Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 70  del  decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e  della
paternita', a norma dell'articolo 15 della legge  8  marzo  2000,  n.
53), promossi dalla Corte d'appello di Firenze con ordinanza  del  15
maggio 2009 e dalla Corte d'appello di Venezia con ordinanza  del  28
maggio 2009, iscritte ai nn. 240 e 283 del registro ordinanze 2009  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 39 e  47, 1ª
serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  della  Cassa   nazionale   di
previdenza e assistenza forense; 
    Udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2010 il giudice relatore
Maria Rita Saulle; 
    Udito l'avvocato  Massimo  Luciani  per  la  Cassa  nazionale  di
previdenza e assistenza forense. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Corte d'appello di Firenze, nel corso di un  procedimento
civile promosso dalla Cassa  nazionale  di  previdenza  e  assistenza
forense contro P.L.F., con ordinanza emessa  il  15  maggio  2009  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29 e 31  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  70  del  decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e  della
paternita', a norma dell'articolo 15 della legge  8  marzo  2000,  n.
53), nella parte in cui non  prevede  il  diritto  del  padre  libero
professionista di percepire, in  alternativa  alla  madre  biologica,
l'indennita' di maternita'. 
    La Corte rimettente rileva che, con sentenza n. 710 del 20 giugno
2008, il Tribunale di Firenze, in qualita'  di  giudice  del  lavoro,
condannava, in applicazione della norma  censurata,  l'appellante  al
pagamento  in  favore   dell'avvocato   P.L.F.   dell'indennita'   di
maternita' conseguente alla nascita del figlio  avvenuta  l'8  maggio
2006. 
    Avverso tale sentenza proponeva appello  la  Cassa  nazionale  di
previdenza e  assistenza  forense  contestando  l'iter  argomentativo
seguito dal Tribunale che aveva riconosciuto la  suddetta  indennita'
al padre libero professionista, in alternativa alla madre, in base ad
una «interpretazione costituzionalmente adeguatrice» del citato  art.
70, il quale sancisce che alle libere professioniste, «iscritte ad un
ente che gestisce  forme  obbligatorie  di  previdenza  di  cui  alla
tabella  D  allegata  al  presente  testo   unico,   e'   corrisposta
un'indennita' di maternita' per i due mesi antecedenti  la  data  del
parto e i tre mesi successivi alla stessa». 
    In ragione del tenore letterale della  disposizione  impugnata  e
del suo esplicito riferimento alle «libere professioniste»,  e  cioe'
alla  madre,  la  rimettente  non  ritiene  possibile  estendere   il
beneficio da essa prevista al padre. 
    A tal fine non sarebbe risolutiva neanche la sentenza n. 385  del
2005 con  la  quale  la  Corte  costituzionale,  pur  dichiarando  la
illegittimita' del citato art. 70 (e del successivo art.  72)  «nella
parte in cui non prevedono  il  principio  che  al  padre  spetti  di
percepire in  alternativa  alla  madre  l'indennita'  di  maternita',
attribuita solo a quest'ultima», si riferiva al caso  di  affidamento
preadottivo,  fattispecie  questa  in  cui,  diversamente  da  quella
oggetto del giudizio principale, non si  pone  l'esigenza  di  tutela
della gravidanza e del puerperio di una madre biologica. 
    La rimettente osserva, pero', che proprio dall'indicata  sentenza
della Corte costituzionale si evince il principio  secondo  cui,  per
garantire il preminente interesse del minore, i genitori devono poter
godere delle medesime tutele al fine di una  compiuta  attuazione  di
fondamentali diritti  di  rango  costituzionale,  quali  sono  quelli
connessi alla formazione della famiglia e alla cura della prole. 
    Contro tale principio si pone,  a  parere  della  rimettente,  la
norma impugnata che, nei nuclei familiari in cui  il  padre  esercita
una libera professione, nega ai coniugi la delicata  scelta  di  chi,
assentandosi dal  lavoro  per  assistere  il  bambino,  possa  meglio
provvedere alle sue esigenze, scelta che non puo' che essere  rimessa
in via esclusiva all'accordo dei genitori. In particolare,  la  Corte
d'appello osserva che l'art. 70 censurato si pone in contrasto con il
principio di uguaglianza, in quanto  l'indennita'  di  maternita'  e'
riconosciuta al  padre,  sia  nel  caso  di  adozione  o  affidamento
(sentenza n. 385  del  2005),  sia  in  quello  in  cui  egli  svolga
attivita' di lavoro dipendente (art. 28 d.lgs. n. 151 del 2001). 
