunta dalle parti nel giudizio di opposizione». 
    In proposito, e' il caso di sottolineare fin d'ora  che  soltanto
nel giudizio di opposizione alla cartella esattoriale il destinatario
di questa ha la possibilita' di far  accertare  l'inesistenza,  o  la
minore entita', del proprio debito. Di qui  la  centralita'  di  tale
momento processuale, del quale la tutela cautelare esperibile con  la
sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo  costituisce  profilo
essenziale. 
    5. - In questo quadro e' sopravvenuto il d.l.  n.  59  del  2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101 del 2008. Si tratta
di una normativa a carattere speciale, e quindi derogatoria  rispetto
a quella generale contemplata dal menzionato art. 24. Essa  (come  si
legge  nel  preambolo   del   decreto)   e'   stata   dettata   dalla
«straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni al  fine
di adempiere ad obblighi comunitari derivanti da sentenze della Corte
di giustizia delle Comunita' europee e  da  procedure  di  infrazione
pendenti nei confronti dello Stato italiano». 
    In particolare, l'art.  1,  sotto  la  rubrica  «Disposizioni  in
materia di  recupero  di  aiuti  di  Stato  innanzi  agli  organi  di
giustizia civile», condiziona  la  possibilita'  per  il  giudice  di
concedere la sospensione dell'efficacia del titolo di pagamento  alle
seguenti specifiche condizioni, che devono ricorrere cumulativamente:
a) la sussistenza di gravi motivi d'illegittimita' della decisione di
recupero, ovvero un evidente errore nella individuazione del soggetto
tenuto alla restituzione dell'aiuto di Stato o un evidente errore nel
calcolo della somma da recuperare e nei limiti  di  tale  errore;  b)
pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile. 
    Il comma 2 disciplina l'ipotesi,  estranea  alla  fattispecie  in
esame, in cui la sospensione dell'efficacia del titolo  si  fondi  su
motivi attinenti alla illegittimita' della decisione di recupero. 
    Il comma 3, qui censurato, cosi' dispone:«Fuori dei casi  in  cui
e' stato disposto il rinvio pregiudiziale alla  Corte  di  giustizia,
con il  provvedimento  che  accoglie  l'istanza  di  sospensione,  il
giudice fissa la data dell'udienza  di  trattazione  nel  termine  di
trenta giorni. La causa e' decisa  nei  successivi  sessanta  giorni.
Allo scadere del termine di novanta giorni dalla data  di  emanazione
del provvedimento di sospensione, il  provvedimento  perde  efficacia
salvo che il giudice, su istanza di parte, riesamini lo stesso  e  ne
disponga la conferma, anche parziale, sulla base dei  presupposti  di
cui ai commi 1 e 2, fissando un termine di efficacia non superiore  a
sessanta giorni». 
    Il termine di trenta giorni per fissare l'udienza di trattazione,
e quello successivo  di  sessanta  giorni  per  la  decisione,  hanno
carattere ordinatorio (art. 152, secondo comma, cod.  proc.  civ.)  e
finalita'  accelerativa.  Il  legislatore,   in   sostanza,   intende
garantire alla categoria di controversie in esame una sorta di corsia
preferenziale, in  guisa  da  consentire  l'esecuzione  immediata  ed
effettiva della decisione della Commissione. 
    Si tratta di un'esigenza reale e meritevole di tutela, che  pero'
deve  essere  bilanciata  con  il  diritto  inviolabile   di   difesa
assicurato alla parte in ogni stato e grado  del  procedimento  (art.
24, secondo comma, Cost.). 
    La norma censurata non realizza tale bilanciamento e, dunque,  si
pone in contrasto con il citato parametro costituzionale. 
    Essa, infatti, prevede la perdita di efficacia del  provvedimento
che ha sospeso l'efficacia del titolo di pagamento, allo scadere  del
termine di novanta giorni dalla data di emanazione del  provvedimento
stesso, con possibilita'  di  conferma,  ad  istanza  di  parte,  per
ulteriori sessanta giorni,  col  decorso  dei  quali  la  perdita  di
efficacia comunque si realizza. Si e'  in  presenza,  dunque,  di  un
effetto legale che consegue al mero decorso del  tempo,  prescindendo
da ogni verifica sulla persistenza (o  magari  l'aggravamento)  delle
circostanze che avevano condotto  al  provvedimento  di  sospensione,
rispetto  alle  quali  il  giudice  resta  privato  di  ogni   potere
valutativo. E cio' con la  previsione  di  un  termine  che,  pur  se
prorogato,  e'  in  ogni  caso  contenuto  nella  durata  massima  di
centocinquanta giorni. 
