IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel procedimento penale n. 46/2010 a carico di Grubleac Ecaterina
imputata del reato dicui all' art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998. 
    In relazione all'articolo di cui all'imputazione, questo  giudice
osserva. 
    Il reato appare in contrasto con gli artt. 2,  3,  25  secondo  e
terzo comma in relazione agli artt. 27 e 13 della Costituzione 
    Il reato in questione appare in contrasto  con  il  principio  di
ragionevolezza rivelandosi del tutto privo di  ratio  giustificatrice
in quanto il fine che si prefigge e' quello dell'allontanamento dello
straniero clandestino  dal  territorio  nazionale.  Tale  fine  viene
raggiunto gia' in sede amministrativa ove  e'  prevista  l'espulsione
del soggetto irregolare da parte degli organi di polizia senza  alcun
nulla-osta da parte dell'Autorita' giudiziaria. 
    Riguardo alla pena pecuniaria  prevista  dalla  norma  in  esame,
trattasi di applicazione del tutto teorica in quanto,  nella  specie,
sarebbe  applicata  a  persone  nullatenenti  e   privi   di   sicura
domiciliazione tanto che anche la eventuale  conversione  della  pena
pecuniaria in lavori di  pubblica  utilita'  ex  art.660  c.p.p.  non
otterrebbe alcun risultato utile. 
    Altrettanto in contrasto  con  il  principio  di  offensivita'  e
proporzionalita' appare il reato in questione ove si consideri che la
Suprema Corte, con sent.  n.  78/07,  ha  affermato  che  il  mancato
possesso di un titolo valido per la permanenza nello Stato non e'  di
per se' sintomo di una particolare pericolosita' sociale per cui  non
puo' essere accomunata la semplice permanenza con la situazione dello
straniero che e' entrato nel territorio nazionale per  commettere  un
reato. 
    Infatti l'espressione «fatto commesso»  contenuta  nell'art.  25,
secondo comma, in relazione all'art. 27 della Costituzione indica  il
carattere personale della responsabilita' penale, imponendo  pertanto
un limite alla applicazione delle pene che costituiscono una «estrema
ratio»  e  devono  essere  applicate  a  particolari  situazioni   di
pericolosita' sociale fra le quali certamente non rientrano i casi di
coloro che per disperazione migrano, sia pur illegalmente,  in  altri
paesi. 
    Pertanto appare del tutto incomprensibile prevedere un reato  per
una situazione che puo' essere risolta in ambito amministrativo. 
    La norma contrasta anche con  l'art.  10  della  Costituzione  e,
soprattutto con l'art. 2, violando sia il principio di  solidarieta',
posto tra i valori fondamentali dell'uomo, sia assumendo un connotato
discriminatorio nei  confronti  di  persone  che,  in  condizione  di
bisogno, vengono considerate possibili fonti di atti  delinquenziali.
(Vedasi  a  tal  proposito  la  Convenzione  di  Ginevra   sull'asilo
politico,  la  Dichiarazione  dei  Diritti  dell'Uomo  e   le   varie
Convenzioni sui Lavoratori  migranti  e  sui  Diritti  del  fanciullo
ratificate dall'Italia). 
    Va infine rilevato, quale  ulteriore  profilo  di  irrazionalita'
della norma, che il reato di illegale  trattenimento  nel  territorio
dello Stato, rispetto a quello istantaneo di ingresso clandestino  e'
privo di normativa transitoria (quale quella prevista per le  colf  e
badanti) per cui il clandestino, anche se lo volesse, non godrebbe di
alcuna possibilita' di evitare i rigori della legge.