    Tale disparita' di trattamento, a parere del giudice a  quo,  non
appare giustificata dalle differenze, pur sussistenti, fra le diverse
figure  di  lavoratori,  le  quali  non  riguardano  il  diritto   di
partecipare alla vita familiare in egual misura rispetto alla  madre,
e non consente ai professionisti di godere,  alla  pari  degli  altri
lavoratori,  di  quella  protezione  che  l'ordinamento  assicura  in
occasione della genitorialita', anche adottiva. 
    La rimettente ritiene, infine, che la norma censurata si pone  in
contrasto anche con gli artt. 29 e 31 della Costituzione,  in  quanto
l'indennita' di maternita' rientra  nei  diritti  che  devono  essere
riconosciuti alla famiglia e rappresenta una delle misure  economiche
finalizzate ad agevolarne la formazione. 
    In punto di rilevanza, la Corte d'appello di Firenze osserva  che
l'avvocato P.L.F. ha provato la circostanza che la moglie non  svolge
attivita' di lavoro  dipendente  e,  pur  operando  nel  campo  della
ricerca in posizione autonoma, non ha i requisiti per  la  iscrizione
alla cassa di previdenza e non  ha  percepito  alcuna  indennita'  di
maternita'. 
    1.1. -  Si  e'  costituta  in  giudizio  la  Cassa  nazionale  di
previdenza e assistenza forense chiedendo che la questione  sollevata
sia dichiarata manifestamente inammissibile o infondata. 
    In via preliminare, la parte privata osserva  che  la  rimettente
chiede alla Corte un intervento che  rientra  nella  discrezionalita'
del legislatore, in quanto la invocata pronuncia additiva non sarebbe
a «rime obbligate», non risultando, peraltro,  chiaro  nell'ordinanza
di rimessione in che termini la suddetta pronuncia possa risolvere il
sollevato dubbio di costituzionalita'. 
    Nel merito, la parte privata rileva la differente  posizione  che
rivestono  il  padre  e  la  madre   ai   fini   del   riconoscimento
dell'indennita' di maternita' nel caso  di  filiazione  naturale.  In
tali casi, infatti, il  beneficio  in  esame  e'  volto  non  solo  a
compensare  la  potenziale  diminuzione  del  reddito   nel   periodo
successivo al parto, nel quale il padre potrebbe sostituire la  madre
nelle cure del figlio, ma anche la diminuzione di reddito nel periodo
della gravidanza, durante il quale la posizione del  padre  non  puo'
essere considerata equivalente a quella della madre. 
    In simili ipotesi non  assumerebbe,  dunque,  rilevanza  la  sola
necessita' di assistere il figlio nel suo ingresso in famiglia,  come
nel caso di affido preadottivo, ma anche la tutela della salute della
donna  in  occasione  della  gravidanza,  del  parto  e  dei  momenti
immediatamente successivi ad esso. 
    La peculiare posizione che riveste la madre  in  occasione  degli
indicati  periodi  giustificherebbe  la  disciplina  impugnata  dalla
rimettente che riconosce solo alle libere professioniste il beneficio
della indennita' di maternita'. 
    1.2.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  Cassa  nazionale  di
previdenza e assistenza forense ha  depositato  una  memoria  con  la
quale  ha   insistito   nella   richiesta   di   una   pronuncia   di
inammissibilita' o infondatezza della questione. 
    In  particolare,  la  parte  privata  osserva  che   l'intervento
richiesto alla Corte non tiene conto dell'ampia  autonomia  normativa
riconosciuta alla Cassa  dal  legislatore  nazionale,  il  quale,  in
ottemperanza al  principio  dell'autofinanziamento  che  sorregge  il
sistema  di  previdenza  dei  liberi  professionisti,  consente  alle
relative  Casse  di  previdenza  di  derogare   alle   stesse   fonti
legislative al fine  di  garantire,  nell'equilibrio  dei  rispettivi
bilanci, la regolare erogazione delle  prestazioni  previdenziali  ai
loro iscritti. 