    Al riguardo si  deve  osservare  che  il  potere  di  sospensione
dell'efficacia  del  titolo  di  pagamento,  attribuito  al   giudice
dall'art. 1, comma 1, del d.l. n. 59 del  2008,  rientra  nell'ambito
della tutela cautelare, della quale condivide la  ratio  ispiratrice,
ravvisabile nell'esigenza di evitare che la durata  del  processo  si
risolva  in  un  pregiudizio  per  la  parte  che   dovrebbe   vedere
riconosciute le proprie ragioni (sentenze n. 26 del 2010, n. 144  del
2008 e n. 253 del 1994). La detta sospensione, come le  altre  misure
cautelari a  contenuto  anticipatorio  o  conservativo,  ha  funzione
strumentale all'effettivita'  della  stessa  tutela  giurisdizionale,
sicche'  il  vulnus  prodotto  dalla  sua  efficacia  contenuta   nei
ristretti termini sopra indicati incide inevitabilmente  sulla  detta
effettivita' e, quindi, sul diritto fondamentale garantito  dall'art.
24, secondo comma, Cost. «in ogni stato e grado del procedimento». 
    Infatti, se e' fuor di dubbio che il legislatore  gode  di  ampia
discrezionalita'  nella  conformazione  degli  istituti   processuali
(giurisprudenza costante di questa Corte), e' pur vero che il diritto
di  difesa,  al  pari  di  ogni   altro   diritto   garantito   dalla
Costituzione, deve essere regolato dalla legge ordinaria in  modo  da
assicurarne il carattere effettivo. 
    Pertanto, qualora per l'esercizio di esso,  anche  e  tanto  piu'
sotto il profilo della  tutela  cautelare,  siano  stabiliti  termini
cosi'  ristretti  da  non  realizzare  tale  risultato,  il  precetto
costituzionale e' violato. La congruita' di  un  termine  in  materia
processuale, se da un lato va valutata in relazione alle esigenze  di
celerita' cui il processo  stesso  deve  ispirarsi,  dall'altro  deve
tener conto anche dell'interesse  del  soggetto  che  ha  l'onere  di
compiere un certo atto per salvaguardare i propri diritti. 
    In  casi  come  quello  in  esame,  in  cui  adempiere  all'onere
probatorio, ricadente  sulla  parte  che  ha  promosso  il  giudizio,
richiede di regola l'espletamento di un'attivita'  istruttoria  anche
complessa, il termine di soli centocinquanta giorni (complessivi) per
la conservazione dell'efficacia del provvedimento di  sospensione  si
rivela non congruo, sulla base delle considerazioni dianzi svolte. 
    Il richiamo, compiuto dalla difesa dello Stato, alla sentenza  di
questa Corte n. 8 del 1982 non e' pertinente. 
    La Corte, con tale sentenza, dichiaro' non fondata  la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 5,  penultimo  comma,  della
legge 3  gennaio  1978,  n.  1  (Accelerazione  delle  procedure  per
l'esecuzione  di  opere  pubbliche  e  di  impianti   e   costruzioni
industriali), «nella parte  in  cui  limita  a  sei  mesi  la  durata
dell'efficacia delle ordinanze dei TT.  AA.  RR.  che  sospendano  la
esecuzione dell'atto impugnato» (disposizione poi abrogata). La Corte
ritenne che il detto termine, decorrente  dalla  data  dell'ordinanza
che aveva sospeso  l'efficacia  dell'atto  amministrativo  impugnato,
fosse «congruo e ragionevole in relazione alla durata normale  di  un
processo amministrativo, tenuto anche conto delle particolari ragioni
di pubblico interesse che  sono  insite  nelle  materie  che  formano
oggetto della disciplina di cui alla legge n. 1 del 1978». 
    Orbene,  come  risulta  da  detta  motivazione,  il  giudizio  di
congruita' fu espresso con  riferimento  al  processo  amministrativo
che, soprattutto nell'epoca in cui la decisione  fu  adottata  e  con
riguardo al settore dei lavori pubblici, era un processo sull'atto  e
non sul rapporto, si esauriva di  regola  in  un'udienza  e  lasciava
margini molto ridotti all'attivita' istruttoria. 