    Tali  prestazioni  potrebbero  essere  pregiudicate  in  caso  di
accoglimento della questione  sollevata,  poiche'  la  Cassa  sarebbe
obbligata ad indennizzare, nella medesima misura prevista per le sole
professioniste, anche i padri e cio' indipendentemente  dalla  scelta
dei genitori riguardo alle esigenze concrete del minore, ma per  meri
interessi  economici;  problema  quest'ultimo  che  potrebbe   essere
risolto esclusivamente mediante un apposito intervento legislativo. 
    La Cassa nazionale di previdenza e  assistenza  forense,  infine,
nel ribadire, da un lato, che la situazione dei genitori naturali non
e'  assimilabile  a  quella  dei  genitori  in  caso  di  affidamento
preadottivo, fattispecie quest'ultima oggetto della sentenza  n.  385
del 2005 e, dall'altro, che la posizione del padre  naturale  non  e'
uguale a quella della  madre  naturale,  osserva  che  l'accoglimento
della questione darebbe luogo ad una disparita' di trattamento tra il
padre  libero  professionista  e  il  padre  che  svolge  un   lavoro
dipendente. Infatti, mentre a quest'ultimo e' riconosciuto il congedo
per  paternita'  e  la  conseguente   indennita',   solo   nei   casi
tassativamente previsti dall'art. 28  del  d.lgs.  n.  151  del  2001
(morte o grave infermita'  della  madre;  abbandono  da  parte  della
stessa),  l'attribuzione  di  analogo   diritto   al   padre   libero
professionista avverrebbe sulla base di una semplice richiesta. 
    2. - La Corte d'appello di Venezia, con ordinanza  emessa  il  28
maggio 2009, ha sollevato,  in  termini  sostanzialmente  analoghi  a
quelli espressi  dalla  Corte  d'appello  di  Firenze,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 70 del d.lgs. n. 151 del  2001,
in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31
della Costituzione. 
    In punto di  fatto,  la  Corte  rimettente  riferisce  di  essere
investita dell'appello proposto  da  M.B.  avverso  la  sentenza  del
Tribunale di Rovigo, con la quale era  stato  negato  al  ricorrente,
padre  libero  professionista,  il   diritto   di   beneficiare,   in
alternativa alla madre, dell'indennita' di  maternita'  prevista  dal
citato art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001. 
    La rimettente, pur affermando  di  non  poter  fare  applicazione
della sentenza n. 385 del 2005, in quanto avente ad oggetto  il  caso
dell'affidamento preadottivo e, quindi, una  fattispecie  diversa  da
quella oggetto del giudizio principale, ritiene, tuttavia, che alcuni
principi da essa contemplati - tutela dell'interesse  del  minore  ed
equiparazione delle situazioni dei genitori  -  inducano  a  dubitare
della legittimita' costituzionale della norma impugnata. 
    In  proposito,  la  Corte  d'appello  di   Venezia   riporta   la
giurisprudenza costituzionale che ha esteso al padre  lavoratore,  in
ragione del superiore interesse del bambino, i  diritti  riconosciuti
alla  madre  lavoratrice  e  che,  con  riguardo  all'indennita'   di
maternita', ne ha individuato il duplice obiettivo di assicurare,  da
un lato, la tutela della  salute  della  madre  e  del  nascituro  e,
dall'altro, un reddito idoneo al fine di evitare che alla  maternita'
si colleghino stati di bisogno. 
    Alla luce di tali premesse l'art. 70 censurato,  nel  riconoscere
il diritto di percepire l'indennita' di maternita'  alla  sola  madre
libera professionista, pone una limitazione alla tutela del superiore
interesse  del  bambino,  in  quanto  non  consente  ai  genitori  di
effettuare quelle scelte familiari - tra le quali rientra  quella  di
stabilire chi tra il padre e la madre debba assentarsi dal lavoro  in
occasione della nascita  -  tese  a  garantire  la  migliore  cura  e
assistenza della prole. 
    In  particolare,  la  norma  censurata  violerebbe,  secondo   la
rimettente,  «l'art.  29,  comma  2,  che  afferma  il  principio  di
uguaglianza tra coniugi anche in relazione ai compiti di cui all'art.
30, comma 1, 31, che pone la tutela della famiglia e del minore  come
compito fondamentale dell'ordinamento, e 3  della  Costituzione,  che
afferma il principio di parita' di trattamento, nella  parte  in  cui
viene affermata l'ingiustificata disparita' di trattamento tra  madre
e padre liberi professionisti». 
    Sotto il profilo della rilevanza, la Corte d'appello si  richiama
«alle conclusioni svolte in via principale dal ricorrente appellante»
e   precisa   che    l'impossibilita'    di    una    interpretazione
costituzionalmente adeguatrice  della  norma  impugnata,  impone  una
pronuncia della Corte costituzionale. 
    2.1. - Si  e'  costituita  in  giudizio  la  Cassa  nazionale  di
previdenza e  assistenza  forense  chiedendo  che  la  questione  sia
dichiarata manifestamente inammissibile o, comunque, infondata. 
    Quanto all'inammissibilita', la Cassa nazionale di  previdenza  e
assistenza forense rileva che la Corte  d'appello  rimettente  chiede
una pronuncia additiva che esula dalle competenze della Corte in  una
materia riservata alla discrezionalita' del legislatore e,  altresi',
eccepisce il difetto di motivazione in ordine  alla  rilevanza  della
questione di legittimita' costituzionale, in  quanto  il  rimettente,
limitandosi «a dar conto delle ragioni per le quali non e'  possibile
concedere   l'indennita'   richiesta   sulla   base   di   una   mera
"interpretazione adeguatrice"», non ha esplicitato in quale misura la
pronuncia  della  Corte  «potrebbe   indirizzarsi   nella   direzione
desiderata dal Collegio rimettente». 
    Nel merito, la parte privata osserva che le posizioni  rispettive
del  padre   naturale   professionista   e   della   madre   naturale
professionista  non  sono  coincidenti,  posto  che  l'indennita'  di
maternita' e' finalizzata a colmare la diminuzione  del  reddito  sia
nel periodo successivo al  parto  sia  nel  corso  della  gravidanza.
Periodo quest'ultimo in cui, precisa ancora la  parte  interveniente,
«la posizione  del  padre  non  puo'  certamente  essere  considerata
equivalente a quella della madre». 
    2.2.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  Cassa  nazionale  di
previdenza e assistenza forense ha  depositato  una  memoria  con  la
quale,  nell'insistere  nella   richiesta   di   una   pronuncia   di
inammissibilita' o infondatezza della questione sollevata dalla Corte
d'appello  di  Venezia,  ha  proposto   motivazioni   sostanzialmente
identiche a quelle  contenute  nella  memoria  relativa  al  giudizio
iscritto al n. R.O. n. 240 del 2009. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte d'appello  di  Firenze  e  la  Corte  d'appello  di
Venezia dubitano, in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30,
primo  comma,   e   31   della   Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 70 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di  tutela
e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'art.  15
della legge 8 marzo 2000, n. 53). 
    Le Corti rimettenti denunciano l'art. 70 nella parte in cui esso,
nel fare esclusivo  riferimento  alle  «libere  professioniste»,  non
prevede il diritto del padre libero professionista di  percepire,  in
alternativa alla madre biologica, l'indennita' di maternita'. 
    In particolare, ad avviso della Corte  d'appello  di  Firenze  la
mancata possibilita' per il padre libero professionista di  usufruire
dell'indennita' di cui all'art. 70 del d.lgs. n.  151  del  2001,  in
alternativa  alla  madre,  porrebbe  in  essere  una  disparita'   di
trattamento fra i genitori, con conseguente limitazione della  tutela
del preminente interesse del minore.  La  norma  impugnata,  infatti,
nell'impedire ai coniugi di valutare chi,  assentandosi  dal  lavoro,
meglio soddisfi le esigenze di tutela della prole, sia pure sotto  un
profilo economico, produrrebbe l'effetto di comprimere  quei  diritti
che gli artt. 29 e 31 della Costituzione  riconoscono  alla  famiglia
anche al fine di agevolarne la formazione. 
    La  rimettente  osserva,  poi,  che   la   disciplina   impugnata
violerebbe, altresi', il  principio  di  uguaglianza,  in  quanto  la
indicata indennita' e' riconosciuta al  padre,  in  ragione  del  suo
diritto di partecipare alla vita familiare in egual  misura  rispetto
alla madre, sia nel caso di adozione o affidamento (sentenza  n.  385
del 2005), sia in quello in cui egli svolga  un'attivita'  di  lavoro
dipendente (art. 28 d.lgs. n. 151 del 2001). 