    Ben diverso e' il  giudizio  di  cognizione  davanti  al  giudice
ordinario, nel cui schema  va  ricondotta  anche  l'opposizione  alla
cartella di pagamento, che postula l'esame  dell'intero  rapporto  e,
pur con la maggior concentrazione garantita  dall'adozione  del  rito
del  lavoro,  richiede  di  regola  lo   svolgimento   di   attivita'
istruttorie che possono rivelarsi anche molto complesse. 
    Le due  situazioni  poste  a  confronto  dalla  difesa  pubblica,
dunque, non sono omogenee. 
    6. - La norma censurata, inoltre, si pone in contrasto con l'art.
111, secondo comma, Cost. 
    In primo luogo, essa rende asimmetrica la posizione delle  parti,
con conseguente lesione del principio costituzionale di  parita',  in
quanto la perdita di efficacia del provvedimento di  sospensione  del
titolo, collegata al mero decorso di un breve arco di tempo, consente
all'ente, che ha proceduto ad iscrivere a ruolo il presunto  credito,
di azionarlo in via esecutiva pur in presenza  delle  condizioni  che
avevano condotto il giudice a disporre la sospensione  stessa,  cosi'
attribuendogli una ingiustificata posizione di vantaggio. 
    In  secondo  luogo,  il  principio  di  durata  ragionevole   del
processo, ribadito dall'art. 111, secondo comma, Cost.,  in  coerenza
con l'art. 6, primo comma, della Convenzione per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata con legge 4 agosto 1955,  n.  848),  se  e'
diretto a disporre che il processo  stesso  non  si  protragga  oltre
certi limiti temporali, assicura anche che esso  duri  per  il  tempo
necessario a consentire un adeguato spiegamento del contraddittorio e
l'esercizio del diritto di difesa, di cui il diritto di avvalersi  di
una sufficiente tutela cautelare e' componente  essenziale.  Infatti,
anche questo aspetto e' compreso nel canone della ragionevole  durata
affermato dal suddetto parametro. Pertanto,  l'automatica  cessazione
del provvedimento di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo,
in assenza di qualsiasi verifica circa la  permanenza  delle  ragioni
che ne avevano determinato l'adozione, si risolve in  un  deficit  di
garanzie che  rende  la  norma  censurata  non  conforme  al  modello
costituzionale. 
    Sulla  base  delle  considerazioni  che  precedono  deve   essere
dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  3,
terzo  periodo,  del  d.l.  n.   59   del   2008,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge n.  101  del  2008,  nella  parte  in  cui
stabilisce la perdita di efficacia del provvedimento di  sospensione,
adottato o confermato dal giudice. 
    Ogni altro profilo resta assorbito. 
    7. - La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
comma 6 (in combinato disposto con il comma 3), della  normativa  ora
citata, in riferimento agli artt. 101, secondo comma,  e  104,  primo
comma, Cost., e' inammissibile per difetto di rilevanza. 
    La norma denunziata  dispone  quanto  segue.  «Il  presidente  di
sezione, in ogni grado del  procedimento,  vigila  sul  rispetto  dei
termini di cui al comma 3  e  riferisce  con  relazione  trimestrale,
rispettivamente, al presidente del tribunale o della corte  d'appello
per le determinazioni di competenza.  Nei  tribunali  non  divisi  in
sezioni  le  funzioni  di  vigilanza  sono  svolte  direttamente  dal
presidente del tribunale». 
    Si tratta di una disposizione diretta ad agevolare le funzioni di
vigilanza  affidate  al  dirigente  dell'ufficio,  anche   attraverso
l'attivita' di collaborazione semidirettiva svolta dai presidenti  di
sezione. La norma non  riguarda  il  thema  decidendi  sul  quale  il
giudicante e' chiamato a pronunciare, concernente  la  sussistenza  o
meno del credito azionato con il titolo di pagamento contro il  quale
e' stata proposta opposizione,  con  le  statuizioni  consequenziali.
Pertanto, il giudice a quo non deve applicarla. 
    Ne  deriva  l'inammissibilita'  della  questione  (ex   plurimis:
ordinanze n. 64 del 2010; n. 122 e n. 50 del 2009; n. 419 del 2008).