    Quanto alla Corte d'appello di Venezia, essa ritiene  che  l'art.
70 del d.lgs. n. 151 del 2001, nel limitare il diritto  di  percepire
l'indennita' di maternita' alla sola madre, si porrebbe in  contrasto
proprio con la sopra indicata possibilita' di scelta e,  dunque,  con
l'art.  29,  secondo  comma,  della  Costituzione,  che  afferma   il
principio di uguaglianza tra coniugi anche in relazione ai compiti di
cui all'art. 30, primo comma, della Costituzione. 
    Inoltre, sarebbe anche violato l'art. 31 della Costituzione,  che
pone la tutela della famiglia e del minore come compito  fondamentale
dell'ordinamento, nonche' l'art. 3 della Costituzione, che afferma il
principio di parita' di trattamento, in  quanto  la  norma  impugnata
porrebbe in essere una ingiustificata disparita' di  trattamento  tra
madre e padre liberi professionisti. 
    2.  -  Le  due  ordinanze  di  rimessione   propongono   analoghe
questioni, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere  definiti
con un'unica decisione. 
    2.1. - La questione sollevata dalla Corte d'appello di Venezia e'
inammissibile. 
    La rimettente, infatti, in punto di rilevanza si e'  limitata  ad
affermare  che  «la  questione  di  costituzionalita'  risulta   pure
rilevante, con riferimento alle conclusioni svolte in via  principale
dal ricorrente appellante». 
    Il mero richiamo alle argomentazioni prospettate dalle parti  nel
processo  principale  rende  l'ordinanza  di  rimessione  priva   del
requisito dell'autosufficienza, dovendo  il  giudice  esplicitare  le
ragioni che lo portano a dubitare della costituzionalita' della norma
censurata in modo tale da permettere  alla  Corte  di  verificare  la
sussistenza del requisito della rilevanza, non potendosi  supplire  a
tale carenza per mezzo del riferimento sopra indicato. 
    2.2. - La questione sollevata dalla Corte  d'appello  di  Firenze
non e' fondata. 
    La rimettente basa il proprio  dubbio  di  costituzionalita'  sul
presupposto che l'art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001, non consentendo
al padre libero professionista di usufruire, al  posto  della  madre,
della indennita' di maternita', non tiene conto del principio secondo
cui, in ragione del preminente  interesse  del  bambino,  i  genitori
devono  godere  di  analoghe  tutele  in  ambito  lavorativo  e,   in
particolare, del fatto che il suddetto beneficio e'  riconosciuto  al
padre adottivo, libero professionista, per effetto della sentenza  n.
385 del 2005 di questa Corte, e al padre lavoratore  subordinato,  in
applicazione dell'art. 28 del d.lgs. n. 151 del 2001. 
    Tale  questione  non  tiene  conto  che  le  situazioni  poste  a
raffronto sono tra loro differenti, pur essendo esse accomunate dalla
finalita' di protezione del minore. 
    Occorre a tal fine rilevare che  la  tutela  della  maternita'  e
della paternita' e' frutto di un'evoluzione normativa - legge 8 marzo
2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della  maternita'  e  della
paternita', per il diritto alla cura  e  alla  formazione  e  per  il
coordinamento dei tempi delle citta'); legge 9 dicembre 1977, n.  903
(Parita' di trattamento tra uomini e donne  in  materia  di  lavoro);
legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle  lavoratrici  madri)  -
che trova oggi la sua sintesi nel d.lgs. n. 151 del 2001. 
    Il  legislatore  con  quest'ultimo  testo  normativo  ha   voluto
disciplinare i  diversi  istituti  posti  a  fondamento  della  sopra
indicata   tutela   (congedi,   riposi,    permessi),    valorizzando
l'uguaglianza tra i coniugi e tra le varie categorie  di  lavoratori,
nonche'  tra  genitorialita'  biologica  e  adottiva,  al   fine   di
apprestare la migliore tutela all'interesse preminente del bambino. 
    Sul  punto  assumono  rilevanza  le  norme  che  riconoscono   in
condizione di parita',  al  padre  e  alla  madre,  indipendentemente
dall'essere genitori naturali o adottivi, il congedo parentale (artt.
32 e 36 d.lgs. n. 151 del 2001) e i riposi giornalieri (artt. 39,  40
e 45 del d.lgs. n. 151 del 2001). A questa  evoluzione  normativa  ha
contribuito in modo significativo  la  giurisprudenza  costituzionale
(sentenze n. 371 del 2003, n. 197 del 2002, n. 405 del 2001). 
    Dall'esame della legislazione e della  giurisprudenza  richiamate
si evince che l'uguaglianza tra i genitori e' riferita a istituti  in
cui l'interesse del minore riveste carattere  assoluto  o,  comunque,
preminente, e, quindi, rispetto al quale le  posizioni  del  padre  e
della madre risultano  del  tutto  fungibili  tanto  da  giustificare
identiche discipline. Diversamente, le  norme  poste  direttamente  a
protezione della filiazione biologica, oltre  ad  essere  finalizzate
alla protezione del nascituro,  hanno  come  scopo  la  tutela  della
salute della madre nel  periodo  anteriore  e  successivo  al  parto,
risultando, quindi, di tutta evidenza che, in tali casi, la posizione
di quest'ultima non e' assimilabile a quella del padre. 
    Sul punto appaiono significativi gli artt. 16 e 28 del d.lgs.  n.
151 del 2001. 
    L'art. 16, nel disciplinare il congedo di maternita',  stabilisce
che la donna lavoratrice dipendente non puo' essere adibita al lavoro
nei due mesi antecedenti al parto e nei  successivi  tre.  L'art.  28
prevede poi che «Il padre lavoratore  ha  diritto  di  astenersi  dal
lavoro per tutta la durata del congedo di maternita' o per  la  parte
residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o  di
grave infermita' della madre ovvero di abbandono, nonche' in caso  di
affidamento esclusivo del bambino al padre». 
    Al suddetto periodo e' ricollegato il  godimento  dell'indennita'
di maternita' pari all'80 per cento della retribuzione (art.  22  del
d.lgs. n. 151 del 2001). 
    Dalla lettura dell'art. 28 risulta evidente che la posizione  del
padre naturale dipendente non e', come invece erroneamente  sostenuto
dalla Corte rimettente, assimilabile a quella della madre, potendo il
primo godere del periodo di astensione dal lavoro  e  della  relativa
indennita' solo in casi eccezionali e cio' proprio in  ragione  della
diversa posizione che il padre e la madre rivestono in relazione alla
filiazione biologica. 
    Nel caso di specie, alla  tutela  del  nascituro  si  accompagna,
appunto, quella della salute della madre, alla quale  e'  finalizzato
il  riconoscimento  del  congedo  obbligatorio  e   della   collegata
indennita'. 
    In proposito va rilevato che questa Corte, con la sentenza  n.  1
del 1987, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  7
della legge n. 903 del 1977 nella parte in cui non prevedeva  che  il
diritto all'astensione  dal  lavoro,  riconosciuto  alla  sola  madre
lavoratrice,  fosse  attribuito  anche  al   padre   lavoratore   ove
l'assistenza della madre al minore  fosse  divenuta  impossibile  per
decesso o grave infermita'. 
    Alla suddetta pronuncia di incostituzionalita' la Corte e' giunta
dopo aver affermato che il fine perseguito dal  legislatore  mediante
l'istituto dell'astensione obbligatoria  e'  quello  di  tutelare  la
salute della donna nel periodo immediatamente precedente e successivo
al parto, tenendo conto anche delle esigenze relazionali e  affettive
del  figlio  in  tale  periodo.  Pertanto,  la  Corte   ha   ritenuto
irragionevole  non  estendere  al  padre  il  diritto  all'astensione
obbligatoria e, conseguentemente,  all'indennita'  di  maternita'  ad
essa collegata, nei casi  in  cui  la  tutela  della  madre  non  sia
possibile a seguito di morte o di grave impedimento della  stessa,  e
cio' in  quanto  in  simili  ipotesi  gli  interessi  che  l'istituto
dell'astensione obbligatoria  puo'  tutelare  sono  solo  quelli  del
minore ed e' quindi rispetto a questi che esso deve rivolgersi in via
esclusiva. 
    Tali condizioni non ricorrono evidentemente nel caso di specie.